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Autore: Lady Vibeke    08/12/2008    17 recensioni
A 21 anni una studentessa universitaria di buona famiglia non punta la sveglia alle tre del mattino perché quattro ragazzi a quell’ora vinceranno un premio per cui lei stessa ha passato ore ed ore a votarli centinaia di migliaia di volte.
A 21 anni una ragazza non dovrebbe essere nelle condizioni in cui è la sottoscritta.
Tant’è.
La storia d’amore tra me e i Tokio Hotel è forse poco originale, simile a tante altre, ma poco importa. È una grossa fetta del mio presente, e quando si ama scrivere, nulla è mai troppo noioso per essere raccontato.
[Prima classificata al concorso Da Tokio a Berlino indetto da La Compagnia del Libro, in collaborazione con il Göthe Insitut e Universal Music]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Schrei!
Bis du, du selbst bist
Schrei!
Und wenn es das letzte ist
Schrei!
Auch wenn es weh tut
Schrei so laut du kannst

 

(Schrei, Tokio Hotel)

 

 

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A 21 anni passati ci sono cose che una ragazza dovrebbe e non dovrebbe fare.

A 21 anni una ragazza dovrebbe pensare solo agli studi e al lavoro, e, sì, magari concedersi qualche svago, godersi la vita, ascoltare giustamente la musica, soprattutto se una di musica ci ha sempre vissuto.

A 21 anni si è più razionali, maturi e calibrati nel scegliere i propri modelli, specie se in tutta l’adolescenza sono completamente mancati quegli idoli che tutte le ragazzine hanno, quelli che ti fanno urlare e piangere, quando li vedi, che ti fanno riempire la stanza di poster, e correre in edicola a comprare qualunque cosa contenga anche solo un’immagine o una traccia del nome del suddetto idolo.

A 21 anni una studentessa universitaria di buona famiglia non punta la sveglia alle tre del mattino perché quattro ragazzi a quell’ora vinceranno un premio per cui lei stessa ha passato ore ed ore a votarli centinaia di migliaia di volte.

A 21 anni una ragazza non dovrebbe essere nelle condizioni in cui è la sottoscritta.

Tant’è.

La storia d’amore tra me e i Tokio Hotel è forse poco originale, simile a tante altre, ma poco importa. È una grossa fetta del mio presente, e quando si ama scrivere, nulla è mai troppo noioso per essere raccontato.

Si parla ormai di più di un anno fa, giugno 2007, quando dei Tokio Hotel non conoscevo che il nome. All’epoca avevo, come molti (troppi), dei pregiudizi su di loro, ed anche piuttosto forti, pur non avendo idea di come suonasse la loro musica, o di che facce avessero questi fantomatici neofenomeni. Sapevo solo che il nome non mi diceva nulla di interessante. Non li volevo nemmeno sentir nominare, a prescindere da tutto.

Fortunatamente sono una che sa ammettere senza problemi che ha preso un abbaglio epocale.

È cominciato tutto da mia sorella di 17 anni che mi ha chiamata a vedere “quello che sembra una ragazza”, e da lì non so più nemmeno io a quale stratosferica velocità il tutto è decollato.

Parti ascoltando una canzone, te ne innamori, consumi il tuo iPod a furia di ascoltarla ininterrottamente, poi per curiosità ti vai ad ascoltare l’album da cui è tratta, poi comperi quell’album e scopri che ne esistono altri, in tedesco, e compri anche quelli, perché pensi ne valga la pena (e nel frattempo quasi ti scordi delle canzoni in inglese, perché quelle in lingua originale sono infinitamente superiori), e poi ancora trovi i DVD, e compri anche quelli, perché stai cominciando a capire che questa band di ragazzini ha qualche cosa di speciale e forse meritano davvero il travolgente successo che li accompagna ovunque mettano piede.

In men che non si dica ti ritrovi la stanza letteralmente tappezzata di poster ed immagini di questi quattro mezzi sconosciuti che però hai imparato ad amare nelle loro canzoni, nelle interviste, nei DVD e anche nell’idea che ti sei fatta di loro. Ti svegli una mattina e scopri che saranno a due passi da casa tua a firmare autografi, e allora ci vai, perché in fondo cosa ti costa? E da lì incontri gente che, incredibile, li adora quanto li adori tu, ragazze più giovani di te e donne di trent’anni, padri con le figlie e mamme che, arrossendo, ammettono di non essere solo in veste di scorta, ma anche un po’ di fan.

Per me è andata così, e, grazie a un pizzico di fortuna, ho spesso avuto modo di vederli live (FNAC, Kid’s Choice Awards, il concerto di Modena…) e ormai non è più un segreto per nessuno che i Tokio Hotel per me sono forse non tutto, ma tanto.

Sacri, come mai nessuno prima.

E se è la prima volta che ti capita di innamorarti letteralmente e con tanta patetica genuinità di quattro sconosciuti che non sei mai nemmeno riuscita a guardare negli occhi, un po’ di senti presa da questo uragano tutto nuovo che ti prende e ti porta in un’altra dimensione. Ma ti piace, perché la vita non è stata sempre generosa con te, ed avere loro che ti fanno sorridere significa tanto.

