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Autore: asia_mia    25/02/2015    1 recensioni
«Io non voglio una relazione con lui…»
Alza lo sguardo e lo posa ancora su di me, stavolta è fragile, incerta, si morde il labbro inferiore e trattiene il respiro, non lo aggiunge eppure glielo leggo in faccia che ciò che pensa è ‘…voglio una relazione con te’.
«Elena..»
Scuoto la testa e mi allontano di un altro passo, lascio che un Oceano inondi lo spazio tra di noi, lascio andare zattere nel blu più profondo, senza provare minimamente a lanciargli un’àncora con cui restare aggrappate alla terra ferma.
Mi allontano e non ci sono già più.
Lei però è ancora lì, dall’altra parte della riva.
«Non dire niente per favore. Ho capito, tu non sei in grado e anche se lo volessi, questo non cambierebbe le cose.»
«Vedo che siamo d’accordo.»
«C’è solo una cosa che ti sfugge.»
«Quale?»
Fa un passo avanti, si butta in mare aperto e io resto a guardarla dalla mia sponda, sicura e conosciuta.
«Io non sono una bambolina nelle vostre mani. Non potete decidere al posto mio. Tu non puoi controllare me, cosa faccio o con chi voglio stare.»
«Ma posso controllare me, ed è quello che ho intenzione di fare.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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‘Quando non sei abituato a chiedere a nessuno di restare nella tua vita
 non è detto che tu non abbia una disperata voglia che qualcuno ci resti.
È che forse hai imparato a tue spese che non serve chiedere di rimanere.
Chi vuole restare
 c’è già ancor prima che tu lo trovi e resta senza che glielo chiedi.’
 
Massimo Bisotti
 
 
 
 
 
