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Autore: Roxar    27/02/2015    3 recensioni
L'inverno e il freddo. Un rifugio e un giaciglio da convidere. Il dolore e il rimorso. Thomas e Minho.
"Adesso non farti strane idee, eh, pive?"
La primavera e una montagna. E la promessa di una rinascita.
"Bene così, allora?"
"Bene così."

[Thominho | Slash | H/C | Post-saga | SPOILER]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Thomas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nuova pagina 1 Alla fine

Warnings: Hurt/Comfort, Slash, Post-saga, Spoiler!, Flangst

Ship&Crew: Thomas/Minho | Thomas, Minho, Altri

Note: dopo secoli di inattività causa università e cazzi&mazzi vari, sono riuscita a produrre qualcosa e varcare finalmente la soglia di questo nuovo fandom, dopo aver consumato i libri in tre giorni scarsi. Qualche annotazione veloce: se non avete letto The death cure, NON leggete questa roba. Ci sono spoiler pesantissimi del secondo e terzo libro. Siete avvisati.

Poi, be', Thominho perché sì. E perché il fandom italiano sembra tutto sintonizzato sulla Newtmas (che amo, ma solo in veste bromance. Per me Newt farà sempre coppia con Alby) e ci sono appena una manciata di Thominho, con mio sommo rammarico. E poi, Thominho perché, srsly, sono meravigliosi.

Altra cosa: questa fic è un post-saga. In quanto tale, ho ipotizzato che, dopo tutti i traumi del mondo, Thomas e Minho siano un po' cambiati, e così li ho resi: lievemente diversi. Questo potrebbe avermi fatta incappare nell'OOC e, in tal caso, chiedo sinceramente scusa, ma non ho potuto farne a meno.

Ultimo: citazioni tratte da Not strong enough, Apocalyptica.

Non resta altro da dire, mi pare, se non augurarvi una buona lettura e più Thominho per tutti O/

Passo e chiudo.

 

 

 

 

____

 

 

 

 

I wanna leave and I wanna stay // I’m so confused, so hard to choose.

 

 

 

Alla fine, l'inverno era arrivato.

La prolungata permanenza nel Labirinto prima e nella Zona Bruciata poi gli aveva quasi fatto dimenticare il naturale susseguirsi delle stagioni; in qualche modo, si era convinto che, in seguito alle eruzioni solari, il clima era stato troppo sconvolto per poter rispettare le sue ancestrali leggi naturali. Invece, contro ogni previsione, settimana dopo settimana, la temperatura mite e confortevole aveva ceduto il passo ad un'escursione termica sempre più forte, che li aveva infine sprofondati nel cuore dell'inverno, gelido e pungente, con il vento che soffiava risalendo dall'oceano, carico di un'umidità così intensa da penetrare nelle ossa.

Nonostante il riparo offerto dalle molte casupole di legno che avevano trovato nel folto della foresta - un'eccezionale concessione della CATTIVO - e l'abbondanza di coperte e vestiti, ognuno dei duecento immuni aveva preso l'abitudine di condividere i rifugi, ritrovandosi spesso a dormire in sette, otto, addirittura in dieci, nella stesso spazio angusto e soffocante. A Thomas ricordavano i cuccioli di cane, tutti premuti l'uno all'altro per tenersi al caldo. E come cuccioli, sembravano tutti disorientati e impauriti, abbandonati a loro stessi.

Thomas e Minho non avevano avuto la fortuna di condividere il tetto con qualcuno; i gruppi si erano già consolidati da molto prima dell'inverno, quando loro due erano impegnati a sostenersi a vicenda, senza mai separarsi per più di un breve lasso di tempo. Avevano chiuso fuori tutti, concentrandosi esclusivamente l'uno sull'altro. Così, quando i primi fiocchi di neve avevano iniziato a ricoprire le fronde degli alberi e le cime degli scogli, si erano ritrovati irrimediabilmente soli, a condividere una casupola che mai era sembrata così grande e fredda. Non solo; dopo aver messo da parte ogni imbarazzo per garantirsi la sopravvivenza e il mantenimento di tutte le dita, avevano finito per condividere le coperte, schiena contro schiena, notte dopo notte.

Thomas aveva la sensazione di gradire quella sistemazione più di quanto fosse lecito. Il calore del corpo di Minho era fondamentale quando la pioggia sferzava il tetto di legno e ingrossava il mare, facendo calare ulteriormente la temperatura, ma Thomas desiderava sempre averne di più. Desiderava voltarsi e premere la fronte e le mani gelide contro la schiena dell'altro, fino a dimenticare, sia pure per lo spazio di una notte, cosa fosse il freddo, o l'inverno. Invece, aveva scoperto di non avere abbastanza coraggio per farlo. Temeva, ogni volta, che sarebbe bastato il più piccolo movimento a risvegliare Minho e suscitare una smorfia disgustata sul suo viso, perché Thomas poteva avere freddo fin nel midollo, ma non era cieco o stupido: quella situazione a Minho non piaceva neppure un po'. Dormire così a stretto contatto con un'altra persona, con un altro ragazzo, non lo faceva sentire a suo agio; i suoi muscoli, aveva notato Thomas, restavano contratti e rigidi finché non sprofondava nel sonno, come se temesse un'imboscata.

