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Autore: Manu_Green8    01/03/2015    2 recensioni
Il college era la nuova esperienza di lei, da vivere e da gustare. Il pugilato professionistico quella di lui. Un anno era passato in fretta e i due ragazzi si sentivano più uniti che mai. Ma cosa accadrà quando si insinuerà la lontananza? O quando incontreranno persone nuove e ne riemergeranno dal passato?
L'avventura di Melanie e Chad continua, anche se non tutto sarà facile. Ce la faranno anche sta volta? Questo è tutto da scoprire...
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Salve, cari lettori! Vi ricordate di me? Forse sì, o forse no. Sono già passati diversi mesi dall'ultima volta che ho scritto una storia e finalmente sono ricomparsa proprio con il sequel di "Un battito d'ali... un battito del cuore". Con questo non vi obbligo di certo a leggere la storia precedente, ma vi invito comunque a farlo, considerando i riferimenti all'interno di tutta la fanfiction.
Non mi dilungo oltre! Fatemi sapere cosa ne pensate! Buona lettura :D
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[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA: MI SCUSO PER IL DISAGIO]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un battito d'ali.. un battito del cuore'
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Pov Melanie

La sveglia suonò sul comodino e io sobbalzai, mettendomi a sedere sul letto. Oggi sarebbero iniziate le lezioni effettive e io fremevo al solo pensiero. Erano già passati diversi giorni dal mio arrivo e dalla festa, durante i quali avevo trascorso del tempo principalmente all'esterno dell'edificio, in giro per le vie della bella città di San Francisco e per i suoi negozi affollati e caotici. Per di più avevo passato del tempo con Becka, anche se per poco. Mi aveva spiegato, infatti, che nel corso di teatro aveva un ruolo importante. Era una delle amministratrici, insieme ad altri due ragazzi, e anche gli insegnanti spesso le chiedevano di occuparsi di piccole o grandi faccende, in modo che tutta l'organizzazione fosse perfetta. Chissà, forse un giorno sarei diventata come lei e avrei gestito da studente un intero settore del college. Settore che in realtà dovevo ancora cominciare e considerando che non volevo arrivare in ritardo già il primo giorno, scacciai via certi pensieri dalla testa. Dopotutto, era sempre stato Chad quello ritardatario, non io.
Perciò balzai giù dal letto e solo allora mi accorsi che Cher era ancora seppellita sotto le coperte, nel letto accanto al mio. Il suono fastidioso dell'aggeggio sul mio comò non l'aveva toccata per niente e la ragazza continuava a dormire restando immobile, nella stessa posizione. E io non potei fare a meno di paragonarla a mio fratello. Anche Dave era così: una volta addormentato non si svegliava con nulla, tranne se veniva scosso o se impostava come sveglia la sua chiassosa suoneria.
Il lato positivo del fatto che la mia compagna di stanza stesse ancora dormendo era che io potevo tranquillamente utilizzare il bagno e prepararmi a dovere.
Indossai dei pantaloni che lasciavano le mie caviglie scoperte, ritenendoli adatti al primo giorno e lasciai i capelli, che adesso dopo il taglio corto di due anni prima erano tornati fin oltre le spalle, ricadere sciolti e un po' disordinati.
Presi la tracolla, che Chad mi aveva regalato per il mio inizio al college e che avevo già preparato la sera prima e feci per uscire. Lanciai un'ultima occhiata alla ragazza scura che stava ancora dormendo e con cui, per ragioni a me inspiegabili stavo ancora sul piede di guerra, e mi chiesi se avessimo orari differenti delle lezioni o se fosse semplicemente in ritardo. In entrambi i casi svegliarla mi sarebbe risultato sconveniente, per cui non me ne curai e aprii la porta della nostra camera, pronta per la mia prima lezione.
 

Pov Chad

Mettere piede in palestra di mattina era davvero strano.
Comunque, quando la sera prima Carl mi aveva detto che l'allenamento era spostato alle 9 del mattino, per me non era stato un problema. Era bastato invertire i turni di lavoro e il gioco era fatto.
Anzi, quella mattina mi ero svegliato anche un po' più tardi del solito e prima di entrare in cucina un odorino delizioso era arrivato al mio naso. Entrando in cucina avevo trovato mio fratello, seduto sullo sgabello della cucina, che dandomi le spalle mangiava la sua solita tazza di cereali, mentre mia zia avevo appena spento i fornelli.
"Buongiorno, Chad" mi salutò mia zia, mentre io mi allungavo dietro le spalle di mio fratello e afferravo uno di quei gustosi cereali al cioccolato, che riempivano la tazza talmente tanto da nascondere completamente il liquido che stava sotto e che supposi dovesse essere latte. Portai il cereale alla bocca, mentre Evan si voltava verso di me. "Ehi! Quello era mio!" disse arrabbiato.
"E che sarà mai? Ne ho preso solo uno. Non lamentarti" dissi, sedendomi sull'altro sgabello libero. Evan mi fece una linguaccia, mentre mia zia mi metteva davanti un piatto ricolmo di uova, bacon e una colonna di frittelle. "Oh. Buongiorno a te" dissi, ricambiando il saluto di poco prima, ma guardando intensamente il piatto che avevo davanti. Avevo l'acquolina in bocca solo guardando quella prelibatezza e mi chiesi come facesse Evan a preferire del semplice latte con i cereali.
Sentii mia zia ridere per la mia reazione, chiedendosi probabilmente se stessi parlando con lei o con il cibo.
Io, intanto mi ritrovai a pensare di essere grato alla donna che in quel momento stava pulendo i fornelli, mentre noi gustavamo la colazione che ci aveva appena preparato. Da quando anche io avevo iniziato ad avere i loro stessi orari, grazie al lavoro che mi ero procurato, mia zia aveva iniziato a cucinare per entrambi i suoi nipoti, nonostante io le avessi detto che non c'era bisogno. Ma lei aveva insistito e io non era riuscito a negarglielo. Diceva di farlo con piacere e che dopotutto non lo aveva mai fatto, considerando che appena poche settimane prima le mie mattine trascorrevano con me sotterrato sotto le coperte del mio caldo letto. "Era ora che lo facessi" era stato il suo commento, accompagnato da un sorriso genuino.
In quel momento sentimmo la porta di casa che si apriva e si richiudeva e nessuno se ne curò, sapendo chi fosse appena entrato: l'unico uomo, che oltre me aveva da qualche mese le chiavi di quella casa. Mason Twister era il compagno di mia zia già da due anni e tutti noi eravamo ormai abituati alla sua presenza. Soprattutto Evan che si era abituato facilmente al fatto che il suo vecchio insegnante fosse diventato l'uomo amato da nostra zia.
"Buongiorno" ci disse, dopo essere entrato in cucina. Stava iniziando a far crescere quella barba rossiccia, che mia zia riteneva tremendamente sexy. E così mi chiesi se cercare il rosso nei propri compagni fosse un vizio di famiglia.
Mason aveva cinto con le mani i fianchi della sua donna, che gli dava le spalle. "Ehi dolcezza" disse e mia zia fermò ciò che stava facendo e si voltò per baciarlo.
Io ed Evan ci eravamo guardati e avevamo fatto un verso disgustato, tanto che i due adulti si separarono e ridacchiarono.
"Evan, va a cambiarti. O faremo tardi" ordinò la donna e mio fratello saltò giù dallo sgabello.
E poi, prima di andare verso la porta si sporse e rubò una frittella dal mio piatto, ficcandosela in bocca.
"Ehi! Quella era mia" avevo ribadito, infastidito.
"Era solo una. Non lamentarti" mi disse imitando perfettamente le prime parole che quella mattina ero stato io a pronunciare. E io non avevo potuto fare a meno di sorridere istintivamente, guardando mio fratello che scappava via dalla cucina. Solo con quei piccoli gesti mi accorgevo che Evan stava crescendo, diventando sempre più furbo e più simile a me. E nonostante Ryan me lo ripetesse continuamente, io non ero così sicuro che quella fosse poi una buona cosa.
 
