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Autore: road chan    26/02/2015    2 recensioni
Lo storico Bellamy Blake ha bisogno di fare colpo sui suoi futuri datori di lavoro.
Possiede tutto ciò che l’Ark Enterprises sta cercando, eccetto una fidanzata, che – secondo la migliore amica di Bellamy – lo farà brillare.
Ma è tutto perfetto perché Raven ha appena trovato la ragazza giusta.
C’è solo un problema.
Bellamy Blake e Clarke Griffin si odiano davvero, davvero tanto.
[STORIA AGGIORNATA E MODIFICATA]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Due

Treesome o

A Bellamy Blake piace il jazz

 

 

Bellamy accompagnò Clarke davanti all’appartamento di Raven, aprendole nuovamente la portiera e continuando a fissarla con quel ghigno divertito e ambiguo che tanto le urtava i nervi.

La bionda gli diede velocemente la buonanotte, scappando all’interno del palazzo e continuando a percepire dietro la propria schiena lo sguardo indagatore e rovente del moro.

S’infilò dentro l’ascensore, pigiando insistentemente con l’indice della mano destra il terzo bottone dorato e sospirò di sollievo quando vide le porte della cabina chiudersi di colpo.

Non fece in tempo a cacciare fuori una scarpa che si ritrovò Raven, in piedi e scalpitante, davanti alla soglia di casa.

“Com’è andata?” chiese a Clarke, dischiudendo soddisfatta le labbra polpose e ben proporzionate.

“Ho visto che è ancora vivo.”

“Ci hai spiato dalla finestra?” domandò sconcertata la bionda, togliendosi lo scialle e attraversando l’androne per fermarsi di fronte alla mora.

Per un momento se la immaginò nascosta dietro le tende, munita di binocolo e macchinetta fotografica.

“Certo” ammise tranquillamente lei, sollevando appena le spalle.

“Non che ci fosse tanto da spiare, lì sotto. L’unica parte interessante è stata quella in cui te la davi a gambe e per poco non cadevi dallo scalino del marciapiede.”

“Smettila di viaggiare con la mente nello spazio” replicò la ragazza, facendosi largo dentro l’appartamento.

“Comunque, non lo so com’è andata.”

“Nessun bicchiere lanciato?”

Clarke scosse la testa.

Raven sembrò seriamente impressionata.

“Però! Il galateo delle buone maniere non ha più segreti per voi due. E…?”

“E vuole che ci rivediamo per studiare meglio i dettagli prima di Venerdì.”

“Allora è andata una meraviglia.”

“Sì, forse” borbottò Clarke, titubante.

Seguì Raven attraverso il corridoio fino alla cucina, notando solo in quel momento l’outfit informale della ragazza: pantaloni della tuta e canottiera bianca.

Doveva essersi cambiata dopo il lavoro, anche se, generalmente, gli abiti che usava per la palestra non si distaccavano tanto da quelli che aveva addosso.

La bionda avvertì un forte aroma di frutti tropicali, segno che Raven si era fatta anche la doccia.

Entrarono in salotto, sedendosi entrambe sopra uno dei divani color cachi che riempivano la stanza illuminata dalle luci artificiali delle piantane.

“A parte il fatto che è un coglione colossale e trae piacere dal farmi perdere la pazienza; perché ha deciso di portarmi alla cena, se non mi sopporta? Perché mai diresti che ci odiamo?”

“Tu e Bellamy?” si accertò Raven, afferrando una mela dalla scodella della frutta e dandole un morso mentre Clarke annuiva.

“Non lo so. Penso sia per la testardaggine che avete in comune e le caratteristiche da leader – in più, sai, la strana tensione sessuale.”

Clarke la fissò, meravigliata.

Non c’è tensione sessuale.”

“L’ho beccato più volte a fissarti il sedere. E non sembrava affatto disposto a smettere.”

Raven.”

“So come mi chiamo” borbottò lei, continuando a sgranocchiare la mela.

“Perché no? Lui è un ragazzo carino. Tu sei una ragazza carina. È una cosa normale. E nessuna donna sana di mente si sarebbe mai fatta scappare un falso appuntamento con Bellamy Blake.”

Clarke stava per replicare che non sarebbe stata attratta da Bellamy Blake nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo presente sulla terra e che, piuttosto, lo avrebbe fatto fuori lei stessa al fine di preservare pura la specie umana ma un curioso dettaglio catturò la sua attenzione, facendole morire in gola qualsiasi parola di dissenso.

C’era un cappotto nero, appallottolato a casaccio sotto il divano. Lo raccolse da terra e si rivolse a Raven.

“È nuovo?”

“Oh Dio, avevo dimenticato che fosse qui!”

La mora tirò fuori il cellulare da dentro una delle tasche dei pantaloni e digitò rapidamente un messaggio.