Così, notte dopo notte, Thomas aveva stretto i denti, focalizzando tutta la percezione nel punto in cui le loro schiene si incontravano, nel punto in cui il calore di un corpo passava all'altro, e viceversa.

Non sapeva che, di lì a ventiquattro ore, Minho avrebbe fatto quello che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, cambiando per sempre le cose.

Era la notte più gelida di sempre.

Sebbene non possedesse ricordi concreti e completi della sua vita precedente, Thomas era certo di non aver mai provato un freddo così intenso che pareva strinargli la pelle e ghiacciargli e bruciargli il sangue al contempo. Non riusciva a rilassare i muscoli, che, per tenere a bada il freddo, vibravano come corde di chitarra ripetutamente pizzicate, facendo il paio con i denti che battevano violentemente, colmando, suo malgrado, il silenzio del rifugio.

"Sto per farti sputare quei dannatissimi denti uno ad uno, sei avvertito," sbottò Minho, facendolo sobbalzare. Se ne era rimasto così zitto e immobile che Thomas lo aveva creduto addormentato da tempo.

"Amico, si c-congela, sta-stanotte," balbettò pateticamente, infossando la testa tra le spalle, fino a sfiorarsi lo sterno con il mento gelido. Nonostante le quattro - o erano cinque? - coperte che lo ammantavano da capo a piedi, nonostante la schiena di Minho che aderiva totalmente alla sua, non riusciva a riscaldarsi. O allontanare il freddo quel tanto che bastava a prendere sonno.

"Allora cerca di congelare restando fermo. Sto cercando di dormire ed è maledettamente difficile con te che tremi come un cucciolo di foca. È come avere un caspio di terremoto nella schiena."

Thomas si scostò da lui, provando un'inevitabile fitta di colpevolezza. "Scusa," sibilò a denti stretti, stringendo spasmodicamente gli occhi e immaginando con fervore di essere ancora nella Zona Bruciata, con il sole che gli scottava la pelle e gli abbagliava gli occhi... Se si concentrava abbastanza, riusciva a rievocarne il tepore fantasma sulla pelle, rivedere qualche sprazzo del sole abbacinante che picchiava sulle loro teste. Ma l'illusione durò appena una manciata di secondi; faceva troppo freddo e la mente faticava a restare focalizzata su qualcos'altro che non fosse il tremore del corpo e il desiderio spasmodico di acquietarlo.

"Che caspio fai? Torna qui. Meglio un terremoto nella schiena che gelare pezzo a pezzo. Inizio a non sentirmi più l'uc-"

"Ho capito," tagliò corto Thomas, trascinandosi sulle coperte per far aderire nuovamente la schiena a quella di Minho, che annuì con un suono gutturale, spingendo la testa fino a premerla contro la sua. Ciononostante, Thomas tremava quanto e più di prima, e così Minho. Il brevissimo momento di distacco aveva permesso al freddo di infilarsi sotto le coperte, tra loro, spingendo il suo corpo a tremare in risposta. Thomas lo sentì imprecare a denti stretti, che adesso battevano come i suoi, prima di voltarsi e intimargli di fare lo stesso.

"Cosa?"

"Voltati. Verso di me."

"Minho, ma-"

"Fallo e basta!" abbaiò e Thomas era così scioccato e sgomento che non poté fare altro che obbedire.

"Adesso non farti strane idee, eh, pive?" lo ammonì e ancor prima che Thomas potesse reagire o dire qualcosa, le braccia di Minho scivolarono intorno alle sue spalle e sotto il suo collo, tirandoselo praticamente addosso. Thomas tremava ancora come una foglia e il calore improvviso fu quasi ustionante, dolente, e gli strappò un sussulto spaventato e doloroso. Sentì Minho rabbrividire quando il polso nudo sfiorò la sua nuca e, suo malgrado, emise un sospiro di piacere.

"Se fossi una ragazza-"

"Ma non lo sono," lo interruppe Thomas, infastidito da quelle parole che Minho gli rivolgeva ogni santa notte. Non dubitava che avrebbe preferito la compagnia di una donna, ma rammentarglielo continuamente lo mortificava e lo faceva sentire una presenza sgradita e sgradevole. "Piantala di ripeterlo ogni notte, l'ho capito," e fece per scostarsi, ma Minho lo strinse anche più forte, ridacchiando sarcasticamente nel suo orecchio.

"Sei geloso, piccolo?" soffiò, suonando malizioso e strisciando piano il naso contro il suo collo. Thomas emise un verso di disgusto, ma il suo cuore batteva forte, echeggiando il nervosismo e il disagio che gli strisciava addosso. Desiderò ardentemente che Minho non se ne accorgesse.

"Puoi averne anche dieci, di ragazze, per quanto mi riguarda."

"Oh, sono lusingato. Il piccolo Thomas si è innamorato di me. Vuoi un bacio, tesoro? Scommetto di sì," lo prese in giro, tirando indietro il viso per avvicinarlo a quello di Thomas, che si allontanò per quanto la stretta dell'altro permetteva.

