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Autore: beeEnene    26/02/2015    7 recensioni
Quando Harry si iscrive in quella strana agenzia spera tanto che non si tratti della solita organizzazione che sfrutta la gentilezza delle persone per arricchirsi. Ha fatto delle ricerche e sembra che la A.S.M.I.G (Agenzia Supporto Militari in Guerra) sia davvero una agenzia che offre aiuto e supporto, soprattutto morale, ai soldati in guerra.
La lettera dell'agenzia per Harry arriva la prima metà di Novembre, è concisa ed essenziale, così decide di iniziare dalla piccola fototessera allegata. Harry si accoccola sul suo letto, stringendo le ginocchia al petto e tenendo alta la foto davanti al viso: lo guarda per ore. Non ha ancora letto la sua scheda, non sa neanche come si chiama, semplicemente sembra voler assorbire tutto quello che c'è da sapere su quell'uomo dal suo viso.
Il pomeriggio del giorno seguente Harry conosce a memoria la scheda di Louis William Tomlinson, soldato di Doncaster di stanza in Afghanistan.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Voi.

No one is saved alone.

 

Quando Harry si iscrive in quella strana agenzia spera tanto che non si tratti della solita organizzazione che sfrutta la gentilezza delle persone per arricchirsi. Ha fatto delle ricerche e sembra che la A.S.M.I.G (Agenzia Supporto Militari in Guerra) sia davvero una agenzia che offre aiuto e supporto, soprattutto morale, ai soldati in guerra. 
Quando torna a casa con il portachiavi che lo identifica come membro dell'A.S.M.I.G sua madre è molto fiera di lui. 
«È una bella cosa, Haz. Fai del tuo meglio, qualunque sarà la persona che ti verrà assegnata» gli dice, baciandogli la fronte, anche se deve alzarsi in punta di piedi per farlo. 

«Non ti hanno ancora chiamato?» domanda Eleanor, la sua migliore amica, mentre cerca di trovare la sua lettera nel caos senza fine della sua borsetta. Il pullman frena all'improvviso e Harry le passa un braccio intorno alla vita per non farla cadere. Eleanor si rimette comoda sulle sue ginocchia e lascia che la tenga saldamente: gli ovvi problemi dello stare seduti in due nel posto di uno. 
«Odio i pullman così pieni» sbuffa lei, lanciando un'occhiataccia all'autista e borbottando un «ma chi te l'ha data la patente?»
«El, ricordami di regalarti un trolley per Natale, in quella borsa non ci sta tutto quello di cui hai bisogno!» la prende in giro bonariamente. 
«Taci Styles»lo rimbotta. «Eccola, l'ho trovata!» Eleanor apre la busta bianca e porge la lettera ad Harry, che la scorre velocemente.
“Niall J. Horan; 23 anni; Mullingar, Irlanda. Altezza: 178 cm; occhi: azzurri; capelli: biondi; carnagione: chiara. Di stanza a Najaf, Iraq. Genitori separati, un fratello maggiore sposato, un nipotino a cui è molto legato. Ama: sport, Irlanda, buon cibo, famiglia, calcio, cappellini da football, telefilm, boybands. Odia: guerra. Nessun incidente subito fino al 3 c.m.”

«Conciso» commenta Harry quando finisce di leggere.
«Lo so» concorda Eleanor, guardando la lettera, che ormai conosce a memoria, del soldato a cui dovrebbe mandare un po' di sano affetto e supporto. 
«È tutto qui?» 
«No.» Eleanor tira fuori una piccola polaroid dalla busta e la porge a Harry con un sorriso tenero. «Era insieme alla lettera.»
La foto ritrae un ragazzo con un gran sorriso sincero, un ciuffo di capelli biondi sfugge da sotto il pesante elmetto e la pelle chiarissima è bruciata dal sole dell'estremo Oriente. Tiene sotto braccio un commilitone, così si intuisce dalla divisa mimetica, ma che probabilmente milita nell'esercito iracheno, data la suacarnagione più scura e la bandierina appuntata sul petto. 
Sembrano due normali ragazzi, di quelli che incontri ad una festa e ti offrono da bere una pinta in allegria. Eppure dietro di loro si intravedono un cartello trivellato di colpi di mitra, un carro armato con la bandiera delle Nazioni Unite sulla fiancata e una tenda verde militare.  
Voltandola, trova una scritta: “Niall e Zayn, 12.04.12”.
Harry fissa a lungo la foto, facendo ipotesi su come si siano conosciuti Zayn e Niall e immaginando migliaia di momenti che potrebbero aver vissuto insieme. Si sente vicino ai due amici soldati e allo stesso tempo gli sembra di invadere la loro privacy. In fin dei conti in guerra non ti rimane molto altro se non i sentimenti, se riesci a tenerteli stretti. 
«Fai del tuo meglio El, sembra un bravo ragazzo» dice Harry, un po' inquieto. La ragazza annuisce e gli lascia un bacio tra i capelli. 
«Non ho voglia di andare a fare shopping, ti va un frullato?» gli chiede poco dopo, quando sono riusciti finalmente a scendere dall'autobus. Harry solleva lo sguardo dalla strada su cui l'aveva fissato rimuginando sull'immagine di Niall e Zayn: qualcosa non gli torna. Eleanor è una ragazza, ergo non rinuncerebbe mai a fare shopping e per di più i frullati sono l'alimento preferito di Harry, mentre lei pensa che siano solo una fonte di calorie. 
«E la dieta?» chiede Harry. 
«Oh, fanculo. Cioccolato e fragola? Alla salute di Niall e Zayn!» risponde Eleanor, prendendolo a braccetto e trascinandolo verso la gelateria preferita di Harry.  

La lettera dell'agenzia per Harry arriva la prima metà di Novembre, 
«così che la lettera che scriverete arrivi al soldato prescelto in tempo per Natale» c'è scritto. 
Harry ha le mani tremanti e la testa piena di idee che gli sfuggono una dopo l'altra. La lettera è molto simile a quella di Eleanor, concisa ed essenziale, gli basta uno sguardo per capirlo. Così decide di iniziare dalla foto, sperando che anche per lui ce ne sia una allegata. Questa volta non è una polaroid come quella di Niall e Zayn, ma una minuscola fototessera: il piccolo spazio è occupato dal viso di un uomo. Ha un accenno di sorriso sulle labbra fini che non si estende fino agli occhi -di una sfumatura di azzurro intenso, nota Harry. I capelli castani sono schiacciati da un berretto da parata mentre il viso tondo è sfinato da un filo di barba. Harry si accoccola sul suo letto, stringendo le ginocchia al petto e tenendo alta la foto davanti al viso: lo guarda per ore. Non ha ancora letto la sua scheda, non sa neanche come si chiama, semplicemente sembra voler assorbire tutto quello che c'è dasapere su quell'uomo dal suo viso. 
La prima sera si addormenta con la foto del soldato sul cuscino e la mente piena di perché sulla guerra che non avranno mai una risposta. 


Il pomeriggio del giorno seguente Harry conosce a memoria la scheda di Louis William Tomlinson, soldato di Doncaster di stanza in Afghanistan. 

Ha chiamato Eleanor per chiederle quale sia, secondo lei, il modo migliore per fargli sapere che loro ci sono: la sua migliore amica gli ha suggerito di scrivere qualcosa, in fin dei conti è la forma consigliata dall'agenzia. Così Harry, la foto di Louis - è confortante chiamarlo con il suo nome di battesimo- accanto al foglio bianco, prova a buttare giù qualche idea. Si presenta, dice qualcosa di sè, parla della stima che ha per lui e quello che fa, accenna al tempo meteorologico e alla sua carriera scolastica per poi tornare a elogiare l'operato delle truppe: alla fine il foglio è pieno di cancellature e frasi così sconclusionate che Harry lo accartoccia con rabbia, buttandolo sul pavimento. 
Si addormenta sulla scrivania dopo aver lanciato contro il muro il ventesimo tentativo di lettera. Louis lo veglia tutta la notte con il suo sorriso appena accennato. 


È passata una settimana, il tempo stringe e Harry non ha ancora la lettera per il suo soldato Louis. Nessuna delle cose che scrive sembra andare bene e fatica ad esprimere in una frase coerente i suoi sentimenti. 

Perché Harry è molto legato a quella questione: suo zio, a cui era molto unito, è morto in guerra otto anni prima. Al tempo Harry era troppo piccolo, ma sua madre faceva di tutto per far sapere al fratello che a casa lo aspettavano tutti, che c'erano un sacco di persone che gli volevano bene e che aspettavano il suo ritorno. Questo lo ha spinto ad iscriversi a quella agenzia.
Probabilmente anche Louis vuole sentirsi dire quelle cose: parole semplici che gli ricordino una routine che per lui sta diventando un ricordo sbiadito, parole che lo facciano sorridere e parole di conforto che lo aiutino a resistere. Harry non sa se quel qualcosa che lui farà sarà d'aiuto a Louis, ma spera tanto di sì.