Elena

Lascio che le mie dita scorrano sulla tastiera del portatile, in bilico sulle mie gambe incrociate, cercando di ignorare, almeno per questa volta, la mia schiena seminuda poggiata sul petto di Damon e le sue braccia che mi circondano, continuando ad accarezzare la pelle delle mie braccia, su e giù, senza darmi tregua.
Sono due ore, due lunghissime ore, che siamo su questo letto, sul suo letto, a cercare di definire gli ultimi dettagli per un viaggio che alla fine abbiamo deciso di fare insieme.
Un viaggio che era il suo sogno, una meta che desiderava da una vita e che a me affascinava molto ma, in questo momento, dopo aver visto gli appena 15° a cui andrò incontro, rispetto ai caldi e piacevoli 28° di questa città, non mi sovviene più alcun motivo valido per concludere questo benedetto check-in on line che stiamo, anzi sto, cercando di effettuare senza ancora nessunissimo successo.
Tra meno di ventiquattro ore saremo a Copenaghen, prenderemo una macchina e inizieremo a salire, verso nord, attraverseremo i fiordi norvegesi fino al sole di mezzanotte, che faremo appena in tempo a vedere in questo periodo di inizio agosto, fuggiremo dalle spiagge affollate di Los Angeles per approdare nelle verdi e isolate vallate scozzesi. Ammireremo quel cielo d’Irlanda che sembra essere così lontano e diverso dal nostro, guideremo dall’altro lato della strada sperando di non ammazzarci, dormiremo in hotel preventivamente prenotati da me e ostelli di fortuna voluti da lui. Toccheremo appena le nevi finlandesi e respireremo un’aria di Natale che, fosse per me, respirerei per tutto l’anno poi, da Helsinki, torneremo a casa.
Un viaggio di dodici giorni, tre in meno di quanti Damon ora può permettersi di prendersene di ferie, sfruttando il vantaggio di essere dipendente di un’agenzia che è passata nelle mani di Andie, ma che ci rimarrà ancora per poco, conoscendo lui.
Un viaggio per me anche di lavoro, da quando il direttore del giornale on line con cui lavoravo ha deciso di mettere fine, con esito positivo, al mio periodo di prova e commissionarmi lavori per me più stimolanti, invece del solito ‘cosa andrà di moda il prossimo autunno – inverno’, garantendomi anche maggiore autonomia.
Ho azzardato la richiesta e lui l’ha accettata, di poter produrre un resoconto di viaggio, su tutti gli aspetti positivi e negativi di un turista alla scoperta di in un paese così distante dal nostro, nella cultura, nell’arte, nel clima e nelle risorse ambientali.
Quindi in realtà, metà del mio viaggio è pagato dal giornale per cui lavoro, anche per questo ce lo possiamo permettere altrimenti, con Damon che sta appena uscendo dal suo momento di crisi e io che non ho mai navigato nell’oro, un viaggio del genere sarebbe rimasto unicamente nei nostri sogni.
Ho la speranza in questo modo di riuscire ad aprirmi qualche strada in più, iniziare magari a viaggiare, preferibilmente in qualche posto un po’ più caldo e scrivere maggiormente di arte e cultura.
Lo spero.
Ho sempre studiato e lavorato per questo.
Intanto, i miei desideri, stavolta più carnali, mi porterebbero a voltarmi e fare per l’ennesima volta l’amore con l’uomo che mi tiene tra le braccia, intento a provocarmi, sfiorarmi, abbassarmi la bretella della canottiera, togliermi dalle mani il portatile e baciarmi, baciarmi dappertutto. Come se non fosse mai sazio di me, come fossi io la sua riserva di ossigeno.
Eppure, cerco di resistere, con una fatica disumana, ai brividi sulla pelle che le sue mani mi accendono mentre mi sfiora i capelli, spostandoli sulla spalla destra e liberando porzioni di pelle e di collo che subito vengono prese d’assalto dalla sua bocca, dalla sua lingua, dai suoi denti, che finiscono per lasciare piccoli segni sulle mie clavicole.
Come a segnare il territorio, un limite per il resto del mondo, un confine che nessuno potrà più permettersi di oltrepassare.
Sono sua, me l’ha fatto capire in ogni modo possibile ed immaginabile.
Sono totalmente, definitivamente sua. Ogni centimetro della mia pelle, del mio cuore, della mia mente è suo. Ho abdicato senza alcuna resistenza e senza alcun dubbio.
Damon è ancora il Damon di quattro mesi fa, quello istintivo, quello da moto e zaino in spalla, quello che si è presentato a casa mia con la coda tra le gambe e si è fatto riprendere con tutta la verità di cui è stato capace. E’ ancora quello che mi fa impazzire di rabbia a volte, ma ora modula i suoi istinti sulla soglia del mio dolore, non mi lascia andare mai, neanche quando so che vorrebbe mandare tutto all’aria e andarsene.
Ha imparato a restare senza che io glielo chieda, ad accorciare i tempi.
L’ultima volta che abbiamo litigato è uscito sbattendo la porta di casa mia e io, non ho fatto neanche in tempo a lanciargli addosso la bottiglietta d’acqua che avevo in mano, perché lui ha suonato il campanello implorandomi di aprirgli. Io l’ho fatto e me lo sono ritrovato davanti con la testa poggiata allo stipite e la mano ancora sul pulsante, gli occhi bassi di chi sceglie di mettere da parte l’orgoglio ma non riesce a dirtelo. E’ sgusciato dentro non riuscendo quasi neanche a guardarmi negli occhi e, se non fossi stata tanto vicina a lui, non sarei neanche riuscita a sentirlo quel mi dispiace che è uscito appena dalle sue labbra, né sarei stata in grado di ripredermelo con tutta la rabbia che avevo ancora in corpo e farci l’amore per tutta la notte.
Forse anch’io sono cambiata, sono cresciuta, andandomi a modellare attorno ai suoi bisogni, prevedendoli e stabilendo anche i miei.
L’ho sempre capito, c’era una parte di me che sapeva perfettamente quali fossero le sue difficoltà, cosa provasse e sentisse, capivo perfino se stesse bene o male, se fosse vicino o lontano da me, lo sentivo dentro.
Sentivo perfino le sue intenzioni.
Capivo che voleva prendermi per mano quando uscivamo le prime settimane dopo quella sera, lo capivo perché iniziava a gesticolare con le mani e poi se le metteva in tasca insicuro, allora lasciavo andare la cinghia della borsa a cui ero aggrappata e scivolavo piano nella sua tasca, a sfiorare le sue dita incastrandole con le mie. Lui si irrigidiva disorientato per una frazione di secondo, e poi sorrideva, senza farsi vedere da me, senza alzare lo sguardo da terra, continuando a camminare con quella solita aria da spavaldo, sporcata da un sorriso piccolo, storto, pieno di me.
Sentivo tutto, fin dal principio, solamente, non sapevo come gestire me, dove trovarlo in me il coraggio per compensare lui.
Abbiamo sempre avuto le stesse paure, gli stessi bisogni, le stesse incertezze, tuttavia adesso, la certezza che ho di lui rende, paradossalmente, più forte me e più vulnerabile lui.
Non ho più paura di amare uno come Damon, non indietreggerò più dalla consapevolezza che ho di lui, da quel futuro che vedo solo quando sto con lui, perché adesso è solo.. Damon.
Il mio Damon.
Quello per cui ho lottato e che ha scelto me. Tra mille, lui ha scelto me.
 
 
«Sto.. sto cercando Damon.»
 
Cerco di non far trapelare nella mia voce l’incertezza e il tumulto che sento divamparmi dentro, quando attraverso la porta dell’agenzia di Damon e mi ritrovo davanti un Andie sempre più impeccabile.
E’ la prima volta che vengo qui da quando questo posto non è più di Damon, da quando lui lo gestisce e basta, dopo averci lasciato il cuore e pure tutto il suo tempo.
Non pensavo di incontrarla, non sapevo fosse qui, eppure dovevo immaginarlo, ormai è sua questa agenzia, è autorizzata ad entrare e uscire quando vuole, solamente, speravo di potermi evitare questo tipo di incontri.
Controllo il respiro e cerco di sostenere il suo sguardo, forte di me e certa di quello che ora è il mio uomo.
Sposto la frangia dietro l’orecchio per non avere barriere tra me e lei ma la mia sicurezza traballa davanti al piccolo, consapevole e tenero sorriso che si apre piano sulle sue labbra.
Mi guarda come fossi una bambina che sta rivendicando qualcosa che è suo di diritto e non so come faccia, scopre proprio quella parte insicura ed infantile di me che inconsapevolmente sta tornando fuori.