La palestra di mattina era davvero desolata. Tutti gli attrezzi erano ancora al loro posto dalla sera precedente e si sentiva solo il rumore dei climatizzatori che avevano iniziato a scaldare l’ambiente.
Quando Carl mi vide mi salutò senza dire nulla, mentre io mi dirigevo verso gli spogliatoi. Si stava abituando felicemente alla mia nuova puntualità e di certo non se ne lamentava. E non me lo faceva notare neppure, forse per la paura che se lo avesse fatto, sarei potuto tornare ad essere il solito ritardatario.
Quando tornai nella sala in cui il ring si mostrava in tutta la sua bellezza, Carl non era più da solo. Accanto a lui, un ragazzo, forse poco più giovane di me, con lunghi capelli raccolti in alto sulla testa e due pozze scure al posto degli occhi.
Temetti la sua presenza dal momento in cui l’avevo visto. Ragazzi giovani significava soltanto…
“Chad, lui è Simon. Oggi sarà lui il tuo allenamento” Carl interruppe i miei pensieri. Ecco, come non detto: avrei dovuto fare da babysitter ad un marmocchio che cercava di provare il brivido del combattimento. Non era la prima volta che il mio allenatore me ne appioppasse uno e solitamente proprio questi ragazzi si sentivano i re del mondo solo per il fatto di indossare dei guantoni, senza capire a cosa servisse la nostra arte. Per loro era solo mostrare alle ragazze e ai compagni liceali di essere fighi.
Feci una smorfia involontaria, ma annuii, non potendo contraddire o ribattere alle parole di Carl.
“Dagli del filo da torcere” mi esortò, iniziando a farmi la telecronaca della vita del ragazzo, come al solito. E come al solito non me ne fregava nulla e fingevo di ascoltare mentre mi preparavo a combattere con un ragazzo, che speravo non fosse un vero principiante. Carl continuava a ripetermi che ogni tanto questi combattimenti potevano essere utili anche a me: imparare dai più deboli. Un concetto che in realtà non mi era molto chiaro.
<< E poi, se vorrai insegnare un giorno, puoi iniziare a fare pratica già da adesso >> mi diceva continuamente.
E chi diceva che volevo davvero insegnare a fare ciò che amavo? Ok, ero bravo a farlo, ma chi lo sapeva: magari un giorno sarei diventato qualcuno di importante e avrei aperto un grande concessionaria di motociclette.
Risi di me stesso e scacciai quegli stupidi pensieri dalla mente, finendo di scaldarmi e praparandomi ad andare all’attacco.

Erano passati venti minuti da quando quel ragazzo continuava a lanciare colpi a vuoto con una faccia minacciosa, mentre a me bastava spostare il peso del corpo per scansarli.
Scagliavo qualche colpo di tanto in tanto, che raramente venivano fermati, mentre Carl continuava a ripetere consigli al ragazzo davanti a me, di cui avevo già dimenticato il nome, figuriamoci la vita.
Dallo sguardo, però, sembrava un ragazzo tormentato. I suoi colpi erano frenetici e cercava di canalizzare in essi tutta la sua forza, evidentemente senza riuscirci. Quella era sempre stata l’unica parte accettabile di quei combattimenti: osservare l’avversario e cercare di capire i suoi stati d’animo o i suoi problemi. Dopotutto, nessuno iniziava a combattere senza una motivazione valida. Tutti noi avevamo avuto dei problemi, più o meno gravi che ci avevano portato a sfogarci contro i sacchi o contro la gente. Io, ad esempio, avevo iniziato a farlo qualche anno dopo l’abbandono di mio padre. Il vuoto che avevo avuto dentro da quel momento ero riuscito a riempirlo soltanto in quel modo.
E poi qualche minuto dopo, Carl se ne andò nel suo studio, lasciandomi da solo con quel ragazzo, dopo avermi raccomandato di dargli consigli durante il combattimento. Io annuii, guardando come la palestra aveva iniziato a riempirsi di gente, nonostante fosse mattina. E così, scoprii che anche la mattina quel posto brulicava di vita.
Non dovetti aspettare molto che una voce troppo familiare fece eco tra le tante.
“O’Connor schiva il colpo con la velocità di una pantera, mentre il ragazzo nuovo e strambo cerca disperatamente di sfiorarlo” disse Ryan, imitando la voce di un telecronista e parlando ironicamente.
Io ridacchiai e mi voltai appena verso il mio amico che adesso era quasi davanti al ring, con le braccia incrociate al petto e un sorriso beffardo.
“Oh, chi si vede a quest’ora del mattino” dissi, continuando a guardarlo e fermandomi con le braccia più rilassate rispetto alla posizione di combattimento.
“Buongiorno a te, amore” mi disse, con il suo sorriso ancora in bella mostra. Io feci una smorfia al nomignolo, mentre lui continuava, fiero di sé: “E poi io sono sempre qui. L’ora non è importante”.
E poi vidi la mossa del mio avversario ancora prima delle sopracciglia di Ryan che si sollevavano e mi abbassai d’istinto. Schivai il pugno che il ragazzo strambo, come il mio amico lo aveva chiamato, mi aveva lanciato, mentre mi riteneva distratto.
“Ehi!” dissi, arrabbiato, per la slealtà del mio avversario. E poi il mio pugno fu sulla sua mascella, più velocemente della formulazione del pensiero nella mia testa. Il ragazzo cadde con il culo per terra, non aspettandosi la mia istantanea reazione, con un verso di dolore e portandosi una mano guantata alla mascella.
La risata di Ryan riempì l’aria, mentre il ragazzo per terra mi ringhiava contro: “Non tergiversare, amico”.
Lo guardai infuriato. Il rispetto di quei marmocchi era sempre uguale. Andava a farsi fottere ogni volta.
“Tirati su, amico” lo incitai, mettendo più enfasi nell’ultima parola. Odiavo quando quei liceali dovevano sfogare la loro rabbia su di me in quel modo e mi ero infuriato velocemente, ripetendo la solita scena di sfacciataggine di quei ragazzi complessati.
Simon- improvvisamente mi ero ricordato il suo nome- si alzò in piedi e riprese a combattere, mentre Ryan iniziava a parlare. “Chad, devo dirti una cosa” mi disse, con l’eccitazione nella voce.
Adesso io guardavo il ragazzo davanti a me, ma stavo comunque ascoltando il mio amico.
 “Che cosa hai fatto sta volta?” chiesi, mentre colpivo Simon al fianco con poca convinzione.
“Sono tornato al nuovo pub ieri sera”.
“Cosa? Senza…” iniziai, sentendomi offeso per essere stato escluso in quel modo, ma mi interruppi di colpo.
“Ehi, deficiente. Abbassa quel gomito. O farai del male soltanto ad una mosca con la potenza che otterrà il tuo gancio” dissi, invece, verso il giovane che avevo davanti.
Ryan rise. “Uhuh, Chad si è scaldato. Non trattarlo tanto male, furia. O lo traumatizzerai” mi disse ironicamente.
Vidi Simon fare una smorfia infastidita, forse per l’appellativo che avevo usato, ma seguì le mie istruzioni e attaccò. Parai il colpo per l’ennesima volta. Le sue mosse erano lente, ma almeno, seguendo il mio consiglio, potevo sentire l’incremento di potenza del colpo.
“Sei andato senza di me? Potevi chiamarmi, stronzo” dissi a quel punto senza guardare Ryan, ma il mio amico sapeva perfettamente che mi stavo rivolgendo a lui.
“Sì, scusa furia, diciamo che è stata una cosa dell’ultimo minuto. Ma non è quello il punto. Ho incon…”.
“Rage! Che diavolo stai facendo?” Ryan venne interrotto dalla voce di Carl.
Sentii il mio amico che si schiariva la gola. “Converso?” disse semplicemente.
A quel punto io e Simon ci eravamo fermati a guardare i due uomini.
Ridacchiai al commento di Ryan e al sospiro esasperato del nostro allenatore.
“Perché devi sempre importunarmi O’Connor? Al contrario di te, sta lavorando” lo accusò.
“Non lo stavo importunando” affermò il moro con una faccia da schiaffi.
Carl scosse la testa. “Va a scaldarti, Ryan. Subito” gli ordinò.
“Okay, okay. Relax” borbottò l’altro sorridendo beffardamente e andando a recuperare la sua attrezzatura.
“E voi due, continuate. Avete ancora altri quindici minuti” disse Carl, rivolgendosi a noi sul ring.
Io roteai gli occhi e mi rimisi in posizione, ricominciando a combattere, mentre il mio allenatore aveva ripreso a correggere il ragazzo strambo.
 