È a scuola adesso e gioca distrattamente con la cover del suo cellulare, dentro la quale ha nascosto la foto di Louis. Non vuole perderla, ma si è ritrovato ad avere bisogno di guardarla nei momenti più disparati per cui da un paio di giorni la porta sempre con sé. 

Il mezzo sorriso di Louis, paradossalmente, gli è familiare quanto quello di sua madre o di sua sorella.
«Haz, pranzi con me? Devo iniziare un progetto e mi avevi promesso una mano!» la voce del suo migliore amico, Ben Winston - il ragazzo più grande della classe con la passione per le polaroid- lo riscuote dal pensiero di Louis. 
«Te l'avevo promesso? Sicuro?» chiede Harry, fingendosi molto seccato. Ben sbuffa e, prendendolo per un braccio, lo trascina in mensa. 
«Che progetto devi fare?» chiede Harry finendo di mangiare la sua merenda. 
«Devo girare un video per un concorso musicale della scuola. In poche parole io entro dalla porta d'ingresso della scuola e filmo ogni persona che incontro e queste persone devono cantare tutte la stessa canzone, sia che si tratti del preside o dell'ultima matricola. Il video, una volta montato, mi farà guadagnare sicuramente il primo premio!» dice Ben entusiasta. 
«Non mi sembra una cattiva idea» commenta Harry. «Come mai un video?» chiede. 
«Un video è più d'impatto» inizia a spiegare Ben. «Con un video trasmetti allo stesso tempo la musica, che cattura l'attenzione del pubblico, la parola, che mantiene l'attenzione e anzi la accresce, e, ultime ma non meno importanti, le immagini. Le immagini, amico mio, sono la carta vincente. Dando la possibilità a chi ascolta di vedere anche qualcosa, tutto sarà più interessante. Per non parlare dell'impatto che danno sulle menti di chi guarda: con il linguaggio spontaneo del corpo si possono trasmettere emozioni che contribuiscono alla buona riuscita del progetto, che ti permettono di raggiungere il tuo scopo» conclude Ben, le guance leggermente imporporate per l'entusiasmo. 
Harry annuisce meccanicamente mentre fissa con crescente interesse la videocamera che Ben ha posato sul tavolo. 

«Ben, sei un fottuto genio!» sbotta improvvisamente. 
«Come scusa?» domanda Ben, sollevando su di lui uno sguardo confuso. 
«Un video! Devo registrare un video!» esclama entusiasta. «Andiamo, Winston muoviti! Dobbiamo finire il tuo progetto entro e non oltre l'orario scolastico, stasera ho da fare!» Harry salta su in piedi e, afferrata la videocamera, si dirige verso l'entrata dell'istituto. 

Quel pomeriggio Harry è seduto sul bordo del suo letto davanti ad una videocamera e ha tutta l'intenzione di trasmettere a Louis tutti i suoi sentimenti. 

«Louis? Louis stai bene?»
Voci concitate gli arrivano alle orecchie, appena udibili sopra un fischio che gli sta perforando il cervello. 

«Feriti?»
«Porca troia.»
«Qualcuno mi aiuti!»
«Uomo a terra. Chiamate rinforzi.»
«Ce n'è uno anche qui. Respira ancora.»
«Rettifico: uomini a terra.» 
«Louis?» È l'ultima cosa che sente.

Louis si sente mancare l'aria e tossisce così forte che la gola sembra in fiamme. Qualcuno gli solleva appena il capo e gli porta qualcosa alle labbra. È un bicchiere pieno d'acqua. Louis non si era accorto di avere così sete fino a quel momento. Deglutisce in fretta e cerca di berne il più possibile: l'acqua sembra placare il suo malessere diffuso per qualche momento perché appena riposa la testa sul cuscino, si addormenta di nuovo.

«Tomlinson?» La voce del generale.
Louis sente le ciglia intrecciate e le palpebre così pesanti da dover dare fondo a tutte le sue poche forze per aprire gli occhi. La luce è soffusa -per fortuna- e lui, ad una prima occhiata, si trova all’ospedale. Strizza gli occhi e quando li riapre riesce a mettere a fuoco la figura del generale: altezza media e baffoni, sembra uscito da un libro di storia.
«G-generale» saluta. Pronunciare quella parola gli costa più di quanto voglia ammettere, ma bisogna sempre mostrarsi saldi di fronte ai superiori. 
Interroga velocemente il suo corpo, constatando con piacere la presenza di tutti e quattro gli arti, di tutte le venti dita e di entrambe le orecchie.

«Tomlinson, finalmente! Cominciavamo a temere per il peggio.»
«Sto... È ok» strascica Louis, dandosi un'ultima occhiata veloce e non scorgendo bende troppo insanguinate. 
La sua memoria è frammentaria, non ricorda assolutamente come sia arrivato nell'infermeria e ha solo qualche ricordo di ciò che è successo prima. 

Lui e altri tre soldati sono scesi dalla camionetta, in un villaggio quasi del tutto spopolato; ha il mitra carico. Ha fatto qualche passo tra le case, notando i muri trivellati di colpi. Stan, alla sua sinistra, gli ha fatto un cenno ed è entrato in una strada laterale. Nick e Ed, alla sua destra, gli hanno indicato un bidone sospetto al bordo della strada. 
Ricorda i pochi passi per avvicinarsi, ricorda Ed lanciare un sasso per accertarsi non ci siano mine antiuomo, ricorda Nick fare un passo arrivando quasi ad un metro di distanza dal bidone. 

Louis chiude gli occhi improvvisamente, con forza. 

E poi? Cosa è successo poi? 
«Louis?» ancora la voce del generale che lo tiene ancorato alla realtà. Non ricorda, il passo successivo sembra essersi cancellato dalla sua memoria. 
«Generale? Dove sono i miei compagni?» chiede con la voce incerta. Stringe un pugno. 
«Sheeran e Grimshaw sono nella loro tenda, stanno bene, solo qualche ammaccatura» risponde, breve. Louis rilascia il pugno e, sempre ad occhi chiusi, umetta appena le labbra. 
Poi un rumore di spari riempie la sua mente e, di riflesso, stringe forte il labbro inferiore tra i denti, fino a farlo sanguinare. 

«E Stan?» domanda ancora, questa volta con la voce dannatamente flebile. Non osa aprire gli occhi, ma sente il generale trattenere il fiato e poi, infine, sospirare. 
«Lucas è… Caduto durante l'imboscata» esala dopo un altro respiro. 
Louis non riesce a trattenere un gemito. 
«Non Stan, non Stan, non Stan» ripete nella sua testa. Non lo stesso Stan con cui ha condiviso l'adolescenza e con cui si è arruolato. Non lo stesso Stan che gli ha coperto le spalle prima con sua madre e poi in quella guerra. 
Louis sente quel briciolo di umanità e sentimenti che gli erano rimasti andare in fumo come carta imbevuta di olio. 

Il fischio nelle sue orecchie è ritornato, più forte di prima, e a questo si somma una raffica di mitragliatrice, fulminea e letale. 
Vede se stesso voltarsi al primo colpo, abbassarsi e correre, nascosto da un muretto di mattoni che per fortuna riceve i proiettili al posto suo. Non lo vede ancora. La mitragliatrice tace e finalmente riesce a sentire un grido. Corre, badando di restare in vita, fino a quando non vede il corpo di Stan, a terra, il mitra poco lontano.

Louis probabilmente inizia a piangere, forse urla anche, poi un ago penetra sottile e preciso nella carne morbida del polso e semplicemente smette di pensare.

Louis sa di essere in convalescenza da più di due settimane perché il ragazzo steso accanto a lui tiene il conto con delle “x” su un foglio: è il 10 Dicembre. 
L'inattività forzata a cui lo hanno costretto delle schegge di lamiera nelle gambe e una costola incrinata non gli permette di sfogare il suo dolore e così Louis si chiude in sé stesso, mangia il minimo necessario per accontentare i medici e non parla con nessuno se non per chiedere dosi extra di sedativi. I sedativi lo aiutano: chiude gli occhi e aspetta che quelli spengano il suo cervello. I pensieri sono troppi, alle volte troppo confusi, alle volte troppo chiari, ma il risultato finale è sempre lo stesso: sofferenza. E Louis è arrivato a sentirsi in colpa anche per quella sofferenza, perché è vero che sta male e il dolore delle volte è insopportabile, ma almeno lui prova qualcosa, quindi significa che è vivo. 
Lui è vivo e il suo migliore amico non lo è più. 
Ha anche smesso di chiamarlo per nome, sia nei suoi pensieri che con le poche persone che gli hanno fatto domande a proposito dell'accaduto. Quel nome così familiare, così semplice, di cui aveva abusato quando lui era in vita, adesso non riesce a sputarlo fuori. 