"Scommetti la lingua. Forse è la volta buona che la perdi."

"E se così fosse, non vuoi provare l'emozione prima che accada?" lo provocò, ma erano solo parole vuote. Thomas lo sapeva perfettamente. E la cosa, incredibile a dirsi, gli lasciava addosso una sensazione singolare, quasi di... delusione. Questa vicinanza mi sta rincaspiando, pensò amareggiato.

"Sta' zitto e lasciami dormire."

"So che stai morendo dalla voglia di baciarmi," continuò a stuzzicarlo, assestandogli una ginocchiata lievissima. Thomas sbuffò, stanco di soccombere alle sue provocazioni. E stanco, e basta. Desiderava solo dormire, adesso che, tra la chiacchierata e il corpo di Minho, il freddo aveva momentaneamente allentato la morsa.

"Come se ne avessi il coraggio. Smettila di blaterare e lasciami dormire," ripeté, cercando di suonare quanto più perentorio e definitivo possibile. Ma era stato sciocco e avrebbe dovuto sapere che lanciare una così aperta sfida a Minho era un po' come scavarsi la fossa. Non si disse particolarmente sorpreso quando, parlando, la voce di Minho si abbassò, assumendo una sfumatura quasi pericolosa.

"Mi stai sfidando?"

"No, ti sto dicendo di lasciarmi in pace."

"Oh, no," ringhiò Minho, un sorrisetto derisorio nella voce. "Tu mi stai sfidando."

"Pensa quello che-"

Thomas provò la più singolare delle sensazioni: sentì il cuore come dilatarsi, e dilatarsi, e dilatarsi, un battito alla volta, fino ad esplodere in petto con il fragore e l'onda d'urto di una bomba, liberando una fiammata di calore che lo strinò da capo a piedi, bruciando ogni pensiero, ogni sensazione, ogni intenzione, ogni cosa. Tutto sembrava stesse finendo - e, in qualche modo, iniziando - sulla bocca di Minho, premuta contro la sua.

Non si era reso conto d'aver trattenuto il fiato finché non aveva schiuso le labbra per respirare; Minho fraintese e Thomas si sentì raggelare quando una mano salì a tenergli fermo il mento, mentre le labbra dell'altro si muovevano con insistenza e arroganza, quasi obbligandolo a rispondere. Cercò la forza di sottrarsi, cercò anche un po' di rabbia e indignazione per quello che Minho gli stava facendo, ma trovò solo il desiderio insensato di replicare, di prolungare quel bacio, di sentire le mani bollenti di Minho sulla pelle. Quello, se possibile, lo terrorizzò ancora di più e quando sentì la punta della sua lingua cercare la propria, si tirò bruscamente via, rotolando un paio di volte e portandosi dietro, come una scia pesante, ogni singola coperta.

La risata di Minho proruppe così fragorosa e sincera che qualche vicino, evidentemente infastidito dalle loro costanti chiacchiere, urlò di fare silenzio, accompagnato ad un coro indistinto di approvazioni.

Thomas non ricordava un'umiliazione peggiore. E non capiva perché l'amico si fosse spinto fino a quel punto. E per cosa, poi? Per una minuscola insinuazione che aveva osato fare per ribattere alle sue, decisamente più irritanti ed evidenti? La rabbia, alla fine, arrivò. Afferrò un paio di coperte e le scaraventò contro Minho, che ancora boccheggiava, preda della sua stupida risata.

"Stammi lontano," ringhiò Thomas, il viso arrossato e le mani tremule - il freddo, stranamente, non c'entrava nulla.

"E tu scegli meglio le tue sfide, pive," ribatté prontamente Minho, la voce pesantemente viziata da un ghigno divertito che Thomas poteva solo immaginare. Ignorandolo, si rannicchiò sotto le coperte, prendendosi la testa tra le mani e domandandosi se sarebbe più riuscito a guardare Minho in faccia.

La risposta arrivò qualche ora dopo, insieme all'alba: no.

 

 

 

There's nothing I can do // And I can't get free

 

 

"Ti sei strappato la lingua a furia di battere i denti, o cosa?" domandò Minho, calciando via gli arbusti bassi che si frapponevano tra sé e il viale. Aveva rotto un lungo silenzio che durava da ore, e Thomas non ne era affatto entusiasta. Non aveva voglia di parlare con lui, o, più in generale, non aveva voglia di parlare, punto. Quello che era successo continuava a tormentarlo, pungolandolo quanto e più del freddo.

Continuava a sentire sulla bocca lo spettro di quella di Minho, le dita che gli avevano stretto il mento, la punta umida della lingua... Più si sforzava di mettere da parte quei ricordi, più quelli scavalcavano la sua volontà, piantandosi proprio davanti ai suoi occhi.

"Oh, andiamo," esordì, battendogli una pacca sulla schiena. "Non sarai arrabbiato per quel bacio?"

Thomas irrigidì ogni singolo muscolo e gli si parò davanti così in fretta che Minho sobbalzò, tirandosi indietro.

"Abbassa la voce!" sibilò furioso, guardandosi intorno circospetto.