Dopo quindici minuti ero giù dal ring, allontanandomi da Simon senza nemmeno salutarlo. Non mi aveva neanche detto grazie, nonostante avessi dedicato tutto quel tempo della mia mattinata proprio a lui.
Lasciai perdere e raggiunsi Ryan che adesso stava lanciando pugni contro uno dei sacchi.
Appena si accorse di me si fermò, sorridendo e poggiando le braccia intorno al tessuto nero del sacco.
“Hai finito?” mi chiese.
“Sì, adesso. Cosa stavi dicendo prima?” risposi, asciugandomi il sudore dalla fronte con il mio asciugamano.
“Ieri sera ho incontrato una ragazza” disse con la stessa eccitazione di prima negli occhi.
Io alzai gli occhi al cielo con un sorriso divertito. “E qual è la novità? Tu incontri sempre delle ragazze” affermai.
“No, Chad, non capisci. Questa è la ragazza più bella che abbia mai visto. Ho parlato con lei per gran parte della serata. È una modella e si è trasferita qui in città da poco. Sono riuscito ad ottenere il suo numero” disse, soddisfatto.
Io sorrisi. “Ben fatto, amico”.
Ryan si strinse nella spalle. “Sai, Chad. Lei mi sembra… diversa dalle altre. Cioè, non sembra finta come molte di loro e poi sembrava davvero interessata al pugilato. Penso che ci proverò per una volta” ammise.
Io sorrisi. Era strano sentire quel donnaiolo del mio amico dire parole del genere ed ero sinceramente contento per lui.
“Sembra fantastico, Ry. E adesso dovrai farmela conoscere, sappilo” gli dissi, puntando l’indice contro di lui.
Lui ridacchiò. “Certo, fratello” mi rispose.
“Bene, vado a lavarmi. Puzzo come…” iniziai.
“Come un opossum morto. Sì, amico. Lo sento” mi prese in giro, ridendo.
“Fottiti” dissi, colpendolo con la mano dietro la testa e ridendo insieme a lui, dirigendomi verso gli spogliatoi, pronto per una bella doccia calda: uno dei momenti migliori della giornata.
 

Pov Dave

E finalmente dopo una settimana in cui io e Rachel avevamo iniziato ad abituarci sulla nostra vita di coppia nell’appartamento, anche per noi erano iniziate le lezioni.
Quella mattina eravamo usciti di casa insieme, facendo il tragitto fino al college mano nella mano, mentre Rachel continuava a parlare a macchinetta su cosa sarebbe potuto accadere quel giorno. Ebbene, quello era sempre stato il suo modo di fare di quando era molto nervosa e io avevo ormai capito che bastava ascoltare in silenzio ciò che farneticava e sorridere di tanto in tanto. Solo in questo modo si sarebbe davvero calmata, mentre cercare di confortarla l’avrebbe resa decisamente peggio.
Prima di separarci comunque, avremmo assistito insieme alla riunione di benvenuto che l’istituto organizzava per gli studenti del primo anno di tutte le facoltà, nell’auditorium, dove alcuni professori ci rivolgevano un discorso di benvenuto e ci facevano gli auguri per l’inizio del nostro nuovo anno.
E solo alla fine di essa ci separammo, disperdendoci tra la mischia e dirigendoci nelle aule in cui avremmo assistito alla nostra prima lezione. La mia era quella di anatomia e mi sentivo elettrizzato al solo pensiero.
Una volta entrato nella grande aula, presi posto in uno dei sediolini vuoti nelle file al centro, mentre molti altri ragazzi facevano lo stesso, con amici o da soli, proprio come me. E così mi ritrovai a pensare che tutti noi avevamo un obbiettivo comune e chissà se tutti saremmo riusciti a raggiungerlo e a diventare ciò che avevamo intenzione di essere una volta usciti di lì. Sicuramente, io ce l’avrei messa tutta per riuscirci. I miei pensieri vennero interrotti dall’entrata del professore che prese posto sulla sua grande cattedra e dopo una breve presentazione iniziò la sua lezione, che fino a quel momento sarebbe diventata la lezione più interessante che avessi mai sentito.
 
