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Autore: millons    24/02/2015    0 recensioni
Con gli occhi annegati dalle lacrime entro finalmente nella stazione di Milano Centrale. Il mio passo è incerto ma veloce, il mio cuore pesante e avvelenato.
“Il treno Frecciarossa 11986 per Parigi è in partenza dal binario 2, i signori passeggeri sono pregati di affrettarsi” merda, è il mio.
Inizio a correre per il dispersivo edificio, sono accaldata e affannata, i capelli mi infastidiscono la vista arrivandomi scompigliati sugli occhi e la valigia è talmente pesante che sembra piantata al terreno.
Non ce la posso fare, sono un disastro.
***
E' una storia scritta col cuore, per delle figure ancora molto presenti nella mia vita, nonostante abbia già 20anni e li conosca da molto tempo.
E' una storia d'amore, ma anche una storia di esperienze, di dolore, di incertezze e di paure.
Ho sempre scritto su di loro, ma solo oggi sono arrivata a raccogliere un po' di coraggio e pubblicare qualcosa, spero vi piaccia. Quello che scrivo alla fine sono io, sono io con le mie angosce, le mie gioie, i miei squilibri e la mia passione per i Tokio Hotel.
Camilla
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi ricordo perfettamente la prima volta che lo vidi.
La prima volta in cui i nostri sguardi si incrociarono in una danza eclissata nel tempo e nello spazio.
Era un’afosa sera di luglio, una di quelle in cui i vestiti ti si incollano al corpo non permettendoti libertà di movimento. La mia amica Elena aveva organizzato una piacevole cena nel giardino di casa sua per festeggiare la fine degli esami di maturità e il nostro meritato riposo. Era la prima sera da maggio in cui mi concedevo un po’ di spensieratezza, lo studio e i problemi con Riccardo (il mio fidanzato, anzi, ormai ex) mi avevano prosciugato qualsiasi residuo di tempo che avevo a disposizione. Ero contenta di uscire finalmente.
La casa della mia amica era situata in collina, incastonata tra i verdeggianti colli bolognesi emiliani. Era un’imponente villa ottocentesca dal giardino sconfinato e curato nei minimi dettagli; superato il grande cancello di ferro, successivamente si apriva un lungo viale di cipressi che parevano quasi soldati sull’attenti dalla rigidità e imponenza che trasmettevano. Oltrepassata la strada alberata infine si ergeva maestosa la casa, con un romantico porticato all’ingresso e una terrazza al piano superiore che si affacciava sul giardino, da cui sentivo provenire musica e le risate dei miei amici. Al pensiero che di li a poco mi sarei trovata attorniata da tutte le persone a me più care, col solo intento di divertirci, mi fece nascere un sorriso spontaneo sulle labbra. Ovviamente ero l’ultima ad arrivare, il mio ritardo che mi contraddistingueva in ogni situazione, dalla più banale alla più importante, mi aveva costretta a cambiarmi in fretta e furia e precipitarmi al luogo della cena senza neanche aver salutato mio padre prima di uscire.
Salii la lunga scalinata di pietra che costeggiava il profilo destro della villa e, una volta scostata  la pesante tenda scarlatta che divideva le scale dalla terrazza, finalmente arrivai. Davanti a me un’esplosione di colori, suoni e odori; le tinte degli abiti delle mie amiche, le mie compagne di avventura, si accendevano al mio sguardo, la musica in sottofondo creava un’atmosfera piacevole e quasi surreale e l’odore dell’incenso che Elena amava spargere in ogni angolo della casa rendeva quel posto magico.
“Camille! Finalmente sei arrivata, ti pensavamo dispersa per i colli bolognesi” mi venne incontro radiosa e sorridente la padrona di casa. Sorrisi con allegria alle sue parole e allungai le mie braccia per ricambiare il tenero abbraccio.
Elena era la mia migliore amica, la persona più forte e stabile che io abbia mai conosciuto. Cresciute insieme dai tempi delle elementari era per me come una sorella, quella che non ho mai avuto. Riuscivamo a capirci con solo uno sguardo e il nostro rapporto è stato sempre oggetto di invidie per quanto la nostra complicità andasse oltre ogni limite. Era la mia roccia.
“Vieni” mi prese per un braccio “stavamo aspettando tutti te, ho una fame che non resisto!”. Seguii Elena per il grande terrazzo di pietra fino a giungere all’estremo opposto, in cui vi era imbandito un ricco buffet illuminato dalla fioca luce delle fiaccole poste a semicerchio intorno al tavolo. Uno alla volta salutai raggiante tutti i miei amici, scherzando e ridendo spensieratamente con loro. La serata poteva avere inizio.
Dopo circa una mezz’ora l’imbarazzo dei convenevoli svanì del tutto e l’atmosfera si fece leggera e chiassosa; c’è chi parlava della scelta della futura università, chi da nostalgico rimembrava gli avvenimenti accaduti durante gli anni di liceo, chi come al solito prendeva in giro il proprio “compagno di banco” e chi ormai era abituato ad essere canzonato. Si era creato insomma il solito clima di festa incentivato ancora di più dai festeggiamenti per la fine degli esami.