Clarke sollevò un sopracciglio.

“Di chi..?”

“Un’amica della palestra deve averlo dimenticato qui dopo cena” rispose vaga e il suo telefonino vibrò un paio volte. Poi tre. E infine altre due.

“Tutto bene?” chiese la bionda.

Raven si morse il labbro, impedendosi di sorridere a trentadue denti.

“Mi ha appena scritto Bellamy. Ha detto che avevo ragione.”

“Su cosa?”

“Le tue tette grandiose” rispose, spalancando gli occhi color nocciola.

“E che sei la ragazza perfetta per il lavoro.”

Clarke fece finta di non aver ascoltato la prima parte dell’affermazione.

“Porterò a termine questa specie di pagliacciata solo perché ti devo un grosso favore che mi hai obbligato ad accettare tramite il senso di colpa. Non voglio che ci siano fraintendimenti o altro. Passare del tempo con Blake non mi procura alcun tipo di piacere. Io lo so, tu lo sai.”

“Stai facendo una buona azione, però. Il tuo aiuto gli serve davvero tanto. Lo capisci…vero?”

La bionda sospirò, arricciando le labbra sottili davanti alla faccia da cane bastonato di Raven.

“Lo so.”

Raven annuì, mollando i resti della mela sul bancone.

“Sono seria. Questo lavoro sarebbe una grossa opportunità, per Bellamy: è internazionale, tratta di storia classica e offre soldi buoni e potrebbe vedere Octavia tutte le volte che torna a…perché mi guardi così, Clarke?”

Così, come?”

“Conosco quello sguardo” – insistette Raven, esortandola con uno schiocco di dita.

“È quello sguardo alla Miss Marple che tiri fuori quando pensi a qualcosa di terribile e geniale. Sputa il rospo.”

Clarke restrinse gli occhi azzurri.

“Perché hai detto soldi buoni in quel modo?”

“In che modo?” chiese Raven ma la bionda sapeva di aver fatto centro.

Dopo alcuni minuti e un sospiro profondo, Raven affermò: “Giusto per chiarire, l’unico motivo per cui Bellamy ha problemi con te è per l’intera faccenda de “la ricca e il povero”. Lo so che non è colpa tua” aggiunse in fretta, non appena Clarke provò a controbattere, “ma da quello che mi è stato raccontato, Bellamy non ha avuto esattamente un’infanzia felice.”

“Cosa? Per sua sorella?”

“Octavia?”

Raven sorrise. “L’ha praticamente allevata lui.”

“E allora perché?” domandò ancora Clarke.

La mora agitò la testa.

“Non stiamo parlando di qualcosa di mio. Ti dirò solo che il padre – o padri, al plurale – non stava con loro e che la madre lavorava fin troppo. Morì non appena Bell entrò al college che avrebbe volentieri mollato per prendersi cura di O, ma lei lo forzò a rimanere. Si trasferì con lui terminando gli studi – che riuscirono a pagarsi perché Bellamy, nel frattempo, si era laureato con il massimo dei voti e Octavia era andata alla Brown. Quindi, qualsiasi tipo o forma di stabilità economica non ha mai raggiunto quella famiglia.”

“È per questo che mi chiama Principessa? Perché pensa che la mia vita sia sempre andata avanti senza problemi?”

Raven allungò una mano dalla carnagione olivastra e strinse quella pallida dell’amica.

“Lui non sa niente di te, Clarke. Non sa di tuo padre, di Wells o…” farfugliò.

Loro due sapevano, però.

“Hai ragione” sussurrò la bionda, deglutendo nervosamente e spostando lo sguardo da un lato all’altro della camera.

Accarezzò la mano di Raven prima di lasciarla andare e si aggiustò la maglietta.

“Adesso che abbiamo ripassato le mie tragedie esistenziali e quelle di Bellamy, è possibile parlare d’altro?”

Raven annuì. “Tutto quello che vuoi.”

Il suo cellulare vibrò di nuovo.

“Ancora Bellamy” commentò, fingendosi annoiata.

“Sta chiedendo se domani sera potete cenare di nuovo insieme. Magari con me. Così possiamo lavorare alla storia di copertura.”

Clarke aggrottò la fronte.

“Abbiamo già una storia di copertura.”

“Immagino sia da aggiustare, per questo vuole vederci.”

Supponendo che Raven avesse ragione, la bionda ripassò mentalmente i suoi programmi lavorativi.

“Non ho nulla da fare fino a pranzo.”

Raven grugnì.

“Bellamy odia l’idea di pranzare fuori. Sono abbastanza sicura che te l’abbia accennato.”

“L’ha fatto” ammise Clarke, sorridendo. “Possiamo sempre cenare insieme, allora.”

Raven sollevò un sopracciglio.