"Calmino, amico. Ti ho turbato? Chiedo scusa," ma non suonava affatto dispiaciuto, anzi infastidito, seccato. Il che, se possibile, fece infuriare Thomas ancora di più, che si limitò semplicemente ad assottigliare gli occhi, scoccandogli un'occhiataccia risentita. Ora come allora, non poteva permettergli di credere di poterlo trattare in quel modo, mancandogli così apertamente di rispetto, burlandosi di lui. Era il suo migliore amico, dopotutto, l'unico che ancora gli parlava perché aveva davvero voglia di farlo, non perché il suo status di leader imponesse di rispondere quando si veniva interpellati.

"Dovresti prendere le cose meno sul serio, davvero. Smetterla di aggirarti come un caspio di fantasma e iniziare a vivere, adesso che siamo tutti fuori dai giochi della CATTIVO."

Thomas incassò malamente il colpo e la rabbia che sentiva si mescolò ad un dolore fisico, tangibile. All'incredulità, anche. Non riusciva a credere che Minho gli avesse appena parlato in quel modo, non quando lui, una notte di molte settimane prima, aveva rotto la promessa confessandogli il suo crimine. Come poteva vivere con serenità quando nella mano continuava a sentire il peso della pistola che aveva messo fine alla vita di Newt?

"Tu sai quello che ho fatto. Come puoi parlarmi così?"

"Sì, so quello che hai fatto," ripeté l'altro, seccato. "Ma era il suo ultimo desiderio, giusto? E tu glielo dovevi, per averlo gettato nel Labirinto, giusto? Smettila di martirizzarti così, smettila di fare la vittima e inizia un po' a vivere, Thomas, ma vivere per davvero," lo ammonì duramente. Del divertimento di poco prima, sul suo viso, non restava nulla. Solo una maschera di rabbia e cose non dette, ma comunque chiare come l'acqua che sciabordava molti piedi sotto di loro.

Suo malgrado, sentì gli occhi inumidirsi. Non era mai stata sua intenzione passare per una vittima e, dopotutto, non lo era. Non lui. Thomas era ancora vivo e immune, il suo cuore batteva ancora; di Newt, invece, non restava che una lunghissima stringa di ricordi e dolore, tenuti insieme dal collante del rimorso.

Improvvisamente, non si sentì più capace di reggere lo sguardo dell'altro e guardò altrove, mordendosi la guancia fino a sentire un fiotto di sangue caldo e rugginoso sulla lingua.

Minho gli strinse una spalla e la sua voce suonò un poco più morbida, un poco più comprensiva.

"Devi perdonarti, amico. Se l'ho fatto io - io - perché non puoi farlo anche tu?"

"Perché non sei stato tu!" gridò di punto in bianco, scrollandosi rabbiosamente via la sua mano. Quasi faticò a riconoscere la propria voce, dopo mesi di quasi assoluto silenzio. "Perché non è a te che l'ha chiesto. Perché non sai un caspio di come ci si sente. Perché non sei tu che lo vedi morire ogni notte, ancora, ancora e ancora." Ansimava al punto che gli alberi iniziarono a muoversi in sbilenchi cerchi concentrici mentre il terreno oscillava e minacciava di schiantarsi su di lui.

"Giusto. Il fatto che non sia stato io mi rende troppo stupido per capire come ci si senta, vero? Ma eccoti una notizia dell'ultima ora, fagiolino egoista: nel Labirinto ne ho visti morire troppi, in modi che il tuo cervellino triste non riuscirebbe neppure ad immaginare. Io so come ci si sente, quindi non osare mai più - mai più - insinuare il contrario, come se la tua vita fosse stata più difficile della mia."

Quando Thomas lo guardò, non vide altro che dolore nei suoi occhi. Non aveva mai considerato le cose dal suo punto di vista, impegnato com'era a colpevolizzarsi. Non aveva mai realizzato tutte le morti a cui Minho, da Raduraio e Velocista, aveva assistito. La consapevolezza e la vergogna lo colpirono dritto in pancia, costringendolo ad abbassare la testa, sconfitto.

Improvvisamente, si sentì stanco, stanco da morire. Non voleva più portare avanti quello scontro, non voleva più tornare a qualsiasi cosa fosse venuta prima del Paradiso. Ma soprattutto, non voleva fare niente che potesse allontanare Minho da lui.

"Mi dispiace," sussurrò, scuotendo la testa. "Non voglio litigare con te, Minho."

"Bene così," acconsentì, nonostante si leggeva a chiare lettere, sul suo viso, che no, non andava per niente bene. Perfino la pacca che gli batté sulla spalla, andando via, sembrava forzata. E quell'ultimo gesto, se possibile, lo fece sentire anche peggio.

Il cibo non gli era mai sembrato più insapore e colloso, difficile da inghiottire e tenere in pancia quando lo stomaco si contraeva ripetutamente per espellerlo.

