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Autore: Alice_and_Lolly    28/02/2015    3 recensioni
Dentro quelle silenti mura, in quella città di pietra di nome East City, tutto era immobile, tranne qualcosa. Figure ammantate scivolavano veloci per le strade ormai deserte e buie. Riuscivano ad orientarsi alla perfezione, svelti e furtive. Se qualcuno le avesse viste le avrebbe scambiate per scure sagome del Diavolo. Quello che stavano per fare era di certo un’accusa in più nei loro confronti. Erano due giovani uomini, che si nascondevano nella notte, cercando di evitare di fare il benché minimo rumore. Se qualcuno li avesse visti sarebbe stato un problema, un problema davvero enorme per loro. Sapevano che stavano correndo dei rischi, in gioco c’era la loro vita, tuttavia non potevano fermarsi. La causa a cui si erano votati era essenziale, forse più importante della loro stessa vita.
Edward Elric, il maggiore dei due fratelli, ne era fermamente convinto. La scienza non poteva essere fermata.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Winry Rockbell | Coppie: Edward/Winry, Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 4

Erano ormai due giorni che i fratelli Elric e Winry Rockbell non uscivano dalla loro casetta ai limiti di East City. Non avevano osato mettere il naso fuori per evitare che la gente li riconoscesse e che la situazione peggiorasse ulteriormente, dato che già erano consapevoli di essersi messi in guai seri. La loro vita non era mai stata tanto in pericolo dopo quello che era successo nella piazza del mercato.

Alphonse era spaventato. La prima notte l’aveva addirittura passata a piangere silenziosamente in modo che gli altri non se ne accorgessero, perché in fondo un po’ se ne vergognava. Così si era rannicchiato nel letto con il viso rivolto al muro, strofinando tra le mani l’unico ricordo che gli era rimasto di sua madre: una croce di metallo di medie dimensioni, ornata con dei simboli fastosi ed al centro una piccola sfera su cui era inciso un disegno purtroppo illeggibile, forse una lettera. Quando si sentiva triste, solo o spaventato tenerla tra le dita lo rassicurava. Era un ragazzo grande e forte, eppure così sensibile, soprattutto rispetto al fratello che pareva non temere nulla. Invece Alphonse tremava come una foglia all’idea di cosa sarebbe successo di lì a poco. Era solo questione di tempo, prima o poi le guardie sarebbero arrivate e li avrebbero portati nelle prigioni vicino al tribunale per torturarli. Aveva visto con i suoi stessi occhi la condizione delle persone che venivano condannate alla pena capitale per delitti come i loro: era pieni di ferite, di ustioni, a volte non riuscivano nemmeno a stare in piedi perché avevano le gambe rotte, e quelle visioni di ossa che bucavano la pelle, di scalpi e maschere di sangue gli facevano girare la testa. Non voleva che andasse in quel modo, non voleva vedere Edward e Winry patire quelle sofferenze prima di finire su una pira o di venir gettati in un pozzo con gli arti legati…

La ragazza dal canto suo era ancora decisamente scossa da ciò che le era accaduto, ma anche desiderosa più che mai di fuggire. Lei non era riuscita a chiudere occhio, ogni volta che provava ad addormentarsi sentiva nella sua mente le urla di una folla inferocita che voleva farle del male. Nemmeno la vicinanza di Edward la rassicurava del tutto. Ad ogni scricchiolio della vecchia abitazione sentiva il cuore batterle forsennatamente in petto, tremava tutto il giorno come una foglia, e si rifiutava anche solo di avvicinarsi alle finestre. Non mangiava quasi niente se non dei piccoli bocconi, e a nulla valevano le parole che l’amico le rivolgeva per incitarla. Del resto Edward era molto in pena anche per lei oltre che per Alphonse. Vederla così frastornata, tremante, terrorizzata, e con le braccia e il viso pesti, rannicchiata tutto il giorno sul pavimento o nel letto con i capelli coperti malamente da una pesante stoffa come non aveva mai fatto lo faceva impazzire di rabbia e di dolore…

Per fortuna che almeno lui, al contrario degli altri due, si era comunque ripreso abbastanza in fretta. Era ancora ammaccato, il livido intorno all’occhio era sempre di un vivo blu violaceo, eppure sembrava come sempre pieno di energie. Aveva girato in continuazione per casa senza meta come un leone in gabbia, pensando ad un modo per andar via senza farsi notare. Ne aveva parlato molto anche con Alphonse e Winry.