Alla fine delle lezioni mattutine non riuscii a vedermi con Rachel. Di certo, non riuscivamo a tornare a casa per pranzare e attraverso una serie di messaggi eccitati, ma al contempo dispiaciuti per non poterci incontrare, decidemmo di vederci quella sera stessa, una volta tornati a casa.
Così, dopo aver pranzato nella mensa che la mia facoltà offriva e aver passato un po’ di tempo in biblioteca, soltanto per la curiosità di vedere come essa era fatta e quanto fosse assortita- sì, in una settimana non ero ancora riuscito ad entrarci- arrivò la fatidica ora: quella che aspettavo da quando ero andato via da quel campo.
Ebbene, oggi sarebbero iniziati anche gli allenamenti ed io ero elettrizzato per il fatto di conoscere la squadra, ma allo stesso tempo anche spaventato.
Speravo che sarebbe andato tutto bene e continuavo a ripetermi che dopotutto avevo già cambiato squadra una volta, dopo il trasferimento a Dover: non sarebbe stato così diverso, no?
Con il mio zaino in spalla mi diressi verso la palestra e non appena misi piede all’interno il rumore di molte voci mi riempì le orecchie. Svoltai l’angolo che mi separava da quel frastuono e quando lo feci dieci paia di occhi si puntarono su di me. Le voci si erano improvvisamente arrestate e io iniziai a sentirmi a disagio.
Pensai a qualcosa da dire per uscire da quella situazione, ma mentre riflettevo una voce interruppe la mia ricerca e si rivolse a me.
“Signor Carter. Ben arrivato tra noi”. Mi voltai verso la voce femminile che aveva parlato e che avevo già sentito una volta, appena la settimana prima.
Johan Marset stava seduta dietro al tavolo al margine del campo. Si era alzata in piedi non appena mi aveva visto e io sorrisi.
“Buonasera a tutti” dissi, cercando di non far tremare la mia voce e avvicinandomi ancora di più.
Johan mi venne incontro e si mise al mio fianco, mettendomi una mano sulla spalla, nonostante fosse più bassa.
“Ragazzi, lui è Dave Carter. Uno dei due nuovi giocatori. Non so che diavolo di fine abbia fatto l’altro, ma Dave è il ragazzo della borsa di studio. Sarò felice di ripetere che sarà meglio per voi integrarlo alla squadra velocemente. Considerando che siete la mia squadra, sapete quanto ritengo opportuno che siate uniti. Insieme dentro al campo, insieme fuori dal campo, ricordate?” fece il suo discorso, lasciandomi affascinato dalle sue parole, ma soprattutto per le reazioni dei suoi cestisti. Li guardai, notando il loro sorriso sulle labbra e i loro sguardi attenti e concentrati sulla donna. E solo così, guardando i loro visi, il mio sguardo si posò su un membro in particolare, alla fine della fila che formavano i cestisti.
Era una ragazza. Indossava già dei pantaloncini e le scarpe da basket, con addosso la felpa col cappuccio del college, al contrario di molti dei ragazzi che indossavano ancora i jeans, proprio come me.
Aveva una lunga coda di cavallo castana e degli occhi azzurri luminosi. Rimasi sorpreso di costatare che avevamo anche un membro femminile in squadra. Non era molto alta, più bassa di mia sorella, e tra quei ragazzi alti e robusti sarebbe potuta scomparire facilmente, ma soltanto dalla sua posizione, con le braccia incrociate al petto e le gambe leggermente aperte metteva in mostra un tale sicurezza di sé, che la rendeva tutt’altro che invisibile.
E poi, prima che i ragazzi dicessero qualcosa, qualcuno fece irruzione in palestra e tutti ci girammo a guardarlo. Era un ragazzo con una strana cresta bionda e le braccia in mostra dalla maglia a maniche corte coperte di tatuaggi.
Johan scosse la testa. “Alla buon ora, Vang” disse e il ragazzo sorrise.
“Non sono così in ritardo, no?” chiese, ironicamente.
“Fai meno lo spiritoso, ragazzo. Hai appena messo piede nella mia palestra e posso farti girare a largo già dal primo allenamento, come e quando voglio” sottolineò la donna, cambiando atteggiamento da un momento all’altro. “Vieni qui” lo esortò.
Il ragazzo eseguì, mettendosi vicino a Johan, in modo che lei fosse in mezzo a noi due ragazzi.
“Ragazzi, loro sono Dave Carter e Marshall Vang. Trattateli bene. Gallis, li affido a te” disse, poi rivolgendosi ad un ragazzo di almeno un metro e novantacinque, mulatto e con un fisico scolpito.
“Avete dieci minuti per cambiarvi, poi si comincia”.
A quel punto Gallis si avvicinò a noi e si presentò come il capitano della squadra. Peter Gallis.
Ci accompagnò negli spogliatoi, mentre ci chiedeva che cosa studiassimo lì al college e facendoci alcune domande sul nostro sport.
“Avrete un sacco di tempo per conoscere la squadra, tranquilli” ci rassicurò, mentre ci cambiavamo. Quel ragazzo mi piaceva. Riusciva a trasmettere calma soltanto con il tono di voce che utilizzava e probabilmente anche per quel motivo era il capitano della Stanford.
Quel primo allenamento fu per lo più dimostrativo, con Johan che ci dava del tempo per presentarci tutti e capire i nostri ruoli. Così scoprii che il nome della ragazza era Lilian Gibson e che era il playmaker della squadra. Poi Johan mostrò gli esercizi di riscaldamento e spiegò alcune sue modalità di allenamento, come la suddivisione dei giorni. Facevamo pesi il lunedì, resistenza il mercoledì e rapidità il giovedì, tutto per metà allenamento; la parte dell’allenamento restante avremmo fatto basket, ovviamente. Gli altri giorni, martedì e venerdì ci occupavamo pienamente e solamente del nostro sport.
E così, anche il primo allenamento era terminato e io mi sentivo già parte della squadra. Tutti i ragazzi erano molto simpatici e ci stavano facendo integrare nel miglior modo possibile.
Inoltre, avevamo potuto dare sfoggio delle nostre abilità di tiro, grazie a degli esercizi mirati che Johan ci aveva ordinato di fare e tutti furono entusiasti delle mie alte percentuali. Dopotutto, ero sempre stato una guardia tiratrice.
Per quanto riguardava il metodo di Johan, invece, non potevo che ritenermi soddisfatto. Era una donna che urlava molto in campo, tanto quanto ti elogiava o ti insultava. Riusciva ad incitare tutti con una energia incredibile e senza dubbio riusciva a farsi rispettare. Tutti i giocatori provavano stima e ammirazione nei suoi confronti e ben presto, ne ero sicuro, gli stessi sentimenti sarebbe sorti anche in me. Dopotutto, quella donna era riuscita a colpirmi già dal primo allenamento, in cui il vero e proprio gioco non era nemmeno iniziato.
 