“Cenare con Bell per due sere di fila? Voi due vi state davvero frequentando. E dovreste seriamente scambiarvi anche i numeri di telefono, o invece che una storia a due sarete costretti a fingere una relazione a tre. Non che la cosa mi dispiaccia” le disse, facendole l’occhiolino.

“Sei così divertente. Sto ridendo fragorosamente. Giuro.”

“Certo, Clarke.”

Bellamy parcheggiò la macchina sul marciapiede opposto al palazzo dove abitava Raven, scorgendo dallo specchietto retrovisore la familiare sagoma di una ragazza bionda che camminava speditamente stringendo in mano una cartelletta di plastica semitrasparente.

Diede un colpo di clacson deciso, sporgendosi dal finestrino mentre la ragazza si bloccava sul posto, sobbalzando appena.

Quando scese dall’auto e le fu sufficientemente vicino, la vide socchiudere gli occhi e puntare saldamente i piedi a terra come un soldato che si preparava a serrare i ranghi poco prima di un attacco nemico.

Clarke indossava ancora i suoi vestiti da lavoro: un’immacolata camicetta color cipria infilata dentro una gonnellina nera, costose e pratiche scarpe col tacco – pratiche come potevano essere le scarpe col tacco – ai piedi.

La differenza d’altezza tra lei e Bellamy continuava a essere significativamente notevole, dato il suo metro e ottanta contro il metro e sessantacinque della bionda.

Non appena lui glielo fece notare, Clarke commentò acida che era meglio così, almeno non sarebbe stata costretta a guardarlo in faccia mentre stavano assieme.

Presero l’ascensore per salire da Raven ma si scontrarono con la ragazza scura una volta arrivati davanti all’appartamento.

“Non vedevi l’ora di andartene, Rave” le fece notare Clarke.

“Va tutto bene? Siamo appena arrivati insieme.”

Indossando la scarpa sinistra, la mora replicò “Sì, è meraviglioso – nessun riferimento a The Lego Movie, Bellamy.”

“Non ho mai visto The Lego Movie.”

“Oh, sì invece – tu, io e Miller – lo scorso weekend.”

Raven si voltò verso Clarke. “Il tuo finto ragazzo è un completo nerd.”

Si raddrizzò, facendo passare una mano tra i capelli sottili, tenuti indietro da una coda ordinata e li affrontò entrambi a viso aperto.

“C’è stato un piccolo contrattempo perciò non potrò restare a cena con voi ma – non fare quella faccia, Clarke – troverete un paio di biglietti attaccati al frigo per questo concerto Indie al The Dropship. Prendeteli, andate all’appuntamento, inventate la vostra stronzata e chiamatemi domani mattina!”

Detto ciò, dopo un pugno ben assestato alla spalla di Bellamy, saltò dentro l‘ascensore, lasciando i due amici, soli, davanti alla porta dell’appartamento.

Clarke guardò il ragazzo, leggermente basita.

“Ti sei accorto anche tu che qualcosa non quadra?”

Bellamy sollevò un sopracciglio. “Sapevi che si vede con qualcuno?”

Dall’espressione meravigliata sul suo viso, il moro ipotizzò che no, Raven non le aveva comunicato quel piccolo dettaglio particolare.

“Sì, ci sono rimasto anch’io” commentò, in modo burbero.

Poi, puntò gli occhi scuri sulla porta di casa dell’amica, dietro le spalle della bionda.

“Allora, vuoi andare a quel coso…al The Dropship?”

Clarke si morse un labbro. “Sì, sicuro, perché no?”

Questa è la storia di come, un’ora più tardi, Bellamy e Clarke si ritrovarono incastrati in mezzo a un centinaio di persone dentro a una minuscola e sudicia sala, mentre la musica metallica vibrava a un ritmo tale che Bellamy avrebbe senza dubbio definito di pessimo gusto.

Dopo circa dieci minuti e a metà della terza canzone agghiacciante, il ragazzo si piegò verso Clarke e le sussurrò all’orecchio: “Fanno abbastanza schifo.”

Lei sospirò profondamente e annuì.

“Qui non posso litigare con te.”

“Conosco un locale di musica jazz piuttosto bello, vicino al Museo” le suggerì. “Ti andrebbe di dargli un’occhiata?”

Clarke sembrò confusa.

“A Bellamy Blake piace il jazz?”

“Sono pieno di sorprese.”

“Sai ballare?” domandò lei, mentre lui si girava a fatica, in cerca dell’uscita.

“Abbastanza per mia sorella, credo. Lei danzava molto. In realtà, le ero utile solo perché la facevo roteare” confessò. “Ma so cucinare piuttosto bene.”

Clarke ridacchiò.

“Oh cavolo, io no. Brucio tutto quello che tocco, acqua compresa.”

“E ti eri pure iscritta a Medicina?”

Lei rise di nuovo e lo spinse via.

“È diverso” protestò.

“Come?”

