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Autore: Ortensia_    28/02/2015    2 recensioni
Io sono una persona e in quanto tale ho dei limiti.
Io sono uno scrittore e in quanto tale sarò giudicato per quello scrivo.

[...]
Chi sono io? Mayuzumi Chihiro. E cosa rimarrà di me? Un foglio di carta e una penna.
[...]
Se credessi nell'esistenza del Diavolo, sono sicuro che i suoi occhi sarebbero questi.
[ Vincitrice del contest "Ripopola Fandom" indetto da __Bad Apple__ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Chihiro Mayuzumi, Kiseki No Sedai, Ogiwara Shigehiro, Seijuro Akashi
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli occhi del Diavolo'
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Capitolo VI

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― Tetsuya aveva cercato di parlare con l'imperatore e di farlo ragionare, ma ripetergli la profezia per filo e per segno e spiegargli le conseguenze che avrebbe potuto comportare scagliare i suoi migliori servitori contro quelle creature leggendarie non era servito a persuaderlo dalle sue intenzioni. Quando l'imperatore decideva di fare qualcosa, non c'era modo che potesse rimangiarsi la parola o fare retromarcia, e in quel caso, purtroppo, un simile atteggiamento avrebbe comportato una perdita, un prezzo da pagare decisamente troppo alto.
Tetsuya aveva passato un giorno intero a far visita agli altri servitori per metterli in guardia del pericolo, ma tutti, ad esclusione di Ryouta, lo avevano respinto o non gli avevano dato ascolto, troppo tesi all'idea di scontrarsi con bestie feroci venute al mondo mille o duemila anni prima di loro.
Era partito con un'ora di ritardo rispetto a tutti gli altri: l'idea che le loro strade si sarebbero divise in quel modo e per sempre gli aveva dato il voltastomaco, così era rimasto chiuso nella sua stanza a vomitare e a cercare disperatamente una soluzione che potesse permettere agli altri quattro di tornare indietro sani e salvi. Soluzione che, mancando la lucidità ed essendo troppo forte la paura, non era riuscito a trovare.
Era partito anche lui, conscio del proprio destino. Lasciandosi alle spalle i tetti ricoperti di cenere delle pagode, non aveva fatto altro che augurarsi che almeno uno degli altri quattro ne uscisse vivo.
Tetsuya si era documentato a fondo sulla Sirena del Lago Mihn, ma non aveva trovato neppure un testo che riportasse una descrizione analoga ad un altro, anzi si diceva che quella creatura apparisse agli occhi di ognuno in modo differente, che spesso assumesse le sembianze di una persona cara al malcapitato. Si diceva anche che, nonostante la sua peculiarità fosse conosciuta, tutti cadessero nella sua trappola mortale.
Normalmente l'imperatore non avrebbe mai ritenuto degno di un incarico simile un servitore gracile come lui, ma Tetsuya aveva un dono particolare, un dono che aveva ereditato dalla madre, ultima Heerenyt vivente che lo aveva dato alla luce dopo essersi accoppiata con un umano.
Gli Heerenyt erano creature molto gracili, avevano grandi occhi e la pelle diafana, vivevano presso i fiumi ed erano conosciute per la loro gentilezza – che di fatto le aveva condannate nella Terza Guerra Imperiale –, ma soprattutto per un'abilità speciale che nessun altro essere vivente possedeva: l'invisibilità.
Tetsuya aveva ereditato proprio il dono dell'invisibilità da sua madre, un dono che lasciava alcuni residui anche quando non lo utilizzava, visto che a corte era conosciuto più che altro per la sua scarsa presenza.
Tetsuya aveva eliminato ogni traccia del proprio corpo già ad un chilometro dal Lago Mihn e una volta arrivato si era appostato sulla riva, aveva sistemato il proprio arco sulle gambe incrociate e aveva aspettato pazientemente. ―




Chiudo gli occhi e stringo la radice del naso fra pollice e indice, mi mordo il labbro inferiore ed inspiro profondamente.
Mi sembra di sentire la voce di Ogiwara che mi prega di smetterla, di prendermi un giorno di riposo, ma è un'eventualità a cui non voglio pensare. Non mi è mai capitato di avere così tanta fretta nel terminare un romanzo e ne ignoro il motivo, so semplicemente che voglio arrivare alla fine, voglio tornare a scrivere del mio imperatore e osservare gli effetti che le ultime parole della mia storia avranno sulla realtà.
Afferro il bicchiere e lo porto alla bocca, bevo la poca acqua rimasta al suo interno e dopo averlo riposto prendo una grossa boccata d'aria, poi ricomincio a scrivere, torno ad immergermi nel mio mondo, dove il battere dei tasti riecheggia lontano e dove le immagini sospese e confuse prendono vita, dove le radici crescono forti e sane e la carta si macchia di parole.