Tuttavia, sapeva bene che, come quel movimento incessante e vorticoso che compieva avanti per la piccola stanza, anche i suoi pensieri erano abbastanza confusi. Sapeva di dover recuperare a tutti i costi la sua lucidità, di doversi calmare e ragionare con tranquillità, con il metodo scientifico che utilizzava anche nel sezionare i cadaveri e studiare ogni tipo di scienza. Con un grande sforzo, provò a sedersi, a placare quella furia che non permetteva a nessuno dei suoi arti di rimanere fermo. Tentò in ogni modo possibile, tentò davvero di raggiungere la freddezza necessaria per progettare qualcosa di sicuro e intelligente. Ma i sentimenti che lo tenevano strettamente legato alla vicenda, la sofferenza che vedeva riflessa nelle persone che più amava e quel silenzio inquietante, gli metteva agitazione. Non poteva di certo pensare in quelle condizioni!

Con potenza e prepotenza sferrò un calcio, facendo cadere lo sgabello vicino e far sobbalzare i suoi coinquilini. Si alzò rapidamente in piedi, incurante di quello che aveva fatto. Sentiva una rabbia tale che, era sicuro, lo avrebbe condotto a uccidere uno per uno quella folla. Era frustrato e non solo perché si era giunti a quel momento. Lui aveva sempre lottato contro tutte quelle istituzioni per salvare ogni singola vita, per trovare una cura a quella malattia che decimava ormai la popolazione. Rischiava la sua vita, vivendo ai margini della società e di certo non nell’allegria, ma nel timore di essere sempre scoperto, non capito, cacciato o peggio. Aveva sempre temuto quel momento, ma era stato più duro del previsto. Aveva assaporato il disprezzo per la sua carità, la non comprensione dei suoi sacrifici e la reazione violenta dei suoi sforzi per salvarli.

 Batté un pugno sul tavolo, sentiva tutta quella furia montargli fino alla testa, sentiva quell’impotenza che lo avrebbe condotto inevitabilmente al pianto se non fosse stato così testardo e determinato da non cedere, da non far trapelare la sua disperazione e quindi la sua debolezza. I capelli biondi andarono a nascondere e oscurare il suo sguardo. Era giunto al limite, ora era davvero il momento di cambiare atteggiamento. Per lui adesso conoscere una cura non era più una questione di mero aiuto, era questione di orgoglio, doveva dimostrare che tutta quell’incomprensione era sbagliata. Avrebbe smascherato la ridicola corruzione della Chiesa, avrebbe trascinato nel baratro quell’istituzione che rigirava a suo vantaggio il latino, non compreso dalla maggior parte della folla, per i propri interessi. Lui non credeva, non aveva mai creduto. Perché Dio avrebbe dovuto provocare tutto questo dolore alla sua gente? Aveva fatto delle ricerche scientifiche, aveva indagato e appurato con la stessa meticolosità con cui si era gettato nei suoi appunti di medicina. La Chiesa interpretava a suo vantaggio tantissime situazioni, lo aveva sperimentato e provato. Ma se solo avesse osato ad alzare la voce, se soltanto avesse osato dire la propria sapeva che non sarebbe stato creduto. Tutto sarebbe stata un’accusa ulteriore delle sue azioni. Ora doveva trovare quella soluzione alla peste e per trovarla avrebbe dovuto portare prima al sicuro suo fratello e Winry. Avrebbe dovuto pensare lui a cosa fare, erano nelle sue mani.