“Allora, come sta andando con Riccardo?” mi domandò interessata la mia amica Sara lisciandosi la sua coda di cavallo ramata che le ricadeva tra le scapole.
“Non ne parliamo Sari” risposi corrucciata sfregando la mia unghia laccata sulla fodera del cuscino che avevo in grembo “ho fatto tardi perché mi si è presentato sotto casa con un mazzo di fiori implorando il mio perdono”
“E tu??” domandò incuriosita la rossa incrociando le braccia al petto con fare serioso
“E io cosa? Non l’ho neanche considerato e sono corsa qui perché ero già in ritardo” dissi seccamente
“Sei troppo severa con lui Camille, guarda quanto si sta sforzando di riconquistarti”
“Che si sforzi! Io con lui ho chiuso” troncai così il discorso. Parlare di Riccardo mi metteva di malumore, era una ferita ancora troppo fresca per poter già andare a stuzzicarla senza non sentire dolore.
“Bah, sarà..” continuò sconsolata Sara alzandosi dal divanetto su cui eravamo sedute “eravate una così bella coppia”. Ma io ormai non la stavo più ascoltando; alzandomi a mia volta intravidi all’estremità opposta della terrazza l’esile figura di un ragazzo, alto e dalle gambe estremamente magre. Era vestito esclusivamente di nero, dalla punta delle scarpe alla particolare giacca di pelle costellata di borchie. Stava ridendo piacevolmente con Francesco, l’artista e musicista della nostra classe; vedevo le sue espressioni cambiare repentinamente, le sue labbra carnose socchiudersi ogniqualvolta  si trovava in disaccordo e i suoi occhi concentrati sul suo interlocutore, quasi se lo volesse mangiare. Fui ammaliata dalle sue mani, da quelle fragili e gracili dita laccate anch’esse unicamente di nero; avrei venduto la mia anima pur di poterle toccare ed essere toccata anche una sola volta da quei rami di seta. La sua risata mi arrivò all’orecchio e non potei fare a meno di sorridere anche io; un’ondata di calore, di un qualcosa di quasi palpabile mi attraversò la spina dorsale, al suono di quel riso.
Improvvisamente il suo sguardo cambiò casualmente direzione e mi ritrovai i suoi occhi piantati nei miei. In lontananza non riuscivo a scorgerli bene, ma avrei detto che fossero quasi truccati.  Il mio cuore credo perse un battito e le mie mani iniziarono a tremare convulsamente. Notai che la sua espressione cambiò, si fece serio anche lui e improvvisamente perse il filo del discorso che stava intrattenendo con Francesco, tant’è che dovette scuotere la testa e ricomporsi per riprendere a disquisire ritornando a guardare un po’ disorientato  il ragazzo.
Ancora, oserei dire, turbata dalla vicenda appena accaduta, decisi di aver bisogno di un buon bicchiere di vino ghiacciato, in modo da schiarirmi così le idee e ricompormi da quell’incomprensibile contatto. Attraversai così longitudinalmente il grande spiazzo sentendomi però assiduamente lo sguardo di quell’eccentrico ragazzo bruciarmi la schiena; per un po’ cercai di non farci molto caso, cercando di intrattenere conversazioni frivole e spensierate con i miei amici, ma più la serata proseguiva, più i bicchieri di vino aumentavano e più la presenza di quel ragazzo mi rendeva irrequieta e soprattutto molto curiosa.
Cedetti al desiderio di conoscere la sua identità e raggiunsi così Elena, che nel suo vestito blu pervinca lungo fino ai piedi, stava ballando aggraziatamente con altre due nostre amiche. Le piantai le unghie nell’avambraccio e con lo stupido pretesto di dover andare in bagno la trascinai all’interno della villa, per poterle parlare in tranquillità.
“Hei, non tirare così forte, mi stai facendo male e mi casca lo chignon!” mi ammonì ri-arricciandosi un boccolo ormai sgonfio per l’umidità.
“Scusa, non volevo” le rispondo “è che ho bisogno di chiederti subito una cosa”
“Dimmi! Che c’è: devo andare a dirne quattro a quel cretino di Riccardo? Lo sai che non mi è mai piaciuto, lasciatelo dire ma sono proprio contenta che vi siate lasciati!”
“Ma no cretina, smettila” la interruppi divertita “non riguarda Riccardo, per fortuna”
“E allora chi?” mi chiese ormai appassionata alla mia richiesta
“Ecco..” temporeggiai lisciandomi le balze color smeraldo del mio vestito “come si chiama il ragazzo che è da tutta sera appiccicato a Francesco? Non so perché te lo sto chiedendo però..”
Non riuscii neanche a finire la frase che Elena, che aveva già capito tutto, era già corsa fuori ad una velocità esorbitante, e io dietro di lei, con il mio polso stretto fra le sue dita sicure e abbronzate.
