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Autore: Deidara94    24/02/2015    0 recensioni
[Kizuna]"Ti proteggerò io, Kei." "Io sono qui. Sarò sempre al tuo fianco."
Quanto può essere forte un sentimento? Per quante difficoltà possa incontrare, se si ha la forza di stringere i denti e andare avanti, tutto è possibile. Anche morire e rinascere. E questo Ranmaru lo sa bene...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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« Attento! »
Una macchina arrivò a tutta velocità. Ranmaru si buttò in mezzo alla strada per salvare il suo compagno. Volò e finì sull’asfalto bagnato dalla pioggia, sbattendo violentemente la nuca.
« Ranmaruuuu! » Enjoji non riusciva a credere ai suoi occhi. Corse da Ranmaru e lo chiamò con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Ti proteggerò io, Kei.” “Io sono qui. Sarò sempre al tuo fianco.”
« Ranchan, apri gli occhi, ti prego! Ranchan! »
Vedendo il volto del ragazzo rigato dal sangue e il corpo in mezzo a una pozza rossa, le lacrime iniziarono a scorrergli sul viso, mischiandosi alle gocce d’acqua della pioggia. Lo abbracciò con forza, con la speranza che fosse un’illusione. Aveva appena perso la madre… perdere anche l’amore della sua vita gli avrebbe distrutto l’anima.
In preda alla disperazione, chiamò l’ambulanza. Arrivò dopo trenta minuti. Trenta minuti di panico, paura e tristezza. Minuti carichi di dolore e ansia.
L’ospedale, sebbene la corsa pazza sotto la pioggia e il cielo grigio, anch’egli carico di dolore, sembrava non arrivare mai. E poi… giunsero a destinazione dopo quella che era parsa un’eternità. I medici gli dissero di attendere fuori dalla sala operatoria. Seduto da solo su una panchina, le mani congiunte, la testa bassa, gli occhi chiusi. Continuava a ripetere il suo nome come se fosse una formula magica, come se questo potesse bastare a salvarlo.
Decise di telefonare a Yuki, la sorella minore di Ranmaru, per avvisarla dell’accaduto. Glielo doveva, in fondo.
Ci volle un po’ prima che riuscisse ad arrivare. Nel mentre, il tempo sembrava non passare mai. Ogni tanto dava un’occhiata all’orologio, ma la lancetta gli sembrava sempre ferma, immobile.
« Enjoji! »
« Yuki… » Lo sguardo di Enjoji era spento. Una ragazza con lunghi capelli castani e lo sguardo spaventato si presentò davanti a lui, allarmata per la notizia improvvisa e priva di spiegazioni.  « Enjoji, come sta mio fratello? Cos’è successo? »
« Yuki, io… »
Yuki si fece impaziente. Voleva sapere. Anzi…  doveva sapere.
« Mi dispiace! Ranmaru si è lanciato contro di me, mi ha salvato da una macchina che arrivava a tutta velocità e non ho potuto fare niente! » Incurante degli occhiali, si coprì il volto con le mani, disperato. « Come ho potuto permettere che accadesse?! »
Yuki sgranò gli occhi. Si portò le mani davanti al corpo e si morse distrattamente il labbro inferiore.
La luce in sala operatoria divenne verde. Un giovane medico uscì dalla porta e si rivolse ai ragazzi. Enjoji si alzò in piedi, di scatto.
« Abbiamo portato il signor Samejima nella sua stanza. È fuori pericolo, ma- »
« La prego, possiamo vederlo? » Yuki moriva dalla voglia di andare a trovare il fratello.
« È permesso di andare a trovare il paziente solo ai parenti stretti. »
« Ah… » Enjoji si sentì sprofondare sempre di più. Non poteva nemmeno stargli vicino?
« Io sono la sorella. »
« Allora prego. Salga le scale e vada sempre diritto. »
« Perdonami, Enjoji », disse Yuki, voltandosi un’ultima volta.
« Vai tranquilla… »
Si diresse verso le scale a passo svelto, come se fosse inseguita da qualcuno. Dopo qualche attimo, si sentì aprire e chiudere una porta. Poi il silenzio.
« E lei? » Il medico si rivolse a Enjoji, che guardava desideroso le scale.
« Io… »
« È un suo amico o l’ha solo soccorso? »
« … »
« Che succede? », insistette il medico.