Tutto era pronto. Appena sarebbero calate le tenebre sarebbero scappati, per recarsi probabilmente verso Resembool, un piccolo villaggio che si trovava abbastanza lontano dalla loro città, ma comunque raggiungibile in qualche giorno di viaggio se avessero mantenuto un buon passo di marcia. La madre dei due Elric era originaria di quel luogo, e anche loro erano nati lì. Quando era rimasta sola dopo che loro padre li aveva abbandonati, Trisha Elric se ne era andata e aveva trovato rifugio a East City. Nessuno li avrebbe riconosciuti, e avrebbero potuto ottenere qualche attimo di pace in quel luogo. Avrebbero avuto quindi tutto il tempo di pensare al da farsi.

Edward aveva appena finito di radunare sul tavolo della stanza principale le provviste per il viaggio che aveva trovato in casa: dei cavoli, del pane ormai non più freschissimo, qualche striscia di carne salata, delle borracce d’acqua, una saccoccia contenente un pugno di monete d’argento. Era consapevole che non sarebbe stato sufficiente per il viaggio che li attendeva, ma avrebbero potuto rifornirsi lungo la strada, se solo avessero avuto un pizzico di fortuna. Nonostante il periodo buio, c’erano molti mercanti che battevano le rotte commerciali, e se ne avessero incontrato qualcuno avrebbero potuto comprare qualcosa da mettere sotto i denti.

Quando Edward l’aveva fatto notare ai due compagni, aveva immediatamente notato l’espressione nervosa di Alphonse. Aveva anche capito perfettamente il perché di quella reazione, conoscendo il fratello come le sue tasche: Trisha raccontava sempre che loro padre era un facoltoso mercante, per questo se ne stava sempre lontano da casa. Evidentemente aveva trovato qualche bella ragazza esotica durante i suoi viaggi, perciò li aveva ripudiati, o almeno, questa era l’idea che Edward si era fatto della vicenda, anche se sua madre aveva sempre glissato la questione, e più ci pensava più si rodeva il fegato di rabbia...  Per questo aveva deciso di non iniziare una conversazione con Alphonse su quell’argomento ostico, non era il momento di litigare. Purtroppo avevano due pareri completamente diverse riguardo a quel farabutto del loro padre.

L’attesa delle tenebre nella loro casetta divenne estenuante, il tempo sembrava non passare mai. Ormai i fagotti erano pronti, nessuno parlava.

Winry rimaneva sdraiata nella sua brandina, infagottata in una coperta, silenziosa, Edward non poteva fare altro che sospirare, seduto al tavolo senza curarsi del mobilio che poco prima aveva calciato, vicino ad Alphonse, che si teneva la testa ciondolante con una mano e nel frattempo con l’altra giocherellava con la solita piccola croce.

«Dici che a Resembool ci riconosceranno?» chiese quest’ultimo ad un certo punto con voce preoccupata.

Il maggiore scosse il capo.

«No, non credo proprio. Dobbiamo essere rapidi e la notizia non arriverà fino lì. Nessuno sa che la mamma era originaria di quel posto tranne…»

«Tranne Pinako… Lo so… Ma io mi chiedevo, fratellone… Sei sicuro che non abbiamo parenti lì?»

«La mamma ha sempre detto che non aveva nessuno al villaggio, che era figlia unica e che i suoi genitori erano morti. Perché avrebbe dovuto mentirci?»

«No… Io pensavo a papà, Ed…»

«Non parlare di lui. Era di Central City, non di Resembool. E poi non sappiamo nemmeno che faccia abbia, quel maiale schifoso.»  

La voce di Edward si era fatta tagliente come la lama di un rasoio, le sue guance si erano infiammate di colpo. Era evidente che stesse perdendo nuovamente il controllo di sé. Non amava sondare la questione sia per non ricordare il padre che aveva misconosciuto e li aveva abbandonati sia per non entrare in disputa con Alphonse come si era prefissato dal principio. Soprattutto in quel momento tanto difficile non era proprio il caso di discutere sulla faccenda. Il carattere di Edward non gli permetteva certo di sentire quelle repliche da parte del fratello, lui era convinto nel suo odio verso il padre e nessuno sarebbe riuscito a farlo rinsavire, nemmeno lui, doveva ben ricordarselo!