Prende un respiro, si sistema l’orlo della giacca che nell’incrociare le braccia le si era leggermente alzato e fa un passo verso me, costringendomi ad indietreggiare impercettibilmente.
E’ oggettivamente bellissima e ha una tranquillità nello sguardo che mi disorienta e allo stesso tempo mi fa sentire una stupida.
Capisco perché Damon fosse così attratto da lei.
 
«E’ nel suo ufficio.»
«Bene, grazie.»
 
Faccio per oltrepassarla, senza neanche rivolgerle lo sguardo o salutarla mentre le do già le spalle e mi affretto a raggiungere la porta di fronte a me, quando la sua voce mi buca da parte a parte.
 
«Sei sempre stata solo tu, Elena.»
 
Me lo dice nello stesso modo tranquillo e determinato, con cui mi ha osservato per tutto il tempo senza dire niente, obbligandomi ad immobilizzarmi al centro della stanza, spalancare leggermente gli occhi e sentire il mio cuore perdere un battito.
Mi restituisce ciò che è mio con una grazia e una dignità che non mi aspettavo e che mi fanno sussultare il cuore per quella verità che in fondo sapevo, ma avevo paura a credere.
E’ riuscita a vedere al di là delle apparenze, cogliendone le paure, senza utilizzarle a suo favore.
Mi volto piano, prendendo tempo per prepararmi a questa, non so neanche se opportuna, conversazione.
 
«Non ha mai neanche provato a volere me.»
«Perché sei rimasta allora?»
 
Glielo chiedo, voltandomi di tre quarti, perché ormai non ho più niente da perdere, né nulla da spartire con lei, voglio tutta la verità a questo punto, anche se fa male.
 
«Perché ciò che si dovrebbe, non è sempre ciò che si vorrebbe.»
«Sei innamorata di lui?»
 
La vedo sussultare improvvisamente, colta di sorpresa dalla mia domanda e dal tempo presente con cui gliela rivolgo.
 
«Un tempo lo sono stata. Ma non devi preoccupartene Elena, non sarò in nessun modo una minaccia. Lui e’ innamorato di te, lo è da sempre.»
 
Mi fa uno strano effetto sentirglielo dire, forse perché non l’ho ancora mai sentito uscire dalla bocca di Damon.
Non credo ci riuscirà mai, piuttosto preferirebbe passare un’intera domenica a pranzo con mia madre e mio fratello, a discutere delle sue intenzioni, sarebbe più facile per lui, resterebbe nel suo territorio, scherzerebbe, li ammalierebbe come al suo solito, come fa con tutti. Quelle parole invece lo trascinerebbero sul mio di territorio, quello dei sentimenti e lui non ce la fa proprio.
Ma io lo sento, lo so che è così e mi va bene, non mi serve saperlo, se lo sento, se me lo dimostra nei dettagli, nelle intenzioni.
Eppure, con questa verità addosso non posso che sciogliere ogni nodo e ogni barriera davanti ad Andie, ci sorridiamo appena, complici nell’essere riuscite a leggere e cogliere sfumature, dentro l’anima di un uomo che vantava di non averne.
Sto per voltarmi di nuovo e andarmene, quando d’improvviso riconosco il tocco della mano di Damon a metà schiena.
Non so quando sia arrivato, non ho sentito nessun passo e neanche Andie l’ha visto arrivare, tanto che sussulta anche lui alla sua visione. E’ questione di qualche secondo, poi si ricompone, fa un cenno della mano per salutarci e prima di aprire la porta ed uscire da qui, si volta un’ultima volta.
 
«E’ stato un piacere Elena.»
«E’ stato un piacere anche per me, Andie.»
 
Damon mi guarda confuso, osserva me, la porta che si è appena chiusa davanti a noi e poi di nuovo me, disorientato, quasi allarmato.
 
«Stai bene?»
 
Io faccio solo un cenno con la testa, non riuscendo ad articolare niente, non sapendo neanche se la confusione che mi ha mosso questo breve incontro con lei, sia positiva o meno.
Lui arriccia leggermente la fronte, non soddisfatto del tutto e lascia scivolare via la mano ancora poggiata sulla mia schiena.
 
«Che ti ha detto Andie?»
«Delle..cose..»
 
Finalmente esco dal mio stato di immobilità e volto la testa verso di lui, accennando un sorriso leggero perché consapevole. Lui sembra tirare appena un sorriso di sollievo, abbassa le spalle e mi guarda interrogativo.
 
