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Autore: Ortensia_    01/03/2015    2 recensioni
Io sono una persona e in quanto tale ho dei limiti.
Io sono uno scrittore e in quanto tale sarò giudicato per quello scrivo.

[...]
Chi sono io? Mayuzumi Chihiro. E cosa rimarrà di me? Un foglio di carta e una penna.
[...]
Se credessi nell'esistenza del Diavolo, sono sicuro che i suoi occhi sarebbero questi.
[ Vincitrice del contest "Ripopola Fandom" indetto da __Bad Apple__ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Chihiro Mayuzumi, Kiseki No Sedai, Ogiwara Shigehiro, Seijuro Akashi
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli occhi del Diavolo'
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Capitolo VII

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Da quanto tempo me ne sto fermo qui a fissare il vuoto? Mi sono alzato presto e ho fatto colazione in fretta, con l'idea di ricominciare a scrivere una volta finita, ma dopo aver svuotato la tazza del tè mi sono ritrovato a stringere fra le mani il coccio colorato e ancora tiepido e ad osservare il vuoto. Anzi, a dire il vero ciò che ho davanti è una parete bianca alla quale sono appese due cartoline e un calendario, e poco più sopra si trova la mensola di legno di noce, con le ante dalle forme morbide e ricche d'intarsi, ma io sono così profondamente immerso nei miei pensieri che è come se non vedessi nulla di tutto questo, come se fossi circondato da un'oscurità compatta e spessa.
Akashi non verrà, oggi.
Sto pensando di tornare al Parco Rikugien, dove siamo stati tre giorni fa. Quando ero più giovane ho tentato di scrivere all'aperto, ma mi sono sempre sentito profondamente a disagio, non riesco a concentrarmi se ci sono persone intorno a me, per quanto non mi importi della loro presenza finisco sempre per catturare frammenti delle loro frasi e mi distraggo, anche se il più delle volte si tratta di un'abitudine involontaria. Il Parco Rikugien offre degli spazi tranquilli, forse se ci andassi a quest'ora del mattino non troverei nessuno e riuscirei a scrivere, riuscirei a scacciare il senso di oppressione che mi provoca l'idea dell'assenza di Akashi.
Perché mi dà così fastidio l'idea di non vederlo? Non sopporto le persone che dipendono dalle altre, il fatto che io stesso mi sia ritrovato in questa condizione patetica mi innervosisce profondamente.
Al diavolo il Parco Rikugien: se mi sedessi sulla sponda del lago rischierei di pensare ad Akashi e cadere di nuovo nel vuoto, in questa straziante malinconia che faccio tanta fatica a scrollarmi di dosso. E poi non ho idea degli orari di apertura, rischierei di trovarlo ancora chiuso.
Oggi è domenica e domani verrà Ogiwara, le cartoline appese alla parete che mi sta davanti sono proprio le sue. Lui ha viaggiato, al contrario di me, e anche se non è andato molto lontano ci vuole poco per capire che sicuramente la sua voglia di scoprire e imparare è molta più della mia ed è inesauribile.
Queste due sono le uniche cartoline che ho ricevuto in tutta la mia vita e, devo essere sincero, non le avrei mai appese alla parete se Ogiwara non mi avesse chiesto dove le avessi messe ogni santo mercoledì.
Non mi piacciono le cartoline: le trovo insensate, sono statiche e tristi. Mettono malinconia al mittente, che vorrebbe tornare nei posti meravigliosi che vi sono ritratti, e inoculano l'invidia nel destinatario, che vorrebbe vedere i paesaggi stampati su carta prendere vita davanti ai suoi occhi.
Fosse stato per me, queste cartoline sarebbero andate a finire in una scatola piena di cianfrusaglie inutili, oppure in mezzo ad una vecchia agenda, a fare da segnalibro a qualche romanzo.
Sospiro appena e chiudo gli occhi: fanno male dal momento in cui mi sveglio finché non vado a dormire e anche se manca relativamente poco alla fine del mio romanzo, sento che non potranno resistere ancora per molto.
Prima ci mettevo circa una settimana per completare un capitolo, ora soltanto un giorno – e una notte, se necessario –, ma si parla sempre di una quindicina di pagine, più di cinquemila parole da scrivere e ricontrollare, ricombinare e modificare.