Gli hanno mandato una psicologa -una ragazza bionda con gli occhi azzurri incastrata in una divisa militare e che fatica a camminare con gli anfibi- che il primo giorno gli si è solo seduta accanto, ad occhi bassi, senza dire nulla. A Louis ha suscitato simpatia, soprattutto per il suo rispetto, ma ha subito represso quel sentimento. 

Il secondo giorno la psicologa si è presentata - «Sono Perrie, vengo dall'Inghilterra anche io.»- e gli ha teso una mano che Louis ha solo guardato, poi sono rimasti in silenzio. 
Perrie è venuta a trovarlo per tre giorni, aggiungendo ogni giorno una frase in più, ma Louis non le ha mai risposto. Vorrebbe, Perrie non gli ha fatto nulla di male, ma sa che dopo lei gli farebbe altre domande, e alla fine gli chiederebbe di parlare di lui e Louis non vuole. 

È il 14 Dicembre e anche il quarto giorno che Perrie si presenta in infermeria. 
La prima cosa che i soldati in territorio di guerra imparano è dormire con un occhio e mezzo aperto, e questa abitudine salvavita non sparisce solo perché si è costretti in un ospedale, anzi spesso non sparisce neanche quando si torna a casa. Per questo Louis ormai riconosce il suono irregolare degli anfibi di Perrie sulle pianelle, ma quella mattina c'è qualcosa di strano. 
«Buongiorno a tutti!» esclama allegra la psicologa. Sulle spalle ha un sacco di juta dall'aria non molto pesante e sia Louis che gli altri soldati nel camerone la guardano confusi. 
«Lo so» inizia «di solito arrivo in silenzio, non faccio saluti plateali e al massimo porto con me il velo e una bottiglia d'acqua.»
Il soldato più vicino a lei ridacchia: Louis osserva che Perrie quella mattina sembra il sole, è raggiante e ha portato un sorriso a tutti. 

«Che hai nel sacco, Pez?» chiede Irwin, un ragazzetto dall'aria così innocente che Louis lo rispedirebbe a casa subito per evitare che si metta in pericolo, ancora. 
Perrie intanto ha posato il suo fardello e sta passando uno sguardo malizioso su tutti i presenti. 

«Secondo voi?» indaga, allargando il sorriso. 
«Cioccolato?» risponde un primo.
«Sigarette? Se sono sigarette dillo subito perché ne ho bisogno più di questa maledetta aria!»
«Libri?»
«Musica?»
«Una radio per ascoltare la cronaca dei mondiali?»
«Carta e penna?»
«Se sono giornaletti porno mi dissocio.»
Ognuno ha detto la sua, suscitando, chi più chi meno, l'ilarità dei commilitoni. 
«Secondo te cosa c'è nel sacco, Louis?» 
Quello, sentendosi interpellato, guarda un po' stralunato la psicologa che attende una risposta, così come gli tutti gli altri. 
Si schiarisce la gola, ma non riesce a spiccicare parola: non ha idea di cosa ci sia in quel dannato sacco e gli è passata anche la curiosità di scoprirlo. 
Perrie intuisce il suo cambio d'umore, perché torna a rivolgersi al resto del suo pubblico. 
«Tra un po’ è Natale giusto?» esordisce. 
Louis, a quella parola, sprofonda la testa nel cuscino. Dalle brandine si solleva un coro si giubilo e fischi che Perrie mette a tacere con un cenno. 
«Una società no profit inglese ha organizzato una speciale iniziativa per voi, proprio in occasione del Natale. Hanno mandato le vostre cartelle alle persone che hanno scelto di aderire e queste vi hanno mandato dei regali. Sono soprattutto lettere, insieme ad alcune foto, qualche video e, il mio preferito, una dedica scritta sulla carta per avvolgere una barretta di cioccolato!» 
Sulle prime i militari rimangono in silenzio, sinceramente sorpresi da quello slancio di affetto incondizionato, tanto più che proveniente da persone sconosciute. 
«Dici sul serio, Pez?» chiede Irwin -Ashton- con la voce flebile. Sembra ancora più bambino in questo frangente. 
«Sono serissima» risponde la psicologa con un sorriso dolcissimo. «E la barretta di cioccolato con dedica è proprio la tua, Ash!»
Il ragazzo si illumina immediatamente, spinge appena con le gambe per potersi poggiare con la schiena al cuscino e rivolge un enorme sorriso a Perrie. 

La voce gli si spezza appena sull'ultima lettera quando 
«Da Michael» legge sul retro della tavoletta, appena lei gliela porge.
«Aprila, su» lo incoraggia Perrie.
Guardarlo mentre cerca di scartarla per leggere la lettera al suo interno è uno strazio per tutti: nonostante le fasciature gli impediscano di usare le mani lui si impegna disperatamente per riuscire in quel l'impresa. Aprire quella busta significa dimostrare a sé stesso che ce la può ancora fare. 

Ashton è un artificiere. È rimasto ferito insieme ad un amico durante il disinnesco di una mina antiuomo; il ragazzo ha perso due dita della mano destra e tre di quella sinistra e, parzialmente, anche l’udito.
Sta litigando con l'involucro da ormai troppo tempo, il suo sorriso entusiasta si è spento in un'espressione frustrata che diventa disperata quando, con un suono secco, la tavoletta si spezza. Ashton la fissa, piegata innaturalmente tra le sue mani inerti, con gli occhi sgranati che si vanno velocemente a riempire di lacrime.

«Faccio io, posso?» Si intromette pronta Perrie. Scarta velocemente la tavoletta e gli porge la lettera: sembra davvero molto lunga, Louis conta almeno cinque fogli scritti fittamente fronte e retro. Ashton li tiene con le mani tremanti, poi solleva lo sguardo e «Pez, puoi chiudere, per favore?» sussurra. 
«Certo piccolo» risponde Perrie, e si affretta a chiudere le tendine attorno alla sua brandina, lasciandogli un po'di intimità. 
L'entusiasmo nato dopo l'annuncio di Perrie è svanito nel nulla e la psicologa stessa, adesso, consegna i regali ai destinatari senza soffermarsi in battute e risate, come sicuramente aveva progettato di fare. 
Lascia Louis per ultimo. 
«Il tuo è il video» esordisce. «Ha mandato anche il necessario per guardarlo.»
Louis fa tanto d'occhi e Perrie si affretta a precisare: 
«Non è nulla di che, solo un piccolo Ipod con questo video e qualche canzone, il caricabatterie e degli auricolari.» 
Louis è ancora più sbalordito: chi è questo pazzo benefattore che manda in Iraq un Ipod solo per fare gli auguri di buon Natale ad un soldato? Perrie gli consegna la scatolina contenente ciò che già gli ha elencato e Louis se la rigira tra le mani. 
«Puoi chiudere anche qui?» borbotta infine Louis. 
Perrie annuisce. 
Tutti i soldati hanno chiuso le tendine, nessuno è pronto a mostrarsi in un momento di debolezza.

È scesa la notte, attorno a lui si sentono i respiri pesanti degli altri convalescenti. 
Durante il pomeriggio Louis ha sentito qualche singhiozzo e qualche piccolo grazie sussurrato al nulla, così sincero da far venire il magone. 
Invece lui non ha neanche scartato il suo regalo, figurarsi se ha provato qualche moto di gratitudine verso il misterioso mittente. 
Però ha osservato attentamente la scatola: la carta che la avvolge è azzurra e decorata con degli arabeschi bianchi, piegata con cura negli angoli, fissati con piccoli pezzi di scotch, e tenuta insieme da un nastro argentato arricciato su un lato. I riccioli sono stati schiacciati, probabilmente durante il trasporto, ma Louis, nel complesso, lo trova davvero carino. 

Cerca un bigliettino o una scritta che gli facciano capire almeno il sesso del mittente, ma non lo trova. Così fa delle supposizioni: il pacchetto è fatto bene ma non è perfetto mentre la carta ha un tocco femmineo.
Louis trascorre quasi un giro d'orologio a pensare a come sia il mittente del pacchetto, e si accorge a malapena di essere scivolato nel sonno. 
Quella è la prima notte in cui il pensiero di Stan lo tormenta solo dopo essersi addormentato.

