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Autore: Hoshimi_    27/02/2015    2 recensioni
Ian si è iscritto a West Point, campus nel quale sogna di allenarsi sin da bambino per poi andare a combattere nell'esercito. Paura e ansia lo accompagnano in questo luogo fino a quando un ragazzo -Mickey Milkovich- non si offre di aiutarlo ad ambientarsi, sebbene in maniera sarcastica e disinteressata. Un ragazzo solo all'apparenza sicuro di sè, che cercherà una modo per essere salvato in Ian.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La fredda aria di ottobre si insinuava nei vestiti di Ian, costringendolo a stringersi nella giacca grigio scuro e ad affondare il volto nella sciarpa che gli avvolgeva il collo, le mani in tasca ed il cappuccio alzato a nascondere i capelli arancioni.
La via che stava percorrendo brulicava di persone, che il ragazzo seguiva noncurante e senza una meta; niente sembrava essere in grado di attirare la sua attenzione: non le risate dei bambini che giocavano a tirarsi palle di neve, né i negozi colmi di zucche e addobi, nè il profumo che si disperdeva dalle bancarelle improvvisate dei venditori ambulanti; almeno fino a quando non vide dall'altro lato della strada un ragazzo dai capelli neri e un guizzo azzurro negli occhi.
Mickey.
Si fermò con il cuore in gola, paralizzato dall'incredulità.
Le labbra si contrassero in un sorriso, un gesto ormai innaturale e rigido.
Attraversò la strada senza pensarci con il rischio di essere investito da un'auto che stava passando per la corsia: l'autista gli urlò contro qualcosa, ma egli si trovava già nel marciapiede opposto, diretto verso di lui.
Solamente poche falcate lo dividevano ormai dal ragazzo.
''Mickey.'' Pronunciò con tono affettuoso.
Non lo vedeva da così tanto...
L'altro non si voltò né gli diede retta.
''Mi dispiace ok?''
Perchè non si volta?
Sentì una fitta al cuore mentre i propri occhi diventavano lucidi.
''Quante volte vuoi che ti chieda scusa dannazione?'' Gli urlò contro.
Le persone intorno a lui lo guardarono turbate, allontanandosi in fretta e lasciandolo solo in mezzo alla via; il ragazzo dagli occhi azzurri si era fermato, attirato dal grido, con un'espressione di disprezzo in volto.
''Mi dispiace.'' Sussurrò Ian con voce spezzata.
Fissandolo più attentamente si accorse però che quelle iridi erano di un colore sbagliato, scuro e sconosciuto; i capelli neri non erano gli stessi che aveva stretto tra le mani né le labbra erano quelle che aveva baciato.
Non era la persona che aveva amato.
Non era Mickey.
Perchè Mickey non c'era più.


Il funerale si era tenuto durante un pomeriggio autunnale immerso in un clima surreale: un cielo plumbeo avvolgeva il cimitero di lapidi bianche, tinto da un insolito manto di foglie gialle ed arancioni che scricchiolavano quando venivano calpestate.
Ian non capiva quale delle due tonalità di colore lo nauseasse di più: mentre camminava per il viale ghiaioso fissava con disgusto quei colori accesi e vitali, così inopportuni se giustapposti alla bara di legno lucido che sei persone stavano trasportando attraverso il sentiero. Dietro di loro procedevano pochi famigliari tra i quali riconobbe il fratello e la sorella di Mickey, stretta ad un altro giovane che doveva essere il maggiore dei quattro.
Alla vista del feretro, nonostante si fosse tenuto a distanza dalla processione, Ian ebbe un conato di vomito; nella sua mente l'unico pensiero era Mickey chiuso in quella cassa.
Cercò però di scacciare quella sensazione e quelle idee, deciso a restare accanto a lui fino alla fine.
Continuò dunque a seguirli con lo sguardo da lontano e volutamente in disparte, sollevato per il fatto che Mandy non avesse organizzato una cerimonia sfarzosa, rifiutando ogni commemorazione ufficiale che il campus aveva imposto: il fratello aveva sempre detestato quel luogo e non voleva che nemmeno una parte di esso fosse presente in quell'occasione.
Si fermarono nei pressi di una lapide semplice in marmo bianco, circondata da un prato ricoperto di foglie, sulla quale erano incise due date e un nome; davanti ad essa una buca profonda pochi metri aspettava di accogliere la bara di Mickey.
Ian potè solo intravederla dal luogo in cui si trovava, ma gli fu sufficiente per provare di nuovo una senso di vuoto allo stomaco e alla testa: si voltò tentando di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse il funerale di Mickey.
Solo per un attimo.
Tutt'intorno lo circondavano lapidi bianche: arrancò verso un albero vicino, accasciandosi contro di esso e annaspando in cerca di aria mentre quelle tombe sembravano estendersi a perdita d'occhio: tutte con la stessa data, tutte con lo stesso nome.