Alphonse tacque, chiudendo in sé i suoi dubbi. Continuava ad aggrapparsi a quella croce, continuava a stringerla nelle mani come se quell’oggetto potesse rivelargli delle certezze. Winry continuava a rimanere completamente immobile, immersa in quel suo dolore, incapace di reagire.

Quel silenzio era pesante, mosso da una grande tensione.

Edward era ricaduto nella sua solita rabbia, il fratello rimaneva zitto e fermo in un angolo con la croce stretta sul petto.

Quell’aria di tensione non diminuiva, ognuno rimaneva intento nelle proprie attività, nei propri pensieri, infestando la stanza da numerosi dubbi che, simili a fantasmi, ormai avevano preso il pieno controllo di tutta la casa. Erano succubi di quei mostri nati dal loro inconscio e non sapevano più come liberarsene. Immersi in quei tristi pensieri, nelle proprie paure non riuscivano a lottare e rialzarsi. Il tempo passava fin troppo lentamente e niente sembrava placarsi. Le loro paure vecchie e nuove si confondevano, si univano, fino a generare una completa impotenza verso la minaccia incombente. Senza la loro forza di volontà e il loro desiderio di vivere certamente non sarebbero andati avanti ma erano troppo poco lucidi per rendersi conto della situazione. I loro timori, anche se tutt’altro che irrazionali, li stavano sviando, e la discussione era dietro l’angolo. Edward non era in sé, Alphonse non era in sé e nemmeno Winry… Lei era sicuramente quella che stava peggio, costretta a metabolizzare le violenze subite.

La negatività di quella piccola stanza stava diventando soffocante, e il maggiore dei due Elric annaspava in cerca di aria incontaminata.

«Io… Io devo uscire un attimo…» farfugliò a voce bassa. 

«E dove vai, Ed? Non dovevamo uscire solo dopo il tramonto?» rispose Alphonse come risvegliatosi dalle sue funeste fantasie.

La ragazza, che sembrava non aver posto alcuna attenzione verso i loro discorsi precedenti, mosse il capo e guardò con occhi spaventati e gonfi di pianto nella loro direzione e annuì debolmente.

«Voglio partire in fretta…» pigolò.

«Devo prendere ancora delle provviste, poi potremmo partire.»

«Dai, per favore, se qualcuno ti vede saranno guai! Hai detto che avremmo comprato da mangiare lungo il cammino, non è da te cambiare idea tutti i momenti!» cercò di rimproverarlo Alphonse. Peccato che il suo tono di voce non riusciva ad essere in alcun modo adirato, anzi, pareva più una supplica.

«No, prendo ancora un paio di cose e torno.»

Che scusa patetica, se ne rendeva conto da solo. Il problema era che non sarebbe riuscito a stare un minuto di più chiuso lì dentro con quegli altri due. Non poteva odiarli, eppure avvertire i singulti incontrollati di Winry e le lagne su loro padre di Alphonse era ormai una cosa intollerabile. Non ce la faceva davvero più, doveva schiarirsi le idee o non avrebbe potuto affrontare il viaggio con la sua solita mentalità razionale. Non aveva talmente più voglia di ascoltare quei due, che uscì di casa a tutta velocità, sbattendosi la porta alle spalle, quando il Sole si stava ancora avviando verso l’orizzonte, gettando solo qualche schiva ombra su East City.