Il suono improvviso del campanello mi mette in allerta. Salto in piedi con il cuore in gola e mi dirigo di corsa alla porta: che sia Akashi? Magari ha cambiato idea e ha deciso di venirmi a trovare. Quando apro la porta e incontro gli occhi gentili di Ikeda-san, non posso evitare di darmi dello stupido mentalmente e di ripetermi che devo smetterla di pensare ad Akashi.
«Buongiorno, Chihiro.» mi sorride ed io contraggo le labbra in una smorfia colma di delusione, rimango imbambolato sulla porta e per qualche istante mi sembra quasi di avere la bocca impastata di colla, non riesco a risponderle.
«Scusa l'orario, non ho potuto fare altrimenti.»
La libreria di Ikeda-san apre alle otto e trenta e chiude alle ventuno, quindi è giustificabile che abbia suonato alla mia porta così presto, ciò che non capisco è il motivo per cui si trova qui.
«Non ricordi, Chihiro? Ti ho portato le cartucce per la stampante e un blocco di fogli, due settimane fa mi hai detto che ne avevi bisogno.»
Annuisco appena e mi faccio da parte per lasciarla entrare: è vero, due settimane fa mi ero lamentato del fatto di essere a corto di fogli e cartucce, ma le avevo anche detto di procurarsele con calma, visto che in quel momento non avevo idee per un romanzo nuovo e credevo che mi ci sarebbe voluto qualche mese per trovare l'ispirazione.
«Ti ringrazio.» socchiudo la porta e attendo che estragga dalla borsa un blocco di fogli bianchi e un contenitore di cartucce, aspetto che me le porga e le afferro chinando appena il capo, in segno di riverenza.
Se Ikeda-san facesse parte della mia famiglia, sarebbe quella con cui andrei maggiormente d'accordo. È eccessivamente premurosa con me, è come una seconda mamma o una zia molto affettuosa.
Le cartucce e i fogli di carta potrei procurarmeli da solo, i soldi non mancano – dopotutto non sono una di quelle persone che dilapidano il proprio patrimonio per ostentare la loro ricchezza o per assecondare vizi come alcol e droga, anzi sono piuttosto parsimonioso –, ma Ikeda-san insiste sempre per regalarmeli, forse per ringraziarmi del fatto che io promuova i miei romanzi presso la sua libreria.
«Ti vedo stanco, Chihiro.» mi guarda attentamente e increspa le labbra in un piccolo sorriso.
«No, sto bene.» inspiro appena e distolgo il mio sguardo dal suo: come mai improvvisamente si preoccupano tutti per la mia salute? Dovrebbero lasciarmi in pace, dovrebbero lasciarmi scrivere.
«Hai iniziato un nuovo romanzo?» per fortuna Ikeda-san sa come la penso ed è perfettamente cosciente del fatto che non sono disposto a dare ascolto ai consigli degli altri quando si parla di scrittura.
«Una specie.» replico con aria disinteressata e lei non osa staccarmi gli occhi di dosso.
«Non sei soddisfatto?»
È una domanda a cui non so rispondere: raramente sono soddisfatto di ciò che scrivo e per abitudine, ormai, non lo sono neppure quando ciò che creo merita per davvero e viene accolto positivamente dalla critica.
«Diciamo semplicemente che è qualcosa di … diverso.»
Diverso è l'unica parola che fino ad ora riesco ad attribuire al mio romanzo in corso. È diverso, e non tanto per quanto riguarda lo stile e il registro, ma perché ogni volta che lo scrivo sento qualcosa agitarsi dentro di me, è come se mi facesse vivere alcune emozioni più intensamente di quanto ci riesca la realtà, un po' come mi aveva raccontato l'amico di mia madre.
«Te ne parlerò quando lo avrò concluso, non ci vorrà molto.» mi dispiace, ma sento che anche Ikeda-san, come Ogiwara, deve rimanere fuori dalla questione: ora ci siamo solo io e il mio romanzo, ci siamo solo io e l'imperatore.
«Allora ti auguro buon lavoro.» le apro la porta e lei si ferma sulla soglia, rivolgendomi un altro sorriso «mi raccomando, non stancarti troppo.» sì, sembra proprio una mamma premurosa.
Annuisco appena e la saluto, richiudo la porta con estrema calma e resto in ascolto del silenzio: sono rimasto di nuovo solo.