“Elli!” a volte usavo questo soprannome per chiamarla “Elli basta ti prego così mi fai fare una figuraccia! Rallenta!” cercai di implorarla, ma senza alcun risultato. La mora si girò velocemente verso di me e mi fece l’occhiolino: “Tu lascia fare me” disse maliziosamente.
Dopo pochi passi avevamo ormai raggiunto il gruppo in cui sia  Francesco che quell’enigmatico ragazzo stavano parlando animatamente.
“Heii ragazzi, come sta procedendo la festa?” subentrò nei discorsi la mia amica, senza preoccuparsi di aver interrotto o meno il discorso (alla fine, era la padrona di casa)
Mi ritrovai davanti a me, posizionati a  semicerchio, 4 ragazzi, 3 dei quali conoscevo già, e proprio di fronte a me, quasi a farlo apposta, c’era Lui, che con fare rilassato e sguardo magnetico non smetteva di sorridermi, facendomi annebbiare la vista per l’agitazione.
“Oh comunque che sbadata!” continuò Elli “ma voi due non vi ha presentato ancora nessuno?” si rivolse a me la mora, la quale sapeva benissimo come muoversi in queste situazioni. Alla sua sollecitazione mi imbarazzai ancora di più e sentii le guance andarmi in fiamme; abbozzai un timido sorriso e scossi impercettibilmente la testa in segno di negazione, sentivo i lunghi pendenti di perla solleticarmi le spalle nude.
“Bene. Allora vi presento io! Camille – Bill, Bill – Camille” esclamò soddisfatta.
“Anche se probabilmente lui lo conoscerai già” subentrò Francesco, un ragazzo dai lineamenti duri e squadrati, agli antipodi con la sua fervida immaginazione ed ecletticità che l’hanno sempre caratterizzato. “Lui è Bill, il famoso Bill Kaulitz cantante dei Tokio Hotel” soppesò queste ultime parole cercando nella mia espressione la conferma di aver capito, invano. “Un gruppo tedesco emergente ma che ha già conseguito una miriade di fan impazzite e innamorate perse!” incentivò il ragazzo sperando in una mia reazione, che però non arrivò.
“Meglio che non ci conosca Francesco” intervenne allora il cosiddetto cantante, facendomi arrossire, “non ti perdi nulla” e con quest’ultima frase rivolse le sue iridi color nocciola, attorniate da un leggero alone scuro che le risaltava in maniera elettrizzante (avevo visto giusto, era truccato), verso di me, facendomi attorcigliare la bocca dello stomaco.
“Bill e basta è più che sufficiente” disse sorridendomi lievemente e allungando la sua mano nella mia direzione
“Camille” risposi con un filo di voce e allungando la mia mano verso la sua.
A quel contatto sentii ogni atomo del mio corpo muoversi, plasmarsi e ricomporsi. Una scarica elettrica mi aveva attraversato da parte a parte, mi era entrata nel midollo e nelle zone più recondite della mia anima. Con quella stretta, non troppo rigida, ma neanche troppo debole, avvertii che qualcosa di indescrivibile, che il linguaggio non può esprimere appieno, stava per accadere.
Era il 12 luglio 2011, e da quella sera la mia vita sarebbe cambiata radicalmente.
***
Interrompo il mio racconto a Silvia perché ho estremamente bisogno di una pausa e di una sigaretta, per fortuna siamo nel vagone per fumatori.
La ragazza bionda mi guarda con occhi sognanti e avidi di sapere ancora di più: “No, cioè, spiegami: tu hai avuto una storia con Bill Kaulitz?! Quel Bill Kaulitz cantante di una delle band più famose e seguite al mondo?” esclama quasi urlando con voce stridula. Rido alla sua espressione sorpresa e incredula e accenno un sì con la testa.
“Non è come credi tu però” le dico “non pensare ad una storia stile grandi classici, tutto rose e fiori e un lieto fine”;
il suo sguardo mi implora di continuare: “E’ stata una storia di amore e di odio, di struggimento, di distruzione, di passione e strazio. E’ stato un qualcosa al di fuori della portata di chiunque, che ci ha annientato e lasciato esanimi. Ma ci ha anche fatto vedere le cose sotto una nuova luce.. grazie a lui io sono cresciuta e ho imparato ad amare e ad amarmi. E’ stato viscerale, ma è finito” abbasso lo sguardo nella mia borsa, col pretesto di cercare il pacchetto di sigarette.
“E’ finito perché era troppo grande” continuo mettendomi una Marlboro tra le labbra, “ma ti racconterò il seguito tra un po’, adesso riposiamoci” e detto ciò porgo una sigaretta a Silvia, che l’accetta volentieri e insieme lasciamo che i campi di lavanda della Provenza francese ci  accarezzino velocemente le iridi dal finestrino, offuscate dal fumo e dalla nicotina.
***
   
 
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