«Si possono sapere o vanno dirette nella zona top secret delle comunicazioni tra donne?»
«Vanno dirette in quella zona lì!»
 
Gli sorrido sulle labbra, lasciandogli un bacio veloce, piccolo, a cui ne segue un altro e un altro ancora, fino a che non sento il suo viso rilassarsi sotto le mie mani, le sue braccia avvolgermi completamente e la sua voce roca sussurrarmi nelle orecchie.
 
«Nel mio ufficio, ora, di corsa.»
 
 
«Smettila di toccarmi, di baciarmi e pure di guardarmi con quel sorrisetto!»
 
Sono due ore e ventitre minuti adesso che siamo su questo letto, con questo portatile in bilico su di me, che ha rischiato più e più volte di finire a terra, mentre mollavo tutto e mi lasciavo andare alle sue provocazioni e ai miei desideri. Adesso però sono ferma e convinta, ho incrociato le gambe, serrato le braccia e sono decisa a non concedergli neanche un piccolo, minuscolo, bacio a stampo se non ci garantiamo almeno il posto su quell’aereo.
Damon mette il broncio con il suo solito fare da cucciolo indifeso, che però non attacca più, mi guarda di sbieco, malizioso, per testare la mia risolutezza e il mio autocontrollo e quando capisce che stavolta sono davvero seria, che ho davvero paura di non riuscire a prendere quell’aereo, ride. Ride di una risata profonda, allegra, portandosi una mano sul petto e inclinando indietro la testa mentre socchiude gli occhi e a me verrebbero in mente mille altri motivi invece per tornare sui miei passi, fregarmene di garantirmi quei dodici giorni che ci aspettano per passarli tutti nella sua camera da letto.
 
«Come vuole signorina, ma non sa cosa si perde!»
 
Si avvicina, senza toccarmi, sfiorarmi o baciarmi, sento solo il suo respiro sul mio collo e i suoi capelli che mi solleticano l’orecchio, mentre mi mormora quelle parole che me lo fanno maledire ancora di più, perché sa che effetto ha lui su di me. Mi muovo appena assecondando i brividi del mio corpo e guardo riapro gli occhi Damon è già lontano, sta aprendo il primo cassetto dell’armadio per tirare fuori una maglia verde scuro e dei boxer.
 
«Se cambi idea, sono a fare una doccia.»
 
Mi fa l’occhiolino mentre scompare dietro la porta del bagno, lasciandola intenzionalmente e provocatoriamente socchiusa.
Ho bisogno di aria, ci metto qualche attimo in più per tornare in me, alla lucidità di cui ho bisogno per calmare il fremito che sento scorrere velocissimo su tutto il corpo, implorare pietà  al mio ventre che brucia ed alzarmi da questo letto.
 
«Mi serve il tuo passaporto!»
 
Glielo urlo da dentro la camera, consapevole di dover mantenere una distanza di sicurezza da lui e dal suo corpo, nudo, sotto la doccia.
 
«Sulla scrivania! O nell’ultimo cassetto dell’armadio!»
 
Grida anche lui di rimando e ciò che mi arriva è un misto tra l’eco della sua voce e il rumore scrosciante dell’acqua.
Mi sforzo di ignorare qualsiasi altra cosa e mi dirigo verso la piccola scrivania in legno scuro di fronte il letto. E’ piena di fogli, documenti, in un disordine tale che rispecchia perfettamente il suo modo di vivere e di essere, lasciando a me la difficoltà nel metterci le mani, come sempre.
Sparso tra mille fogli trovo perfino il contratto con cui ha ceduto la sua agenzia, la prima pagina è sfuggita dalle graffette in alto a sinistra ed è tutta stropicciata sotto una pila di libri, lascio tutto lì, senza toccare nulla, dando una rapida occhiata a tutto il resto. Mi sposto a sinistra, accoccolandomi sui talloni per aprire invece l’ultimo cassetto dell’armadio in cerca del passaporto che, secondo me, non ha idea nemmeno lui di dove sia finito.
C’è un disordine incredibile, maglie ammucchiate, calzini, scontrini, cartine di viaggi, c’è perfino un cioccolatino, chissà da quanto tempo sepolto qui dentro.
Tiro fuori un paio di maglie per avere più visuale e nel farlo scopro il viso di un bambino dolcissimo, raffigurato in una foto assieme a quelle che si presume essere i suoi genitori.
 
‘Nell’ultimo cassetto dell’armadio, ho una foto di me da bambino in braccio ai miei genitori. L’ho infilata lì quando loro si sono trasferiti e non l’ho mai più tolta.’
 
