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Autore: Mikirise    28/02/2015    6 recensioni
Un miracolo è qualcosa di semplice. Così semplice che nemmeno ce ne rendiamo conto. Può essere un tuo amico che si riprende dopo essere stato mollato. Può essere una tua amica che ti porta alla Fiera delle Arti Moderne, quando sei giù perché sei stato mollato. Può essere il sedersi davanti a un quadro che pensavi non ti piacesse.
I pianeti si allineano col sole e hai il tuo miracolo, per cui devi lottare lottare e continuare a lottare, per poterlo mantenere nel tempo e nello spazio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calipso, Jason Grace, Leo Valdez, Leo/Calipso, Percy Jackson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le peripezie'
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Note:
Prima di leggere, vi voglio ringraziare per l'appoggio alla storia che mi date dando. Siete incredibili!

Aggiornerò spesso, visto che mi hanno fatto notare la brevità di alcuni capitoli, dipenderà tutto dai miei impegni scolastici, certo, ma penso di farcela.

Buona lettura!







Parte I: Allineamento del Sistema Solare





































I


Una delle cose di cui avrebbe incolpato Annabeth sarebbe stata questa: se Leo avesse visto in un altro momento Calypso, l'avrebbe trovata istantaneamente antipatica, col suo viso bellissimo da ex-ragazza più popolare della scuola. Se non l'avesse vista in quel momento particolare, se gli astri non si fossero allineati -e questo era dovuto ad Annabeth-, Leo avrebbe continuato la sua vita e sarebbe stato felice. Cavolo. Sarebbe stato felice. Fe-li-ce. Non so se ti è chiaro. È quando una persona saltella per i prati fioriti con un enorme sorriso sulle labbra e la voglia di abbracciare tutti. Cosa che, ovviamente, Leo non era.

Ma, certo, per poter continuare una storia la si deve iniziare. E questa storia inizia più o meno come dovrebbe iniziare ogni storia: con un ragazzo sdraiato sul divano della sua casa, condivisa con i suoi migliori amici, un cuore a pezzi, per così dire, e una voglia matta di nachos col formaggio. Perché Leo sarebbe potuto essere felice in un futuro, ma, al momento dell'allineamento planetario, non lo era. Non lo era per niente.

A dirla tutta, e a dirla breve, Leo Valdez stava guardando per l'ennesima volta le repliche della quinta stagione del Dottor Who, imprecando a denti stretti contro Amy Pond, perché tutte le donne sono uguali, Rory, girati cinque secondi e scappano la notte prima del loro matrimonio, col Dottore. Stronze.*

E non aveva niente contro il Dottore, perché, cavolo, non poteva avercela per tanto tempo con un uomo come Matt Smith, quindi si riguardava le puntate riuscendo a imprecare solo contro la rossa, mentre i suoi due coinquilini lo spiavano dalla cucina, bevendo frullati blu e mangiando patatine rustiche. Ma non era questo il punto.

Il punto era che Leo era triste. Che era stato lasciato. Che era stato lasciato brutalmente. Con un messaggio. Il giorno del suo compleanno. Vabbe', forse non proprio il giorno del suo compleanno. Forse mancavano ancora tre giorni al suo compleanno. Ma ciò non toglie che era stato lasciato. E che essere lasciati fa male. E che non dovresti ridere di Leo triste.

Il primo giorno di lutto, Jason e Percy, da bravi amici, avevano cercato di assecondarlo un po' in tutto, sedendosi sul divano a guardare Hunger Games con lui e mangiando pop-corn, per tirarlo su di morale. Avevano sopportato la furia di Leo contro Gale e Katniss in Catching Fire, per essersi baciati e il compianto -che sapeva tanto di piangersi addosso- di Peeta, personaggio in cui Leo sembrava rivedersi, nonostante il disappunto dei suoi due migliori amici putativi. Perché anche se erano solo putativi, come migliori amici, gli volevano più bene di qualunque altro loro amico.

Il secondo giorno Percy si stava già annoiando di quel piangersi addosso e, quando Leo gli aveva detto di sedersi accanto a lui per vedere la puntata di Robin Hood -quello della BBC- in cui Marion muore, aveva iniziato a borbottare qualcosa su dei pancake blu e sul fatto che, quando Annabeth Chase lo aveva lasciato, non aveva fatto tutte quelle storie -guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Jason, che, diligentemente, stava preparando altri pop-corn. In effetti, Percy era un buon amico ed era una brava persona, ma non brillava né per tatto, né per pazienza. A Leo la cosa non sembrò disturbare. Stava parlando di quanto ipocrita fosse la BBC, visto che, nell'ottava stagione del Dottor Who, Marion era viva e vegeta. Anche troppo. Nessuna donna è così fedele.