Non che potesse incolpare Frypan; era solo lo strascico di quanto era successo a spegnere l'appetito, facendolo smaniare per raggiungere Minho e scusarsi altre mille volte, ogni volta più sinceramente della precedente. Aveva trascorso le ultime ore a rimuginare su quanto era successo, su quanto si erano detti. Devi perdonarti, gli aveva detto. E Thomas ci stava provando. Ci provava dal momento in cui aveva premuto il grilletto, senza riuscire a fare molti passi in avanti, senza riuscire ad allentare la stretta del rimorso e della colpevolezza. Aveva creduto di aver celato bene il suo fallimento, dentro la piega di un sorriso che gli era sembrato abbastanza autentico; invece, non gli era riuscito neppure quello. Con una punta di vergogna, si era chiesto quanti immuni gli avessero prestato attenzione abbastanza da notare quanto infelice fosse, quanti immuni avessero pensato a lui con compassione, al povero ragazzo che faceva finta di stare bene, senza riuscirci neppure un po'.

O forse, pensò, se ne era accorto solo Minho. Non gli sembrava così impossibile. Spendevano moltissimo tempo insieme ed era stato sciocco, da parte sua, credere di poterlo ingannare così facilmente. Minho aveva semplicemente finto a sua volta, riuscendoci decisamente meglio di lui.

Abbattuto e smanioso di sistemare le cose - sistemarle davvero - depositò il piatto quasi intatto nella baracca che Frypan usava come cucina, guadagnandosi, da parte del cuoco, un'occhiata scettica, che tuttavia non disse nulla. Thomas si domandò cosa pensasse di lui. Cercò qualcosa nei suoi occhi, trovando solo confusione e curiosità. La mancanza di pietà o compassione lo fece sentire un po' - pochissimo - meglio.

"Hai visto Minho?" gli domandò, guardando oltre la porta.

"Non ne ho idea. Voi piccioncini non state sempre insieme?" e latrò una risata, senza alcuna cattiveria, che strappò a Thomas un sorriso. "Sì, qualcosa del genere. Mi sa che andrò a dormire; mi sento stanco senza aver fatto nulla."

"Vuoi renderti utile? Da domani inizia a darmi una mano," propose l'altro, indicando eloquentemente la pila di piatti sporchi alle sue spalle.

"Lavare i piatti sembra grandioso."

"Sul serio, pive, mi servirebbe davvero un aiuto, con tutta questa gente da sfamare."

Thomas valutò la sua proposta attentamente. Starsene in cucina non rientrava tra le sue cose preferite, ma poteva pur sempre essere un piccolo inizio, no? Un modo per strisciare fuori dal buco di disperazione in cui si era volutamente infilato. E magari, dopo, quando sarebbe stato in grado di badare nuovamente a qualcun altro che non fosse stato se stesso, avrebbe potuto aiutare Minho con le ronde di vigilanza. Per la prima volta dopo molto tempo, Thomas sentì una scintilla di entusiasmo accendersi, da qualche parte.

"Andata," decise. Frypan lo fissò scettico.

"Dici davvero?"

"Ma non aspettarti che mi metta a cucinare o roba del genere. Sei tu il maestro."

"Non avevo intenzione di lasciartelo fare, pive," ribatté prontamente l'altro, ordinandogli poi di togliersi di mezzo, ché restavano ancora un mucchio di cose da fare prima di chiudere la baracca.

"A domani."

"Sì, a domani," lo salutò, suonando però poco convinto. Thomas era deciso a dimostrargli che si sbagliava. Non aveva idea da dove nascesse tutta quella determinazione. Forse il litigio con Minho aveva sortito i suoi effetti e gli aveva dato una bella svegliata. Sicuramente, l'aveva aiutato a capire di essere arrivato all'impasse, di essersi imbattuto in un vicolo cieco nel quale aveva soggiornato per troppo tempo. Era ora di tornare indietro e prendere un'altra direzione.

Minho lo aveva definito un terremoto nella schiena, ma lui era stato un terremoto nel cervello, che finalmente, dopo una forte scossa, era tornato a ragionare.

A vivere.

 

 

Can't run from you // I just run back to you

 


Minho dormiva già quando Thomas, infreddolito, entrò nel rifugio, chiudendosi dietro la porta con un cigolio dolente. Una candela, notò, era stata lasciata accesa in un angolo della stanza. La luce smorzata proiettava ombre tremule sulle pareti di legno e ammorbidiva il profilo di Minho, che dormiva rivolto verso il muro opposto alla porta, dandogli le spalle.

Thomas raggiunse la candela e la spense con un soffio silenzioso, sprofondando ogni cosa nel buio. Impiegò diverso tempo ad abituare gli occhi all'improvvisa oscurità e quasi inciampò nelle coperte che Minho aveva ordinatamente ripiegato per lui. Tastando a tentoni, individuò il bordo morbido e le dispiegò, una alla volta, sulle assi di legno dure e fredde. Cercando di non fare rumore e stringendo i denti che già battevano, presagendo una notte gelida come la precedente, si sfilò le scarpe e si gettò addosso una terza coperta, avvicinandosi quanto più possibile all'amico addormentato.