Sento il cuore sciogliersi nel ricordare le sue parole di quella sera e nel trovarmi di fronte lo sguardo azzurro e limpidissimo di un bambino di tre o quattro anni al massimo, che stringe il collo della sua mamma e lei che gli sorride mentre abbraccia suo marito.
E’ una foto meravigliosa e capisco perché Damon l’abbia nascosta qui dentro, ricordi come questi fanno male, soprattutto sapendo come sono finite le cose tra loro. Se si riuscissero a cancellare le tracce dentro di sé, con la stessa facilità in cui si sotterrano, sarebbe tutto molto più semplice. Purtroppo a volte si può solo scegliere come andare avanti.
Passo un’ultima volta il pollice sul volto di quel piccolino, con lo stesso sorriso pieno e fiducioso che concede a pochi e che nasce per riflesso anche dalle mie labbra, sto per richiudere il cassetto, se non fosse che in quella che sembra essere la sua scrittura, su un foglio accartocciato, scorgo il mio nome e il mio cuore si blocca istantaneamente.
 
‘Maledetta te Elena.’
 
Tutto il calore che ancora sentivo dentro il mio corpo e sulla mia pelle svanisce in un istante.
Mi sento un verme ad invadere la sua privacy ed ho sempre odiato che qualcuno lo facesse con me, ma questo riguarda decisamente me, per questo mando al diavolo il mio buonismo e la mia integrità e afferro decisa quei tre fogli iniziando a leggere, infischiandomene perfino di restare attenta ad ogni rumore o silenzio proveniente dal bagno.
 
‘Anche se volessi scusarmi..
Tu non riusciresti a sentirmi, né vorresti ascoltarmi, in questo momento.
Quindi, non lo farò…’
 
 
 
 
 
 
Damon
 
Non credo che fischiettare sotto la doccia sia considerato altamente virile o seducente, per questo mi blocco appena il suono della mia voce mi arriva senza ombra di dubbio alle orecchie e alla coscienza.
Il rumore dell’acqua mi isola dal resto della casa, ma sono abbastanza sicuro che Elena possa sentirmi, perciò, per mantenere ancora un po’ il mio inutile ruolo da bello e maledetto, preferisco concentrarmi sulla tensione e sul calore che ancora sento su tutto il corpo e cercare di mandarli via.
Perché farei l’amore con lei per il resto della mia vita e mi è terribilmente, davvero terribilmente, difficile allontanarmi fisicamente da lei.
E’ una tensione, un’attrazione, un’alchimia che mi spinge verso di lei e che ha sempre mosso i miei passi e le mie intenzioni.
Fin dal principio.
 
‘Ti ricordi Elena, vero Damon?’
 
E’ da questa mattina che mi tornano in mente le parole di Caroline, di quella sera a casa mia, quando ho rivisto Elena dopo tanto tempo, quando è tornata nella mia vita e c’è restata.
E mi ricordo i suoi occhi, così timidi ma così tanto vivi, la sua risata allegra, quel modo scomposto di stare seduta. Quel velo di imbarazzo che ha acceso in me, nel rivolgermi la sua finta e divertita supplica e nel guardarmi senza sotterfugi o malizia.
La mia donna, che prima era solo una bambina.
La mia Elena, che ora profuma anche di me.
E tutte le persone che sono cresciute insieme a noi, amici e non, ruotando intorno al nostro asse, che non hanno fatto altro che spingerci l’uno contro l’altra, sempre, andando avanti pure con le loro di vite, ma senza mai uscire dalle nostre.
 
 
«Allora.. adesso non sei più soltanto mio...»
 