Pov Melanie

Anche quel giorno, come i precedenti, l'aria era stata abbastanza calda e per tutta la giornata il sole aveva illuminato le stradine del campo e creato giochi di ombra con gli alti alberi dei viali.
Quella mattina, alla fine, ero arrivata in classe appena in tempo, a causa di un piccolo contrattempo.
Mentre camminavo verso la mia prima lezione, che sarebbe stata semplicemente storia dell’arte, qualcuno si era accorto di me. “Ehi, rossa” disse un ragazzo e io sobbalzai. Non sapevo se quella voce stesse parlando con me o no, ma per sicurezza mi voltai verso la voce, che mi sembrava piuttosto familiare.
E quando incrociai lo sguardo del ragazzo, ebbi la conferma che stava parlando con me.
Adrian, con un cavalletto davanti a sé, aveva smesso di dipingere e adesso mi guardava con un sorriso sulle labbra. Il sole illuminava i suoi lineamenti e finalmente potei osservarli attentamente, senza che la fioca luce della luna mettesse nulla in ombra. La sua mascella prominente, gli occhi chiari e sottili e i capelli scompigliati, con ciuffi che andavano in tutte le direzioni. Mi chiesi istintivamente quando ci avesse messo quella mattina a renderli in quel modo.
“Ciao” dissi, sorridendo.
“Tutto bene, Melanie?” mi chiese, tornando a dipingere. Wow, ricordava ancora il mio nome, proprio come io ricordavo il suo.
“Sì, grazie. E tu?”.
“Mmh, mmh” disse soltanto, scegliendo il colore giusto dalla tavolozza. Era rosso fuoco.
“Che cosa dipingi?” chiesi cautamente, avvicinandomi a lui.
“Tutto” sussurrò con un sorriso sulle labbra, sporgendosi verso di me.
Io sorrisi e osservai il quadro. Rappresentava il viale che lui aveva davanti, ma riuscivi a distinguerlo soltanto se prestavi attenzione. Le pennellate infatti erano frettolose e piene di colori che a prima vista mostravano il tutto come caos, caos e ancora caos, in una composizione quasi cubista. Ma poi, i colori e le pennellate si univano dando vita alle figure. Era davvero stupendo.
“E’ molto bello” affermai.
“Ma non è ancora finito. Solo allora potrai dare un giudizio” disse, con la sua solita voce suadente.
Io sorrisi, pensando che avesse ragione. E poi lo sguardo mi cadde sull’orologio. Cavolo, si era fatto tardi.
“Scusa, devo andare adesso” dissi semplicemente.
Lui sorrise. “Non perderti, mi raccomando. Ancora dritto fino all’auditorium e poi prima porta a destra” mi disse, dandomi adesso le spalle e tornando a muovere il pennello. Non mi chiesi nemmeno come facesse a sapere dove stessi andando, ma non me ne curai e mi incamminai verso la mia meta.  
Fortunatamente non ero in ritardo e non appena misi piede nell’aula e mi sedetti in un posto libero, il professore entrò in aula, iniziando la lezione.
Fu molto interessante: mi piaceva il modo in cui quel professore spiegasse e trattasse gli argomenti e nonostante io avessi già studiato precedentemente quegli argomenti, ascoltai tutto molto volentieri.
All’ora di pranzo ero anche riuscita ad andare in mensa, dove Becka si era premurata di lasciarmi un posto al loro tavolo. Era un piccolo tavolo, di quelli più vicini alla vetrata, in cui il sole arrivava giusto su di noi. “In questo modo sarà quasi come se fossimo all’aperto” aveva spiegato Becka mentre mi sedevo accanto a lei. L’altra e unica persona che era seduta di fronte a me era Chris Lunt, che mi aveva accolta con molto calore.
Passai davvero un pranzo in compagnia e capii che sparlare della gente era uno dei loro passatempi preferiti. Io non ero mai stata quel tipo di persona, ma Rachel amava i pettegolezzi e da quando ero diventata sua amica ero ormai abituata a quel tipo di conversazioni e non mi veniva nemmeno tanto difficile fare anche qualche commento.
Anche quando avevo chiamato Rachel e Dave al cellulare, quella settimana, la mia migliore amica si era cimentata in una conversazione su Stanford in generale e le notizie che aveva accumulato in giro su quel posto e sulla gente che ci studiava.
Chris e Becka riuscirono anche a coinvolgermi in quel tipo di conversazione e alla fine, mi divertii molto, ridendo alle battute che entrambi i ragazzi amavano fare. Per di più, scoprii che le preferenze sessuali del ragazzo erano praticamente identiche alle nostre.
Quando infatti avevo detto che Adrian mi aveva parlato quella mattina aveva spalancato gli occhi.
“Adrian Castle? Il ragazzo con il cavalletto?” mi chiese.
“Sì” dissi, scrollando le spalle.
Sentii Becka ridere mentre Chris iniziava a dire. “Diavolo, quel ragazzo è davvero figo. Mmh, se avesse le mie stesse preferenze sarebbe l’uomo della mia vita” affermò.
“E che ne sai? Castle non ha mai affermato di essere gay, né tanto meno negato” commentò Becka.
E in quel modo avevo capito perché alla festa i suoi atteggiamenti mi avessero fatto sembrare di non parlare con un vero e proprio ragazzo. Lui pensava proprio come noi donne.
“Quindi ti piacciono i ragazzi?” non riuscii a trattenermi.
Chris sorrise e annuì. “E’ un problema per te, per caso?” chiese.
“Oh, no. Assolutamente” dissi, con un gesto sbarazzino della mano. Non ero mai stata omofoba e pensavo che anche le coppie gay potessero essere dolci allo stesso modo di quelle etero.
“Grande! Becka, guarda lì” disse poi, passando da un argomento all’altro e iniziando a parlare di alcuni capi d’abbigliamento all’ultima moda, proprio come la borsa che aveva a tracolla quella ragazza davanti a noi.
Alla fine, pensai che stare in mezzo a questi due ragazzi mi faceva sentire bene, ricordandomi la mia amica Rachel e il mio mondo a Dover, prima di arrivare al college.
 
Il resto della giornata fu abbastanza tranquillo e dopo due fui più che felice di tornare nella mia camera, soddisfatta della prima giornata di studio. Per tanti anni avevo sognato il momento del college e qualche anno prima mi chiedevo addirittura se sarei riuscita ad arrivarci o se il mio cuore mi avrebbe tolto tutto prima del tempo. E adesso il mio cuore stava bene e Chad mi aveva dato questa grande opportunità, che certamente non mi sarei lasciata scappare.
 