E il terzo giorno era stato il giorno del Dottor Who. E il giorno in cui Jason avrebbe tanto voluto portare Leo fuori dalla loro casa per due motivi molto semplici: 1) Era il giorno del suo compleanno e nessuno può passare il giorno dei propri vent'anni a guardare il Dottor Who, per quanto stupenda la serie sia; 2) Leo iniziava a puzzare. Ma puzzare sul serio, di un misto di ascelle, lacrime e disperazione.

Eau de Leò, per uomini disperati.

Già s'immaginavano la pubblicità, con Bratt Pitt a fare un monologo sulla forza della natura e dell'uomo in sé.

Jason e Percy sapevano perfettamente di non sapere un fico secco sulle relazioni ragazzo-ragazza -motivo per cui erano entrambi single-, e ammettevano che, purtroppo, non avevano il minimo tatto sentimentale, o tatto empatico, o come volete chiamarlo. Erano completamente impreparati per la situazione che avevano davanti. Sapevano che necessitavano rinforzi. E sapevano a chi chiedere aiuto, purtroppo.

Secondo usi maschili dei nostri tempi, se un ragazzo vive con altri due ragazzi, vuol dire che quei due ragazzi sono probabilmente i suoi due migliori amici. E Leo accettava, a parole, quella convenzione. A parole.

Perchè c'era poi l'aspetto, come chiamarlo?, emotivo-barra-tematico e reale.

C'era stato un tempo, ad esempio, in cui la sua migliore amica era stata Piper McLean, figlia di un famoso attore in incognito -chissà se era quello il suo vero nome-, ma, col passare degli anni, sul punto di vista emotivo, sia Jason che Percy si erano resi conto che la sua migliore amica era diventata Hazel Levasque, una piccola ragazzina dagli occhi splendidamente dorati, che aveva la pazienza di ascoltare ogni sua lamentela, senza perdere la calma o il suo dolce, comprensivo sorriso. Per convenzione, però, la migliore amica putativa di Leo rimaneva Piper, che, eppure, a volte dimenticava il suo compito da amica per passare ad essere più la sorella-maggiore-che-mette-in-imbarazzo, per essere gentili nei suoi confronti.

La migliore amica è la ragazza -o il ragazzo, non siamo sessisti- con la quale -il quale- si parla di sentimenti ed emozioni e capelli per ore e ore e ore e ore. Il migliore amico, d'altro canto, è quello -quella- che ti tratta male, ti dá botte sulla spalla che ti fa male, che guarda le partite di calcio insieme a te e s'imbratta le mani di olio per aiutarti in uno stupido progetto che andrà a finire in mille pezzettini e polvere. Nel caso di Leo, ovviamente, si deve togliere la parte dello sport. Leo ha sempre fatto pena in qualsiasi tipo di sport.

Quindi, il suo migliore amico era…

Percy aveva supplicato con lo sguardo, ingrandendo i suoi occhi e mettendo su un leggero broncio, pur di non chiamare il migliore amico di Leo. Ma Jason era stato categorico e gli aveva messo il cellulare in mano, invitandolo con un solo gesto della testa a chiamarla.

Eh, sì. Perché il migliore amico di Leo era ovviamente Annabeth Chase, o l'Ex-che-sempre-torna-di-Percy. E non dire che non ci eri arrivato, perché era così ovvio.

“È perché siamo sfigati, Rory.” Leo continuava a parlare davanti alla tv, con la tv. Sarebbe stato comico, se soltanto non avesse avuto quell'aria miserevole. “Perché noi non abbiamo bicipiti e non giochiamo a football o pallanuoto. Ci tradiscono in continuazione.” Annabeth alzò gli occhi al cielo, afferrando per il colletto Leo e tirandolo lontano dallo schermo, che mostrava la scena di addio al celibato di Rory Williams. Il ragazzo, girando la testa verso la bionda, fece una smorfia annoiata, per poi chiedere, al limite della goffaggine e del ridicolo: “Perché le ragazze come te non escono mai con gli sfigati? Ti piace essere lasciata? Sei, tipo, masochista?”