Capì immediatamente che non si sarebbe mai addormentato; il gelo della notte stava iniziando a penetrare nella casupola e nelle ossa, portandosi dietro l'urgente bisogno di scusarsi ancora con Minho, assicurarsi che tra loro fosse tutto okay. Chiudendo gli occhi e umettandosi le labbra, ricordò quel loro assurdo bacio. La lite lo aveva aiutato a metterlo da parte, ma adesso, rimasto solo con se stesso e tanto vicino al ragazzo, al punto che gli sarebbe bastato allungare un braccio per sfiorargli la schiena, era impossibile sfuggirgli. Cercò di mettere ordine tra i suoi pensieri, desiderando poi di non averlo fatto. Scoprì di aver apprezzato quel contatto più di quanto avrebbe mai ammesso. L'idea di essere tanto vicino a qualcuno lo intimoriva, sprofondandolo nel disagio. Era stato quello il motivo per cui aveva reciso sul nascere ogni legame che Brenda voleva avere con lui. Ma, stranamente, essere tanto vicino a Minho rimetteva le cose in una prospettiva diversa. Accettabile. Perfino piacevole. Forse era semplicemente assuefatto talmente alla sua presenza da aver sviluppato, nei suoi confronti, un attaccamento che avrebbe giustificato e incentivato gesti come quello.

Quasi vergognandosi, scoprì anche che, se l'avesse baciato di nuovo, non si sarebbe tirato indietro, senza riuscire a motivare quella strana sicurezza. Non che sarebbe successo, di quello ne era pienamente convinto. Era stato solo uno scherzo, una stupida sfida da vincere, e, ora come ora, Minho probabilmente era ancora arrabbiato con lui. Per l'ennesima volta, sentì il bisogno di sentirsi dire che andava tutto bene.

"Minho," bisbigliò, senza riuscire a trattenersi. Anche a costo di svegliarlo, doveva saperlo. E doveva sapere cosa fare per rimediare. Attese in silenzio, tremando spasmodicamente quando allentava la presa sui muscoli. Sentiva la temperatura calare grado a grado. Sentiva il bisogno di avvicinarsi a lui.

"Minho," riprovò, un po' più forte, senza ricevere nuovamente risposta. Deglutendo, si puntellò su un gomito e avvicinò l'orecchio al viso dell'altro, cogliendo il suono lento e pesante del suo respiro.

"Mi dispiace. È come hai detto tu, sono stato un caspio di egoista e non ho mai pensato alla tua vita nel Labirinto prima del mio arrivo. So che capisci cosa si prova a veder morire qualcuno, so che capisci me, ma io..." fece una piccola pausa, sentendosi improvvisamente ridicolo a parlare da solo, con qualcuno che non lo stava neppure ascoltando. Ma sentiva il bisogno di dire quelle cose ad alta voce, che per troppo tempo si era limitato a pensare nell'intimità della sua mente. Forse quello l'avrebbe aiutato, all'indomani, a trovare il coraggio di ripeterle nuovamente.

"Ma io non riesco a perdonarmi. E tu non hai idea di quanto vorrei farlo. Lasciarmi alle spalle tutta quella sploff e pensare di aver esaudito l'ultimo desiderio di Newt, non di averlo ucciso. Lo voglio così tanto che non ho parole per dirti quanto lo voglio. E voglio vivere, anche. Voglio tornare ad essere quello che ero, che forse non è un granché - non so neppure io chi fossi davvero - ma era... vero. Non so come spiegartelo," mormorò, sospirando frustrato, infossando il viso nelle coperte, così che la sua voce, quando parlò nuovamente, suonò indistinta e ovattata.

"Non ho mai cercato aiuto perché pensavo di non meritarmelo. Perché pensavo di meritare questo. Ma io voglio uscirne, Minho. Voglio essere aiutato. Voglio che tu mi aiuti."

Thomas soffocò un sospiro nelle coperte; aveva finito le parole, non sapeva più cos'altro dire. E, ad ogni modo, Minho non lo stava neppure ascoltando. Non riusciva a sentire il suo respiro - non riusciva a sentire niente - ma era sicuro che stesse ancora dormendo. Aveva parlato troppo sommessamente per poterlo svegliare. Nonostante il freddo pungente, scostò le coperte per respirare aria pulita, fissando il buio davanti a sé. Sentiva, sulla pelle gelida del viso, un refolo di aria calda, costante e ritmico. Forse era solo un prodotto della sua fantasia, forse era il sonno che iniziava a ghermirlo. Chiuse gli occhi, sistemandosi meglio contro le coperte. Ma all'improvviso, un brivido freddo gli attraversò la schiena - come un vero terremoto - e sollevò le palpebre. Il banco di nubi perlacee doveva essersi squarciato, perché la luce della luna si riversava a fiotti dalla finestrella sporca e scheggiata, sprofondando il rifugio in una penombra grigiastra.

Qualcosa, a pochissima distanza da lui, brillò flebilmente. Sussultò e tirò indietro la testa, sentendosi avvampare di vergogna e imbarazzo.

Minho lo fissava insistentemente e nei suoi occhi non c'era la minima traccia di sonno.