Pov Dave

Finito l’allenamento, tutti i ragazzi, di cui stavo a poco a poco imparando i nomi si rivolsero a noi nuovi: “Bene! Primo allenamento equivale al rito di accesso al nostro gruppo” disse Peter con un sorriso sornione sul volto. Io iniziai ad incuriosirmi, volendo sapere che cosa avremmo fatto a quel punto.
“Che diavolo significa?” sbottò Marshall in modo poco carino.
“Significa che verrete con noi per un po’” il ragazzo continuò a restare sul vago mentre gli altri sghignazzavano tra di loro.
E così, dopo esserci cambiati, tutta la squadra, eccetto Lilian, che era sparita chissà dove, ci condusse all’interno del campus in uno degli edifici più esterni e isolati.
Cominciai a sentirmi nervoso, mentre camminavamo e alcuni ragazzi del campus ci guardavano sorridendo e bisbigliando. Una delle parole che riuscii a captare era stata “iniziazione”.
Deglutii, mentre entravamo in uno di quei alti palazzi periferici.
“Che dobbiamo fare?” chiese sempre più irritato Marshall, mentre Peter premeva i pulsanti dei due ascensori che si trovavano all’entrata del palazzo, in una sorta di hall accomodata.
Il tutto, ovviamente era deserto.
“Vedrete” rispose Peter con un sorriso eccitato.
“Ma che razza di posto è?” chiesi, continuando a guardarmi intorno e osservando i due divani al centro della stanza e il mobilio spoglio, coperto per la maggior parte da vecchi lenzuoli.
“Questo era il vecchio edificio in cui abitavano i cestisti e il loro personale ai tempi d’oro, quando la squadra brulicava di gente, sia di giocatori che di allenatori, dirigenti e quant’altro. Adesso che siamo rimasti in pochi ci hanno spostato in un altro edificio più piccolo. E questo è rimasto proprio come una volta. Anche se Johan ce lo fa usare per l’iniziazione, perché… beh, lo scoprirai” mi spiegò uno dei ragazzi, quello più alto e che prendeva il nome di Martin.
E così, Johan permetteva di fare ciò che stavamo per fare: per lo meno non sarebbe stato qualcosa di rischioso o pericoloso.
E poi ci distribuimmo sui due ascensori. “Destinazione: terrazza” sussurrò Peter sempre più eccitato, premendo il pulsante con il numero 7.
Terrazza. La parola mi risuonava nella orecchie e iniziai ad agitarmi. Oh, no.
Le porte si aprirono e una ventata di aria fredda arrivò direttamente sui nostri volti. Fui spinto verso le mattonelle bianche del pavimento e mentre tutti mi sorpassavano rimasi immobile, mentre i miei occhi vagavano sull’ambiente circostante.
La terrazza era un ampio spazio aperto, sgombro e con un muretto basso che mi sarebbe arrivato malapena alla vita e delle ringhiere di metallo incorporate nella parte centrale del muretto, come decorazione.
Sentii qualcuno che poggiava il suo petto alla mia schiena e da dietro uno dei ragazzi mi sussurrò. “Non avere paura. Sarà divertente” mi disse e mi voltai verso di lui, notando che si trattava di uno delle ali piccole della squadra, Gordon.
Divertente. Proprio la parola che avrei utilizzato di meno per ciò che stava accadendo. Non riuscii nemmeno ad annuire e continuai a camminare verso il centro della terrazza, mentre iniziavo a sudare freddo. I ragazzi si erano già piazzati davanti la ringhiera guardando di sotto e ridendo eccitati.
Marshall era già in mezzo a loro, con le braccia incrociate al petto e un’espressione infastidita.
Mi avvicinai con cautela, ma restando a debita distanza da quel cornicione. “Carter, andiamo” uno dei ragazzi mi sospinse verso il muretto e i miei occhi si posarono su cosa c’era al di sotto. Eravamo in alto. Oh dio, eravamo troppo in alto.
Iniziai a sentire il mio respiro accelerare e istintivamente feci due passi indietro, curandomi di fissare soltanto i miei nuovi compagni. Fortunatamente nessuno se ne curò e Peter iniziò a parlare.
“Bene, ragazzi. Chiunque di noi che si trova in questa squadra ha già affrontato questa prova, proprio come tutti i componenti che ci sono stati prima di noi. Perciò, costateremo qui la vostra intelligenza e le vostra qualità” illustrò.
Cercai di stare il più attento possibile, mentre la mia mascella era serrata.
Vidi Gordon tirare fuori dal borsone che aveva in spalla un pallone da basket e lo passò a Peter.
“Guardate là” continuò a parlare quest’ultimo con il pallone sotto il braccio e indicando qualcosa davanti a noi. A quel punto dovetti staccare gli occhi da lui e mi concentrai su cosa stava indicando. Sentii l’ansia crescere sempre di più notando ancora una volta quanto fossimo in alto. Eravamo circondati da palazzi più o meno della stessa altezza di quello in cui ci trovavamo, tutti abbastanza vicini tra loro.
Il nostro insieme ad altri tre edifici formava un triangolo un po’ deforme. Uno di questi, infatti era posto tra il nostro e quello che avevamo di fronte, coprendo parte della sua terrazza.
E lì, sul bordo di quella terrazza semicoperta, ci stava un canestro. Oh sì, era proprio un canestro.
“Vedete quel canestro laggiù? Dovrete segnare con questa palla da questo punto in cui mi trovo io. Buona fortuna e buon divertimento” terminò il ragazzo, raggiante.
“Che cosa?” affermò Marshall mostrando a parole il mio stesso stupore.
“Avete tre tentativi. Chi vuole iniziare?” continuò imperterrito Peter.
Sentii Marshall fare un verso tra lo sprezzante e l’infastidito e si fece avanti. “Inizio io” affermò e Peter gli lasciò il pallone e il posto.
Feci altri passi indietro e mi accorsi che era praticamente impossibile segnare da quella distanza, nonostante Marshall fosse attaccato al cornicione. Infatti, dalla sua posizione il palazzo copriva metà del canestro.
Marshall lasciò che il pallone si staccasse dalle sue mani e proprio come avevo previsto colpì il palazzo che intasava la visuale e finì giù, schiantandosi verso il pavimento al di sotto. Oh mio dio. Feci un altro passo indietro e sentii una mano sulla mia schiena. Mi voltai di colpo e incrociai quegli occhi blu che mi avevano colpito all’interno del campo da basket.
Lilian era lì accanto a me e io non sapevo nemmeno da dove fosse spuntata, considerando che non era venuta con noi.
“Stai bene?” mi chiese, mentre Marshall sbottava irritato per il suo fallimento.
Io annuii, incrociando le braccia al petto e tornando a guardare la sorte del mio compagno.
Un altro pallone finì nelle sue mani e spostò leggermente il suo corpo cercando di avere una traiettoria migliore. Quel secondo tiro fu decisamente meglio del primo, ma come in precedenza fece la stessa fine. Colpì lo spigolo del palazzo e volò via, facendomi rabbrividire per la seconda volta.
“Ma è impossibile” borbottò Marshall, sbuffando. Sentii la ragazza accanto a me che emetteva un suono di derisione e mi voltai a guardarla. Stava scuotendo la testa.
“Quanti di voi sono riusciti a farlo?” chiesi.
“Onestamente? In pochi. Il nostro livello di intelligenza diventa sempre più basso con il passare degli anni. È la natura” disse, con un mezzo sorriso e sollevando le spalle.
“E tu?” chiesi d’istinto.
Lei mi guardò e sorrise. “Secondo tentativo” affermò, tornando poi a guardare Marshall.
“Chi è stato il migliore?” chiesi.
“Tra noi, soltanto io e Peter siamo riusciti al secondo tentativo. È per questo che il ruolo del capitano è andato automaticamente a lui” disse, guardando il suo compagno con un mezzo sorriso.
“Perché non tu?”.
Lei mi guardò e scosse la testa. “Oh, no. Io non sono adatta per il ruolo del capitano. Peter è perfetto in quello” disse e solo in quel momento mi accorsi della nota malinconica che avevano avuto le sue parole.
Intanto Marshall aveva sprecato il suo ultimo tentativo, anche questo andato a vuoto e Peter disse: “Mi dispiace Marshall. Magari Dave riuscirà ad essere più perspicace di te” disse facendogli l’occhiolino.
“Fanculo” borbottò l’altro facendo dei passi indietro e incrociando le braccia al petto.
“Questo non significa che sei fuori dalla squadra, tranquillo. Sei già parte di noi. Tutto questo è solo per divertimento” annunciò. “Dave? Pronto?” chiese poi, rivolgendosi a me.
Quella era proprio una bella domanda. Iniziai a sentire i battiti del mio cuore rimbombare nelle orecchie, mentre mi avvicinavo sempre di più al cornicione. Presi posto dove poco prima stava Marshall e guardando sotto riuscii a vedere i palloni ormai fermi per terra. Una vertigine mi investì e feci un passo indietro, mentre il mio respiro accelerava sempre di più.
Intorno a me era piombato il silenzio. Tutti mi stavano osservando. Mi voltai verso Peter che adesso mi stava facendo un sorriso rassicurante e chiesi il pallone con le mani. Toccare il cuoio del pallone mi rassicurò appena e mi ritrovai a guardare i palazzi davanti a me. Continuavo a vedere i palloni di Marshall cadere nel vuoto e da quella distanza il mio unico pensiero era quello di poter fare la stessa fine. Io, non il pallone. Ero troppo in alto.
Sentii le orecchie che mi ronzavano e le mani che iniziavano a tremare. Oh, cazzo.
Tutti continuavano a stare in silenzio e io stavo per fare un passo indietro, quando sentii la voce di Lilian dire solo una parola.
“Peter”.
No. Non potevano fermarmi. Non potevo rinunciare adesso solo per quella stupida fobia. Guardai i palazzi di fronte a me, freneticamente, cercando di cancellare immagini dalla mia testa e ragionare su come avrei potuto segnare in quel maledetto canestro. Ero talmente concentrato che non vidi il gesto con la mano che Peter rivolse alla ragazza, facendola tacere dopo aver visto il mio sguardo. Era talmente incuriosito da ciò che mi stava accadendo che non aveva la minima intenzione di fermarmi.
E poi lo vidi. L’unico palazzo rimasto inutilizzato alla mia sinistra. Una sfumatura di rosso più chiara nel colore acceso dell’intonaco. Una macchia, che poteva combaciare perfettamente con la forma di un pallone. Feci mente locale e tentai di calcolare le probabilità che avevo di far sbattere la palla lì e farla rimbalzare fino al canestro. E di punto in bianco l’altezza non c’era più. C’era solo il mio cervello che lavorava freneticamente e quella macchia scolorita, probabilmente dai palloni che avevano sbattuto lì prima del mio.
Afferrai saldamente il pallone e cercai di prendere la mira il più possibile. O la va, o la spacca. E poi, prima finivo, prima sarei sceso da lì.
Presi un solo respiro e poi il pallone si staccò dalle mie mani. Vidi come ruotava verso il punto che avevo mirato, mentre il silenzio persisteva intorno a me.
Colpì appena sopra la macchia già scolorita, facendo scivolare giù della polvere dell’intonaco e poi deviò verso l’altro palazzo. Solo pochi secondi che sembravano essere anni e il pallone arrivò al canestro seminascosto. Un tocco sul tabellone e poi la retina che si muoveva, sotto al peso del pallone che passava al suo interno.
E poi le urla intorno a me. Ero riuscito a farlo al primo tentativo. Nessun pallone che si schiantava. E poi una vertigine mi investì. L’adrenalina se n’era andata velocemente e la mia mente metabolizzò a che altezza mi trovavo. Oddio. Iniziai a incespicare, cercando di respirare correttamente e mi voltai verso il centro della terrazza, camminando velocemente verso gli ascensori. Dovevo scendere da lì. E subito.
“Ehi, Dave! Torna qui, amico. Dove stai andando?” mi chiese uno dei ragazzi, ma non mi voltai. Entrai nell’ascensore e prima che le porte si chiudessero una figura snella si intrufolò attraverso le porte, prima che si chiudessero.
A quel punto mi lasciai scivolare contro la parete fredda dietro di me, arrivando a sedermi sul pavimento. Cercavo in qualsiasi modo di calmare il respiro, pensando che ero ormai al sicuro e che era tutto finito.
“Dave, stai bene?” mi chiese Lilian, abbassandosi verso di me e mettendo una mano sulla mia spalla.
“Io.. s-sì” balbettai, mentre i miei muscoli si rilassavano.
“Qual’era il problema?” mi chiese cautamente.
Io non volevo rispondere. Non volevo mostrare la mia debolezza ad una ragazza appena conosciuta, nonostante la scenata che avessi fatto davanti a tutta la squadra. Quella debolezza, che solo una persona nella mia vita conosceva.
La ragazza mi stava guardando intensamente, come se mi stesse assicurando che potevo fidarmi di lei.
“L’altezza” sussurrai dopo qualche secondo di silenzio.
“Oh” fu il suo unico commento, prima che le porte dell’ascensore si aprissero.
E poi mi porse la mano, che accettai volentieri e mi tirai su, mentre sentivo che il mio corpo cominciava a rilassarsi del tutto, capendo che adesso mi trovavo ad un’altezza normale, al pianterreno.
Sentivo i passi di Lilian dietro di me, mentre uscivo da quell’edificio.
“Ehi, dove vai?” mi chiese.
“A casa” risposi, senza voltarmi.
“Ma i ragazzi vorranno festeggiare con te. Hai appena battuto il record della nostra squadra” disse con voce orgogliosa.
Mi voltai a guardarla. “Io… mi dispiace. Devo andare. Potresti scusarti con gli altri per me?” le chiesi.
Lei annuì. “Va bene. Ci vediamo domani” mi disse.
Feci un cenno di assenso e ripresi a camminare, tornando verso l’appartamento che condividevo con Rachel.