― Atsushi non trovava giusto il fatto che l'imperatore avesse deciso di destinare l'Idra a lui soltanto perché aveva la forza fisica di un titano. A dire il vero non trovava giusto neppure il fatto che i servitori dovessero uccidere quelle creature leggendarie per dare modo all'imperatore di raggiungere la perfezione assoluta tanto anelata.
Che cosa ci avrebbe guadagnato? Ormai i banchetti non gli bastavano più.
Atsushi non si accontentava mai, si rinchiudeva in uno stato di soddisfazione per un paio di settimane e poi, stufo della sua ricompensa non più così nuova, cominciava a fare i capricci e a chiedere di più: era un bambino. Un bambino alto due metri e otto e con spalle larghe come il tronco di una quercia millenaria, rompeva la pietra con un pugno e piegava il ferro a mani nude.
A causa della sua forza bruta, era temuto dalla maggior parte dei servitori, ma chi lo conosceva sapeva che bastava non provocarlo e dargli qualcosa da sgranocchiare per non inimicarselo.
Atsushi socchiuse gli occhi e sospirò: le Montagne Bianche erano terribilmente noiose, si trattava di una serie di anonimi monticelli di marmo e minerali dalle forme arrotondate sui quali non cresceva neppure un albero, non germogliava nemmeno un fiore.
Atsushi non vedeva l'ora di tornare a corte perché, anche se ormai conosceva benissimo quel luogo, succedeva sempre qualcosa di diverso, non era statico come poteva esserlo un gruppo isolato di montagne.
Nonostante le cime arrotondate, le Montagne Bianche erano rilievi piuttosto alti, non ripidi, non scoscesi, quindi facilmente percorribili, ma Atsushi ci aveva impiegato comunque un giorno e una notte per arrivare fino in cima, presso il grande lago che separava le due sommità più alte.
Avrebbe ucciso quel mostro a nove teste a mani nude, come aveva fatto con altre creature dei boschi per difendere la gente del suo villaggio, prima che l'imperatore insistesse per averlo al suo servizio.
Lo sguardo estremamente annoiato di Atsushi sembrò illuminarsi non appena scorse alcune increspature sulla superficie del lago.
Si diceva che l'Idra delle Montagne Bianche avesse la pelle dura come il marmo che circondava il lago in cui dimorava, ma Atsushi non credeva a quelle voci e qualora fossero state vere rimaneva il fatto che lui l'avrebbe ridotta comunque in pezzi.
L'acqua del lago si acquietò per un istante, poi tornò ad incresparsi, più energicamente di prima, e Atsushi si avvicinò alla sponda del lago, la bocca digrignata, i muscoli di gambe e braccia tesi come corde di violino.
La prima testa trafisse la superficie torbida del lago, seguita a ruota da altre tre e qualche istante dopo anche dalle ultime cinque, così l'Idra si rivelò in tutta la sua maestosità.
Atsushi non aveva dato ascolto alle parole di Tetsuya né si era preoccupato di leggere quelle poche righe che gli aveva indicato, quindi conosceva l'Idra attraverso i racconti degli altri servitori e a causa delle leggende aveva un'idea distorta del suo aspetto, non aveva pensato che sarebbe stato meglio leggere una vera testimonianza, per cui era giunto al cospetto della creatura piuttosto impreparato. ―




È proprio come ieri: sono costretto a fermarmi a causa del dolore agli occhi, ho bisogno di bere un po' d'acqua e di togliermi dalla mente il pensiero di Ikeda-san che mi chiede cosa stia scrivendo e mi prega di non strafare.
Non bastava Ogiwara, adesso ci si mette anche Ikeda-san. E per di più oggi Akashi non verrà.
Sto di nuovo pensando a lui, ma non posso farne a meno. Visto che dal prossimo capitolo in poi lascerò spazio all'imperatore penso proprio che ignorerò ancora per un po' questo continuo bruciore agli occhi e riprenderò a scrivere. Prima finisco il settimo capitolo, prima inizio l'ottavo.