― Tetsuya schiuse le labbra e sollevò il proprio sguardo verso di lui, mormorò qualcosa di confuso e cercò di alzarsi, ma sentì le energie venire meno e restò inchiodato alla riva polverosa.
«Tetsuya, sei ancora qui?»
«Akashi-sama.» quando riuscì a pronunciare il suo nome cercò di alzarsi un'altra volta, ma fallì ancora.
«Ryouta, Daiki, Shintarou e Atsushi hanno già portato a termine la missione, manchi solo tu. Non farmi aspettare, Tetsuya.» Akashi gli porse la mano «ho atteso abbastanza, per me è arrivata l'ora di raggiungere la perfezione assoluta di cui si parla tanto nei libri.»
«Le chiedo perdono, Akashi-sama.» Tetsuya sfiatò sommessamente e restò a guardarlo per qualche istante, poi rivolse la propria attenzione alla sua mano e la afferrò con estrema cautela, come se stesse accarezzando il sottilissimo stelo di un fiore unico al mondo.
Le dita dell'imperatore si strinsero con forza attorno alla sua mano, come gli artigli di un rapace rabbioso e affamato.
Cominciò a mancargli il respiro, come se le dita dell'imperatore fossero strette attorno al suo collo; spalancò la bocca e cercò di respirare, ma l'acqua fredda scivolò in fondo alla sua gola e si insinuò sotto le sue palpebre.
Tetsuya si dimenò e cercò di serrare le labbra, ma non poté fare nulla contro la forza dell'acqua.
Aprì gli occhi solo per un istante, vide lunghi capelli rossi ondeggiare, squame variopinte brillare, colpite dai sottili raggi del sole che bucavano la superficie e si immergevano nel lago, fin quasi a toccare il fondo.
Le palpebre diventarono improvvisamente pesanti, il petto sussultò e il corpo fu percosso da un brivido, le braccia restarono protese verso la superficie e il corpo sprofondò, sempre più giù.
«Non farmi aspettare, Tetsuya.» la voce melliflua di una donna fu l'ultima cosa che sentì. ―