"Pensavo-"

"Troppo freddo," lo interruppe, ma c'era una nota assente nella sua voce, pensosa. Come se stesse rimuginando su qualcosa. Thomas non doveva sforzarsi molto per provare ad indovinare. Aveva praticamente ascoltato ogni singola parola che era uscita dalla sua bocca. E se da una parte se ne sentiva sollevato - non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere tutto, lo sapeva - dall'altra si sentì ferito, perché lui era stato sveglio sin dal primo momento e aveva deciso di ignorarlo deliberatamente.

"Okay," mormorò, non sapendo davvero cos'altro dire. Fece per voltarsi dall'altra parte, ma Minho gli artigliò la spalla, tenendolo inchiodato al pavimento. Thomas rabbrividì quando un paio di dita fredde sfiorarono la pelle del collo e si sforzò di non scrollarsi via la sua mano di dosso, come aveva fatto quello stesso mattino. Pur sentendo il freddo penetrare le fibre di cotone delle due maglie che indossava, restò fermo, attendendo.

"Thomas..." provò, l'aria di uno che aveva qualcosa di importante da dire. Thomas fece solo un cenno, ma Minho imprecò ad alta voce, stringendogli dolorosamente la spalla prima di lasciare la presa.

"Niente. Buonanotte."

Minho fece per allontanare la mano, ma le dita di Thomas, ancor prima che potesse deciderlo o anche solo volerlo, scattarono a chiudersi intorno al suo polso, spingendolo indietro, contro la sua schiena. Minho si divincolò bruscamente e Thomas ebbe l'impressione di veder baluginare la rabbia nei suoi occhi, capendo il fallo appena commesso. Cosa gli era venuto in mente? Perché aveva agito così? Cosa voleva fare?

Volevo baciarlo, mormorò dentro la propria testa, vergognandosene. Ecco cosa.

Fece per scusarsi, ma le parole restarono tutte premute tra la sua bocca e quella di Minho. Una parte di lui cercò di resistere quando l'altro si accostò a lui, facendo leva perché si voltasse sulla schiena; era solo istinto, la perenne guardia che non aveva mai imparato ad abbassare, neppure con Minho. Ma l'attimo dopo si stava già lasciando spingere - e baciare, baciare, baciare.

Nella sua seconda, brevissima vita, aveva conosciuto solo due baci sulla bocca, ma questi erano tutt'altra cosa. Minho, che non doveva avere più esperienza di lui, a meno che non avesse baciato qualcuno all'interno del Labirinto, sembrava sapere perfettamente cosa stesse facendo. Le sue labbra si muovevano sicure e consapevoli, serbando, nei modi, quell'impulsività e quell'arroganza che erano parte di lui. Thomas non riusciva a concentrarsi totalmente su di lui, c'erano troppi pensieri che sfondavano la barricata di quel momento, guastandolo. Come il fatto che stesse baciando un ragazzo, Minho. O come il fatto che desiderasse baciarlo. Non sentiva neppure più freddo e se ne sentì esaltato, al punto da allungare le mani per posarle sul collo di Minho, tirando per tenerlo ancora più vicino.

Quando sentì la sua lingua scivolare sulla propria, Thomas rilassò ogni singolo muscolo e sbatté la porta in faccia ad ogni pensiero che ancora insisteva nel reclamare la sua attenzione. Scoccò un'ultima occhiata alla luna che, lentamente, tornava ad essere inghiottita dalla coltre di nubi cariche di pioggia e neve, portando però con sé la promessa di una rinascita.

La sua.

 

 

I’m not strong enough to stay away


Molto tempo dopo.

Thomas fa leva sulla gamba destra, dandosi l'ultima, faticosissima spinta e raggiungendo la sommità della montagna più alta, foderata di erba nuova e fiori dai colori sgargianti, quasi abbaglianti. Rotola un paio di volte sul manto erboso, prende due ampi respiri prima di affacciarsi sull'orlo del crepaccio e tendere la mano a Minho, aiutandolo ad issarsi sulla prima superficie stabile e sicura dopo giorni di pietra friabile.

Il sudore cola dalle punte dei capelli, solca la fronte e brucia negli occhi, arrossandoli. Fa caldo. Dell'inverno non è rimasto altro che un freddo ricordo. Deve essere piena estate, Thomas ne è convinto. Minho sostiene di no; secondo lui, sono al principio dell'autunno. Quale che sia la verità, non gl'importa. Non fa più freddo, non sono più costretti a dormire appiccicati, posizione scomoda dopo posizione scomoda, per sopravvivere alla notte.

Condividono ancora il rifugio e le coperte, ma il freddo non c'entra più - non c'entra più da molto tempo.

Thomas non ha idea di cosa siano. Alleati, indubbiamente. Migliori amici, certo che sì. Una coppia? Dipende. Non è sicuro di provare qualcosa per Minho che trascenda la semplice amicizia; sa solo che continua a gradire le sue attenzioni. Cerca di non pensarci troppo, prende le cose come vengono. Come quella loro folle esplorazione del Paradiso, che si è conclusa in questo preciso momento, che l'ultimo membro della spedizione - Jorge - si sta arrampicando oltre l'orlo del crepaccio, giacendo prono e sfinito sull'erba.