Profuma di fiori di pesco la mia Caroline mentre si siede accanto a me, sul mio divano, si fa spazio da sola alzandomi il braccio e poggiando la testa sulla mia spalla. Si avvolge tra le mie braccia e io la stringo un po’ di più quando mi mormora con la sua voce un po’ piccola ed infantile una verità che un po’ le monta sentimenti contrastanti.
La sento respirare mentre volta piano la testa verso di me e mi osserva con quegli occhi così tanto simili ai miei. Quegli occhi con cui ci siamo letti così tante volte..
Ci guardiamo e basta, senza riuscire a dire niente, consapevoli di quante cose siano cambiate intorno a noi, di quanto grandi siamo diventati, da quando eravamo soltanto io e lei.
Da quando giocavamo in cortile tirandoci palloncini pieni d’acqua e farina, da quando passavamo interi pomeriggi a guardare i cartoni animati, che ovviamente sceglieva lei, tiranna anche a sette anni, sdraiati su questo stesso divano, nell’attesa che i miei genitori tornassero per cena.
Ne abbiamo fatta di strada da quando la difendevo dai bulletti del palazzo che la prendevano in giro e lei mi guardava con il labbro che tremava, gli occhi umidi, le lentiggini e le trecce biondissime che le cadevano sulle spalle e poi mi abbracciava, nascondendosi dietro di me.
Sembra trascorsa una vita intera da quando si è presentata a casa mia, la prima notte in cui i miei si sono trasferiti, entusiasta di prepararmi la cena, che ha poi bruciato e finendo per addormentarsi nel mio letto, dopo avermi abbracciato come un bambino che non riusciva a chiederlo.
Solo io e lei, senza nessun altro sentimento di mezzo.
La cosa per me più vicina ad una famiglia, ad una.. sorella.
Ed è strano ora per lei dovermi dividere con una delle parti più importanti della sua vita, è strano, perché ora c’è qualcun’altra che mi sente e mi vede come ha sempre avuto il privilegio di fare lei, è stramo ma è tutto ciò che ha sempre sognato per me.
Come io per lei.
Ho sempre saputo che quel Klaus l’avrebbe fatta solo soffrire, le avrebbe offerto castelli dorati che l’avrebbero abbagliata per un po’, facendole credere di essere l’unica cosa di cui aver bisogno a questo mondo. Ad un certo punto però, sapevo e lo sapeva pure lei che si sarebbe svegliata dalla bella favoletta e avrebbe preteso di essere vista per ciò che era, non per quello che appariva.
Enzo ci è riuscito, l’ha disarmata, l’ha spogliata di tutte le sue costruzioni, ha saputo capire le sue continue polemiche fino a zittirle e prevederle. L’ha smascherata, non dandole la possibilità di attaccarsi a nulla per allontanarlo.
Sono felice, per lei, per il mio amico.. per me.
Perfino per Stefan che finalmente si è svegliato, finalmente ha smesso di prendersi così tanto sul serio, adesso ride, scherza, fa battute. Mi piace questa Haley, credo in gran parte sia merito suo, della sua risata a cuore aperto, dei suoi occhi vivi, del suo modo di fare che lo rende imperfetto, umano, gli toglie quell’aria da supereroe per cui l’ho sempre sfottuto e mi piace.
Mi piace lui con lei.
E mi piace anche questa donna, con gli occhi grandi da cerbiatto, che mentre chiacchiera con Haley, lontano da noi, ha spostato lo sguardo su me e Caroline, abbracciati sul divano di casa mia e mi ha sorriso con quel modo dolce e sottile che mi fa impazzire, perché ha capito e non vuole intromettersi.
Caroline sospira ancora, più leggera, meno inquieta.
 
 «Hai ancora una copia delle mie chiavi di casa?»
«Certo!»
«Tienile. Quelle saranno sempre tue.»
 
Caroline mi guarda spiazzata per un attimo, mi sorride e io le scompiglio un po’ i capelli con la mano libera, solo per infastidirla, quel poco che basta per stamparle un bacio sulla fronte e darle la certezza di avere ancora tutta quella parte di me, che sarà sempre un pezzetto solo sua.
 
«Hey, dovrei essere geloso di tutto questo?»
 
Anche Enzo, capisce, ma è molto meno discreto di Elena, tanto da conquistarsi l’appellativo di ‘idiota’, che esce prontamente dalla bocca di Caroline mentre lui le sorride provocandola e prendendosi gioco di lei e di me.
 
«Bè a me va bene anche la tua di ragazza, se ogni tanto vogliamo fare a cambio!»
«A me basta il mio, di ragazzo, grazie!»
 
Elena anticipa una Caroline che stava per riservargli qualche altro insulto e spiazza entrambi, compreso me, con la sicurezza con cui interviene e la naturalezza con la quale tiene testa ad Enzo, rivendicando me.
Ammicco nella sua direzione, regalandole un sorriso complice e malizioso e lei ritorna tranquilla alle sue chiacchiere.
Caroline resta ancora un po’ accanto a me, forse per bisogno, forse per paura di andare avanti ed essere davvero felice, forse per ritrovare un po’ quel noi che le mancava, poi si alza, mi sorride e si allontana, silenziosa come era arrivata.
 
Quella notte ho fatto l’amore con Elena come mai prima.
L’ho baciata per un’ora intera prima di andare oltre, l’ho accarezzata, l’ho tenuta stretta fino a non sapere più dove finiva lei e iniziavo io. Lei mi ha tenuto il viso tra le mani baciandomi con tutta la dolcezza e il trasporto che aveva, ha fatto l’amore con me come avrebbe voluto fare da sempre.
Con tutta se stessa, senza freni, senza timori, senza fretta, senza l’insicurezza di dover essere all’altezza.
Ci siamo amati con una complicità e un’intesa che era molto più forte delle prime volte, con una lentezza e una tenerezza che puoi permetterti solamente quando sei certo di non poter più venir ferito.
Elena è restata anche con tutte le cose sbagliate, lei c’è nonostante io non vada bene del tutto.
Io lo so che è molto più forte di me, lo capisco da come gestisce me, dal modo in cui mi sdrammatizza, da come ha preso le mie difficoltà e le ha rese leggere, senza farmele pesare.
E’ brava Elena, è bravissima con me.
Sa che se scherzo sui suoi capelli con la piega appena fatta dicendole che sembra una donna d’altri tempi, è perché voglio farle sapere che li ho notati ma non riesco a dirle che è bellissima. E allora lei ride e scuote la testa per ravvivarli e mi fa una smorfia mentre mi guarda di soppiatto da sotto la lunga frangia, non si lascia più ferire, non ha più bisogno di conferme.
Eppure qualcosa ancora sento di doverglielo.
 