È forse un po’ folle conversare per ore con delle fotografie appese accanto al tuo letto, dare vita ad una sinfonia di sospiri inteneriti quando Bill gioca a fare la diva, che più che diva sembra un cucciolo d’uomo nato per essere coccolato, o perderti in riflessioni senza fine sul vero carattere di Tom e su quello che nasconde, e magari è anche patetico sapere che ti basta vedere gli occhi di Gustav, o l’accenno di un suo sorriso, per sentirti il cuore sciogliersi in una pozza d’amore, o, ancora, posare gli occhi su Georg e pensare “Se solo tu fossi un comune mortale…”.

Scriverei un libro, per loro, per raccontare a chi pensa di conoscerli perché ha visto mezzo minuto di loro in un video o in un servizio chi sono veramente i Tokio Hotel, e perché c’è così tanta mobilitazione attorno a loro. Qualcuno deve spiegare ai miscredenti qual è il vero sacro di questi ragazzi che dal nulla si sono guadagnati a pieni meriti il loro posto nel firmamento musicale, perché tanti hanno raggiunto le vette delle classifiche e vinto dei premi, ma quanti hanno cominciato alle tenera età di 12 anni, suonando per pura passione nei piccoli locali di paese, soltanto per poter dire “Ce la stiamo mettendo tutta”?

Meritano rispetto ed ammirazione, se non verso il loro stile, almeno verso l’impegno che mettono in quello che fanno, le attenzioni che hanno nei confronti dei fan, la sincerità con cui si commuovono davanti all’ennesimo gradino salito, ancora un po’ più in alto, forse anche troppo, per dei ragazzi così giovani, ma loro non si fanno intimorire, sorridono, magari un po’ impacciati, e ringraziano, perché alla gente come me devono tutto, e non hanno mai smesso di ricordarcelo.

Lontani ed inarrivabili nello spazio, è vero, ma quattro di noi, vicini e familiari nelle sensazioni che trasmettono, nel luccichio dei loro occhi quando salgono su un palco, acclamati da pubblici di decine di migliaia di persone, dal tremore delle loro voci quando stringono un premio e dicono grazie a chi ha reso tutto possibile, dai loro sorrisi radiosi e lusingati quando, tremante, riesci a sussurrare loro un pateticissimo “Vi amo” da dietro ad una transenna.

Forse se qualcuno si soffermasse ad osservarli con più attenzione, un po’ più in profondità, capirebbe quanto non siano affatto i divi che appaiono, ma quattro esseri (più o meno) umani, dei (quasi) comuni mortali come chiunque altro, con i loro pregi e i loro difetti, a volte seri e maturi, da veri professionisti, altre spontanei e quasi infantili, come se fossero ancora nel giardino di casa a sognare un’utopia che ormai utopia più non è.

Ho due sorelle più piccole, di 17 e 13 anni, pazze di loro quanto me, ed una madre quasi cinquantenne che non sa più come fare per mascherare il fatto che sia ormai stata palesemente contagiata dall’affetto verso questi quattro ragazzi che potrebbero essere i suoi figli, e mio padre… Be’, lui si è rassegnato ad avere quattro donne in casa che stravedono per un gruppo rock i cui componenti sono poco più che adolescenti.

Misteri che forse è concesso comprendere a qualche uomo, visto che ho avuto modo di conoscere un socio di mio padre che è un fan sfegatato dei Tokio Hotel e non appena ha scoperto che ero stata al loro concerto di Modena non ha esitato un istante ad intavolare con me una bella conversazione su quell’esperienza che, posso dirlo con una certa sicurezza, è stata una delle più emozionanti della mia vita.

Perché a 21 anni la vita non è proprio la meraviglia che si crede quando, in terza liceo, te ne stai china su un libro di Fisica a sognare l’indipendenza del futuro, e nemmeno l’oasi spensierata che si ricorda passati i 30. A 21 anni sei a cavallo tra i travagli e i divertimenti dell’adolescenza appena lasciata e le responsabilità e le prospettive di un’età adulta che ancora non riesci a sentire come tua, e ne hai anche un po’ il diritto. A 21 anni ti serve qualcosa di bello a cui aggrapparti in un brutto periodo per poter dire “Andiamo avanti, era solo un momento di debolezza”, e non un padre che ti dice “Non c’è posto per i sogni, nel mondo reale”. A 21 anni, i sogni sono tutto quello che hai, e se non hai nessuno che ti incoraggi, se nessuno ti dice che ci puoi credere, che li puoi realizzare, allora che in che futuro puoi credere? Che voglia ti resta di andare avanti?

Ma qualcuno che ti fa credere nei sogni forse c’è.

Non è forse la realizzazione di un sogno cominciare a suonare a 12 anni, quasi per scherzo, e poi ritrovarsi ad essere delle rockstar mondiali a 20? Non è una fantasia diventata realtà girare i cinque continenti, seguiti da scie di urla estasiate ed applausi scroscianti, accolti ovunque da gente che ama te e la tua musica più di ogni altra cosa?