Annabeth roteò nuovamente gli occhi, mentre Percy ricordava al coinquilino che non era stata lei ad essere lasciata, ma lui. Jason, semplicemente, prese a mangiare patatine rustiche, chiedendosi per quale motivo nessuno dei due -Annabeth e Percy- voleva prendersi la responsabilità di aver troncato quella storia. Sembrava, da come la raccontavano, che fosse stato un terzo a farla finire, così, dal nulla. Ma non era possibile, no?

“Insomma” continuò Leo, accarezzandosi il collo. “Prima Luke, poi Percy. Il prossimo chi è? Jason?”

La ragazza sospirò, sedendosi sul tappeto pieno di pop-corn e scansando con i piedi alcune lattine di Coca-Cola e Pepsi. “Oh, Leo. Percy è uno sfigato.”

“Ha parlato lei.” Percy continuava a gridare dalla cucina, senza avere però il coraggio di arrivare fino al salotto e gridare davanti ad Annabeth. Non parlavano molto, da quando si erano lasciati la quarta volta, in effetti. Il loro rapporto tira-e-molla era un po' un peso per Leo e Jason, che cercavano di tenerli lontani qualche mese, per poi farli riavvicinare. Se c'era una cosa chiara nella testa di Jason era che Percy e Annabeth erano fatti l'una per l'altro. Ma erano anche troppo giovani. Il tempismo e le situazioni in cui ci troviamo condizionano anche gli amori della nostra vita: il tempismo di quei due era stato sbagliato. E chissà se ci sarebbe stato un rimedio per tutto questo. Senza offesa, lui sperava ardentemente di no.

“A me lei piaceva perché è diversa. Sai, una ragazza sofisticata senza la puzza sotto il naso.” Percy questo non lo gridò, lo disse solo a Jason, che alzò un lato della bocca, annuendo.

Avrebbe lasciato cadere l'argomento. Non avrebbe lasciato che quei due si rimettessero insieme per la quinta volta solo per poi lasciarsi. E non poteva occuparsi di due coinquilini col cuore spezzato. Non ne aveva la capacità. Nè la voglia.

“Dobbiamo uscire” tagliò corto Annabeth, alzando dal divano Leo, dall'altra parte della casa. “È il tuo compleanno, non ricordi? La mostra al Centro! La Fiera delle Arti Moderne. Eri così felice di poterci andare.”

“Prima di scoprire che le donne mi detestano. E che Chione fa parte delle donne” si lamentò Leo, cercando di ributtarsi se non sul divano sul tappeto sporco. “Perché tu non mi odi?” chiese alla ragazza, che fece una smorfia annoiata. Leo non le diede molta importanza. “Ho deciso che diventerò gay!” Lo diceva almeno una volta al mese, ma amava troppo le ragazze per poter portare avanti la decisione. Nessuno lo prendeva mai sul serio. Beh, a parte Jason Grace.

“Ottima scelta, amico!” gridò dalla cucina il biondo, alzando una patatina verso il soffitto. “Stavo pensando di farti conoscere un ragazzo. Tempo tre mesi e starete viaggiando verso la Spagna per il vostro matrimonio! Ovviamente, il testimone sarei io, eh.”

La bionda lo fulminò con lo sguardo e lui chiuse la bocca, imbronciato. Poi, di nuovo, prese il messicano dal colletto e gli piegò un braccio dietro le scapole, spingendolo verso il bagno. “Ora basta Annabeth gentile.” Era lì da soli dieci minuti. Neanche lei era una tipa paziente. “Tu adesso esci con me. Perché me lo avevi promesso, perché c'è una parte della Fiera dedicata all'ingegneria e ci sono vecchi disegni di Leonardo da Vinci, perché stare così per una come Chione è eccessivo. E perché, mio piccolo dolce Leo, se non fai quello che dico io, sappiamo bene come andrà a finire.” Lo buttò dentro il bagno e lo guardò in cagnesco, facendogli cenno di voltarsi per andare a fare la doccia.

Leo provò a porre resistenza. Per un secondo più o meno. Ma la paura di Annabeth sembrò battere la tristezza di essere stato mollato. Chiuse la porta, girò i tacchi e in poco tempo si sentì l'acqua cadere nella doccia.

“Hai cinque minuti. Un vero uomo non perde tempo. Fammi aspettare anche solo un secondo di più e ti porto al centro di New York nudo. Mi hai capito Valdez? Nudo!”

Jason e Percy si guardarono.

Sì, decisamente, avevano chiamato la persona giusta.

Mercurio, Venere e la Terra erano perfettamente allineati col Sole, in quel momento. 
  
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