Quando finalmente esco dalla doccia, non sento alcun rumore e anche il portatile ha smesso di suonare l’intero cd di Jamie Scott che Elena mi ha costretto a scaricare.
Varco la soia del bagno, lasciando scie di impronte bagnate su tutto il corridoio e mi dirigo verso la camera in cui l’ho lasciata.
La vedo lì, seduta sul bordo del letto, con i capelli sciolti a coprirle il volto, le spalle che si alzano e si abbassano con uno ritmo innaturale e le sue mani che tremano.
Fogli sparsi sul pavimento.
L'ultimo cassetto dell'armadio aperto per metà.
E’ nell’istante esatto in cui sento Elena tirare su con il naso e la vedo asciugarsi le mille lacrime che le stanno scorrendo sul viso che collego tutto.
La notte in cui volevo lasciarla. La mia discussione con i miei. Quel suo telefono che non smetteva di suonare. Le sue lacrime. La mia ostinazione. La sua paura. Lei che mi chiede di andarmene. Io che la imploro di poter restare. E poi un foglio stropicciato e una penna in mano.
Capisco che ha letto quella lettera che non ho mai avuto intenzione di darle e che ormai sono definitivamente allo scoperto.
I miei piedi si muovono da soli, incerti se farmi avvicinare o lasciarle tempo, confuso sul modo in cui interpretare quelle lacrime e quei singhiozzi.
Ma poi è lei che sente i miei passi e alza piano il volto.
Gli occhi che spuntano da sotto quelle lunghe ciglia e mi guardano da dietro quella lunga frangetta che non ha fatto in tempo ad accorciare, sono la cosa più bella e devastante che abbia mai visto.
Il modo che ha di tirare su con il naso.
Il dorso della mano che si passa sugli occhi per asciugare tutte quelle lacrime.
Lo sguardo di incredulità e rabbia – forse – e meraviglia – spero.
Il modo in cui entra in casa, ogni volta, trovando la porta leggermente aperta, senza aspettare che sia io ad accoglierla, senza farmelo pesare, perché sa che non ce la faccio a farlo.
 
«Elena...»
 
Il sapore del suo nome nella mia bocca.
Lei che mi guarda e apre la bocca per prendere aria e riuscire a dire qualcosa senza nessun risultato.
Io che mi avvicino fino a sfiorare le sue ginocchia con il mio corpo e mi piego sulle gambe per poter essere alla sua altezza.
Lei che mi fissa senza riuscire a dire una parola.
E allora un po’ imbranato e un po’ imbarazzato, sorrido, di un sorriso piccolo, che è lo stesso che ha lei ma che ha paura di lasciarsi uscire.
Sorrido perché è bella, quanto ingenua.
Sorrido perché è mia, e di nessun altro.
Sorrido perché non ho più nessun segreto addosso.
Le accarezzo piano una guancia con il dorso della mano, scivolando poi sotto il suo mento per alzarle appena la testa, quel tanto che basta per poterla guardare ancora negli occhi, gonfi e liquidi.
 
«Fai uscire qualcosa ti prego da quella bella testolina..»
«Avresti dovuto… perché non…»
 
Esce solo confusione dalle sue labbra e sorrisi e respiri interrotti dalle lacrime.
 
E io vorrei solo che lo sapesse.. che ne avesse sempre avuto la certezza.
 
«Avresti.. sei.. tu sei..»
 
E poi un altro singhiozzo le blocca le parole e sono costretto a fermarle le mani, che continuano ad asciugarsi le lacrime e coprirsi la bocca per non esplodere in mille singhiozzi, per avvicinarmele al cuore e farle sentire quanto velocemente stia battendo in questo momento.
 
«Un idiota, lo so me lo hai già detto!»
«Quando volevi lasciarmi.. l’hai scritta quella sera vero? Dopo.. dopo che ti ho mandato via?»
 
Non le serve una risposta, le serve solo sentire tutto.
E io, lei lo sa, sono sempre lo stesso, non sono diverso, sono solo innamorato.
 
«Elena…»
«Perché hai aspettato che fossi io a tornare da te? Perché non sei tornato subito da me se.. sentivi tutto questo?»
«Perché non riesco ad essere egoista con te, perché mi avevi chiesto di andarmene e io sono un insicuro del cazzo e non ho nessuna attenuante..»
«Damon…»
 
Le sue mani tremano e le sento provare a scivolare via dalle mie mentre mi guarda ancora meravigliata e disarmata, per questo rafforzo la presa e non le permetto di allontanarsi per alcun motivo.
 
«Hai sempre fatto tutto tu Elena e questa è la cosa più egoistica o altruista forse che abbia mai detto, ma voglio che ascolti bene..»
 