Louis ha aperto il pacchetto senza stracciare la carta. L'ha riposta nel cassetto del comodino, insieme ai suoi effetti personali. 
Attaccato sulla scatola trova il primo vero bigliettino: un piccolo post-it con su scritto “Per Louis”. La grafia è rotondeggiante e un po' sbilenca, gli ricorda il modo di scrivere sbrigativo degli studenti durante una lezione. 
Se dovesse fare un’ipotesi, direbbe che si tratta di una mano maschile, ma non è mai stato bravo con gli indovinelli. 

Dopo due giorni Louis, aperta anche la scatola, ha finalmente trovato il coraggio di accendere l'Ipod e guardare il suo video, ma non appena stacca il polpastrello dal pulsante di accensione sullo schermo appaiono una batteria rossa e la scritta “collegate il caricabatterie”. 
Sbuffa sonoramente e gli scappa pure una mezza bestemmia. 
Si rigira un paio di volte tra le mani quell'insulso affarino prima di decidersi a prendere il caricabatterie dalla scatola. Non se lo aspettava ma quest'ultimo sembra abbastanza rovinato: ha un paio di giri di nastro bianco isolante su un paio di punti. Con ancora più disappunto scopre che vicino a lui non c'è una presa, così è costretto ad aspettare Perrie e chiederle di attaccarlo da qualche parte.

«Ne ho trovata solo una in corridoio, te lo riporto quando torno per il giro serale, ok?» dice lei. Louis si finge noncurante ma per un attimo gli passa per la mente l'idea che se qualcuno tocca “l'insulso affarino” ne risponderà a lui. 
In due giorni non ha pensato al suo migliore amico per ben quattro ore. 

«Ecco a te, Louis. Ora dovrebbe funzionare» dice Perrie porgendogli Ipod e filo bianco. Louis prova sollievo nel vederlo sano e salvo ma, non sa neanche lui il perché, non vuole mostrarlo. 
«Uhm» grugnisce, spostando lo sguardo altrove. «Lascialo sul comodino.»
Perrie però rimane al suo posto, ancora con il braccio teso verso di lui. 

«Per favore» aggiunge Louis, pensando si tratti solo di mancata buona educazione, ma Perrie solleva le sopracciglia e gli indica l'Ipod con lo sguardo.
«Lascialo sul comodino, per favore» ribadisce. 
«Dovresti proprio guardarlo, invece» mormora Perrie sibillina. Louis solleva di scatto la testa, come se la psicologa gli avesse rovesciato addosso un secchio d'acqua gelida. 
«L'hai aperto?» sibila. C'è un tono minaccioso nella sua voce e, in effetti, si sente parecchio arrabbiato. Violato, soprattutto. Aveva iniziato a considerare “l'insulso oggettino” come un segreto solo suo, mentre adesso qualcuno l'aveva violato. Con uno scatto strappa l'Ipod dalle mani di Perrie e lo nasconde sotto il cuscino. 
«Oh, no, no, no! Non ho guardato nulla» si affretta a spiegare Perrie. «Semplicemente quando l'ho staccato dal cavo di alimentazione è apparso il salvaschermo e... bè...» le sue parole, da appassionate, diventano un borbottio. Louis si sente appena più sicuro, ma è anche nervoso per aver permesso a se stesso di reagire così aggressivamente. 
Sta dando troppa importanza a qualcosa che invece non ne ha. 

Louis non tocca più l'insulso oggettino per due giorni, e chiede di nuovo una dose extra di tranquillanti.

«Ehi, Tomlinson? Sei sveglio?» 
Louis è intento a fissarsi la punta dei piedi da almeno un'ora; se si concentra riesce persino a spegnere il cervello, cosa che gli dà un estremo sollievo, in quei giorni. 
La voce del suo vicino di branda -tale Payne- lo riscuote. 
Louis grugnisce e si volta. 
«» risponde di mala voglia. Payne lo accoglie con un allegro sorriso sul viso pallido. 
«Vuoi un pezzetto di cioccolato?» chiede lui, minimamente turbato dai modi da orso di Louis. «Ashton ha voluto dividerlo con noi.»
Louis abbassa lo sguardo e in effetti Payne gli sta porgendo un vassoietto dorato su cui spiccano, come pietre preziose in un forziere pirata colmo di ricchezze, quadratini di cioccolato. 
Qualcosa in lui si smuove: avere a portata di mano quel lusso, così raro in tempo di guerra, lo riscuote dal suo stato apatico. 
Per la prima volta da quando è stato ferito non si deve imporre di mangiare per compiacere i medici ma vuole farlo solo per puro piacere.
«Dai, Tommo, guarda che lo finiamo tutto noi» ride Payne, sporgendosi dalla branda per avvicinargli il vassoio. 
Louis sembra in stato confusionale e, se non avessero tutti dei fantasmi con cui convivere, forse il suo comportamento sarebbe irritante. Invece Payne aspetta pazientemente, in quella posizione scomoda, che Louis si decida ad allungare la mano. 
Louis per un secondo passa lo sguardo dal suo camerata al vassoio alla sua mano, abbandonata sul copriletto azzurrino. La fissa e, nella sua mente, sembra chiederle di muoversi, persino per favore. Reagisce rapidamente, cosa di cui lui stesso si stupisce, e la sua mano esita appena sopra il vassoio dorato prima di individuare un pezzo che gli piace e afferrarlo. 
Payne dice qualcosa, qualcun altro gli risponde, ma Louis non ci bada. 
Si sente un po' ridicolo ma... È emozionato per un quadratino di cioccolato! 
Era ancora un bambino l'ultima volta che si è emozionato per una piccolezza simile: allora aveva otto anni e aveva appena ottenuto un bastoncino di zucchero filato. 
Il calore delle sue dita inizia ad ammorbidire il cioccolato, che dal colore sembra al latte -neanche il suo preferito. 
Un piccolo sorriso gli increspa il viso mentre lo avvicina alla bocca: raschia appena un bordo con i denti, perché vuole goderselo. Subito percepisce il dolce stuzzicargli il palato. Sarà che non ne mangiava da quasi sei mesi, sarà che nelle ultime settimane è andato avanti per inerzia, fatto sta che le sue papille gustative sono in fibrillazione. 
Le piccole scagliette di cioccolato che ha tagliato si sciolgono a contatto con la lingua e Louis sente la salivazione aumentare istantaneamente, mentre anche il suo stomaco gorgoglia impaziente. 
Allora ne morde un bel pezzo, quasi metà, felice davvero come un bambino, mentre tutta la bocca è pervasa dal sapore corposo e pieno del cioccolato. Non lo mastica, aspetta che gli si sciolga in bocca e poi inghiottisce con un sospiro. Fa lo stesso con la metà restante e alla fine si lecca anche il residuo che è rimasto sulle dita.Sente come una scossa di piacere e, guardandosi le braccia, nota di avere la pelle d'oca. 
«Grazie, Ash» dice, a voce abbastanza alta affinché lui lo senta. È la prima volta che rivolge per primo la parola a qualcuno da quando è stato ferito. Ashton gli sorride e gli fa un cenno con il braccio ingessato. 
Al primo infermiere che passa, Louis chiede di chiudere le tendine. 