« Ecco… » Enjoji non sapeva cosa dire. Era il caso di rivelare il posto che occupava all’interno della vita di Ranmaru a un estraneo? Non era una cosa semplice da fare…
« In ogni caso, se non è un parente stretto, dovrà attendere ancora. Mi dispiace. » Il medico sembrava piuttosto deciso a non lasciarlo passare.
« A-aspetti! Oltre alla sorella, non ha nessuno! Il nonno non può venire fin qui, e il padre è sempre in viaggio! La prego, me lo faccia incontrare! »
« Sarebbe una violazione alle regole. »
« Se ne freghi delle regole e pensi di più al paziente! » Stava iniziando a perdere la pazienza. Possibile che non volesse capire la gravità della cosa?
« Si può sapere chi è lei? »
Alla fine non riuscì più a mantenere la verità. Se rivelarglielo era l’unico modo per poterlo vedere, allora avrebbe fatto questo e altro. In fondo, cosa gliene importava? Faceva comunque parte della sua famiglia, anche se senza legami di sangue. Non sarebbero dovuti esserci problemi che tenessero… « Io sono… Io sono il suo… compagno… »
« Ah… In questo caso non… »
« Dottore! Mi dice che problema c’è se vado anch’io?! Conosco alla perfezione sia lui che sua sorella! Inoltre Ranmaru è in quello stato per causa mia! Non può allungare la mia attesa di vederlo! »
« Aah… » Sospirò. « E va bene, vada. Però questo è un caso eccezionale. »
La speranza si riaccese in Enjoji, che si fiondò subito su per le scale. Girò l’angolo e arrivò fino alla stanza di corsa, ma appena fu dinnanzi alla porta, si bloccò. Attese qualche attimo. Le sue orecchie captavano anche i rumori più impercettibili, le dita prudevano e gli occhi, anche se c’era buio, leggevano chiaramente la targhetta appesa fuori dalla porta, recitando “Ranmaru Samejima”. Si sentivano dei singhiozzi provenire dall’interno. Prese un bel respiro ed entrò. « Ran… »
Ranmaru aveva la testa e il busto fasciati, una maschera d’ossigeno che gli permetteva di respirare e una flebo. Yuki era inginocchiata davanti al letto, posizionato al fianco di una grande e luminosa finestra nonostante la pioggia incessante, con le lacrime che le rigavano il volto. Forse erano lacrime di gioia nel vedere il fratello vivo, o forse erano lacrime di tristezza nel vederlo in quello stato.
Imitando Yuki, Enjoji si avvicinò al letto. Poi gli prese la mano, sussurrando il suo nome.
“Io ti proteggerò!” Queste parole gli rimbombavano in testa. I suoi occhi si fecero più duri. Yuki lo osservava, cercando di trattenersi. Capiva il suo dolore, anche se non era al corrente della loro relazione. Il dottore entrò dalla porta lasciata socchiusa e le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Le fece un sorriso apparentemente rassicurante, ma che celava un’altra verità.
La mano che Enjoji stringeva si liberò e, piano, gli accarezzò la guancia: Ranmaru si era svegliato.
« Ranchan… »
« Fratellone! »
Ranmaru sorrise lievemente. Enjoji appoggiò la sua mano destra su quella del compagno che ancora gli sfiorava la guancia, e gliela baciò dolcemente, mentre Yuki era visibilmente sollevata e piangeva vere lacrime di gioia. « Grazie al cielo stai bene. »
« … » Ranmaru provò a parlare, ma la voce non usciva.
« Non sforzarti, Ran. Riposati. »
Il medico chiamò Yuki. « Signorina Samejima, posso parlarle? »
Yuki si voltò verso di lui. « Certo. »
Il dottore le fece cenno di seguirlo e uscirono dalla stanza. Arrivarono fino a metà andito e salirono al piano superiore. Entrarono in un ufficio: la stanza risplendeva di un bianco candido, con pochi quadri appesi al muro e una sola scrivania munita di computer e vari fogli sparsi. C’era anche un divano posto sotto la finestra che spiccava più degli altri oggetti per via della fodera rossa, e un appendiabiti a fianco a uno scaffale pieno di medicine. Yuki rimase in piedi vicino a una sedia situata davanti alla scrivania. Il medico si sedette dalla parte opposta.
« Di cosa mi deve parlare? »
« Si accomodi, prima. È una questione delicata. »
Yuki si sedette, rigida. L’aria si fece tesa. Faccia a faccia, rimasero in silenzio qualche istante.
