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Autore: marmelade    26/02/2015    3 recensioni
Ashton e Margareth si sono appena laureati, appena conosciuti, hanno appena finito di fare l'amore.
Nella stanza di lei aleggia ancora l'odore dell'ultima sigaretta fumata da lui, mista all'odore del sesso.
Si abbracciano forte l'uno con l'altra in un minuscolo letto dalle lenzuola sporche, come per aggrapparsi a quegli ultimi momenti della loro giovinezza.
Non si conoscono, eppure è come se la vita li avesse fatti incontrare da sempre. Sono convinti che non si rivedranno mai più, ma non è così: sono strettamente legati tra loro.
Cadranno insieme, rideranno, piangeranno e si diranno addio molte volte, senza mai riuscirci davvero.
Resteranno per una vita intera ad amarsi, anche lontani, fino a che non vorranno tornare indietro nel tempo e ricominciare tutto dall'inizio.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III
 
“E poi mi guardava in un modo, in quel modo in cui ti guardano quando non sanno cosa fare, cosa dire, ma vogliono stare con te”.
Susanna Casciani


You see everything, you see every part. 
You see all my light and you love my dark. 
You dig everything of which I'm ashamed. 
There's not anything to which you can't relate 
and you're still here
 
 
 
 
Agosto 2004.
 
Margareth continuò a guardare le onde del mare infrangersi sugli scogli alti e rocciosi con un sorriso accennato sulle labbra.
Lo spettacolo del mare.
Quanto le piaceva stare lì, seduta su quell’enorme telo rosso con il tepore leggero dei raggi del sole, ancora non uscito del tutto. Poggiò i palmi delle mani sul telo, spingendosi un po’ più indietro con la schiena, continuando a godere di quello spettacolo meraviglioso che il mare le stava offrendo gratuitamente.
Socchiuse di poco gli occhi per guardare meglio all’orizzonte, senza che la luce fioca del sole potesse disturbarle completamente la vista, lasciandosi andare al più completo relax.
Era stato un anno pieno di cambiamenti, quello, e lo sarebbe stato ancora di più a partire da settembre a venire, quindi tanto valeva godersi quelle ultime settimane di riposo prima della più totale confusione.
«Ehi Margo, guarda come mi tuffo!».
Ripensandoci, la confusione ce l’aveva già intorno in quel momento.
Alzò di poco lo sguardo – con gli occhi ancora mezzi socchiusi – verso uno degli scogli leggermente più alti, da dove era provenuta la voce. Si accorse che quella figura la stava salutando enfaticamente con entrambe le mani, come fosse un bambino. 
Margareth ridacchiò, scuotendo il capo in segno di resa. «Cerca di non farti male, Ash!» gli urlò in risposta, mentre lui le rivolse un ultimo enorme sorriso prima di fare un enorme salto portandosi entrambe le ginocchia al petto, esclamando un euforico “kaboooooom!”  e finendo dritto tra le onde con un sonoro tonfo rimbombante.
Margo rise di gusto dopo aver assistito a quella scena, pensando che, infondo, lui bambino non aveva mai smesso di esserlo, sia in modo positivo che negativo. Era un po’ come Peter Pan: la voglia di crescere non l’aveva mai coinvolto, anzi, l’aveva sempre spaventato a morte, quindi cercava di ritagliarsi quanti più momenti di felicità possibile per tornare bambino. Forse era anche la passione che metteva nelle cose che amava che gli impediva la crescita e questo, pensò Margareth, era un bene. Ma l’essere infantile aveva anche molti aspetti negativi e, di quelli, Ashton, ne era pieno zeppo fino al midollo.
Margo lo vide uscire dall’acqua, trionfante e gocciolante al tempo stesso, i capelli ordinati all’indietro che gli lasciavano il volto sorridente completamente scoperto da qualsiasi ciocca chiara e selvaggia. Non poté fare a meno di notare che, da quando si erano conosciuti, aveva messo su molta più massa muscolare, e forse era anche questo – insieme alle sue fossette – a far scatenare gli ormoni di qualsiasi donna a suon di rumba e lambada.
Ashton le si avvicinò e scrollò le spalle, liberandosi dalle goccioline marine, le quali caddero sulla pelle asciutta di Margo.
«Ashton, e che cazzo!» esclamò infastidita «evita di imitare un san Bernardo proprio accanto a me, porca puttana!» aggiunse rudemente, per poi agguantare un lembo del telo da mare ed asciugarsi le gambe formose. Lui, in tutta risposta, scoppiò a ridere di gusto, facendo nascere un’espressione arrabbiata sul volto di Margo.
«Non è divertente» commentò atona di fronte alla sua risata.
«Sentirti imprecare in questo modo sì, lo è»rispose lui, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano ancora leggermente bagnata.
«Anche darti un calcio nelle palle è estremamente divertente, lo sai?»aggiunse acidamente, per poi inforcare gli occhiali da sole.
Ashton ridacchiò ancora una volta, prima di stendersi a pancia in giù sul suo telo e passarsi una mano tra i capelli bagnati, ravvivandoli. Poggiò lo sguardo su di lei che, intanto, aveva ripreso a guardare il mare intensamente.
«Ci voleva, no?».
Margareth si voltò improvvisamente verso di lui. Distolse l’attenzione dallo spettacolo marino e lo guardò confusa e curiosa allo stesso tempo.