― Alcuni dicevano che l'Idra avvelenasse i suoi avversari con il solo respiro, altri che la testa centrale fosse immortale, ma erano ipotesi che non si potevano affermare con certezza, visto che nessun uomo al mondo era riuscito a tornare dalle Montagne Bianche dopo essersi imbattuto nella creatura.
Atsushi non riusciva a vederne il corpo, ma i colli erano lunghi e nodosi, le teste come quelle di nove draghi, gli occhi così gialli da essere abbaglianti, come se racchiudessero in loro la luce del sole e le fiamme dell'Inferno.
Una delle bocche si spalancò ed emise un suono straziato, stridulo; Atsushi si avvicinò ulteriormente alla sponda, in attesa che la creatura iniziasse ad attaccarlo.
Quando le prime due teste gli piombarono addosso, Atsushi riuscì a fermarle con la sola forza delle mani e a respingerle con rabbia dopo pochi istanti, allora le fauci del mostro centrale si abbatterono su di lui, ma riuscì ad afferrarle in tempo e ad impedire che si chiudessero.
Atsushi contrasse i muscoli delle braccia e cercò di spalancare ulteriormente la bocca dell'Idra, chiuse gli occhi e affondò i denti nel labbro inferiore: la pelle di quella creatura era molto più dura del marmo, più dura di qualunque materiale avesse mai distrutto.
Finalmente riuscì a frantumare la mascella dell'Idra, che si ritrasse all'indietro; Atsushi, dal canto suo, dovette allontanarsi dalla sponda perché fu attaccato non da due, ma da quattro teste, seguite subito dopo da una quinta ed una sesta.
Non poteva aspettare che l'Idra venisse da lui, non aveva intenzione di passare un minuto di più in quel luogo noioso.
Sfiatò nervosamente e corse ad un estremo del lago, cercò un appiglio per una mano e per un piede e dopo averli trovati cominciò a scalare la parete.
Non appena l'Idra lo raggiunse, Atsushi si gettò sull'unica parte visibile della schiena del mostro, ma ci impiegò qualche istante per trovare l'equilibrio – era terribilmente scivolosa, viscida, come se sulle sue vertebre fosse cresciuto del muschio invisibile –.
Una delle teste dell'Idra cercò di colpirlo, ma Atsushi riuscì ad evitarla e le circondò il collo con una forte stretta delle braccia, per poi soffocarla.
La testa centrale tornò all'attacco, ma fallì miseramente a causa della mascella spezzata, mentre altre due sgusciarono attorno al suo corpo e gli fecero perdere nuovamente l'equilibrio.
Un'altra testa di abbatté su di lui, ma questa volta lo colse alla sprovvista e riuscì a stringere fra le fauci la spalla sinistra e gran parte del torace.
Atsushi si ribellò e cercò di sfruttare la mano destra per colpire la testa del mostro, ma le fauci dell'Idra furono più veloci.
Atsushi era fatto di carne, non di marmo, e come ogni uomo di carne spezzato a metà soccombé.―






L'angolino invisibile dell'autrice:

Eccomi qua! *3*
So di aver aggiornato molto prima del dovuto, ma oggi è il compleanno di Mayuzumi e quindi ho pensato di approfittare dell'occasione per pubblicare il settimo capitolo e chiudere, di fatto, il ciclo delle “uccisioni splatter” ùwù
Mancano solo tre capitoli alla fine, insomma~
Auguriamo tutti buon compleanno a Mayuzumi~~
Bene, rotolo via!
Alla prossima!
   
 
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