Era palese che non stesse andando a cercare nulla da mangiare anche dal fatto che non aveva preso nemmeno un cestino con sé. Alphonse non era stupido e lo notò immediatamente, eppure rimase paralizzato sulla sua sedia, la croce eternamente stretta nella mano, indeciso su cosa fare. Doveva andare a recuperare il fratello oppure aspettarlo in tranquillità, concentrandosi magari su Winry, in modo da farla uscire da quello stato catatonico prima di mettersi in marcia? E se Edward si fosse cacciando nei guai? Non sarebbe riuscito a lasciare la città senza di lui, i rimorsi lo avrebbero divorato. Lui amava così tanto suo fratello…

Stringendo i pugni tanto da sbiancarsi le nocche, si alzò in piedi e senza dire una parola corse a sua volta fuori dalla casetta. La ragazza sarebbe stata al sicuro, pensava tra sé e sé, tanto non si sarebbe sicuramente mossa. Sarebbe stato via giusto il tempo di trovare quel testardo di suo fratello e tornare indietro, in seguito sarebbero immediatamente partiti tutti insieme. Doveva preoccuparsi più per lui che per lei, dato che se qualcuno lo avesse visto gironzolare indisturbato per la città non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Lui era solamente preoccupato e dilaniato da quei sentimenti contrastanti che lo stavano invasando. Aveva il cuore palpitante, l’anima in subbuglio, non si era minimamente reso conto di come avesse fatto degenerare la situazione a causa dei suoi pensieri, avrebbe dovuto rimettere presto una pezza a quella storia e in fretta. Suo fratello era senza dubbio intelligente, un ottimo scienziato, addirittura prudente quando non perdeva la testa. Conosceva la sua impulsività, sapeva perfettamente il suo modo di fare e non poteva non volergli bene, non poteva in alcun modo smettere di stimarlo e apprezzarlo. Avrebbe dovuto stare più attento, solo lui poteva mettere freno, con la sua cautela e dolcezza, all’energia dirompente dell’adorato fratello. Lui lo sapeva e quella volta, nel momento di maggiore fragilità, nel momento in cui sarebbe dovuto essergli più vicino, lui non c’era stato e lo aveva abbandonato. Lo aveva lasciato per quella stupida croce, il ricordo sbiadito di un passato lontano e incerto. Lo aveva scartato per ricordare ancora una volta le origini di un padre lontano, che li aveva rifiutati. Lui capiva il risentimento di Edward, comprendeva appieno quella mancanza che sentiva in fondo al petto, quel colmo che non era mai riuscito a riempire. Per lui era stato anche più semplice, non solo Pinako e Winry erano sempre state vicine, ma anche Edward… Lui era stato il suo baluardo e difensore, lui aveva sostituito appieno come fratello maggiore anche suo padre. Non avrebbe potuto non essergli più grato.

Continuava a camminare, trascinando con sé quella pesantezza, quei sentimenti che lo aggravavano con la loro devastante mole. Si sentiva schiacciato e soltanto con un’immane forza di volontà cercava di trascinarsi in avanti, alla disperata ricerca del ragazzo.

Nonostante tutto questo, tutto questo amore di cui non si poteva lamentare, lui non riusciva a convincersi del tutto ad abbandonare la ricerca dell’uomo che aveva loro dato la vita. Voleva mettere fine a quei dubbi, alle incertezze dell’abbandono, ma anche vedere finalmente il suo vero volto, per avere un immagine familiare a cui rivolgersi. Nei suoi remoti desideri e nelle sue mai perdute speranze continuava a figurare nella sua mente l’idea di famiglia che avrebbe potuto condividere gioie e dolori. Non si era mai accorto che le opulenze delle famiglie più ricche, la falsa cortesia che albergava in ognuno di loro non era altro che apparenza. Lo spettro di una società che avrebbe voluto dimostrare valori di cui era completamente priva e spoglia. Avrebbe voluto piangere, scacciando così via da sé quell’infinita sofferenza che lo attanagliava.

Camminava rapido, senza fermarsi, imboccando strade a caso senza alcun nesso logico. Era confuso ma allo stesso tempo sapeva perfettamente dove andare, come se seguisse un filo invisibile che lo legava al fratello. Di questo non ne aveva mai fatto parola, eppure ne era convinto. Probabilmente a Edward sarebbe sembrata solo una sciocca superstizione, ma Alphonse era fermamente convinto che qualcosa di molto potente lo collegasse a lui. Erano così diversi, ma malgrado ciò erano sincronizzati e andavano molto d’accordo: sicuramente c’era un motivo, qualcosa che nemmeno la scienza avrebbe potuto testimoniare a livello di ossa o sangue, qualcosa che andava ben oltre a qualsiasi sapienza umana.