Louis ha ancora il sapore del cioccolato sulle labbra e ha tirato fuori l'Ipod da sotto il cuscino. Lo ha poggiato sul copriletto, con lo schermo rivolto verso il basso, ma tiene il pollice sul tasto rotondo.
«Spero che la batteria sia ancora carica» pensa. Un pensiero futile, con il quale pensa di nascondere a se stesso l'ansia per quello che sta per vedere.                              
Gli è decisamente sfuggito il momento in cui è diventato così importante il video di quello sconosciuto- o sconosciuta, ancora non è sicuro. 
Ma l'essere riuscito a fare qualcosa solo per il gusto di farlo e non perché imposto, lo ha scosso talmente tanto da sentirsi pronto a quel passo. 
Ha i muscoli così tesi che fatica a coordinare i movimenti, così, con uno scatto che non aveva proprio programmato, il suo pollice preme il bottoncino. Louis vede una piccola lucina illuminare il copriletto. 
«Dai, Louis, male che vada sarà una di quelle immagini trash da pagina Facebook» si dice ancora. 
La lucetta si è rispenta, così Louis si porta l'Ipod davanti al viso, e ripreme. 
Il primo istinto che gli viene è quello di chiudere gli occhi, ma si impone di non farlo e fissa con intensità lo schermo, ora illuminato. 
Ciò che vede lo confonde e lo turba, gli procura tante emozioni in un unico nanosecondo da fargli socchiudere la bocca e risucchiare tutta l'aria possibile.    
Niente immagini trash o paesaggi o macchine o pin-up dallo sguardo malizioso: quello che lo guarda dallo schermo dell'Ipod è un ragazzo. Un bambino, non esiterebbe a definirlo sua madre, ma Louis è uscito dall'adolescenza abbastanza di recente da saper ancora riconoscere uno di loro. E quel ragazzetto-preferisce definirlo così, è una buona via di mezzo- sicuramente naviga ancora tra libri, autobus, bulletti e occhietti dolci alla ragazza più bella della scuola.     
Louis preme convulsamente il tastino dell'Ipod, per paura che quel mezzobusto sparisca dalla sua visuale.                
Lo osserva con l'attenzione che generalmente si dedica ad un quadro d'autore, cercando di scorgerne ogni sfumatura. Sul suo viso da adolescente, completamente glabro, incorniciato da una massa di riccioli scuri, spicca una bocca color ciliegia appena socchiusa, che custodisce una fila di denti d'avorio e la punta della lingua, ed è la probabile causa -così Louis immagina- della fossetta appena accennata sulla guancia sinistra. Altro particolare, impossibile da non notare, sono gli occhi, occhi così grandi e così verdi e limpidi da non poter appartenere ad altri che ad una persona spensierata. 
Gli dà una forte sensazione di pace guardare quegli occhi. Qualsiasi sia la sua storia Louis è sicuro che nessuno oserà mai fargli del male, perché sembra una creatura venuta sulla terra per restituire speranza nella vita. 
Un istinto irrefrenabile lo spinge ad associare la figura nello schermo al pezzetto di cioccolato che ha appena mangiato: gli hanno fatto lo stesso effetto, lo hanno riscosso 
dall'apatia. In effetti non gli era mai capitato di fare tante supposizioni su uno sconosciuto, che per di più vedeva solo in foto, come non gli era mai capitato di immaginare che tanto bene potesse risiedere dentro una persona sola. 
Non è mai stato uno di quelli convinti che dentro ogni essere umano ci sia del bene, quelle sono le sue sorelle, ma loro non si sono ancora affacciate alla vita. Al contrario, lui, per i suoi ventitré anni -tra qualche giorno ventiquattro- ha visto quel genere di cose che si imprime indissolubilmente sulla pelle. Ma non a fuoco, no, se si imprimessero con il fuoco sarebbero delle ustioni ben visibili, delineate da linee nette e scure, e basterebbe sollevare la manica di un maglione o il risvolto di un pantalone per mostrarle agli altri; parlerebbero quelle bruciature al posto di chi le porta. Invece quelle che sente di portare Louis addosso sono cicatrici disegnate con l'inchiostro simpatico, visibili solo al buio. Quando il caporeparto passa a dare la buonanotte e a spegnere la luce, quando anche il soldato di guardia si concede di chiudere gli occhi, appoggiato al suo fucile, quando il silenzio sovrasta il respiro composto dei suoi commilitoni, quando dal vetro antisfondamento delle due piccole feritoie un raggio di luna lotta senza successo per entrare, allora anche Louis riesce a vedere le cicatrici che solcano il suo corpo. Sembra che un bambino si sia divertito a riempire ogni centimetro della sua pelle di linee argentate, peccato che non ci sia niente di gioioso in esse: ogni millimetro di quelle linee è un dolore invisibile dentro di lui.
L'inchiostro simpatico ha la cattiva abitudine di apparire solo al buio, e al buio, si sa, si è soli. Perciò Louis non ha bruciature che raccontano una storia: se vuole, quella storia la deve raccontare lui, con la sua voce.            
Louis non sblocca lo schermo, non cerca il nome del ragazzo, guarda solo la foto fino a quando la batteria dell'Ipod non è completamente scarica. 

Quella notte sogna di averlo davanti, vestito con la giacca nera, la maglia grigia e la borsa in spalla, come nella foto. Semplicemente lo guarda fino a quando alle sue spalle non compare una seconda figura: è il suo migliore amico, ma non guarda lui, come faceva di solito nei suoi sogni- incubi, adesso fissa il ragazzo riccio.

Ed e Nick sono appena andati via dalla camera dell'ospedale in cui si trova. Appena entrati, Louis ha notato due cose: Ed è ancora più pallido di quando viveva in Inghilterra e il sole lo vedeva solo sotto forma di adesivo attaccato alla sua chitarra e Nick ha perso quel guizzo nei modi di fare e nel parlare che aveva spinto Louis prima a volergli spaccare la faccia e poi a ridere a crepapelle per le sue imitazioni di Bella Swan di Twilight.
Si erano presentati in pantaloni mimetici, anfibi e maglia verde con il cognome appuntato sul cuore e, dopo un breve saluto a Perrie, dalla quale probabilmente erano in cura anche loro, avevano camminato spediti verso la brandina di Louis. 
Il colloquio con i suoi amici, o meglio con le persone a cui affidava la sua vita durante le missioni, era stato formale e composto, con le domande di rito al momento giusto, qualche aggiornamento sul meteo e sull'andamento della guerra per il convalescente e, infine, la promessa di tornare presto a trovarlo e l'augurio di rimettersi in fretta. 
Louis pensa tutto il pomeriggio ad un aggettivo per definire quel colloquio ma ce n'è uno solo che gli martella il cervello: arido. 
Non vuole credere che si sia tutto inaridito fino a quel punto, ma la realtà dei fatti è stata come uno schiaffo in piena faccia. 
La consapevolezza della perdita del suo migliore amico ritorna prepotente, con il suo bagaglio di emozioni, soprattutto sofferenza, dolore e insicurezza. 
Louis chiede una mezza dose di sedativi, ma mentre aspetta di cadere nel sonno guarda lo schermo del suo Ipod, con gli occhi verdi del ragazzetto che inondano tutto il suo campo visivo.

Louis ha sbloccato lo schermo, ha aperto tutte le App possibili: le note le ha trovate vuote, la cronologia di YouTube e Google inesistente e nessuna sveglia salvata o timer da avviare. Al contrario nel rullino delle foto ha trovato salvate altre tre immagini: una di un gatto nero e bianco con un collarino rosso; una nella quale ricompare il ragazzetto dello sfondo seduto su una sedia in un giardino con una ragazza bionda e sorridente sul suo grembo; e l'ultima è di nuovo una sua foto. Questa volta ha una bandana tra i capelli e una camicia sui toni del blu e del viola, una tracolla di cuoio sulla spalla e un sorriso appena accennato. Tiene il braccio dietro la schiena, una posa che gli dà un'aria imbarazzata e impacciata che intenerisce Louis. 
Lo stesso Louis che, ad un giorno dal suo compleanno e a due da Natale, non ha ancora avuto il coraggio di aprire il suo video-regalo. Anche adesso, esplora ogni singolo anfratto dell'inutile oggettino pur di evitare la cartella “video”, che sembra spiccare tra le altre con la sua bella icona di viola brillante. 
I primi giorni era troppo preso dalla foto del ragazzino, poi ha cominciato a dirsi di voler aspettare,perché in effetti è un regalo di Natale ed è meglio aprirlo quel giorno. 
La verità, che ovviamente Louis stesso si guarda bene di ammettere anche a se stesso, è che non sa cosa aspettarsi e questo lo rende nervoso, per cui è molto più semplice inventare qualche scusa o voltarsi da un'altra parte. 

Quella mattina Perrie gli ha chiesto se aveva voglia di alzarsi dal letto e Louis ha risposto di sì. Indossa pantaloni e maglietta, ma deve rinunciare agli anfibi, perché pesano troppo. Nella tasca esterna mette l'Ipod, perché sentire quel piccolo peso addosso gli infonde un po' di coraggio.
I primi passi sono incerti, sia perché le ferite provocate alle gambe dalle schegge di lamiera erano molto profonde e non si sono ancora rimarginate sia perché gli gira la testa, ma alla fine, con l'aiuto di Perrie e di una stampella, riesce ad uscire dalla stanza. 
Il corridoio continua per metri e metri sia alla sua destra che alla sua sinistra e il pavimento azzurrino è descrivibile solo con l'aggettivo “ospedaliero”.
«Guarda, finalmente qualche faccia nuova» cinguetta Perrie, «ormai conoscerai alla perfezione ogni centimetro della faccia di Liam» conclude ridacchiando.
«Di chi?» chiede Louis. Avrebbe voluto ascoltarla con più attenzione, ma per un momento, uscito dalla sua stanza, è stato sopraffatto dal conflitto tra la gioia per la piccola libertà conquistata e la consapevolezza che fuori da quelle quattro mura c'è ancora un mondo, che è andato avanti senza di lui.
«Liam!» risponde lei con fare ovvio, «Liam Payne, il tuo vicino di branda.»
«Ah, sì» dice atono.
Perrie, mezzo nascosta sotto il suo braccio, solleva la testa per guardarlo. Non l'ha detto né agli altri né tanto meno a Tomlinson, ma quella è la sua prima missione e Louis è il suo primo vero paziente e sta cercando di fare di tutto per aiutarlo, ma fare breccia nella sua corazza sembra un'impresa impossibile. Eppure, da quando si sono visti la prima volta, ha deciso che non si sarebbe arresa con lui, perché -e questo glielo ha insegnato sua nonna e non il professore- le persone che sembrano più forti sono in realtà quelle che hanno più bisogno di qualcuno che le ascolti.

