XIX
RAGNARÖK
“State
tutti bene?” domandò
Thanatos, vedendo i cavalieri tornare, privi di vestigia.
“Io..non
capisco” si grattò la
testa Arles II “Cosa è successo?”.
“Credo
di poter elaborare una
teoria” rispose Camus.
“Dov’è
Tania?” si preoccupò,
invece, Thanatos.
“Devi
smetterla di gironzolare
attorno alla mia donna, chiaro?” sbottò Arles II,
stanco del continuo
interessamento di quel ex divinità.
“Guarda
che non te la voglio
portare via!” lo rassicurò il gemello di Hypnos
“Il mio interesse è dettato da
altro, credimi”.
“E
da cosa, vecchio maniaco?”.
“Tania
è..la mia bambina”.
“Non
ti permetto di chiamarla
così, pervertito!”.
“Nel
senso che è mia figlia,
ragazzino impertinente”.
“Che
dici? Sul serio?!”.
“Sì.
È l’unica che ho. Non l’ho
cresciuta con me perché l’inferno non è
posto per una bambina ma me la son
ritrovata qui, al grande tempio, ben lontana dalla pace che le
auguravo”.
“In
questo caso..sei
giustificato”.
Tania, che
si trovava poco più
indietro, era riuscita ad udire buona parte della conversazione. E
sorrise.
“E
così..questi sono i campi
elisi” borbottò Erebo, mangiucchiando il gambo di
una spiga.
“No.
Credo sia semplicemente il
paradiso” rispose Nyx.
“Papà!”
gridò una bimba, correndo
a braccia spalancate verso Kydoimos.
“Lalia!”
la riconobbe lui,
facendosi abbracciare.
Altri
bambini seguirono l’esempio
e ben presto lui si ritrovò circondato da ragazzini in
festa. Dietro di loro,
Shuna e Desa. Shuna, la madre di Lalia e Neikos, oltre che di altri
bambini lì
presenti, sorrise. Desa, colei che aveva messo al mondo
Nàgiri, pareva un po’
preoccupata.
“Che
è successo?” domandò
“Perché
siete tutti qui? Siete, dunque, tutti morti?”.
“A
quanto pare..” si osservò le
mani Apollo, accorgendosi di non avere più un corpo fisico.
“E
perché?”.
“Perché
il figlio di Pollon ci ha
cacciati qui, ecco perché!” ridacchiò
Erebo.
“Pollon?”
alzò un sopracciglio
Kydoimos.
“Tuo
figlio Dhòro, non è forse
figlio della figlia di Apollo?”.
“Sì.
E chi è Pollon?”.
“Sei
un ignorante” scosse la
testa l’antico Dio, sorridendo.
“Quindi
Dhòro ha ucciso tutti
noi?”.
“A
quanto pare...”.
“Mi
spiace”.
“Kydoimos!
Mio gioiello!”
intervenne il Caos “Non dispiacerti. A noi mai sarebbe stato
concesso di
riposare in un simile luogo. Nonostante tutto ciò che
è stato, siamo tutti
insieme qui, in un luogo magnifico, dove passare
l’eternità. Siamo in pensione,
si può dire”.
“In
pensione?”.
“Ragazzo
mio, sono in
circolazione da un sacco di tempo. Era ora che mi concedessero un
po’ di
riposo”.
Kydoimos si
guardò attorno.
Vedeva molte divinità, non solo del palazzo nero.
“Ma...”
si chiese “...se le
divinità sono qui, chi governa il mondo?”.
“Dhòro.
Per un po’. Poi più
nessuno. È il crepuscolo degli Dèi, piccolo mio.
La fine dell’era del santuario
e delle divinità”.
“Che
fine hanno fatto i cavalieri
di Atena? E Ahriman?”.