Il solo fatto di ritrovarsi davanti Edward, il solo fatto di averlo trovato in quella grande città con la sola forza della disperazione e dell’istinto era un’ulteriore prova ai suoi pensieri.

Mentre Alphonse quindi gioiva per essere riuscito a rintracciare il suo irascibile fratello sano e salvo a braccia incrociate e scuro in volto, appoggiato ad un muro all’ombra di un vicolo che puzzava di liquami, Winry aveva trovato un moto di coraggio e si era seduta sul letto. Si guardò attorno con aria stranita e all’erta ad ogni minimo rumore, poiché iniziava ad essere molto inquieta. Non voleva più stare da sola in quella casa, il tempo sembrava non passare mai.

Maledì mentalmente il momento in cui quel testardo di Edward era uscito da quella porta, aveva solo rallentato la loro partenza… E la ragazza non vedeva l’ora di andarsene. Non aveva più nulla da spartire con East City e con i suoi abitanti, per lei potevano morire tutti dal momento in cui avevano cercato di ucciderla insieme ai suoi due amici. Loro stavano cercando solo di aiutarli e di salvarli, e questo era quello che avevano ottenuto: insulti, lividi ed escoriazioni! Non avrebbe smesso di supportare il loro lavoro solo perché erano troppo legati, e poi Edward… Edward era una persona speciale. Mai come in quei momenti in cui pareva catatonica e insensibile alle sue attenzioni aveva sentito così vivida una fiamma d’affezione nei suoi confronti. Aveva sussultato segretamente di piacere ogni volta che aveva avvertito la sua mano accarezzarle dolcemente una spalla o una scapola, aveva avvertito la pelle coprirsi di brividi e le gote incendiarsi. Si sentiva strana e ingenua, un po’ sciocca forse. Lui le aveva salvato la vita, e gli era così grata per questo. Non che non lo fosse nei riguardi di Alphonse, eppure non era la stessa cosa. Lui era gentile e sensibile, tuttavia non suscitava in lei le stesse emozioni. Ogni volta che Edward le aveva sussurrato delicatamente qualche parola di conforto all’orecchio aveva percepito degli spasmi nei visceri del bassoventre, piacevoli e dolenti nello stesso tempo. Arrivò persino a chiedersi se per caso il trauma non l’avesse fatta uscire di senno. Erano stati cresciuti insieme, doveva vederli come fratelli… Ma non poteva mentire a se stessa: no, non lo erano e non lo sarebbero mai stati.

In cuor suo non vedeva l’ora di giungere a Resembool, che si immaginava come un sorridente villaggio di poche case immerso nella natura, lontano dalla malattia e dalle brutture dei giochi di potere, senza religiosi invasati, senza Inquisizione, senza soldati, dove tutti vivevano in pace grazie agli umili lavori campestri. Avrebbe sicuramente trovato delle nuove piante con cui riprendere la sua attività, e magari lì nessuno le avrebbe fatto del male, avrebbe potuto rendersi utile… Aveva ascoltato tante volte quando era una bambina i racconti malinconici di Trisha, mentre descriveva quella cittadina idilliaca da cui purtroppo era fuggita per conservare un fantomatico onore perduto…

Era persa nelle sue fantasticherie innocenti, quando avvertì dei colpi forti e sordi contro la porta di legno della casa. Sì spaventò talmente tanto da non riuscire a non emettere un piccolo gridò terrorizzato. Il cuore le batté impazzito nel petto. Edward e Alphonse non avrebbero picchiato in quel modo, non potevano essere loro.

«Aprite subito! Aprite o bruciamo la casa e vi lasciamo dentro!» gridò una voce minacciosa.

Winry tremava senza alcun controllo.