Se so ancora sognare, è solo perché ho trovato qualcuno che mi dicesse che ne valeva la pena, ma di farlo sempre e comunque con i piedi ben piantati a terra.

Cinicamente, sarebbe stupido pensare che i Tokio Hotel siano una band al 100% genuina e nature, gli accorti sanno che ad alcune delle loro canzoni non hanno nemmeno messo mano, se non per suonarle e cantarle, ma la maggior parte dei testi e delle musiche viene da loro, l’amore e la passione che mettono in ciò che fanno è evidente, e solo se uno porta i paraocchi del pregiudizio non è in grado di capire chi sono veramente questi quattro ragazzi, spuntati quasi all’improvviso dall’oscuro paese di Magdeburgo per mettersi a fare le star in tv. Per quanto riguarda il look, che qualche azzardato osa definire “costruito”, non si può certo definire “comune”, ma i Tokio Hotel sono rimasti esattamente quelli che era all’alba dei tempi, all’epoca dei Devilish, con lo stesso stile e le stesse speranze. L’unica cosa che è cambiata è qualche zero sul conto in banca.

Ho una madre di 50 anni che all’inizio era scettica verso all’affetto che io e le mie due sorelle mostravamo verso di loro. Adesso, dopo un anno di ascolti di ogni loro CD e visioni di ogni loro DVD, a qualunque ora del giorno e della notte, anche lei è una loro fan sfegatata, tanto da aver espressamente richiesto un biglietto anche per lei al loro prossimo concerto.

Ed è proprio ai concerti che si vede il potere immenso dell’amore comune per la musica: a partire da bambine di 10 anni, fino ad arrivare a uomini e donne di mezza età, senza figli, che accorrono per sentire questo gruppo di giovani che sembra avere tanto da offrire, ma anche coppie di fidanzati, gruppi di ragazzi senza ragazze che si fanno strada tra le fan non senza un po’ di imbarazzo, ma esibendo con una certa fierezza le loro magliette firmate Tokio Hotel.

Quando si ha in comune una cosa così forte e radicata come l’amore per la stessa musica, il contatto con gli altri diventa subito più immediato: cammini per strada in centro a Milano, passi accanto ad una persona che non hai mai visto, vedi il simbolo dei Tokio Hotel sul suo polsino, lei vede la tua borsa che li raffigura tutti e quattro, vi guardate in faccia e, per nessuna ragione al mondo se non il fatto di aver trovato uno spirito affine, vi sorridete.

E c’è della magia negli incontri di massa in onore di un gruppo. Non solo dei Tokio Hotel.

Respiri l’eccitazione, l’entusiasmo, l’adrenalina, la voglia di urlare e dire al mondo che là fuori ti guarda che, sì, sei una studentessa universitaria che è venuta per dimostrare il proprio affetto a quattro persone che nemmeno sanno chi sei, e, sì, dovresti proprio essere a casa a studiare per l’esame di Filologia, ma loro sono lì, e tu non potevi mancare, era questione di vita o di morte. E come te, altre diverse migliaia di persone, tutte lì, insieme, per lo stesso, straordinario motivo.

Mi dispiace per chiunque non riuscirà mai a provare l’emozione del batticuore unisonante di una folla che quasi sembra un’unica creatura, immensa e viva, per qualcuno spaventosa e pericolosa, per te meravigliosa.

Mi sarei persa una sfaccettatura della vita stupenda, senza i Tokio Hotel. Grazie a loro ho fatto esperienze nuove, ho conosciuto persone bellissime che sono diventate tra i miei migliori amici, ho riscoperto la voglia di fare e di essere indipendente, ho trovato un coraggio tutto nuovo di guardare le cose.

Tenetevi pure i vostri paraocchi, voi che insistete a definirli una boyband costruita. Non sapete cosa vi perdete.

Tenetevi il pregiudizio e la comodità dell’ignoranza. Io mi tengo il mio affetto e i miei sogni.

Perché a 21 anni, quando sacro e profano spesso coincidono, l’estasi vera non la trovi in una pastiglia, o in un bicchiere di vodka, o in una trasgressione estrema.

Basta premere un tasto, chiudere gli occhi, alzare il volume…

 

Grida, finché sarai te stesso.
Grida, anche se è l'ultima cosa.
Grida, anche se fa male.
Grida più forte che puoi.

 

E forse lo sanno anche loro.

 

 

 

A/N: ho appena appreso di questa mia inattesissima vittoria. Sono ancora troppo scossa per lasciare delle note serie e coerenti. Voglio solo ringraziare questi quattro ragazzi che mi hanno dato tanto e anche tutte voi miei lettrici che da sempre contribuite ad accrescere la mia passione per la scrittura. La dedico a loro e a voi, con tutto il mio affetto.

P.S.: I link: La Compagnia del Libro e la classifica dei vincitori

   
 
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