                                                                             

                                                                                 Mickey Milkovich
                                                                                     10.08.1994
                                                                                     12.09.2015






Ian vagò per ore senza pensare a dove si stesse dirigendo.
Si fermò solamente al limitare di una chiesa, non avendo la più pallida idea di come ci fosse arrivato.
Era stato solamente una volta in quel luogo eppure il ricordo di esso era impresso nella sua mente: seguì lateralmente il profilo dell'edificio fino ad arrivare ad un cancello nero, che cigolò quando lo aprì.
La luce pallida del sole autunnale illuminava quell'ambiente, conferendogli un clima tranquillo e sereno, avvolto nella propria immobilità da un sottile e candido strato di neve.
Il ragazzo percorse con calma il viale, lasciandosi guidare dai propri passi che si diressero senza indugio lungo l'ala sinistra del cimitero.
Il panico che lo aveva attanagliato l'ultima volta sembrava svanito, o semplicemente nascosto in profondità, coperto da un fragile strato di autocontrollo.
Si arrestò di fronte ad una tomba in particolare, fissando eppure non riuscendo a focalizzare le lettere incise su di essa; si avvicinò per spazzare via con la punta delle dita la patina leggera di neve che la ricopriva e la aggirò, dando le spalle alla parte frontale e sedendosi con la schiena contro la lapide.
Abbandonò il capo contro il marmo freddo, gli occhi volti al cielo mentre svuotava lentamente il contenuto delle tasche spargendolo sul prato velato di bianco: trattenne solamente il cellulare nella mano, indeciso se comporre il suo numero o meno.



Qualche giorno dopo il funerale, Mandy Milkovich si era presentata a casa sua con una scatola tra le braccia:'' Ciao Ian.''
Era chiaramente provata: due occhiaie le rigavano il volto smunto, circondato da capelli disordinati e sfibrati. Ian non sapeva se le avrebbe fatto piacere tuttavia le chiese: ''Vuoi entrare?'' Con sua grande sorpresa lei annuì, stringendosi nelle spalle e farfugliando un grazie.
Il giovane dai capelli rossi la osservò mentre prendeva posto sul divano, stringendo la scatola in grembo in modo protettivo; si sedette a sua volta vicino a lei con le mani giunte, aspettando che iniziasse a parlare.
''Credo dovresti averla tu.'' Esordì tutto d'un fiato, dopo un breve silenzio, porgendogli il contenitore.
Ian lo afferrò delicatamente con espressione confusa senza sapere cosa fosse o perchè lo stesse dando a lui:'' Sono i suoi effetti personali del campus.'' aggiunse lei. L'altro fece per aprirlo ma la ragazza lo fermò, bloccandolo con le dita magre:'' Aprila quando sarai solo.'' Sebbene la sua voce fosse flebile, la determinazione era chiaramente leggibile nei suoi occhi: Ian li fissò intensamente, senza aver mai notato prima quanto essi assomigliassero a quelli di Mickey.
Strinse le dita attorno alla sua mano, rivolgendole uno sguardo comprensivo e insieme malinconico, con la consapevolezza di condividere lo stesso dolore.
Parlarono poi per ore dei più svariati argomenti, anche se il più frequente era Mickey: Ian aveva un bisogno disperato di sentire racconti su di lui, storie di un passato in cui era reale; poneva perciò senza sosta domande a Mandy, la quale sembrava conoscere il fratello più di se stessa.


Quella stessa sera Ian si mise seduto sul letto, fissando la scatola verde pallido che gli stava davanti, quasi potesse vedere attraverso essa.
Riflettè a lungo sulla decisione di aprirla o meno, vinto infine dalla curiosità e dalla speranza che dentro ci fosse qualcosa che avrebbe guarito – anche solo in parte- la ferita che lo lacerava interiormente.
Sollevò il coperchio a poco a poco, sbirciando con gli occhi la fessura che si allargava sempre di più e lasciava intravedere il suo contenuto.
Un giovane Mickey gli sorrideva da una foto in bianco e in nero, la prima tra tante disseminate nel contenitore: la prese con cautela tra le dita, avido di sfamare il desiderio di quel volto; l'espressione stupita e al contempo divertita mentre rivolgeva il proprio sorriso alla fotocamera.
Ian si stese lungo il letto, rannicchiandosi di lato e guardando l'immagine alla luce fioca della abatjour: passò il proprio pollice sulla piccola fronte di Mickey, quasi potesse sentire la pelle sotto il polpastrello.
Lacrime silenziose scesero lungo le sue guance, offuscando la vista della fotografia.
Allungò il braccio verso il comodino per prendere il cellulare: seppur conscio di quanto stupido e irrazionale potesse sembrare quel gesto, non potè impedirsi di comporre il numero del ragazzo che gli sorrideva dal palmo della sua mano.
Appoggiò il telefono vicino all'orecchio, trattenendo il respiro tra un suono d'attesa e l'altro, con la speranza di sentirlo rispondere che via via scemava. I minuti passavano eppure non riusciva a riattaccare.
''Solo un altro.'' Continuava a ripetersi.
Chiuse gli occhi umidi, annegando piano in quell'oceano di silenzio assordante interrotto solamente da brevi squilli.
''Se non vi rispondo ci sarà un motivo, no?
Ah. E in caso non ve lo avessi detto: fottetevi.''
La voce di Mickey invase completamente il cervello di Ian e trasmise una scarica di adrenalina per tutto il suo corpo; il ragazzo impallidì in volto mentre l'aria gli si bloccò in gola, incapace di uscire o entrare. Si alzò di scatto tremante, le pareti della stanza che vorticavano attorno a lui. A causa del movimento improvviso il cellulare era caduto tra le coperte, la foto ancora stretta nella propria mano: cercò con smania il telefono, terrorizzato all'idea di perdere il contatto con quella voce. Quando lo ritrovò la linea era ormai caduta, portando via con sé quel suono che credeva non avrebbe sentito mai più.
Ian lasciò cadere la foto sopra le altre, portandosi una mano al cuore e ripiegandosi su se stesso a causa del dolore che stava percorrendo a spasmi le proprie ossa: gli sembrava di essere solamente lo scheletro della persona che era un tempo, privato di emozioni e di vita.
Perchè per quanto cercasse di non pensarci, il fatto che Mickey fosse morto lo stava uccidendo, come un parassita annidato nella carne in attesa di contaminarla e distruggerla pezzo per pezzo.