« Suo fratello è fuori pericolo, certo, ma c’è un problema. » Yuki si mise sulla difensiva. « Il colpo violento alla nuca gli ha provocato una lesione al nervo che gli ha paralizzato tutta la parte destra del corpo e non è possibile operare con il bisturi. È difficile da accettare, lo so, mi creda, ma c’è appena il 30% di possibilità che riacquisti la mobilità. »
« Cos- » Yuki non riusciva a realizzare quello che il dottore le stava dicendo. Era troppo difficile, forse non stavano parlando la stessa lingua. Attese che continuasse a parlare, per confermare la sua tesi.
« Ho visto un articolo di giornale, tempo fa… Lui è Ranmaru Samejima, il campione di kendo delle superiori, vero? »
« Sì, è lui... »
« Mi dispiace, ma ormai… » Yuki iniziò ad agitarsi. Purtroppo capiva anche troppo bene le sue parole, e anticipò il seguito, traendo da sola le conclusioni.
« Non è possibile… Non ci credo… Non può finire così… »
« Comprendo bene cosa significhi rinunciare a qualcosa a cui si tiene molto, ma io posso fare solo una parte del lavoro. È lui che deve trovare la forza di non mollare. Si ricordi che lui non sa ancora niente. Come potrebbe reagire a questa notizia? Anche se non gliene parlassimo, presto o tardi lo scoprirà, e in quel momento sarà essenziale l’appoggio della famiglia. »
Yuki non riuscì a controbattere. I pensieri erano bloccati. Vide scorrere nella mente solo le immagini di suo fratello mentre lo guardava allenarsi nella palestra di casa con perseveranza fin da piccolo; quando fece amicizia con Enjoji grazie al kendo; quando, con un solo braccio, era riuscito a battere il ragazzo più forte del Kanto del terzo anno delle medie; quando vinse i campionati alle superiori. Scorrevano le immagini, e sul volto del ragazzo si leggevano solo felicità e orgoglio. I suoi occhi castani brillavano. Poi… l’immagine di lui nel letto d’ospedale, immobile, praticamente senza speranza. « …Grazie, dottore. Mi scusi. » Si alzò nel modo più calmo possibile, uscì dalla stanza e chiuse la porta. Appoggiò le spalle al muro e pianse lacrime di dolore, in silenzio, nel buio dell’andito.
 
Passò una settimana da quando Ranmaru fu portato in ospedale, ma Enjoji, dopo quel giorno, non andò mai a trovarlo. Con lui c’era solo Yuki.
« Enjoji non è più venuto? » La ragazza era seduta a fianco al letto. Intanto, Ranmaru guardava fuori dalla finestra, lo sguardo perso nel vuoto. Il cielo era ancora leggermente velato, e un sole timido ogni tanto cercava di uscire allo scoperto e di mostrarsi al mondo. « Posso capire come si deve sentire. Se si dimenticasse di me, sarebbe molto meglio. »
« Non dire così… Ogni giorno ti arrivano dei fiori, no? L’infermiera ha detto che a mandarteli è un ragazzo alto, con i capelli scuri e gli occhiali. »
Ranmaru non rispose. Si limitò a guardare la città dall’alto, seduto nel letto d’ospedale con svariati cuscini dietro la schiena.
Dopo qualche minuto, Yuki lasciò la stanza per andare a fare due passi. Attraversò l’andito del primo piano, scese le scale, e, una volta arrivata nell’andito principale al pianoterra, vide Enjoji che consegnava il solito mazzo di fiori giornaliero all’infermiera per portarli a Ranmaru.
« Enjoji! »
Il ragazzo, sentendosi chiamare, si voltò d’istinto. « … Yuki… »
Yuki ritenne che per poter parlare liberamente fosse necessario cambiare luogo, così si recarono entrambi sul terrazzo dell’ospedale. Era importante, e non poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione.
« Di cosa mi dovevi parlare? »
La brezza muoveva i capelli dei ragazzi, con grazia. Il mondo non percepiva i loro problemi, e continuava il suo corso, indifferente.
Yuki andò dritta al sodo, decisa, senza inutili giri di parole. « Mio fratello non vuole più mangiare. Se è ancora in vita è solo grazie alla flebo, e nemmeno la febbre riesce a scendere. Ormai sembra senza vita, da quando ha scoperto che non potrà più muoversi come prima… »
« Che cosa?! » Enjoji sudò freddo. Nessuno si era disturbato di comunicargli una notizia così importante. Che se ne fossero dimenticati? Oppure era perché Enjoji, spinto dai sensi di colpa, aveva cercato di evitare lo sguardo di Ranmaru e, di conseguenza, non aveva potuto condividere gli aggiornamenti sul suo stato?  