Ashton voltò di poco il capo, buttando leggermente la testa all’indietro per indicare il mare.
«Questo. Il mare – poi sorrise – noi».
Lei lo guardò negli occhi da dietro le lenti scure, e non poté fare a meno di sorridergli in risposta.
«Già» rispose in un sospiro. Ashton le fece un occhiolino, prima di posare entrambe le mani sul telo da mare e poggiarci sopra il capo per rilassarsi e dimenticarsi del resto del mondo.
Margareth lo fissò con la coda dell’occhio sotto la protezione degli occhiali da sole. Era tanto tempo che non passavano del tempo insieme così, da soli, senza che nessuno dei due avesse qualcosa da fare.
Lui era sempre in giro per il mondo a suonare, impegnato a portare la sua musica in un paese diverso giorno per giorno, ad uscire con una modella diversa giorno per giorno. Aveva una vita così piena di avvenimenti importanti, che il mondo seguiva e s’interessava a tutto ciò che facesse o dicesse, persino a come respirasse.
Quanto a lei, invece, la sua vita continuava ad essere magnificamente ignota. Si spaccava in quattro per pagare un affitto – aumentato, tra l’altro – di un misero e sporco bilocale in un vecchio palazzo rovinato.
Non aveva mai preso un giorno di malattia, lavorava fino alle tre di notte per poi ritornare al pub alle undici e trenta in punto del mattino successivo, maleodorante di fritto e cibo andato a male già di prima mattina.
Lo odiava quel posto, ma non aveva alcuna alternativa. Non aveva più tempo per i sogni.
«Sei troppo silenziosa. Stai pensando a un modo per uccidermi, per caso?».
La voce divertita di Ashton la distolse completamente dai suoi tristi pensieri, cogliendola di sorpresa. Abbassò le lenti degli occhiali per guardarlo meglio, senza che questi venisse coperto dalla penombra, poi fece una smorfia con le labbra. «In realtà ne ho trovati mille di modi per ucciderti. Siccome sono buona, ti lascerò scegliere la morte che preferisci!».
Ashton rise di gusto, il viso rivolto verso di lei ancora poggiato sulle mani. «Sei perfida!».
Margareth fece spallucce. «Dovresti ritenerti privilegiato. Ti sto dando l’opportunità di scegliere in che modo morire, non è una cosa che capita a tutti. Prima o poi dovremmo morire tutti, lo sai questo?!».
Lui ridacchiò ancora, scuotendo il capo. «Quanto sei pessimista, Dio mio!».
«Non è pessimismo, questo – ribatté, incrociando le braccia sotto al seno, leggermente imbronciata – si chiama realismo, Ashton».
«Scusami tanto, miss "vivailrealismo", se non mi piace pensare alla morte e a come vorrei morire» sbuffò in risposta. Lei fece una smorfia con le labbra, prima di togliere definitivamente gli occhiali e voltare nuovamente il capo verso il mare.
Si chiusero in un silenzio interrotto solo dai versi dei gabbiani e dalle onde.
Tra loro era così: si trovavano sempre lungo due visioni diverse che finivano per scontrarsi e contrastarsi fino a che uno dei due non l’aveva vinta o, semplicemente, fino a che un terzo non si mettesse in mezzo per farli smettere e per evitare di farli arrivare alle mani. Avevano sempre sfiorato la soglia delle botte, ma non l’avevano mai varcata del tutto, anche se Margo l’avrebbe fatto senza una minima esitazione. Aspettava quello scontro da anni.
«Non dirmi che stavi davvero pensando alla morte, adesso».
Nuovamente, la voce di Ashton interruppe quel silenzio che si era creato intorno a loro, aggiungendosi ai versi dei gabbiani e allo scrosciare delle acque del mare. Margo incontrò il suo ghigno divertito – leggermente coperto da un braccio, ma comunque visibile - per poi scuotere il capo in senso di diniego.
«E allora cosa ti passa per la testa?» le chiese, sinceramente interessato.
Margareth sospirò, abbassando di poco il capo mentre si torturava le mani. Poteva mai dirgli che si sentiva una fallita perché non era riuscita a realizzare nulla di quello che aveva prefissato per la sua vita? Che, fondamentalmente, non ci aveva nemmeno provato che subito si era buttata giù?
«Nulla» mentì, preferendo omettere la verità piuttosto che ammettere il fallimento dei suoi progetti.
Ashton arricciò le labbra. «Non è vero».
Margareth, allora, alzò di scatto il capo, guardandolo negli occhi. «Sì che è vero» ribatté, incrociando nuovamente le braccia sotto al seno.
Ashton ridacchiò. «No»
«Sì, invece»
«Non ci credo»
«E non ci credere».
«Andiamo Margo! - esclamò improvvisamente – guarda che puoi dirmi tutte le cazzate che ti passano per la testa, sono semplicemente io!». Detto questo, fece leva sulle braccia per alzarsi e sedersi sul telo proprio di fronte a lei, guardandola negli occhi. Solo così, pensò, l’avrebbe fatta parlare fino a farle svuotare la mente da qualsiasi cosa la assillasse.
«Non ho nulla, Ash, sul serio» sbuffò «sono solo... boh, non lo so cosa sono...». Abbassò nuovamente lo sguardo verso le sue gambe incrociate, richiudendosi a riccio nel suo silenzio infrangibile.