“Dhòro
ha risucchiato tutti i
poteri divini altrui. Senza Atena, i suoi cavalieri non possiedono
più un
cosmo. Chi aveva un’età per poter sopravvivere
come mortale, ora è sulla Terra
e continuerà i suoi giorni come persona normale. Tutti gli
altri..sono qua”.
“Il
crepuscolo degli Dèi?”.
“Esatto”.
“E
questo per voi è un bene?”.
“Certo.
È bellissimo. Finalmente:
pace!”.
Kydoimos
pareva perplesso. Poi
vide Saga, che gli sorrideva, avvicinandosi lentamente. Aphrodite lo
superò ed
abbracciò forte Arles, felice di rivederlo. Poi
arrivò Saga, e Aphrodite gli
lasciò posto. Le due anime, un tempo appartenute allo stesso
corpo, si
fissarono in silenzio.
“Saga...”
mormorò Kydoimos
“...adesso smettila di piangere”.
I due si
abbracciarono, mentre l’anima
di Saga non smetteva di versare lacrime.
“Non
piangere più, Saga. Non
voglio vederti piangere”.
“Mi
sei mancato” ammise Saga “Ora
non mi abbandonerai più, vero?”.
“No,
certo che no. Però tu non
piangere più. Perché fai così? Io...ti
ho rovinato la vita!”.
“Non
importa. Non è vero. Mi sei
mancato tanto”.
Non sapendo
che cos’altro dire,
l’ultimo arrivato si lasciò abbracciare.
“Guarda!
C’è Lady Oscar!”
ridacchiò un uomo, indicando un giovane che camminava per
strada.
Il giovane,
con pesanti occhi
scuri, si fermò solo qualche istante. Con le mani nelle
tasche dei jeans, fece
un sorriso. Aveva lunghi capelli ramati molto ricci, che gli ricadevano
sulle
spalle. Si tornò a voltare e proseguì per la sua
strada.
“Pensavo
che lo avresti
ammazzato” commentò Ahriman, che camminava accanto
al ragazzo.
“E
perché mai? Fra meno di un
anno morirà in un incidente” sorrise chi aveva a
fianco.
“Mi
spaventi, Dhòro”.
“Non
è forse questo lo scopo di
un Dio?”.
“Può
essere”.
“Ti
sei già dimenticato cosa
voglia dire esserlo, fratellone?”.
“Certo
che no”.
“Allora,
sei pronto? Dopo quasi
un anno, vi rivedrete”.
“Già.
Chissà come gli va la
vita”.
“Non
male, direi”.
“Ma,
dimmi, fratellino...tu
conosci il destino di tutti quanti noi, giusto?”.
“Come
unica divinità rimasta, sì.
Mi pare ovvio”.
“E
non puoi svelarmi qualcosa?”.
“No”.
“E
perché?”.
“Perché
cercheresti di non far
accadere certe cose, e non è così che deve
andare”.
“Mi
accadranno cose brutte?”.
“Ahriman,
nessuna vita è mai del
tutto felice”.
Il fratello
maggiore non disse
altro. Insieme, i due camminarono per le strade di Atene fino a
raggiungere un
piccolo appartamento. Ahriman aprì la porta e salirono lungo
il corridoio, fino
all’ultimo piano. Entrarono in una casa con un grande
terrazzo sul tetto
dell’immobile.
“Eccoli,
i ritardatari” ghignò
Milo.
“Come
state, ragazzi?” salutò
Ahriman.
Attorno ad
un grande tavolo
all’aperto, molti uomini un tempo cavalieri erano pronti a
mangiarsi una fetta
di torta. Neikos sedeva, con in braccio una bimba in fasce, e sorrise
come
tutti.
“Facciamo
un brindisi!” propose
Kiki “Al nostro primo anno da comuni mortali”.
“Alla
salute!” concordò più di
qualcuno.
“Allora...”
iniziò Camus “Come vi
trovate per il mondo? Senza un cosmo?”.