Capovolse la scatola con rabbia, sparpagliando il contenuto sul letto: le foto rotearono per aria fino a posarsi disordinatamente sul letto, seguite poi da un oggetto più grande che cadde con un suono sordo.
Davanti ai suoi occhi, un giubbotto militare stinto e sfilacciato.
Ian lo afferrò sorpreso avvolgendo attorno ad esso le dita:lo premette sul proprio volto, in maniera che le narici potessero respirare l'odore di Mickey che quell'indumento aveva conservato.

Scoppiò a piangere contro quel tessuto ruvido, incapace di controllarsi: dalla sua gola proruppero singhiozzi simili a conati, quasi a voler rigettare il dolore fuori perchè dentro ce ne era troppo.
Tutta la sofferenza che aveva represso scaturiva ora senza freni, travolgendolo con il proprio impeto. Spinse con forza il volto contro il giubbotto, nella speranza di interrompere quell'onda nera che lo stava sommergendo: si aggrappò a quella giacca come se fosse un'ancora in quel liquido fluido scuro e fu in quel momento che si accorse di una via di fuga da esso, nascosta nella tasca destra del giubbotto che stringeva convulsamente.




 

Aveva chiesto a Mandy di conservare quel cellulare:'' Solo per sentire la sua voce.'' Aveva detto con voce sommessa.
Lei lo aveva guardato con rassegnazione mista a costernazione, sapendo di non potergli negare quella richiesta.
Premette il tasto di chiamata.
Contò i 10 squilli che lo separavano ogni volta da quel messaggio dalla durata di pochi secondi, sentendosi sollevato ogni volta che udiva quelle parole ormai familiari. Prese da terra l'oggetto che teneva in tasca, lo stesso che aveva trovato chiuso nello scomparto del giubbotto di Mickey qualche giorno prima. Vicino ad esso giaceva la sua foto in bianco e nero.
Appoggiò il cellulare a terra prendendo invece in mano la fotografia e fissò la frase che scritta sul retro.
''Promettimi che starai attento eh?'' Sussurrò con rabbia scuotendo il capo.
''Promettimi che...''
Si alzò con rabbia stringendo la pistola nella mano destra e si posizionò nuovamente davanti alla lapide.
''Guarda cosa è successo!'' Urlò, agitando l'arma contro il nome inciso sulla lapide.
''Sei contento eh?''
''Io sono solo.''
''SOLO.'' Gridò passandosi una mano tra i capelli mentre camminava velocemente avanti e indietro lungo la strada.
''Non sono nemmeno riuscito a dirti che ti amo.'' La voce lo abbandonò nell'ultima parte della frase, disperdendosi nell'aria in un suono fioco.
''Io ci ho provato Mickey.
E voglio che tu lo capisca.'' Riprese, volto ora verso la lapide.
''E so che mi prenderesti a calci nel culo'' Rise amaramente tra sé a quel pensiero:''Ma io non ce la faccio ad andare avanti così. Non senza di te.''
Farfugliò tra le lacrime:''Come può una persona vivere se si sente morire ogni giorno?''
Trovò solo il silenzio a rispondergli.

Ian tolse la sicura e si portò la pistola alla tempia: strano come fosse sottile il confine tra vita e morte, facilmente valicabile con la minima pressione dell'indice.
La fredda bocca dell'arma premeva contro la pelle, pochi centimetri a separare il proiettile dalla carne.
Tutto era immobile intorno a lui, cristallizzato in un preciso attimo nel quale Ian era vivo e respirava.
Un colpo ruppe l'equilibrio perfetto che si era creato, come uno specchio frantumato in mille pezzi.
L' attimo dopo il suo corpo stava cadendo sopra la tomba di marmo bianco, tingendola di rosso scarlatto.
La foto che poco prima teneva in mano lo seguì lentamente, trasportata dal vento. Si posò vicino alla sua mano, con l'immagine rivolta verso il basso mostrando delle parole che il ragazzo aveva scritto con cura in corsivo.


La verità è che io ho amato Mickey e Mickey ha amato me e che noi ci siamo amati troppo per questo mondo.







 

  
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