«Quando sei stanco dimmelo, così torniamo indietro» soggiunge allora la psicologa, continuando a fissare il suo profilo dal basso: deve aver serrato i denti, perché la mascella è un'unica linea contratta. 
Louis sente la mano di Perrie carezzargli il fianco, incoraggiandolo, ma sa che in qualunque direzione si muoveranno incontreranno altri soldati, altre storie, altra sofferenza, e, anche se è un pensiero egoista, non riuscirebbe mai a farsi carico anche delle difficoltà altrui. 
Così solleva lo sguardo e, davanti a lui, alta e trasparente, c'è una finestra. 
«Avviciniamoci alla finestra, Pez, per favore» dice Louis, muovendosi già in avanti. 
Louis posa le mani sul marmo freddo del parapetto e il respiro arranca su per la gola mentre litiga con la maniglia per aprirla. 
«Louis non sono sicura che si possa...» prova Perrie, venendo completamente ignorata. 
Louis si sente come in apnea, e l'unica cosa che deve fare adesso è aprire quella dannata finestra. Quando alla fine il meccanismo un po' impolverato decide di collaborare Louis spalanca entrambe le ante, butta fuori la testa e prende il respiro più profondo della sua vita. 

L'aria dell'Afghanistan è polverosa, afosa, bollente come un bacio, e Louis la respira a pieni polmoni. 
Ricorda che appena atterrato su quella terra, quando il portello dell'aereo si era aperto, la prima folata d'aria gli aveva bruciato la pelle del viso, screpolato le labbra e seccato la gola. Ora la accoglie come una benedizione: era dannatamente stanco di quell'aria forzata nelle condutture. Quella che respira adesso solletica il naso, attiva le sue terminazioni nervose e riporta alla mente ogni piccolo ricordo vissuto in quei luoghi. 
Cerca di spaziare anche con la vista, ma di fronte a lui c'è solo una parete grigiastra con tante file di finestre. Così guarda in alto e si concentra sul cielo azzurro del pieno della mattinata
Rimane un poco così, respirando sempre più piano e con lo sguardo sempre più perso, finché una vocina non gli chiede: 
«Come è il tuo regalo?»
Louis aggrotta le sopracciglia, si morde l'interno della guancia ma non smette di guardare lontano. Perrie tace. 
«Io...» A lei può dirlo, non andrà certo a spifferarlo a qualcuno -anche ammesso che qualcuno possa essere interessato al suo piccolo regalo di Natale- eppure è così difficile aprire la bocca e far vibrare le corde vocali in quel momento. 
In fin dei conti Louis è in cura da lei perché i suoi superiori hanno ritenuto necessario affidarlo ad una psicologa, dopo il trauma della perdita del suo migliore amico. 
E allora perché Perrie gli chiede del video? Anche lei, come Louis, sta perdendo di vista il suo vero obbiettivo? 
Louis non deve pensare ad un ragazzino sconosciuto dagli occhi verdi, il suo migliore amico non merita di essere messo da parte così velocemente e per un motivo così inconsistente. 
«Non l'ho ancora visto» borbotta alla fine Louis. Perrie sembra confusa. 
«Mi chiedi ogni giorno di ricaricare l’Ipod» inizia la ragazza, «se non guardi il video, come consumi la batteria?» 
Louis si volta, stupito: Perrie è una specie di Sherlock Holmes in gonnella e nessuno lo ha avvisato? Quasi ridacchia. 
«Guardo... Io guardo le sue foto» chiarisce. 
«Sue di chi? » Louis arranca dietro le domande della psicologa: per quante risposte riesca faticosamente a darle lei ha sempre pronta una nuova domanda da porgergli. 
Deglutisce e 
«Sue del ragazzino che ha mandato il video» dice, «o almeno presumo che sia lui.»
Perrie piega appena la testa di lato. 
«Com'è?» 
Louis si chiede che diavolo di domanda sia quella. 
«È... È un ragazzino. Ha i ricci scuri, la pelle chiara e gli occhi verdi.»
La psicologa si picchietta un dito sul sorriso appena accennato. 
«Sembra bello, descritto così.»
Di quello sconosciuto Louis ha pensato tante cose da quando il suo mezzobusto gli si è impresso nella mente, ma non si è mai soffermato a definirlo bello. Tocca di sfuggita la tasca laterale del pantalone dove ha riposto l'Ipod: non l'ha mai definito bello perché è una constatazione troppo ovvia. 
La ruga sulla fronte di Louis non accenna a distendersi. 
«Immagino di sì» risponde laconico. 
«Come si chiama?» insiste Perrie. Sembra che la sua missione del giorno sia bombardare Louis al limite del metaforico. 
«Non lo so.» 
«Come non lo sai?» Salta su Perrie, «Il nome è probabilmente la parte più importante di una persona.»
Louis le dà immediatamente ragione.
«Senti, forse quel video dovresti guardarlo: ormai è quasi Natale, tutti i tuoi compagni hanno scartato il loro regalo, manchi solo tu» dice dolcemente la ragazza. 
Louis vorrebbe dirle che muore dalla curiosità di sapere il nome del ragazzetto e sentire il suono della sua voce e vederlo muoversi e respirare, ma ha paura, di cosa non lo sa davvero, e tace.   
«Sono un tipo tradizionalista, i regali la mamma ce li faceva aprire solo il venticinque mattina» sdrammatizza lui, con un sorriso che deve incoraggiare più lui che Perrie.  
«Ma il tuo compleanno è domani, considera quel video un regalo per questa occasione e guardalo domani!» insiste la psicologa.
Louis trattiene il fiato, perché il ragionamento di Perrie fila benissimo.
 «Accompagnami alla branda, sono stanco» conclude, e Perrie annuisce abbassando la testa. 

Mezzanotte. Play.