Ashton allungò una mano verso di lei, per poi sfiorarle una gamba con le dita lunghe.
«Quando fai in questo modo c’è sempre qualcosa che non va» disse, accarezzandole dolcemente la pelle «dimmelo, Margo, o farò in modo di buttarti in acqua con la forza e torturarti fino a quando non me lo dirai».
Margareth alzò di poco lo sguardo, sorridendogli grata e divertita allo stesso tempo, notando il solito ghigno sulle sue labbra. Ashton cercò di incastrare i suoi occhi nel migliore dei modi in quelli dell’amica.
«Lo sai che ne sono capace».
Margareth annuì, poi alzò di botto il capo. «Sono un fallimento, Ash» disse, tutto d’un fiato, sentendo le lacrime pungerle contro gli occhi.
Lui la guardò stordito, senza smettere di carezzarle la pelle. «Che intendi dire con questo, Margo?».
«Intendo dire proprio quello che ho detto, Ashton, letteralmente» sbottò, torturandosi le mani «sono un fallimento. Ho ventisei anni, e non sono riuscita a fare nulla di ciò che avevo in mente per la mia vita. Lavoro in un locale di merda e divido un bilocale con tre persone che a stento mi aiutano a pagare le bollette. Avevo intenzione di scrivere un libro, diventare una scrittrice appezzata perlomeno, ma i miei tentativi di stesura si sono fermati tutti al terzo capitolo. Sono talmente occupata che non riesco nemmeno a guardarmi in faccia, i miei capelli puzzano sempre di hamburger fritti e salse schifose, e poi...»
«Frena, Margo!» la interruppe Ashton. Le strinse di poco una gamba, sotto il suo sguardo confuso, poi le sorrise. «Innanzi tutto, i tuoi capelli non puzzano né di hamburger, né di qualsiasi altra salsa» ghignò divertito, facendole scuotere il capo. Pensò che fosse davvero incorreggibile, prima che Ashton continuasse a parlare.
«Non sei un fallimento, non lo sei mai stata, né lo sarai mai. Ritagliati del tempo per te stessa, lascia quel lavoro di merda e buttati a capofitto nella stesura del tuo libro».
Le prese una mano, carezzandogliela dolcemente, mentre gli occhi grandi di Margareth si soffermarono sul viso chiaro e cristallino di Ashton.
«Tu vali più di tutto questo. Dimostra a questa gente di che pasta sei fatta. Rischia, vivi la vita come viene!» esclamò, facendo comparire un sorriso amaro sul volto di Margareth. «E vieni via con me».
Margareth lo guardò negli occhi. «Venire via con te?» gli domandò confusa.
Ashton sospirò amaramente, per poi mordersi il labbro inferiore e stringerle ancora di più una mano, annuendo veemente col capo.
«Devo partire di nuovo» annunciò, una nota sofferente fece da protagonista nel suo tono di voce.
«Starò via un anno intero».
«Un anno intero?!» ripeté Margareth sconvolta, lasciando la sua mano per portarsela alle labbra.
Sapeva che non sarebbe rimasto tanto, d’altronde le sue visite erano sempre molto brevi e fugaci, ma sapeva – e sperava -  di poterlo rivedere dopo mesi. Quella notizia la spiazzò completamente.
«Perché così tanto tempo?» gli chiese, dopo qualche minuto di silenzio.
Ashton sospirò. «Promozione del nuovo album, tour nuovi in tutti i paesi... ci vorrà un bel po’ di tempo».
Margareth annuì col capo distrattamente, ma non spiccicò parola. Era una notizia troppo grande, una bomba troppo forte da poter fronteggiare ed accettare su due piedi in pochi minuti.
Sarebbe stata senza di lui per un anno intero.
«Per questo ti dico di venire con me! – esclamò Ashton, riafferrandole la mano – potremmo stare insieme, divertirci con gli altri, recuperare tutto il tempo perso. E poi potrai dedicarti al tuo libro in santa pace, senza che qualcuno o qualcosa possa disturbarti».
Le strinse ancora di più la mano, poi non poté fare a meno di guardarla negli occhi – per lui sempre puri ed innocenti, nonostante fossero cresciuti – avvicinandosi di più al suo viso, appoggiando la fronte contro quella dell’amica.
«Ti prego, Margo – sussurrò piano, come fosse la più dolce delle suppliche – vieni via con me».
E Margareth avrebbe davvero voluto rispondergli di sì, dirgli che l’avrebbe seguito fino in capo al mondo, se solo l’avesse voluto, a costo di somigliare a tutte quelle ragazze impazzite che avrebbero fatto follie per lui e per il resto dei ragazzi; l’avrebbe fatto senza pensarci due volte, perché era il suo migliore amico e, nonostante fosse un ciclone insopportabile, non averlo accanto era sempre una maledetta agonia. Avrebbe mandato tutto a puttane per girare il mondo e dedicarsi alla scrittura, sarebbe stata l’unione dei suoi due sogni perfetti, sarebbe stata un’esplosione di colori e di fuochi d’artificio dentro se stessa: il suo cuore rispose sì nel momento esatto in cui Ashton gliel’aveva proposto.
«Non posso, Ash...».
Ancora una volta, la sua razionalità era stata più rapida e scattante del suo cuore e aveva risposto per lei.