Si accasciò a terra in silenzio, sentendo completamente tutti i suoi muscoli non sostenerla più. Quel coraggio che era riuscita pian piano ad acquistare, quel piccolo slancio di arditezza che era aveva accumulato e manifestato in quei pochi minuti era stato completamente inutile. Sbattuta nuovamente in quel lido di terrore, oppressa dalla paura, non sapeva cosa fare. Il suo cervello la scongiurava di salvarsi ma non sapeva come, non sapeva cosa fare e non sapeva dove andare. Era caduta completamente nel panico e anche se avesse voluto fare qualcosa le sue membra non la sostenevano, l’avevano completamente abbandonata al suo destino. Non aveva nemmeno le forze per agitarsi, nemmeno per compiere un atto disperato mosso dal desiderio di sopravvivenza. Solo la sua mente continuava a muoversi, rischiando di farla impazzire, perché avvertiva solamente di essere inerme e spacciata. Si sentiva completamente scoppiare la testa, tutte quelle energie avrebbe potuto utilizzarle in un altro modo, tuttavia era inchiodata a quel posto e trafitta da migliaia di spilli che le procuravano un dolore irresistibile.

Tutto iniziò a prendere tinte meno marcate, si ritrovava nella piazza, trascinata da quelle persone che la ritenevano una strega. Sentiva tutto il loro disprezzo, aspettava la sua morte e proprio nel momento in cui Edward sarebbe dovuto venire in suo soccorso, lui non giungeva. Viveva in continuazione quell’Inferno che aveva provato solo qualche giorno prima, continuando a rivivere la stessa scena, senza potersi ribellare. A quell’immagine poi iniziò a sovrapporsi il dolore delle torture. Aveva ascoltato a malapena i sussurri nelle strade, ciò che la gente diceva a proposito delle torture e le sentiva sperimentate su di sé, sentiva proprio un dolore fisico lacerarla. Era completamente ingabbiata nel terrore e nella sofferenza, senza riuscirsi a liberarsi da quella ragnatela di funereo presentimento.

Se solo avesse potuto probabilmente si sarebbe alzata e avrebbe aperto la porta, si sarebbe consegnata e arresa, forse così Edward e Alphonse avrebbero potuto salvarsi. Ma com’era ridotta non poteva di certo sperare di alzarsi e presto quel desiderio, come tanti altri, si spense. In quel momento la tempesta infuriò e Winry smise di lottare, abbandonandosi con stentata rassegnazione a quella bufera.

Una folla irruppe senza molti complimenti, devastando in poco tempo la catapecchia. Winry era semisvenuta, completamente ignara di ciò che la circondava. Non poteva di certo ascoltare le loro voci e distinguerle.

«E queste appese al muro? In questo posto che puzza di putrido? Mappe per raggiungere il Diavolo?»

«Ma non vedi, stupido? Sono gli ingredienti per dei riti contro l’Altissimo! Vedi sangue, muscoli e tutti questi nomi strani? Sono tutti ingredienti! Non oso immaginare questi altri nomi impronunciabili cosa significhino!»

«E questo? Jupiter, Venus? Dei pagani? E questi? Spiriti del Vino?»

«Sono chiari riti orgiastici del loro Padrone! Donne e Vino… Non ci si poteva immaginare di meglio! Qui la situazione è molto più grave del previsto! Inquisizione, Inquisizione subito! Sono rivoltanti servitori del Demonio!»

«Anche quella donna svenuta! E’ in estasi chiaramente, e in contatto con il suo Signore Maligno! Bisogna portarla subito dall’Inquisizione, è una strega proprio come si mormorava!»

Gli uomini temevano anche a toccarla. Non potevano dimostrare la loro superstizione, ma avevano evidentemente paura di poter essere uccisi da un maleficio di quella strega ormai nemmeno più presunta. Infine, la afferrarono e la trascinarono via tra le macerie di quella casa. Saccheggiarono ciò che fu possibile trovare e portarono via i principali oggetti imputati per l’accusa.

Quella schiera punitiva attraversò la città, lasciando dietro di sé una scia di morte e desolazione, ma non sembravano per niente pentiti della cosa. Ciò era loro richiesto e quello era il loro modo per portare la Felice Novella nelle case.

 

 

   
 
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