Lo schermo è occupato da qualcosa di scuro, Louis non capisce cosa sia. Poi il ragazzino inizia a parlare. «È partita? Ben mi ammazza se la rompo... Accidenti ma... È partita? Aaaargh... Sì, okay, ci sono. –Si allontana dall’obbiettivo, si siede sul bordo del letto, passandosi una mano tra i ricci; sembra agitato. Solleva una mano e la agita piano.- Ehm, ciao Louis, spero che non ti dispiaccia se ti chiamo per nome, ho provato a pensare questo discorso dandoti del lei, del “signor Tomlinson” ma... Non è proprio il mio genere, scusa. –Fa un sorriso.- Io sono Harry, ho diciannove anni e abito nel Cheshire. Ti chiederai come mai la scelta del video, mi rendo conto che è insolita. Premetto che ho passato un numero imbarazzante di giorni a scrivere pagine su pagine che sono regolarmente finite nel cestino della spazzatura. Ero al limite della disperazione quando Ben -oh, Ben è il mio migliore amico d'infanzia, qualche volta lo nominerò ma sai, è come parte della famiglia, chiama mia madre per nome- stamattina in mensa mi ha parlato di un progetto che sta realizzando per la scuola e ha detto che un video è il supporto migliore per trasmettere messaggiperché puoi combinare le parole al linguaggio del corpo, che è il più spontaneo che esista. Quindi ecco spiegato il perché della mia scelta, spero che ne sarai contento. Piccola avvertenza: l'iPod è vecchiotto, lo so, ma se lo carichi regolarmente ogni sera resisterà ancora un sacco di tempo! Detto questo... –Si passa una mano sul viso.- Oddio, mi rendo conto di aver fatto l'introduzione più noiosa e priva di senso che potessi ma ho deciso che il video che vedrai sarà il primo che registrerò, con tutti gli errori e le frasi incompiute del caso, per il motivo già detto: voglio che questo mio messaggio sia spontaneo. Sai, ho sentito parlare dell'associazione che mi ha dato la tua scheda e che ti recapiterà il video dalla mia amica Eleanor. Oh, lei per queste cose sembra fatta apposta, ha un dono nel saper confortare le persone. Io non so se sono bravo, nessuno ha mai avuto bisogno di meper risolvere grandi problemi. Ma, dicevo, quando ho sentito parlare dell'operato di questa associazione mi sono informato bene e, alla fine, mi sono iscritto. Mi hanno anche dato un portachiavi, guarda! –Si avvicina alla telecamera e sventola un portachiavi, una semplice medaglietta con il logo dell’associazione.- La tua scheda mi è arrivata poco più tardi, ma è scarna, anonima pur riportando informazioni sensibili. Dice che hai gli occhi azzurri, sì ma azzurri come? Sai, perché un conto è avere gli occhi azzurri come il cielo, un conto è se sono azzurri come pochi centimetri d'acqua. –La sua faccia è serissima mentre lo dice, sembra che sia una questione davvero importante. Louis cerca di dare una risposta e si rende conto che non lo sa, ha sempre considerato i suoi occhi solo azzurri, come se ne vedono tanti in Inghilterra.- Dice anche che sei di Doncaster,-sentire nominare la sua città gli procura una fitta di nostalgia- sono stato a Doncaster a vedere una partita di calcio con mio zio quando ero bambino. –La sua voce si abbassa improvvisamente, perde un po’ della sua allegria, come il suo viso, che si fa triste.- Sai, anche mio zio era un militare... –Smette di guardare l’obbiettivo.- Dico “era” perché ora è, ehm, morto, quando avevo solo dieci anni. È un po' anche per lui che mi sono iscritto: mi ha fatto da padre quando il mio vero ci ha lasciati. Sai, ho una foto di me bambino infilato dentro un suo anfibio- ma sono davvero tantograndi da farvi stare un bambino? Me lo sono sempre chiesto!- Poi è stato mandato in missione, era prossimo al rientro e... Qualcosa è evidentemente andato storto, oppure lui adesso sarebbe di sotto a litigare con mia madre su quale sia il migliore dei Beatles. Sì, ho pensato che le parole di supporto che non ho potuto dire a lui le avrei potute rivolgere a qualcuno che ancora ne aveva bisogno o che semplicemente voleva ascoltarle, ecco perché sono andato lì.
-
Armeggia con il cellulare, poi ne tira fuori una fototessera.- Mi hanno dato anche una tua piccola -piccolissima, a dire il vero, guarda, ci sta nella custodia del telefono!- foto, per questo te ne ho lasciata anche una mia sull'iPod, nel caso volessi vedere la mia faccia prima di vedere il video. Sarei curioso di sapere se hai guardato subito il video o meno. Nella foto sembri fiero, con un pizzico di orgoglio misto a felicità, mi piace!–Louis si fa appena più vicino allo schermo: ha sentito bene? Harry sembra andare letteralmente a fuoco e cerca di salvare il salvabile.- Voglio dire, la foto mi piace… Ti immagino come un ragazzo volenteroso che un giorno ha ricevuto una e-mail e una mattina ha preso il suo borsone, ha abbracciato la madre e le sorelle -la tua scheda dice che hai ben cinque sorelle, complimenti! Io ne ho una, è quella nella foto che ti ho lasciato in galleria, faccio finta di essere annoiato dalla sua preoccupazione nei miei confronti ma in realtà è la mia persona preferita sulla terra - dicevo? Ah sì, e poi magari hai anche dato un cinque al tuo fratellino e sei uscito di casa. Le motivazioni che spingono ad arruolarsi possono essere varie, ma non si sceglie di combattere per la Patria senza amarla almeno un po', vero? E non intendo le colline verdi e questa dannata pioggia che cade praticamente il novanta percento dell'anno, impedendoci di abbronzarci, no. Bè in realtà... Forse è anche quello, ma questo paese è composto da tutte le persone che lo abitano, e quindi tu combatti anche per loro. Per noi, anzi. Conoscere personalmente –sì, so che non ci conosciamo davvero personalmente ma aver dato un volto e un nome concreti ad uno di voi ragazzi che state lì e combattete per noi... Mi fa sentire al sicuro. –Fa una pausa. Louis assorbe le sue parole e si sente in subbuglio. Harry ha abbassato il tono di voce, ora è cadenzata e salda, deve essere entrato nel vivo del suo discorso e lui, allo stesso tempo, non vede l’ora di ascoltarlo e ne è spaventato.- E anche grato. Grato perché fai il mestiere più vecchio del mondo, che rimane tuttora uno dei più pericolosi e difficili. Rischi la vita ogni ora di ogni giorno, in un paese straniero, lontano da casa e dagli affetti e pure da questa dannata pioggia. E forse quando sei da solo nella tua brandina e tutti dormono ti chiedi perché hai fatto questa scelta, se a casa pensano a te, se a qualcuno di noi che andiamo avanti con le nostre vite e facciamo drammi di futili problemi interessa qualcosa di te. Ebbene ecco il primo motivo per cui sono qui: ci interessa, a me interessa. Io voglio dirti a chiare lettere che, pur non essendo la tua famiglia, mi interessa di te, di saperti sano e salvo.Se ti chiedi il perché è qualcosadifficile da capire e quasi impossibile da riferire a parole: è un legame tra qualunque persona e voi soldati, perché tu stai compiendo una missione che comporta un sacrificio immane e io, che sono qui nella mia casa, al caldo, desidero ripagarti come posso, offrendoti la mia gratitudine e il mio supporto incondizionato. –Nessuna parola al mondo servirebbe a spiegare quello che Louis sta provando, perché dare voce ai suoi sentimenti è sempre stato terribilmente difficile per lui mentre Harry lo fa con naturalezza e precisione. Sì, si è sentito spesso in quel modo, e le cose sono solo peggiorate da quando è costretto in quel letto d’ospedale. E invece adesso sta riacquistando fiducia nella sua scelta, la considera ancora la cosa giusta per lui. Se Harry si sente grato per il lavoro che fa lui, Louis si sente altrettanto grato che questo sia riconosciuto. Ci si può sentire comunque soli leggendo un comunicato militare dal ministero della Difesa che ringrazia i soldati, possono essere terribilmente generali e freddi. Mentre Harry ha un viso e una voce.- Ho provato ogni giorno ad immaginare come devi sentirti, e chiedo già scusa se qualsiasi delle mie parole ti infastidirà o ti farà pensare: “stupido ragazzino, non sai niente di me o di cosa prova un soldato in guerra, zitto”.È vero, non so niente ma ti immagino. –No! sussurra Louis al buio. È esattamente il contrario: come fa lui a sapere tante cose di lui senza averlo mai conosciuto né essere mai stato in guerra?-Speri solo di sopravvivere e tornare a casa, ti volti dall'altra parte nella tua brandina e diventi egoista, perché la voglia di vivere è un sentimento ancestrale contro cui non c'è battaglia.–Louis sgrana gli occhi.- Forse hai perso dei commilitoni -no, commilitoni è una parola generica che usa la stampa- probabilmente hai perso degli amici, che non sono stati fortunati quanto te e ti senti in colpa.–Sta toccando quel tasto. Louis sente il cuore battere all’impazzata, un senso di allarme in ogni terminazione. Inconsciamente pensa al suo migliore amico, mentre Harry dà voce a tutti quei sentimenti repressi che riescono a venir fuori solo nei suoi incubi.- Perché io sì e loro no? L'hai mai pensato, Louis? –Sussulta nel sentire il suo nome: rende tutto così vero.- Un passo avanti per te e uno indietro per loro e la situazione sarebbe  completamente diversa. Potrei dirti che è il volere del fato ma coma può un'entità astratta come il fato mitigare il dolore del senso di colpa? Non può. Ma che il mondo sia ingiusto è un dato di fatto, o tu non saresti in guerra. Per cui, se ti è capitato, sappi che niente lì riporterà indietro, ma allo stesso tempo nessuno di loro vorrebbe vederti sprecare il dono che ti è stato fatto: vivi. E vivi un po' anche per loro. Non sarà facile, niente lo è. Tornare a casa non ti farà dimenticare quello che è successo nella polvere di una strada, o tra le ombre di una città deserta piena di insidie. Dovrai imparare a convivere con questi ricordi, senza mai lasciartene sopraffare. Ma non sarai solo in questo percorso, come non lo sei ora lì in missione. Troverai qualcuno che ti starà vicino in questo, qualcuno con cui parlare di fronte ad una birra oppure qualcuno che ti stringerà la notte dopo un incubo. Questo è il mio più sincero augurio per te.–Louis ha il viso rigato dalle lacrime e i singhiozzi scuotono tutto il suo corpo. Si aggrappa ad ogni sillaba di quel discorso, toccato nel profondo, in quell’angolino di sé stesso che ha sempre nascosto. Non sono solo incoraggiamenti, non è un banale “ce la farai”a cui non ha mai creduto. Gli dice che non sarà facile, ma non per questo lui non dovrebbe farcela. Difficile non significa impossibile. Gli assicura che non sarà mai solo e Louis inconsciamente immagina quel viso pulito di fronte ai suoi occhi, in carne ed ossa, che gli infonde quel pizzico di coraggio in più che gli serve per farcela.- E a proposito di auguri quando riceverai questo video sarà quasi Natale e un uccellino mi ha detto che il giorno prima sarà il tuo compleanno! Non ti faccio gli auguri perché mia nonna dice che farli in anticipo annulla il buon effetto, ma lasciami almeno sperare che questopiccolo pensiero che ti mando ti sia gradito, che ti tenga compagnia, e che anche solo una frase di questo mio lunghissimo monologo ti sia di conforto. –Louis teme che non sarà mai in grado di spiegargli quanto è stato importante per lui.- Mi piacerebbe incontrarti, tornato dalla missione, constatare da me stesso che cosa quel generico “azzurri” significhi e magari sapere cosa hai pensato vedendo questo video. Ti lascio il mio numero, basta una chiamata e... Verrò a trovarti a Doncaster, se vorrai. Allora ci vediamo, Louis, torna presto a casa e ancora mille volte grazie per quello che fai per me.»