Appoggiò ancor di più la fronte verso quella di Ashton, che adesso teneva lo sguardo basso per non far trapelare quel misto di emozioni che gli si erano create dentro: era deluso, ferito, incazzato, triste.
«Perché?» le chiese in un sussurro, stringendole la mano.
Sentì Margareth ritrarsi alla sua presa. Lasciò che la sua mano tornasse nuovamente vuota e che i suoi occhi non fossero più pieni di lei. La vide mordersi il labbro inferiore e la sentì sospirare amaramente.
«Come faccio, Ash?! – spalancò di poco le braccia - Qui ho la mia vita, i miei impegni, il mio lavoro... e poi c’è Jaden...». Margareth sospirò il suo nome quasi come se fosse un peso, un macigno enorme che si stava portando nel cuore.
Sul volto di Ashton comparve quel ghigno sarcastico che intrappolava le sue labbra ogni qualvolta si trovavano a parlare di Jaden, il quale Margo trovava estremamente fastidioso.
«Giusto, il camerierino fidanzatino» la canzonò Ashton, una nota amara nella sua voce, alla quale, però, Margareth non fece caso.
Quest’ultima lo fulminò con lo sguardo, per poi dargli una pacca sul braccio. «Smettila di chiamarlo così».
Ashton alzò le mani in segno di scuse, ma il suo volto era ancora pieno di quel ghigno che Margareth ritenne irritante.
«Il fatto che tu lo odi non ti permette di prenderlo costantemente in giro. E’ pur sempre il mio ragazzo, e io sono la tua migliore amica, dovresti provare un po’ di rispetto nei miei confronti».
«Scusa» le disse, ma le sue labbra lo tradirono, facendo comparire nuovamente quel ghigno sarcastico e divertito.
Margareth sbuffò, incrociando le braccia. «Dico sul serio, Ash. Mi dà fastidio, smettila».
«Io non odio Jaden, te lo giuro, Margo!» esclamò lui in risposta, cercando di trattenere una risatina divertita per sembrare più veritiero possibile. Margareth lo guardò male, e lui intrappolò ancor di più il labbro inferiore tra i denti: non era così stupida da non capire che, quello che aveva appena detto, era una bugia.
«Dico solo che, se dovessi scatenare la mia rabbia a suon di botte su qualcuno, sceglierei casualmente lui».
Margareth si portò una mano sulla fronte, scuotendo il capo. L’aveva capito dal momento in cui gliel’aveva presentato che Jaden non gli andasse troppo a genio; poi però, quando quest’ultimo era diventato il suo fidanzato, ne aveva avuto la conferma vera e propria. Anzi, se era possibile, la sua intolleranza nei confronti di Jaden era aumentata ancora di più, fino a trasformarsi in battutine taglienti e commenti sarcastici ogni qualvolta – raramente, per fortuna – s’incontravano.
«Casualmente, eh?» ripeté Margo.
Ashton fece un sorrisino beffardo. «Come vedi, non ho mica detto di odiarlo».
Margareth arricciò le labbra. Era impossibile ragionare con uno come Ashton.
«E poi nemmeno io gli sto simpatico» aggiunse il riccio, per poi schioccare la lingua contro il palato. «Quindi siamo sulla stessa barca».
Sospirò amaramente. Era vero, Ashton non andava a genio nemmeno a Jaden, anzi, se quest’ultimo avesse potuto, l’avrebbe fulminato con uno sguardo e farlo sparire dalla faccia della terra. L’odio era reciproco e Jaden era geloso dell’amicizia che lo legava a Margo e del forte affetto che nutriva nei suoi confronti. Margareth l’aveva notato più di una volta, quando si erano visti tutti e tre per varie cene che era solita organizzare quando il riccio tornava da chissà quale parte del mondo: il modo in cui Ashton le cingeva dolcemente i fianchi per abbracciarla, o il modo in cui le pizzicava una guancia per prenderla in giro, o semplicemente il modo in cui discutevano per qualcosa di stupido, faceva sempre infastidire Jaden che, puntualmente, finiva per scontrarsi con Margo in una lotta inutile e dalla causa stupida. Era geloso di Ashton e odiava i suoi modi di fare, odiava il suo egocentrismo e il suo essere estremamente logorroico.
Ma soprattutto, odiava il modo in cui guardava negli occhi Margareth, perché gli faceva capire di essere di troppo tra quei due e sapeva che nessuno – nemmeno lui – era mai riuscito a guardare Margareth nello stesso modo in cui lo faceva Ashton.
«Mi pare di non aver mai detto nulla di negativo su tutte le modelle che ti porti a letto» sentenziò improvvisamente Margareth, uno sguardo accigliato sul volto.
«Oh, andiamo Margo! – esclamò lui, aprendo le braccia – loro sono simpatiche! E, a differenza del tuo ragazzo, sono anche molto, molto, flessibili... in tutti i sensi...» fece un ghigno malizioso «hai capito cosa intendo, no?».
«Ho capito, ho capito, Ash!» esclamò in risposta, coprendosi gli occhi con entrambe le mani per eliminare quella scena che si era appena fatta viva nella sua mente. «Sei il solito pervertito!».
Ashton rise istericamente per la reazione dell’amica, buttando la testa indietro e battendo le mani come un pazzo. Lei si scoprì lentamente il viso, arricciando le labbra per non dargliela vinta e scoppiare a ridere anche lei. Un sorrisino non riuscì a non sfuggire dalle sue labbra, ma Ashton era troppo impegnato ad asciugarsi le lacrime dalle risate per accorgersene.