“L’inizio
non è stato facile”
ammise Deathmask “Specie dopo essere stato un Dio. Ma poi
impari a rilassarti e
a vivere”.
“Sapete
qual è stata la cosa più
difficile?” ridacchiò Milo “I
documenti!”.
“È
vero” ammise Ahriman “Quando è
nata la bambina, in ospedale mi hanno chiesto il cognome ed io non
sapevo che
cosa dire. Io non lo so il cognome di mio padre!”.
“E
allora che hai fatto?” domandò
Camus.
“Me
lo sono inventato”.
“E
noi abbiamo tutti adottato la
sua invenzione” sorrise Nàgiri.
“Che
cognome avete?” incalzò
Ioria.
“Arleson.
Figlio di Arles”.
“Non
ci credo!” scoppiò a ridere
l’antico cavaliere del leone “Che cognome
ridicolo!”.
“Pensa
per te, Leonardo!”.
“Hei,
Leonardo è un nome da
intellettuale!”.
Entrambi
risero. Perfino a Camus
scappò un vago sorriso.
“Nel
mio caso, è stato più
semplice” ammise Milo “Mi è bastato dire
che Milo è il cognome. Ci hanno
creduto tutti”.
“Sì,
anche per me è valso lo
stesso” annuì Camus.
“Ma
non dirmi che ti fai chiamare
Albert!” sogghignò Deathmask.
“Tu
pensa al tuo nome: Angelo. Tu
di angelico, non hai proprio nulla”.
“Scherzi?
Sono un angelo caduto”.
“Ah,
ecco. Ad ogni modo, il mio
nuovo nome è Andrè”.
“Lady
Oscar?” sorrise Tania.
“Ma
chi è sta Oscar?” alzò un
sopracciglio Dhòro “Oggi ne parlano
tutti”.
“Ti
farò vedere il dvd” sorrise
Ahriman “Ma dopo aver scoperto il nome di Milo”.
“Omìros”
ghignò Milo.
“Caspita”.
Aiaco, che
ora si faceva chiamare
Dustan Eaco, sorrise alzando un bicchiere. Dei presenti, in pochi
avevano mantenuto
i nomi originali ufficialmente, risultando molto bizzarri nella vita
reale.
Solo i discendenti di Arles non li avevano cambiati, forse come ricordo
di chi
li aveva chiamati così. Nàgiri sedeva accanto ad
Heiwa, che si faceva chiamare
Irene, e si tenevano per mano. Di fronte a loro, Arles II, divenuto
Alessandro,
e Tania. Lei iniziava ad arrotondarsi, nei primi mesi di gravidanza.
Thanatos,
che si limitava ad abbreviare il suo nome in
“Tony”, guardava la tavolata con
un pizzico di nostalgia. Suo fratello, Hypnos, chissà come
se la passava!
“Nomi
troppo belli” rise Ioria “E
tu, Ahriman? Niente cose strane? Giuditto? Puccio? Vabbè che
già il cognome è
una vera porcheria”.
“ναπαρ'τα"
(napar'ta )
rispose Ahriman, aprendo il palmo della mano, nel tipico gesto
d’insulto greco.
“Anch’io
ti voglio bene!”.
Dhòro
scosse la testa, divertito.
Guardò in su. Sapeva che suo padre era felice, in un luogo
dove un giorno si
sarebbe ricongiunto con tutti loro. Sapeva che lui e Saga erano vicini
e si
stringevano la mano. Sapeva che Saga era l’unico che avesse
mai provato
sentimenti così forti nei confronti di Arles. Anche il Caos
lo amava, quasi
follemente, perché ne riconosceva la pazzia, ma non
così intensamente.
“L’importante
è che tu sia
felice” mormorò.
Gli
Dèi erano morti, il grande
tempio smantellato. Le persone in quella casa si mantenevano come
potevano,
come persone normali. Il declino dell’umanità era
inevitabile, ma non aveva
importanza. L’importante era che fosse felice.
FINE