«Grazie Harry.»

Perrie solleva un sopracciglio stranita quando si rende conto che fuori piove. Davvero strano il tempo quel giorno. 
Entra nella camera e trova praticamente tutte le tende attorno alle brandine ancora tirate. Sospira. Si dirige a passo spedito verso il letto 6.
«Louis? Buongiorno» dice a bassa voce per non disturbare. Non ricevendo risposta scosta appena la tendina e vede che la branda è vuota. Le prende un attimo di panico e corre verso i bagni. 
Non fa in tempo ad arrivarci, si ferma prima. C'è una piccola figura in fondo al corridoio, davanti alla finestra che ha riaperto, nonostante i divieti. Si è sporto in avanti e la pioggia cade sulle sue mani.
«Louis.»
Louis si volta di scatto, la guarda come un bambino beccato a compiere una marachella. Ma lo stupore dura un battito di ciglia, ciò che serve a riconoscerla.

«Buongiorno Pez» risponde e le sorride. Alla psicologa sembra di cogliere qualcosa di diverso in quel sorriso.
«È finalmente il tuo compleanno, auguri!»
«Grazie, Pez.
» Le sorride.«Hai visto? Piove. A casa piove spesso» continua lui.
«Sì, piove quasi sempre lì» scherza lei. Gli si mette accanto e socchiude le labbra per chiedergli se quella mattina vada tutto bene o se ha avuto altri incubi, ma lui si volta e parla per primo: «Ho visto il video, il mio regalo di compleanno e Natale. Si chiama Harry. Ho pianto tutta la notte.» 
E dopo questo le racconta delle bellissime parole di questo ragazzino che gli hanno scaldato il cuore, che gli hanno fatto capire che il senso di colpa e i ricordi non lo abbandoneranno mai, che la morte di Stan -è la prima volta che lo chiama per nome e Perrie sussulta appena- è stata ingiusta ma sarebbe ancora più ingiusto sprecare la sua vita. Le dice che probabilmente avrà ancora deidubbi e che gli incubi non spariranno dall'oggi al domani, ma concorda con Harry quando dice che troverà qualcuno con cui non si sentirà più solo. 
Si sono seduti e lui le ha preso la mano e ha stretto forte, mentre la sua voce si faceva flebile o addirittura si spezzava raccontando della mattina in cui era stato ferito. Perrie è rimasta in silenzio e ha aspettato che facesse un respiro profondo e andasse avanti. Cosa che Louis ha fatto, fino ad arrivare alla fine. 


L'aereo è atterrato con un'ora di ritardo e il treno è partito con cinque minuti d'anticipo e ora Louis è appena sceso alla stazione di Holmes Chapel. 
Ha fatto una telefonata in treno, e ha scoperto da dove era stato spedito il suo pacco. Imbocca la stradina e individua lagiusta villetta. Apre il cancelletto, sale i gradini del portico e suona. 
Ha ancora la divisa addosso, gli anfibi affondano nella fanghiglia e il borsone pesa sulla spalla. 
Piove, anche quel giorno. D'altronde, in Inghilterra piove il novanta percento dell’anno. 
Aspetta spostando il peso da una gamba all'altra, anche se la gamba destra gli fa male a causa del lungo viaggio. 
È agitato, forse quell'improvvisata non è stata la migliore idea della sua vita. Il ragazzino gli aveva detto prima di chiamarlo e poi è appena arrivato, ha un'arma da fuoco nella borsa e probabilmente puzza un po'. Ma allo stesso tempo non vorrebbe essere altrove. Certo, la sua famiglia gli manca come l'aria ma quel video, arrivato nel momento in cui ne aveva più bisogno, da quella persona che era diventata così speciale, lo avevano portato davanti a quella porta.
Totalmente immerso nel suo conflitto interiore non sente i passi dentro casa, così quando qualcunoapre la porta lui quasi scatta sull'attenti. 
«Louis? Louis!» trilla una voce. Una voce familiare, confortevole. 
Louis sente gli occhi riempirsi di lacrime e il cuore sciogliersi letteralmente. La sua mente è un caos, niente ha senso, è solo una valanga di emozioni. Si sente sollevato, si sente a casa, si sente il più vicino possibile alla felicità.
Lo guarda ed è altissimo, ha i riccioli più lunghi e più vaporosi che nel video, ha gli occhi verdi splendenti sul viso pallido e le labbra rosse atteggiate in un sorriso che è solo per lui. 
Il borsone gli scivola giù dalla spalla, con un tonfo. Le braccia si sollevano da sole, tese in avanti verso di lui. 
Non sa se dirgli prima che lo ringrazia o che si scusa per essere piombato così in casa sua. Ma Harry non sembra intenzionato a sentirlo parlare, non ancora, perché con un movimento veloce lo prende per una spalla e se lo porta vicino.Lo abbraccia, come se non avesse aspettato altro in quei quattro mesi che sono passati da quando ha ricevuto la sua scheda.    
«Sei qui!» sussurra Harry dritto nel suo orecchio. 
Louis si sente sopraffatto, gli cinge i fianchi e si aggrappa a lui, stringendolo forte contro il suo corpo. Vorrebbe dirgli che lo ama, perché nella sua mente in blackout quelle parole possono spiegare il misto di gratitudine e attrazione e affetto che prova per quello splendido essere umano che lo ha salvato. 

«Ho pensato a te ogni giorno, ho sperato di ricevere qualche notizia su di te ma non essendo parenti non mi hanno potuto dire nulla. Stavo impazzendo, volevo disperatamente vederti!» Il discorso di Harry scivola come un balsamo sulla sua mente confusa e titubante.       
Lo stringe solo di più, rimangono su quel portico minuti interi. 
Tacciono entrambi, avranno tempo per parlare, ma Louis è convinto che quel qualcuno a cui potrà dire tutta la verità e da cui si lascerà abbracciare dopo un incubo sulla guerra sarà solo Harry.

Note autore: 

Pare che io sia resuscitata dall'oltretomba! *saluta felice tutti* E ho deciso di resuscitare proprio con questa cosa qui: grazie infinite a chi si ricorda ancora di me e sia arrivato qui in fondo, significa più di quanto non immaginiate! Allora, poche parole di commento: il nome dell'agenzia l'ho lasciato in italiano perchè così l'acronimo è leggibile; qualcuno DEVE notare El e Harry migliori amici perchè sono la dolcezza infinita<3  Il rapporto instauratosi tra Louis è Harry può sembrare strano, in fin dei conti non hanno mai parlato, neanche per messaggi o lettere, ma io credo che questo non lo renda inconsistente. Immedesimatevi in Harry, se riceveste una scheda di una persona che sapete che si trova in una situazione di pericolo, che è lontana dalla famiglia e probabilmente soffre e le apriste il vostro cuore, poi quella persona non vi rimarrebbe in mente? Non vorreste sapere, anche a mesi di distanza, come sta? Altrettanto per Louis: siete appena una spanna sopra la carne da macello (in alcuni luoghi è così, forse qualche anno fa più di adesso ma quante volte il tg iniziava con "morti tre militari in un attentato" o simili?) e il vostro migliore amico è appena morto, che effetto vi farebbe ricevere una lettera/video da una persona sinceramente interessata alle vostre sorti e che, per volere del destino, di dio, o chi per loro, capisce esattamente come state, toccando tutti i punti più sensibili. Non vi sentireste in debito con questa persona? Non vorreste disperatamente ringraziarla e dirle che in un momento difficile lei c'era e questo per voi significa tutto? Harry e Louis in questa storia non sono ancora innamorati come li troverete in altre storie (si trovano belli ma non si sono avvicinati perchè attratti fisicamente, non si desiderano sessualmente, per esempio. Quando Louis pensa che vorrebbe dirgli che lo ama è da intendersi come sentimento intimo e ancora platonico), ma sono profondamente legati. Spero di aver reso chiaro questo nella storia, di aver trasmesso queste emozioni, di entrambi.
Per eventuali chiarimenti o commenti scrivetemi pure,

Bee:)

  
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