« Il suo corpo è semi paralizzato, dovrà rinunciare a tutti i suoi sogni! Mi dispiace chiederti una cosa del genere, ma ormai solo tu puoi fare qualcosa. Ti prego, devi parlargli! Le sue energie vitali, di questo passo, lo abbandoneranno… » Yuki si mise le mani sul viso. Le lacrime scendevano copiose. Era chiaramente distrutta, e non riusciva a darsi pace. Lei come Enjoji.
« Stai tranquilla, Yuki, non piangere. Andrò a parlargli, si risolverà tutto. » Yuki si avvicinò a Enjoji e appoggiò la testa sul suo petto, cercando di trovare conforto. « … Grazie. »
« Ranmaru è il mio migliore amico, lo sai. Farò l’impossibile per fargli riprendere la speranza. » Avvolse, con le sue braccia, il piccolo corpo di Yuki, che ormai aveva giocato la sua ultima carta. « Sappiamo entrambi che non è il tipo di persona che si arrende senza lottare. »
 
Era passato un po’ di tempo da quando Yuki era andata via e aveva parlato con Enjoji. La porta della stanza di Ranmaru si aprì. « Yu- » Il ragazzo si bloccò alla vista di Enjoji.
« Devo parlarti di una cosa. Posso? »
Ranmaru si voltò verso la finestra. « Ti ho già detto che non hai motivo di sentirti responsabile per l’incidente. Non c’entri niente con tutto ciò. »
« L’ho saputo… Ma non devi perdere la speranza. Appena guarirai, torneremo a casa insieme, come abbiamo sempre fatto. »
Nessuna risposta. Aveva usato la parola “guarire”, l’unica cosa certa che non sarebbe mai potuta succedere. Stava forse cercando di prenderlo in giro, alimentando in lui false e inutili speranze?
« Ho bisogno di te, Ran. »
« Cos- … Non prendermi in giro, Enjoji! Come puoi dire di aver ancora bisogno di me adesso che sai anche tu la verità? Come puoi voler ancora vivere insieme a me pur sapendo che non potrò più muovermi da solo?! È inutile pensare in positivo vivendo di stupide illusioni! »
« Mi prenderò cura io di te. Ora è venuto il mio turno di proteggerti. »
Ranmaru era deciso, non voleva essere consolato. Non voleva essere un peso. Voleva solo essere lasciato in pace, in balia del destino che lo attendeva, privo di felicità e di tutti i suoi sogni. « No, grazie! Non voglio rovinare anche la tua vita e il tuo futuro! Anche tu hai i tuoi sogni! »
« Il mio sogno è quello di poter restare al fianco della persona che amo per il resto della mia vita. Non mi importa se non sei più capace di muoverti come prima. Tutto ciò che voglio sei tu, il tuo sorriso, i tuoi sguardi, la tua voce. »
Ranmaru era confuso, e Enjoji non sembrava in vena di scherzi. Non sapeva né cosa dire né cosa pensare. Era solo sul punto di piangere, uno dei pochi modi rimastogli per sfogarsi, ma si trattenne. Cercò di nascondere il volto coprendolo col braccio, nella speranza che Enjoji non riuscisse più a vederlo. Poi, disse l’unica cosa che non aveva intenzione di dire ma che venne presa alla lettera. « … Vattene… »
« … Tornerò ancora a farti visita. » Enjoji si alzò e fece per aprire la porta, quando Ranmaru lo chiamò, chiaramente pentito e desideroso di mettere alla prova le sue parole. « Enjoji… »
Si era alzato. Rimase in piedi grazie all’appoggio del letto, su cui si tenne con tutte le forze. La sua posizione tendeva a essere curva e instabile. Con voce tremante, rivelò tutti i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, sfogandosi incurante contro Enjoji. « Osserva bene… Non riesco a muovere né il mio braccio né la mia gamba destri. Non posso camminare, non posso essere indipendente! » Prese un grande respiro e si fece coraggio. « È questo l’uomo di cui vuoi prenderti cura e con cui vuoi passare la vita?! Se ne sei veramente sicuro, se questo è quello che vuoi davvero, ripeti tutto quanto, qui, adesso! »
« ! » Ranmaru perse momentaneamente le forze, rischiando di cadere, ma Enjoji corse verso di lui e lo prese appena in tempo.
Ranmaru si aggrappò a lui e continuò a parlagli con tutta la calma possibile, sperando che Enjoji lo interrompesse e gli dicesse che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi di niente. Alla fine, ciò che desiderava erano davvero le false speranze?