Margo lo guardò per un po’ in silenzio, osservandolo a fondo mentre allungava le mani verso la borsa del mare ed afferrava il suo immancabile pacchetto di sigarette. Ne estrasse una con le dita lunghe – e leggermente rovinate, osservò Margareth – per poi portarsela alla bocca dolcemente, come fosse un qualcosa dal gusto invidiabile. L’accese con qualche difficoltà sotto lo sguardo di Margareth, poi indirizzò gli occhi chiari verso di lei e, senza dirle nulla, accennò un sorriso, intrappolando ancora con le labbra la sigaretta ormai accesa. Margareth sorrise in risposta e sentì le guance andarle a fuoco, mentre Ashton si voltò definitivamente verso il mare e cominciò a fumare la sigaretta indisturbato.
Lei osservò ancora il suo profilo, come fosse ipnotizzata, mentre una domanda le si formava nuovamente nel cervello: come avrebbe fatto senza di lui per un anno intero?
Immaginarlo lontano intorno al mondo, ogni giorno in chissà quale nazione, con fusi orari totalmente diversi, le provocò una fitta al cuore.
Non avrebbe più ricevuto chiamate in cui le veniva comunicato – con tanto di sottofondo di baldoria – il giorno preciso in cui sarebbe rientrato in città, suscitandole una strana carica emotiva. Adesso, le loro telefonate sarebbero state sporadiche, in orari assurdi e senza più quella certezza e quelle strane sensazioni adrenaliniche. Sarebbero state telefonate brevi, giusto per il necessario, per chiedere come stessero e come andassero le loro vite; poi avrebbero attaccato per un motivo o per un altro e si sarebbero sentiti chissà quando e chissà a che ora. Non si sarebbero detti quanto si mancavano a vicenda, troppo orgogliosi e troppo testardi com’erano, ma i toni delle loro voci l’avrebbero lasciato trapelare, facendo così nascere una strana e perpetua nostalgia negli animi di entrambi.
Quanto le sarebbe mancato Ashton, Margareth non sapeva spiegarlo a parole, né poteva introdurlo in una scala da uno a dieci: le sarebbe mancato come il sole in inverno, come una notte stellata ma senza luna, come il buio senza luce.
Perché era così che si sentiva, quando lui andava via: buia. Un cielo senza sole di giorno e senza luna di notte. E allora che magia era, una notte senza luna?
Vuota. Si sentiva vuota.
E non avrebbe di certo potuto affrontare settembre e tutti i suoi cambiamenti senza la sua luce, senza il suo migliore amico.
«Ashton» lo richiamò, con un tono di voce che le sembrò stranamente serio e così lontano da se stessa.
Il ragazzo sì voltò, la sigaretta ancora intrappolata tra le labbra salate e rosee, che fece venire in Margareth un desiderio di spegnerla ed assaporare quel sapore disgustoso dalle sue labbra.
Scosse il capo, scacciando quegli strani pensieri, sotto lo sguardo curioso di Ashton che, intanto, liberava delle nuvolette di fumo tramite le labbra.
«C’è anche un altro motivo per cui non posso venire con te» confessò, torturandosi le mani.
Gli occhi di Ashton divennero improvvisamente tristi. Inspirò ancora una volta dalla sigaretta.
«Ovvero?» domandò, liberando il fumo, poi fece un ghigno amaro «non dirmi che ti sposi».
Margareth sospirò: chiuse gli occhi ed aggrottò la fronte, cercando il coraggio per sputare fuori ciò che l’avrebbe tenuta lontano dal suo migliore amico. Quest’ultimo, infatti, notando il suo improvviso silenzio, sgranò gli occhi, tossicchiando per essersi strozzato col fumo.
«Margareth Ulbrier» balbettò, un tono di voce al di sopra del normale, lanciando lontano il mozzicone della sigaretta ormai finita «ti prego, non dirmi che ti sposi!».
«Oddio, Ash, ma sei pazzo?!» esclamò, spalancando di botto gli occhi. Si allungò velocemente verso di lui,  picchiettandogli una mano dietro la schiena pallida per farlo riprendere da quello shock. «Cazzo, no! No, no, no, non ci penso nemmeno!».
Ashton tossicchiò ancora, cercando di liberarsi dal fastidio che gli si era formato in gola, poi, una volta terminato, sospirò sollevato, portandosi una mano sul petto.
«Per poco non mi facevi morire, Margo» proferì, voltandosi verso il suo viso per guardarla negli occhi, causandole una leggera risata.
Entrambi rimasero in silenzio mentre si perdevano ognuno nelle iridi differenti dell’altro. Ashton pensò che, durante quel lungo anno senza di lei, probabilmente non avrebbe trovato nient’altro di così bello da ammirare per ore senza stancarsi mai. Allungò una mano verso il suo viso con l’irrefrenabile voglia di accarezzarle dolcemente una guancia, ma pensò che fosse altamente sbagliato; quindi si trattenne e si limitò a spostarle una ciocca dei suoi lunghi capelli castani dietro l’orecchio, facendo sì che non le coprisse gli occhi.  
«Che succede, allora?» le domandò, facendole un mezzo sorriso per farla sentire a suo agio.