Pov Lilian

Non riuscivo davvero a credere che il ragazzo appena arrivato avesse battuto un record che non veniva più raggiunto da diversi anni. L'iniziazione sembrava diventare ogni anno più difficile per i ragazzi, nonostante fosse soltanto per divertimento. Beh, e per mostrare a Johan quanto fossero intelligenti i suoi giocatori. Dopotutto era stata proprio lei a lasciarci l'accesso al palazzo e a continuare durante gli anni. 
Dopo essermi separata da Dave non ero nemmeno tornata dagli altri, dirigendomi direttamente verso la palestra. Mi diressi verso l'ufficio di Johan e bussai sulla porta aperta attirando la sua attenzione. 
Stava firmando delle carte e non appena mi vide si fermò e togliendosi gli occhiali, mi sorrise.
"Allora, come è andata?" mi chiese.
"Marshall non ci è riuscito" risposi.
"Mmh, immaginavo. E Dave?".
Io sorrisi. "Al primo tentativo".
Vidi i suoi occhi che si illuminavano. "Che cosa? Dici sul serio?" mi chiese, mentre io annuivo.
Lei rise, soddisfatta. "Lo sapevo. Oh, ragazza mia. Abbiamo fatto un acquisto fantastico quest'anno. Sono prorpio sicura che quel ragazzo non ci deluderà" disse, parlando quasi tra sé e sé.
Io scossi la testa e sorrisi, uscendo da lì e tornandomene all'appartamento.