Lascia scivolare le ultime lacrime sulle guance senza asciugarle, sgrana gli occhi dentro i miei e mi guarda con quello sguardo da cerbiatto indifeso ma pieno di tutto l’amore che si può contenere.
Quegli occhi grandi, liquidi, trasparenti, occhi che quando ti entrano dentro non sei più niente, se non te stesso.
Senza maschere, né orpelli.
Nudo, nello stesso modo in cui ti vede lei, prima ancora che te ne renda conto.
 
«Ti amo Elena Gilbert e non ho la minima intenzione di andarmene, né di lasciarti andare da nessuna parte senza di me, ti è più chiaro adesso?»
 
E lo dico, così tutto d’un fiato.
Mantenendo gli occhi dentro i suoi, con la voce secca e decisa, mentre dentro un moto di imbarazzo mi ferma il respiro e mi fa sputare fuori tutto il cuore che ho e che le dovevo.
E lei mi fissa, spalancando la bocca come se davvero tutto l’ossigeno di questa stanza fosse stato risucchiato via e l’unica fonte possibile sia io.
Ricomincia a piangere riportandosi una mano sulle labbra a coprire quei singhiozzi che invece adesso sono forti e netti, e poi d’impulso, senza neanche darmi il tempo di prepararmi, si getta su di me stringendomi fino a farmi sentire le sue ossa, il suo seno, il suo bacino, le sue gambe, completamente addosso.
Mi abbraccia e piange, mi accarezza e mi bacia su tutto il viso. E ride.
Ed è un miscuglio di lacrime e labbra, di salato e dolce, che si mescolano, si confondono mentre mi tiene stretto su di sé e si prende tutto quello che è suo.
Tutto ciò che di me, è suo.
Se lo merita, si merita tutto quello che non sono riuscito a darle prima, si merita che io asciughi tutte le sue lacrime, una ad una, si merita tutti i sorrisi e tutte le sicurezze che vuole.
Se li merita per quello che è riuscita a fare con me, per la consapevolezza di poter essere amato, per l’amore che mi ha tirato fuori, per quello vero, quello dopo le litigate e le urla, per l’amore che fa tornare e per quello che fa restare.
Stavolta, siamo davvero solo io e lei, con tutte le parole che mancavano e quei silenzi che non potevano più bastare.
Siamo l’inizio che doveva arrivare.
Il compromesso che non fa più titubare.
Un sapore nuovo nel fare l’amore.
Siamo io e lei, con tutto ciò che questo voglia dire.
 

 
 
 
 
Ho aspettato cento anni
ma per te ne aspetterei ancora un milione.

 
Niente mi aveva preparato al privilegio di essere tuo.
Se solo avessi sentito il calore nel tuo tocco,
se solo avessi visto come sorridi quando arrossisci,
o come arricci le labbra quando ti concentri,
avrei saputo la ragione per cui stavo vivendo,
avrei saputo la ragione per cui stavo vivendo.
 
Il tuo amore è il mio voltare pagina,
rimangono solo le parole più dolci.
 
Rinuncio a quello che ero per quello che sei.
Niente mi rende più forte del tuo fragile cuore,
se solo avessi sentito come ci si sente ad essere tuo,
avrei saputo la ragione per cui stavo vivendo tutto questo tempo,
avrei saputo la ragione per cui stavo vivendo
 
Siamo legati alla storia che dobbiamo raccontare..
quando ti ho vista, beh, sapevo che l’avremmo raccontata bene.
 
Turning page _ Sleeping at last
 






 
********************************
Ebbene sì.
Sono di nuovo qui! Per chi lo aveva chiesto, per chi si era dimenticata giustamente di questa storia, per chi ogni tanto ci pensava ancora..
Avevo in mente questo epilogo da quando ho pubblicato l'ultimo capitolo, ci stavo già lavorando ma solo adesso sono riusicta a concluderlo e finalmente tornare a pubblicare.
'Concludere' è una parola enorme perché avrei voluto metterci mille altre cose.. (magari lo farò in un epilogo 2.0!) per ora questo è ciò che volevo regalarvi.. e che in fondo dovevo a voi, a me e a questi due, ma soprattutto ad Elena! Che con tutta la fatica che ha fatto, almeno questo doveva sentirselo dire.
La verità però, nuda e cruda, è che mi mancavate voi proprio tanto, mi mancava scrivere e pubblicare.. perciò sono tornata anche per farvi un salutino! Spero stiate bene e di ritrovarvi ancora anche qui!

Un bacio enorme a tutte!!!

Ale


Piccola NOTA: la lettera che ovviamente Elena trova e legge, è quella che Damon ha scritto in un impeto di follia (mia!) e potete trovarla nel capitolo 18°. Non ho voluto ripubblicarla perché chi ha seguito la storia la conosce bene, credo, o comunque può andarla a rispolverare, chi invece si è imbattutto per la prima volta in questa storia e gli è venuta una minuscola voglia di leggerla, non ho voluto rovinare le cose!
 
 











 






 
  
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