Margareth sospirò, aggiustandosi meglio quella ciocca di capelli che Ashton le aveva spostato poco prima dal viso, cominciando a torturarsi nuovamente le mani.
“Ecco, si sta torturando nuovamente le mani” pensò Ashton, mordendosi il labbro inferiore terrorizzato “se non si sposa, allora vuol dire che è incinta di quell’idiota”.
Lei si allontanò dal suo viso, provocando in Ashton la voglia di attrarla nuovamente verso di se per non lasciarla scappare mai. Margareth arricciò leggermente le labbra.
«Mi hanno offerto un lavoro, Ash».
Era stato un sussurro impercettibile, quello di Margareth, ma lui era riuscito a coglierlo e aveva notato una nota sofferente nel tono della sua voce. Le fece un altro mezzo sorriso comprensivo, come se volesse tirarle fuori di bocca le parole che intendeva realmente dire.
«Wow» esclamò «questa è una bella notizia, Margo, almeno ti libererai di quel posto di merd...»
«Un lavoro in una scuola, Ashton. Come insegnante».
L’entusiasmo di Ashton si spense subito dopo quella confessione. Riuscì ad emettere solo un leggero “oh”, nient’altro. Si ricordò della notte di quattro anni prima, quando Margareth aveva assolutamente disprezzato l’idea di se stessa insegnante e a contatto con dei ragazzini presuntuosi ed indisponenti. Effettivamente, il ruolo di insegnante non aveva mai attratto nemmeno lui, ma quella era un’altra storia: si trattava di Margo.
Lei aveva scelto un’altra strada ed era sempre stata lontana da quella opzione, guardando quasi con orrore e con un lieve atteggiamento di disprezzo quella professione e invece, adesso, si era trovata a dover abbandonare la strada dei sogni per imboccare il viottolo stretto ed opprimente della realtà.
O meglio, della necessità.
«Capisci, adesso?!» sospirò amara, scuotendo il capo. «Insegnante, io! Ci sono cascata appieno, porca puttana!» aggiunse, accasciando poi il capo su una mano. Cominciò a singhiozzare veemente e non seppe nemmeno lei il perché. Si diede mentalmente della stupida, vergognandosi della figura di merda che stava facendo davanti ad Ashton per una misera cavolata. Dove sarebbe andata a finire?!
«Ehi, Margo, no... non piangere». La voce dolce di Ashton le arrivò calda e soffice all’orecchio, mentre una delle sue grandi braccia muscolose si attorcigliava dietro il suo collo. Lasciò che la sua ampia mano le accarezzasse dolcemente un braccio, poi incastrò il viso – ancora coperto – nell’incavo del collo del riccio.
Si sentì nel luogo giusto, tra le sue braccia e, ancora una volta, il pensiero di stare senza di lui per un anno intero si fece spazio dentro di lei, accoltellandola lentamente come la peggiore delle torture.
«Prendila con filosofia e cogli il lato positivo» convenne Ashton, accarezzandole leggermente i capelli «avrai una paga migliore, un po’ più di tempo libero per scrivere e, soprattutto... i tuoi capelli non puzzeranno più di hamburger!».
Margareth ridacchiò tra i singhiozzi, mollandogli poi uno schiaffo sullo sterno che fece ridere anche lui.
“Ecco” pensò “questo è il posto in cui vorrei rimanere per sempre. Questa è la risata che vorrei sentire per sempre”. Si diede ancora una volta della stupida, abbandonando quel pensiero assurdo.
Lei aveva un ragazzo. Lei aveva Jaden. Lei non poteva avere Ashton.
Il ragazzo scese con la mano verso il suo fianco, stringendola dolcemente, mentre Margo si rifugiava ancor di più col viso incastrato nel suo collo. Si perse nel profumo della sua pelle: sapeva di crema idratante al cocco, di sole e di mare.
«Chi ti dice che insegnare, prima o poi, non finirà per piacerti?» continuò Ashton, cercando di tirarle su il morale.
«Farò schifo, Ash. Lo so. Non ne sono capace» sospirò lei in risposta.
«Non è vero, Margo, non farai schifo – controbatté lui, stringendola ancor di più -  Tu non fai schifo. Tu sei migliore di chiunque altro». Detto questo, l’afferrò per le spalle e le portò un dito sotto il mento per farle alzare il capo ed incontrare nuovamente i suoi enormi occhi di cioccolata, rossi per il pianto e spaventati per il futuro.
Le sorrise dolcemente. «Tu sei tu, Margo. E, credimi, non esiste niente di meglio».
Margareth sorrise flebilmente dopo quelle parole, e il suo cuore perse un battito nel momento in cui gli occhi sinceri di Ashton le rivelarono quella che, per lui, era una verità.
Arricciò nuovamente le labbra, poi altre lacrime bastarde scesero copiosamente sul suo viso e, l’unica cosa che riuscì a fare, fu singhiozzare ancora e ripararsi nelle grandi braccia di Ashton, che l’avvolse in un caldo abbraccio.
Sentì le lacrime di Margareth arrivargli dritte al cuore e, tutto questo, gli provocò un’enorme voglia di tenerla al riparo e di proteggerla da qualsiasi altra cosa avesse potuto farla soffrire e spezzare lentamente.