Pov Dave

Mentre camminavo per strada avevo ripercorso con la mente tutto ciò che era accaduto e pensare all’altezza mi faceva solo tornare i brividi di freddo sulla schiena.
Mettere piede lì su era stato decisamente orribile. E avevo appena mostrato alla mia squadra quanto fossi vulnerabile.
Aprii la porta dell’appartamento ancora tremando e dopo averla chiusa, poggiai la testa sul legno freddo dietro di me, chiudendo gli occhi.
“Dave”. La voce di Rachel mi fece sobbalzare. Aprii gli occhi e la guardai in silenzio. “Cosa c’è che non va?” mi chiese, preoccupata, mentre mi osservava.
“Io… niente” dissi, sforzandomi di sorridere.
Lei venne verso di me e mi mise una mano sul viso. “Sei piuttosto pallido, piccolo. Non mi sembra niente”. Non se l’era bevuta e me lo sarei dovuto aspettare.
“Beh, vedi… dopo l’allenamento, noi… l’iniziazione. La.. la terrazza era… era… non riuscivo…” iniziai a farneticare troppo velocemente.
“Ehi, ehi. Rilassati, tesoro. Vieni qui” disse abbracciandomi. Affondai il viso nel suo collo e inspirai l’odore così familiare della sua pelle.
“Mi spieghi che cosa è successo? Come è andato l’allenamento?” chiese, facendomi dei cerchi rassicuranti sulla schiena.
Io mi staccai da lei e annuii, iniziando a raccontare tutto quello che era successo, senza tralasciare l’episodio della terrazza.
Rachel era l’unica persona nella mia vita, prima di qualche ora fa, che sapesse della mia fobia per l’altezza.
Neanche la mia famiglia ne era a conoscenza. Non avevo mai avuto episodi del genere di fronte a loro e io non avevo poi così voglia di parlarne. Inoltre, Melanie aveva sempre avuto problemi di cuore e quello aveva automaticamente salvato anche me da alcuni pericoli, proprio come vivere in luoghi piuttosto alti.
Rachel invece, lo aveva sperimentato quando io ero arrivato a Dover. Ne era venuta a conoscenza quando ci aveva trascinati alla fiera.
Quando la ragazza mi aveva chiesto di fare un giro sulla ruota panoramica non ero riuscito a dirle di no, nonostante il nervosismo era già sopraggiunto in me, e ci eravamo separati da Chad e Melanie.
Una volta arrivati davanti la ruota panoramica però, il mio respiro si era fermato. Era troppo alta, non sarei riuscito a sopportarlo.
E così mi ero irrigidito lì sul marciapiede. “Cosa c’è?” mi aveva chiesto, fermandosi accanto a me.
“Io… possiamo fare un altro gioco o attrazione?” avevo balbettato.
Le sue sopracciglia erano schizzate verso l’alto. “Qual è il problema?” aveva chiesto dolcemente, stringendomi a sé.
“Io… vedi… hopauradellaltezza” avevo detto così velocemente che aveva fatto fatica a capirlo.
“Oh, Dave. Perché non me lo hai detto subito?” mi aveva chiesto, accarezzandomi la guancia.
“Perché… neanche Melanie ne è a conoscenza. Po-potresti tenerlo per te?” avevo balbettato, arrossendo.
Il suo sorriso era sorto spontaneo. “Certo. Vieni, andiamo a prendere da mangiare. Voglio qualcosa di moooolto caramellato” aveva detto, trascinandomi via da lì, prima di tornare a ricongiungerci con gli altri due.
 
E adesso, nel nostro salotto mi ritrovavo di nuovo tra le sue braccia, mentre mi accarezzava le braccia in modo rassicurante e ascoltava in silenzio, seduti sul divano.
“Oh, piccolo. Mi dispiace” mi disse una volta terminato il racconto.
“Non fa niente” dissi, sporgendomi per far incontrare le nostre labbra.
Lei ricambiò il bacio, mettendo una mano tra i miei capelli.
Il nostro bacio si fece più intenso e lei dischiuse le labbra, per dar accesso alla mia lingua.
Le afferrai i fianchi e in un attimo fu seduta su di me, con le sue gambe sulla mia vita.
“Ti voglio” sussurrai, staccandomi appena dal bacio.
“Mmh, mmh” disse soltanto e io mi alzai in piedi, con lei ancora in braccio. Passai davanti alla cucina dove l’odore di cibo ci investì e lei si staccò dalle mie labbra. “Da-Dave. Aspetta. La cena. Non voglio morire a causa della casa che va a fuoco” mi disse, facendomi capire che avevo interrotto il suo cucinare con il mio arrivo.
Sorrisi divertito e andai a spegnere il forno, sorreggendola con un braccio solo.
“Bene” sussurrai e la condussi nella nostra camera da letto. La poggiai delicatamente sul materasso e a poco a poco i nostri vestiti finirono sul pavimento. Togliere i suoi jeans, slacciare il suo reggiseno era diventato così facile per me, che ormai era diventato un gesto automatico e circondati soltanto dalle lenzuola iniziai a baciare qualsiasi punto mi capitasse a tiro del suo corpo perfetto sotto il mio. Rachel gemette. “Dave” disse soltanto e afferrandomi per il mento mi spinse di nuovo verso il suo viso.
“Rachel” dissi con voce roca, mentre le sue mani girovagavano per il mio corpo e le nostre bocche si schiantavano di nuovo insieme.
“Muoviti” mi sussurrò facendomi sorridere divertito e lussurioso e senza esitare decisi di accontentarla.
E così Rachel, ancora una volta mi aveva fatto dimenticare delle mie paure, regalandomi ancora una volta, una notte meravigliosa.





Angolo dell'autrice: Saaalve!! I'm back!!! Ehm, sì lo so. In ritardo. Almeno in questo modo ho capito che non sempre riuscirò a mantenere la mia promessa di pubblicazione e spero che comunque non vi dispiacerà se qualche volta mi prenderò del tempo in più. Perciò ecco il nuovo capitolo, forse concetrato di più sul fratello della nostra protagonista. Beh, come sapete in questo sequel sto cercando di dare più spazio a tutti facendoli diventare quindi co-protagonisti ;)
Va bene, mi fermo qui.
Mi scuso ancora, ma ho avuto un periodo pienissimo. Tanto che non sono ancora riuscita a rispondere alla recensione del cap precedente. Ma lo farò oggi, ve lo assicurò ;)  Intanto godetevi la lettura di questo nuovo :)
Grazie per chi legge e per chi lascia sempre un parere.
Ecco qualche nuovo personaggio :3

Gracie O'Connor                                            Mason Twister   
                   


Lilian Gibson


A presto!
Manu

 
  
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