« Non avrei mai voluto farti vedere le condizioni in cui mi trovo… Perché sei venuto, Kei? » Enjoji lo prese in braccio. « Hai perso peso, Ran. » Lo fece sedere sul bordo del letto, e appoggiò la sua mano sul ginocchio paralizzato. « Tu sei sempre tu, Ranmaru, a prescindere da cosa ti sia successo. Sei la stessa persona di cui mi sono innamorato. Non mi rimangio ciò che ho detto solo perché ora sei in difficoltà. Hai capito? » Sorrideva dolcemente, riscaldandolo nonostante il freddo che penetrava da fuori. Il modo in cui Enjoji pronunciò quelle parole diede una scossa al cuore di Ranmaru. Egli si portò una mano alla bocca, come conseguenza alle lacrime che stavano scendendo.
“Sei la stessa persona di cui mi sono innamorato.”
« Sei uno stupido… »
Enjoji gli sorrise nuovamente. « Ran, te lo ripeto: niente è perduto. Devi solo crederci. » Mentre glielo diceva, gli accarezzò i capelli. Le lacrime non accennavano a fermarsi. Anzi, più si comportava dolcemente, più aumentavano. Era emotivamente insicuro, ma quella visita gli regalò un sincero barlume di speranza. « Guarisci presto, va bene? »
 
Da quel giorno furono passate quasi tre settimane da quando Ranmaru era stato ricoverato, ma tra l’Università e il lavoro, Enjoji non aveva avuto molto tempo di andarlo a trovare.
“Va bene così, però”, pensò Ranmaru. “Grazie a lui, ho trovato la forza per fare la terapia di riabilitazione. Vorrei rivederlo dopo che sarò riuscito a reggermi in piedi con le mie gambe. Voglio stare con lui. Niente me lo impedirà.”
« Signor Samejima, per oggi è meglio smettere. »
« No, non va… ancora bene. Mi scusi, ma… vorrei continuare ancora un po’… da solo. » Un’infermiera stava assistendo Ranmaru nella sala apposita alla riabilitazione. Egli era passato alla fase successiva della terapia e, grazie a due sbarre posizionate perpendicolarmente e fermate in modo sicuro al pavimento, doveva riuscire a percorrere tutta la strada tenendosi ad esse. Stava provando e riprovando da ore, fino a quando si fece notte e lui rimase da solo.
Il tempo per le visite era finito, ma Enjoji, entrando di nascosto, riuscì ad arrivare al primo piano dell’edificio alla ricerca della camera di Ranmaru. Camminando per gli anditi bui e vuoti, vide della luce uscire dalla sala di riabilitazione e, incuriosito, andò a vedere.
Un Ranmaru stanco e affaticato, che stava facendo pratica cercando di camminare lungo un percorso, gli si presentò davanti agli occhi.
SBAM!
La cartella di scuola gli cadde dalla mano per la sorpresa. Non avrebbe mai immaginato un simile scenario. Ranmaru si girò velocemente verso di lui. « Ranmaru, cosa stai…? »
« Enjoji… Cosa ci fai qui a quest’ora? »
« Come sarebbe? Sono venuto a trovarti. Ma tu- »
Ranmaru lo interruppe. « Vienimi di fronte. » Era stanco, ma ancora deciso a farcela.
« Eh? » Enjoji non capiva cosa avesse in mente.
« Dai, muoviti! Voglio raggiungerti. » Nel suo sguardo c’era la sicurezza che Enjoji aveva sempre conosciuto e che aveva sempre amato.
Iniziò a fare qualche passo verso di lui, ma la stanchezza non gli permetteva di dare il meglio di sé. Enjoji era preoccupato ma decise di fidarsi, così iniziò ad incoraggiarlo.
Dopo una decina di passi, alcuni incerti, altri decisi, Ranmaru ce la fece. Il corpo gli faceva male, sì, ma ce la fece. Arrivò tra le braccia di Enjoji, che lo accolsero con gioia. Scivolarono piano e si sedettero sul pavimento. Ranmaru stava ancora fra le braccia del suo amato, stanco ma felice. Sembrava un’eternità che non provava quella sensazione. « Vedrai… vedrai che ci riuscirò! Il traguardo è vicino. Potrai aspettare? »
Enjoji era felicissimo, e lo abbracciò con forza. Ancora non gli sembrava vero. « Non devi neanche chiederlo! »
   
 
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