Non si rese conto, però, che quella sofferenza gliela stava provocando lui stesso con le sue stesse azioni e con la sua imminente partenza.
La strinse forte ancora, godendosi quegli ultimi momenti di tenerezza, per poi lasciarle un bacio sulla nuca.
«Sarai un’ottima insegnante, Margo, lo so».
Sussurrò quelle parole come fossero un segreto troppo grande, come una verità immensa. Margareth sorrise tra i singhiozzi, per poi sciogliersi da quell’abbraccio.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, ridacchiando amaramente. «Gesù, sono pessima» imprecò, roteando gli occhi al cielo, con una strana voce nasale.
«Adesso puoi dire di aver visto ogni parte di me - tirò su col naso - dalla più cazzuta alla più pappamolla» scosse il capo, mentre un altro singhiozzo lasciò involontariamente le sue labbra. «Che cazzo di vergogna».
Ashton rise di gusto per quell’ultima imprecazione fatta dalla sua migliore amica. «Amo sentirti parlare in questo modo, Margo. Quando abbandoni quel tuo modo altezzoso da principessina del cazzo, sei veramente una scaricatrice di porto meravigliosa!». Sembrava quasi estasiato da quella reazione.
Margareth, in risposta, lo fulminò con lo sguardo. Lui alzò le mani in segno di scuse, ma non riuscì a trattenere un’ulteriore risata che, questa volta, coinvolse anche la ragazza.
Era impossibile non seguirlo a ruota, quando rideva. Era una di quelle risate contagiose che ti scaldavano il cuore e che ti si memorizzavano nel cervello come le migliori delle canzoni.
Margareth pensò che, quella risata, sarebbe stata in grado di far sbocciare i fiori dalla terra, un giorno.
In quel momento, però, si limitava soltanto a far sbocciare lei.
«E poi, io ho il diritto di vederti sotto ogni tuo aspetto» aggiunse lui, convinto «sei la mia migliore amica, Margo, chi ti conosce meglio di me?!»
«Susie» rispose lei, ovvia, annuendo col capo «e mia madre, ma quello è un caso a parte. Non essere troppo presuntuoso, Ash!».
Ashton incrociò le braccia al petto. «Così mi offendi».
Margareth rise per quella sua reazione. Aveva messo su quel broncio infantile da far invidia anche al migliore dei bambini capricciosi e lei non poté resistergli. Gli si avvicinò di poco, allungando la mano verso la sua nuca per infilargliela nei capelli, ormai quasi del tutto asciutti.
«Oh, poverino, non volevo offenderti» lo canzonò, scuotendogli di poco la capigliatura bionda «per farmi perdonare, ti comprerò il gelato!».
Ashton imbronciò ancor di più le labbra per trattenere una risata divertita, scoccandole poi un’occhiata fugace. «Al cioccolato?» .
«Al cioccolato» confermò lei, scompigliandogli ancor di più i capelli.
Ashton annuì col capo soddisfatto, così come il sorrisino che gli si era creato sulle labbra, cosa che fece ridere ancor di più Margo.
«C’è solo una parte di te che non ho visto ancora».
Margareth abbandonò la presa sui suoi capelli ed aggrottò le sopracciglia confusa, lasciando che le braccia le ricadessero lungo i fianchi. «Ovvero?».
Il sorriso ambiguo che le rivolse Ashton dopo la sua domanda, le fece quasi paura. Sentì la pelle accapponarsi mentre il biondo lasciava cadere lo sguardo prima su di lei e poi verso il mare repentinamente, in modo divertito.
«Non ci provare nemmeno, Ash» sussurrò lei dopo aver compreso cosa volesse fare.
«A fare cosa?» domandò lui, un tono fintamente innocente.
Ashton fece leva sulle braccia e si alzò dal telo da mare, le fossette ancora presenti sulle guance ad incorniciargli il sorriso.
«Lo sai cosa» soffiò Margareth, leggermente inviperita.
Lui scosse il capo freneticamente, alzando di poco le spalle. «Eh no, proprio non lo so».
Si preparò a ribattere il più acidamente possibile quando, improvvisamente, senza che lei potesse opporre resistenza, le braccia forti e muscolose di Ashton le cinsero la vita in una presa salda, sollevandola completamente da terra, lasciando che le sue gambe scalciassero inutilmente contro l’aria dall’odore marino.
«Mettimi giù!» urlò a gran voce, mentre lo spavento prendeva il sopravvento su di lei.
Ashton cominciò a correre velocemente verso l’acqua senza dare ascolto alle minacce e alle parole – certamente non di cortesia – che Margareth gli stava strillando nelle orecchie. Rise di gusto, facendola imbestialire e spaventare ancora di più. Sentì le sue mani piccole ed esili stringersi intorno alle sue spalle e al suo collo e, per un attimo, pensò che lo stesse per strangolare; solo dopo si rese conto che lo faceva per sentirsi al sicuro e meno sola ad affrontare l’immensità del mare.
Prese la rincorsa ancor più velocemente una volta arrivato con l’acqua a metà delle ginocchia e, sempre con le urla spaventate - e anche divertite - di Margo nelle orecchie, si tuffò insieme a lei, lasciando che le onde salate capovolgessero entrambi.
Margareth sentì l’acqua attraversarle i polmoni dolcemente. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla pacatezza del mare e dalla sua profonda tranquillità. Il mondo si era spento intorno a lei e, per un attimo, dimenticò chi fosse e dove si trovasse, raggiungendo la pace più assoluta.