Nelle rare volte in cui decido di fare una passeggiata, esco di sera. Si incontrano meno persone e c'è molto silenzio, si riflette meglio.
Devo scrivere ancora un capitolo e poi, finalmente, potrò tornare a parlare del mio imperatore, potrò demolire il suo mito. Volevo scrivere dell'uomo perfetto, ma gli ultimi eventi mi hanno spinto a prendere in considerazione una svolta diversa da quella che avevo immaginato quando ho iniziato il romanzo.
Voglio capire chi è davvero Akashi, se è solo uno scherzo della mia immaginazione o se esiste davvero. Alcune volte penso che sia reale, altre volte mi rendo conto che è soltanto il riflesso della mia volontà, del desiderio che ho, fin da piccolo, di portare in vita ciò che scrivo e trovare il mio posto in una società diversa da questa, in una società in cui non si possa ferire e non si possa essere feriti. Come posso pretendere una cosa simile, se perdo la testa per qualcuno che forse è soltanto il frutto della mia immaginazione? A volte penso che un mondo senza emozioni sarebbe migliore di questo, ma io per primo non posso fare a meno di innamorarmi. Io voglio innamorarmi, nonostante la paura del rifiuto, nonostante la paura di non ricevere amore, nonostante la paura dell'esclusione. Io, che voglio un mondo senza emozioni, sentirei prima di tutti la mancanza dell'amore, e soffrirei. Io non avrò mai ciò che voglio, perché mi chiamo Mayuzumi Chihiro e sono soltanto una macchia sulla terra, come lo era mia madre, come lo era mio padre. Io sono uno dei tanti, non c'è nulla di speciale in me, niente di bello, niente che sia degno di essere ricordato.
Mi fermo di colpo e cerco di mettere a fuoco la figura immobile di fronte alla saracinesca abbassata della libreria.
«Akashi?» sussurro a fior di labbra e mi avvicino a passo rapido, lui si volta verso di me e non muta espressione, aspetta che lo abbia raggiunto per parlare.
«Comprerò il tuo libro.»
Resto in silenzio e schiudo le labbra per riprendere il fiato di cui la sua vista mi ha privato: la luce artificiale dei lampioni lo rende ancora più terrificante e meraviglioso del solito.
«Akashi, posso farti una domanda?» non so cosa mi gira per la testa, ma voglio scavare fino in fondo alla questione, voglio capire come è possibile che lui sia qui al mio fianco.
«Da dove vieni?»
Akashi sbatte lentamente le palpebre e volta il viso di tre quarti, lentamente.
«Cosa ti preoccupa, Chihiro?»
Aggrotto la fronte e affondo il canino nel labbro inferiore: detesto che ogni volta sfugga alle mie domande, che faccia di tutto pur di eludere la mia curiosità.
«Chi sei?» la mia voce risuona tagliente, non piace neppure a me, ma non ho potuto evitarlo: il suo comportamento mi innervosisce.
«Sono Akashi Seijuurou.» mi risponde con tutta la calma del mondo e io sfiato nervosamente, barcollo e mi volto per un istante ad osservare il marciapiede vuoto.
«Non mi sai dire altro?» voglio che mi dica che non è frutto della mia immaginazione, voglio che mi baci, ma questa volta per davvero.
«Non sono frutto della tua immaginazione, Chihiro.»
Torno a guardarlo, incapace di dire altro.
«Ma non ti bacerò.»
Lui conosce ogni mio pensiero, anche il più intimo. Siamo da capo: lui sa tutto di me e io non so niente di lui, ed è qualcosa che mi fa infuriare.
«Piuttosto, come procede il romanzo?»
«Bene.» rispondo velocemente, offeso dal fatto che lui possa leggermi dentro ogni volta che vuole e io non riesca a capire nulla di lui.
«A quale capitolo sei arrivato?»
«Sesto. Ne scrivo uno al giorno.»
«Che cosa scriverai nel capitolo di domani?» mi chiede con estrema calma, nonostante la mia voce rassomigli sempre di più ad un ringhio rabbioso.
«Di Murasakibara e dell'Idra.»
«E l'imperatore?»
«Di lui parlerò nell'ottavo capitolo.»
«Lunedì, quindi.» sorride «mi dispiace, Chihiro, ma non posso trattenermi ancora. Domani non ci incontreremo.»
Mi stringo nelle spalle e muovo la testa in un cenno di assenso, volto il viso verso di lui soltanto quando sento le sue dita sfiorarmi il dorso della mano.
Spalanco la mano e aspetto che Akashi vi adagi il fiore di ciliegio al centro, lo guardo in silenzio, le labbra contratte in una smorfia: un giorno capirò anche il significato di questi fiori e il motivo per cui non appassiscono mai.
«Prima della fine del romanzo avrai la scrivania ricoperta di fiori di ciliegio.»
Non rispondo, sono troppo concentrato a resistere alla tentazione di afferrargli la mano e intrecciare le mie dita alle sue.
Lui può provare qualcosa? Può amarmi? Forse è per questo che voglio distruggere la perfezione dell'Akashi del libro, perché ciò farà sembrare meno perfetto il vero Akashi e potrò illudermi di avere una possibilità con lui.
«Allora ci vediamo lunedì, Chihiro. Ciao.»
«Ciao.»
Soffermo la mia attenzione sull'asfalto, sento i suoi passi allontanarsi e resto immobile, non lo guardo andare via.


È passato un minuto, forse due, ed io sono rimasto di nuovo solo.
Sollevo lo sguardo e osservo ciò che mi sta intorno, ritrovo il marciapiede vuoto, dove le luci concentriche e giallognole dei lampioni segnano una strada nel buio.
Lui chi è? Akashi Seijuurou. Qualcuno di cui non so assolutamente nulla.
   
 
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