Quando Minho ha proposto la cosa, Thomas ha potuto solo sorridere scioccamente, scuotendo la testa e pensando ad uno scherzo. Invece, l'altro era maledettamente serio e, ancor peggio, l'ha praticamente costretto ad imbarcarsi in quell'impresa al limite del suicidio contro la sua volontà.

Ma adesso che zoppica lentamente verso quel panneggio blu sterminato, sorretto dal braccio di Minho ben saldo intorno ai suoi fianchi, pensa che ne è valsa la pena. Pensa che lo rifarebbe altre mille volte.

"Ma che...?!"

"Un'isola," esala Minho, voltandosi in ogni direzione e non scorgendo altro che mare fino a che l'occhio riesce a guardare. "Una fottuta isola. Ci hanno scaricati su un'isola."

"Amico, ti stai ripetendo."

Minho lo fissa stralunato. "Ma hai capito cosa sta succedendo? Siamo su un'isola, tagliati dal resto del mondo!"

"Non dovresti sorprenderti. Non era forse la loro intenzione? Tenerci lontano da tutti?"

"Sì, ma..." tenta, ma poi ci rinuncia e scuote la testa. Thomas non riesce a sentirsi veramente sorpreso. Sin dalla prima volta che aveva visto il mare, aveva vagliato diverse ipotesi, tra cui anche quella di essere stati trasportati su un'isola. Certo, averne la certezza è tutt'altra cosa.

"Ci siamo spinti fino all'estremo nord. Adesso dovremmo puntare nelle altre direzioni, non credi?"

Minho fa una smorfia esausta, poi si lascia cadere sull'erba, strappando un pugno di fili d'erba.

"Da dove nasce tutta questa voglia di andartene in giro?"

Thomas ci pensa un po' su. Da quella notte di molti mesi prima, si è rialzato un poco alla volta, passo dopo passo. Ha iniziato a parlare nuovamente con la gente, ha cercato di recuperare la sua amicizia con Brenda e con i Radurai di cui non ha mai conosciuto il nome. Si è avvicinato a Gally. Non che adesso siano amici, ma entrambi condividono il peso di aver assassinato un amico. Non ne parlano mai, ma c'è sempre qualcosa, nei loro sguardi, che viene comunicato silenziosamente. Una sorta di comprensione piena e profonda che solo loro condividono.

Sta ancora cercando di rimettere in prospettiva la morte di Newt, di inquadrarla sotto una luce differente. Non è sicuro se ci stia riuscendo o meno, ma ci sta provando. E Minho è lì ogni volta che la sua volontà minaccia di cedere. Basta uno sguardo per frenare la caduta e rimetterlo in piedi. Questo, pensa, è solo uno dei moltissimi motivi per cui non riesce a stargli lontano. Minho è il suo terremoto nella schiena, nel cuore e nel cervello, che rimette in moto gli ingranaggi quando si inceppano.

Guardandolo adesso, che il sole picchia sulla sua testa, schizzando i capelli di riflessi corvini, è dannatamente contento che sia sopravvissuto. Che gli sia rimasto accanto.

"Non lo so," risponde finalmente, stringendosi nelle spalle. Non ammetterà mai che il merito è suo, ha ancora troppo orgoglio per confessare di aver sviluppato una sorta di dipendenza nei suoi confronti. "Penso di essere semplicemente curioso."

"Già. Me la ricordo, la tua caspio di curiosità," lo ammonisce, ma non c'è traccia di cattiveria nella sua voce. Forse solo una nota divertita.

Thomas abbozza un sorriso e guarda gli altri, che si scambiano commenti stupiti e confusi. Ci faranno l'abitudine, ne è certo. Il posto è così grande che non avranno neppure la sensazione di essere separati dal resto di continenti. E, ricordando la drammatica situazione di Denver, Thomas non è neppure certo che sia rimasto qualcuno.

Minho preme la mano sulla spalla di Thomas e vi fa leva, rimettendosi in piedi con una smorfia.

"Accampiamoci per la notte. Lì, sotto quello sperone di roccia sporgente," ordina ad alta voce, senza però smettere di guardarlo, gettando sul prato lo zaino che ha tenuto sulla schiena sino a quel momento e muovendosi lentamente in tondo per rilassare i muscoli affaticati. Gli altri obbediscono in fretta, lieti di avere qualcosa da fare che non sia scalare il fianco della montagna. Thomas li vede sparire uno alla volta nel piccolo bosco che, non riesce a spiegarsi come, se ne sta appollaiato lassù in cima, verde e rigoglioso, proprio sotto la vera vetta della montagna - uno spuntone acuminato di cinque o sei metri. E quando anche l'ultimo ragazzo è sparito, Minho si accovaccia accanto a lui, reggendosi con una mano sulla sua schiena.

"Bene così, allora?" domanda, tre parole che circoscrivono decine di domande diverse, prima tra tutte la rassicurazione che tutto vada bene. Thomas sorride, si guarda indietro per accertarsi che nessuno li stia osservando, e si sporge per baciargli velocemente la bocca, senza pensarci davvero. Minho si irrigidisce, ma è solo un attimo. E a Thomas non sfugge la sua mano che si è spostata, salendo velocemente sulla nuca.

"Bene così," risponde.

E per la prima volta, ci crede davvero.




   
 
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