Si stupì della calma che c’era sotto il velo d’acqua trasparente che, certe volte, le faceva un’immensa paura quando si rivoltava contro il mondo, aizzandosi in alte onde travolgenti e spaventose.
Sentì quanto il mare le appartenesse solo in quel preciso istante: erano uguali.
Celavano la loro agitazione sotto uno strato di calma apparente la maggior parte delle volte e poi... bastava quel poco per farli scatenare e rivoltare contro le crudeltà altrui. 
Solo quando la presa di due mani forti s’impossessò dei suoi fianchi, si ricordò completamente dove fosse.
Le mani di Ashton la sollevarono fuori dall’acqua, facendole prendere un grande respiro per farle arrivare l’aria ai polmoni. Si era anche dimenticata che bisognava respirare, per sopravvivere.
Notò che gli occhi di Ashton erano leggermente preoccupati quando la sentirono tossire.
«Tutto bene, Margo?» le domandò, avvicinandosi di poco.
Annuì impercettibilmente col capo, tossicchiando ancora e guardandosi di poco intorno. Gli occhi le bruciavano da morire, così come i polmoni. Abbandonò il silenzio marino e ritornò alla confusione terrestre.
Voltò lo sguardo verso Ashton – sicuramente più sollevato, adesso – prima di alzare con la mano una manciata d’acqua verso il suo viso.
«Stronzo» soffiò in sua direzione, mascherando un ghigno divertito, mentre quello cercava di ripararsi dagli schizzi di Margo.
«Dai – ridacchiò allegramente, cercando di bloccarle le mani – ti ci voleva, no?».
Afferrò le sue mani tremanti in una forte presa sicura, sentendo gli occhi di Margareth incenerirlo pian piano. Si avvicinò di più al suo viso leggermente spaventato, e le sorrise dolcemente, cercando di infonderle sicurezza.
«Hai avuto paura?» le chiese teneramente, stringendo ancor di più le sue lunghe dita contro le sue mani.
«N-no...» balbettò lei insicura, cercando di nascondere la codardia.
Amava il mare, eppure, era sempre stata spaventata a morte dall’opzione di affrontarlo in quel modo.
Le labbra di Ashton fecero fuoriuscire uno sbuffo divertito. «Stai tremando, Margo».
 «Ho solo freddo, Ashton» lo rimbeccò e si richiuse a riccio, aggrottando le spalle per poi guardarlo male.
Ashton non seppe resistere dal trattenere un sorriso tenero e comprensivo e, quasi senza accorgersene, richiuse le sue braccia contro le spalle di Margo, cercando di donarle calore e, soprattutto, del conforto.
Lei, in risposta, abbandonò la codardia e si lasciò abbracciare, ricambiando in un modo fin troppo goffo, che fece ridacchiare l’amico. Non era abituata a certi scambi di tenerezza.
«Adesso ho visto ogni parte di te, Margo» le sussurrò in un orecchio, mentre la sua presa si faceva più stretta intorno ai suoi fianchi.
«Sai che fortuna» bofonchiò lei, facendolo ridacchiare.
Si strinse in quell’ultimo abbraccio ricordandosi, ancora una volta, che presto sarebbe andato via e che lei, presto, avrebbe iniziato un qualcosa di nuovo, ma sarebbe rimasta da sola. Con un cuore a metà.
«E’ una fortuna, sì» aggiunse Ashton. Le carezzò dolcemente i capelli, frenando quelle lacrime bastarde che avrebbero voluto fuoriuscire dai suoi occhi. Non poteva mostrarle la sua debolezza, in quel momento: la stava abbracciando per l’ultima volta.
«E’ una fortuna» ripeté ancora, stringendola verso il suo cuore «perché mi piace ogni minima parte di te».
E quello, fu il suo modo di dirle quanto le sarebbe mancata. 

 
Hola people! :D 
Eccomi tornata - sfortunatamente - con il terzo capitolo di questa storia! 
Diciamo che, questo capitolo in particolare, è stato una vera tortura. Un parto in grande stile, direi!
Giuro, mi ha fatto penare, tant'è che, dopo averlo finito, non ho scritto per almeno due giorni hahaha mi sono dovuta prendere una pausa, tanto che mi aveva sconvolto!
By the way, a me - ovviamente - non piace affatto com'è uscito, però vabbè, ormai il danno è fatto! Forse l'unica parte che mi piace di questo capitolo è la fine, dove c'è questo momento fluffissimo tra i due che devono dirsi addio per un anno intero ç_ç che tristezza, mamma mia!
Ad ogni modo, il prossimo sarà più decente, davvero. Cioè, a me non piace lo stesso, però c'è una parte che ho particolarmente a cuore e che non vedevo l'ora di scrivere, anche perché è stata proprio quella parte a convincermi a scrivere la storia c:
Sì, adesso mi rendo conto che, forse, era meglio se mi fossi stata ferma e non avessi scritto nulla hahahah 
Comuuuunque, qui vi lascio tutti i miei contatti tra twitter, facebook, e ask, nel caso in cui vogliate anche solo insultarmi :D 
Vi ringrazio infinitamente anche solo di esservi soffermate a leggere il capitolo! (che, ribadisco, fa schifo) 
Un bacionee :*
Mary 
  
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