“Curare una coltellata è più semplice che cucinare gli spaghetti alla Carbonara, per esempio.”

Bellamy non batté ciglio.

“Stai scherzando.”

Lei scosse la testa bionda, quasi orgogliosamente.

Raggiunsero la macchina del moro che ripeté il gesto di aprire la portiera a Clarke; ma una volta che i due si furono sistemati e instradati, lui non riuscì a lasciar correre l’argomento.

“È ridicolo; lo sai? Che cosa dovrei raccontare al mio capo? – Buonasera, Dottor Kane. Questa è la mia fidanzata, Clarke. Può suturare qualsiasi ferita da accoltellamento a occhi chiusi e acciuffare senza fatica il colpevole ma Dio ce ne scampi, se si mette ai fornelli a cucinare.”

Clarke sorrise divertita, evitando di prenderlo a pizze sulla coscia.

, Dottor – com’è? – Kane. Dovrebbe assolutamente assumere il mio Bellamy. È tanto esperto di jazz quanto di storia e fa parte della Crew di ballo della famiglia Blake. Lo amo così tanto.”

Bellamy la fissò di traverso mentre sfrecciava lungo la strada.

“Mi ami così tanto, uh?”

“Non posso odiarti tutto il tempo.”

Lui si ritrovò a sorridere.

“No, sono troppo bravo a ballare.”

Il locale di jazz era pieno come un uovo e la band suonava con trasporto, riempiendo la stanza di calore e intimità.

Bellamy aveva sempre catalogato Clarke come un tipo da musica classica o da pop commerciale o da tutte e due, perché assolutamente lo sembrava, ma quando la vide ondeggiare con i fianchi a ritmo di musica, come se fosse stata la cosa più naturale e facile del mondo, con uno dei sorrisi più teneri stampati sul viso, capì che forse, dopotutto, anche il jazz le calzava bene.

“Sai, dicono che il jazz si riferisca meno all’ascolto e più al sentimento” le bisbigliò, alitandole sul collo.

La bionda sollevò le sopracciglia.

“Dicono?”

“Ok, ok. Dico.”

La bocca di Clarke si allargò. “È una cosa…”

“Presuntuosa?” suggerì Bellamy, che già ne era consapevole poiché tutti lo prendevano sempre in giro.

Clarke non lo fece.

Scosse la testa e obiettò con voce gentile: “No, penso che sia una cosa dolce.”

Lui sorrise – non era la prima volta, accanto alla ragazza – e quando se ne rese conto, fu colto alla sprovvista.

Si stava divertendo? Con Clarke Griffin?

Per insabbiare il tutto, fece finta di controllare l’ora.

“Siamo sentimentali, Principessa? L’orologio non segna ancora la mezzanotte.”

Lei alzò gli occhi al cielo.

Erano tornati alla normalità.

 

 

Cerca di non scambiare tutto questo per un servizio di taxi con cena inclusa, Principessa.”

Clarke si slacciò la cintura di sicurezza.

Bellamy l’aveva accompagnata a casa dopo aver passato la serata a ballare e a chiacchierare al locale.

Scoprì che era davvero un bravo ballerino, mentre lei non lo era per niente – sempre che i balli studenteschi non contassero qualcosa.

Adesso lui le stava sorridendo – un vero sorriso – e Clarke non credeva fossero stati quei due drink di troppo che si erano scolati, a farla divertire con Bellamy Blake.

Gli fece la linguaccia.

“E tu smettila di fare sempre la stessa cosa, allora.”

Bellamy annuì. “Sì, certo, come ti pare.”

Clarke aprì la portiera, ma un attimo prima di scendere si voltò indietro a guardarlo.

“Grazie per stasera, Bellamy.”

Il ragazzo percepì la sincerità nella voce della bionda e annuì di nuovo.

“Stessa cosa per te, Principessa.”

“Ci vediamo alla cena ufficiale, quindi?”

“Ti passo a prendere prima” si offrì lui. “Inizia alle sette, perciò sarò qui intorno alle sei e mezzo. Va bene?”

Clarke sorrise.

“Sembra perfetto. Oh, giusto perché tu lo sappia” aggiunse “ho salvato il mio numero tra tuoi contatti mentre stavi prendendo da bere.”

Bellamy la fissò.

“Principessa, questo è piuttosto inquietante.”

“Beh, almeno adesso puoi chiamarmi se ci sono dei cambi di programma” rispose Clarke, uscendo dal veicolo. “Anche se non ci sono.”

“Giusto.”

Bellamy contrasse le labbra carnose.

“Sei e trenta, Venerdì sera – non scordarti o ti farò cucinare qualcosa per punizione.”

Clarke sospirò, stavolta più affettuosamente.

“Lascerò a te quell’incombenza.”

“A Venerdì, Principessa.”

“A Venerdì.”

  
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