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Autore: freakshowt    03/03/2015    1 recensioni
16 anni. Mi dissero che sarebbero stati i miei anni migliori, in cui mi sarei divertita e avrei avuto tante persone accanto. Ma quello che dicono LORO non è sempre realtà. Mi sembrava di aver iniziato una guerra con me stessa che non sarebbe mai finita se non con la morte. Non avevo nessuno intorno e questo mi piaceva. Stare da sola era diventato un hobby ormai. < Mi soffermai per un pò di tempo sui suoi occhi: erano strani, ma belli. Erano castani con delle sfumature grigie e verdi. Non avevo mai visto dei colori così particolari, in un occhio .>
Forse era arrivato il mio turno per essere felice. < Farmi male era diventato il mio unico scopo in questa vita. >
O forse no..
< -Fai schifo a mentire lo sai?- Cazzo. >
Una persona potrebbe cambiare tutto e migliorare la tua vita...
< Voglio aiutarti e tu non me lo impedirai. >
Potrebbe farti credere che va tutto bene..
< Non ebbi le forze di replicare a quella vicinanza pericolosa. >
Oppure peggiorare le cose, cambiarti e farti dimenticare chi sei.
< Dopo più niente. Solo il vuoto e il buio. >
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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"Ma guarda che bel visino, da grande sarai davvero una bella ragazza!".
Dicevano loro.
"E guarda com'è bella paccioccosa, è così tenera! Sarà anche una ragazza dolce e premurosa."
Dicevano anche questo, loro.
"Che bambina forte, non oso immaginare il dolore che sta provando nel sapere che sua madre non sarà più accanto a lei. Sarà una ragazza forte."
Pioveva. Eravamo tutti ad un funerale. Il funerale di mia madre, per l'esattezza. E loro parlavano di me, di come sarei stata da grande. Una ragazza bella, dolce e forte. Questo dicevano. E questo io immaginavo. Un' adolescenza perfetta con tante persone intorno, un ragazzo premuroso e una migliore amica con cui parlare di tutto. Forse immaginavo troppo perchè quello che mi facevano credere sarebbe dovuto essere il periodo più bello della mia vita, si è rivelato quello più brutto. 

 
Mi chiamo Loraine, ora ho 16 anni, e mi sembra di vivere all'inferno.
-
Erano le otto e un quarto quando guardai la sveglia con la vista ancora offuscata per il sonno. "A quest'ora avranno già iniziato la lezione di biologia" pensai. Era ormai diventata un'abitudine svegliarmi tardi ed entrare alla seconda ora, o non entrare proprio. Andare a scuola mi dava un forte senso di nausea e stare in mezzo a quelle persone mi faceva sentire male; quando ero lì il mio unico pensiero era uscire fuori. Andarmene in posto tranquillo a leggere o a disegnare, fumando due o tre sigarette e liberandomi di tutto lo stress e la tristezza che avevo accumulato nella giornata.
Con malavoglia mi alzai dal letto e andai in bagno, guardando basso e senza mai alzare gli occhi. Lo facevo tutte le mattine, ma alla fine non serviva a nulla. In un modo o nell'altro mi imbattevo sempre in quell'immagine; e nessuno oltre a me sapeva cosa succedeva quando guardavo quella "cosa". Non capivo davvero come alcune ragazze o ragazzi potessero amare quell'oggetto. Per me era puro portatore di verità e di conseguenza, di odio. 
In tutta fretta entrai nella doccia fredda e ci rimasi sotto per circa un quarto d'ora. Ferma immobile, con gli occhi chiusi, sentivo l'acqua di un freddo pungente cadermi sulla pelle come un milione di spilli. Ma non feci niente. Ho sempre pensato che il dolore fosse una cosa fisiologica, un sintomo vitale ed essenziale a renderci più forti. Uscii dalla doccia altri dieci minuti dopo ed eccola lì ad aspettarmi, pronta a sbattermi in faccia la realtà e a farmi vedere per l'ennesima volta la cosa che odiavo di più di tutte. 
La mia immagine riflessa.
Due occhi verdi, spenti, erano lì a guardarmi; a guardare me e tutte quelle cazzo di imperfezioni che odiavo; a guardare le cicatrici ovunque e i tagli del giorno prima che, invece, dovevano ancora chiudersi del tutto.
Le mie braccia erano ormai diventate un campo di guerra. E in effetti tutte quelle cicatrici me le ero procurate in una lotta: una lotta contro me stessa che era iniziata poco più di un anno fa e continuava ad andare avanti. All'inizio era, come dicono tutti, un taglietto piccolo per sfogare la rabbia; ma andando avanti i taglietti si fecero di più e più grandi. Ora erano tagli profondi e non mi interessava più neanche il punto in cui lo facevo. Nessuno faceva caso a me. Nemmeno mio padre che, dopo la morte di mia madre iniziò a parlare di meno e a stare sempre fuori. "E' il lavoro" diceva lui. Così ero sempre sola, sia a casa che fuori. 
Quegli occhi mi stavano ancora fissando, ma stavolta notavo molto più odio e senso di ribrezzo. Riuscii solo a rimanere ferma e a sputare su quell'orribile "cosa" che mi fissava. Sapevo che non sarei mai riuscita ad accettare che quella che chiamavo "orribile cosa, ripugnante" ero io. Alla fine la persona che odiavo più di tutte ero io, senza se e senza ma. 
Decisi di smetterla di guardare la "cosa" e di tornare in camera a vestirmi. Presi degli skinny neri bucati alle ginocchia, una canottiera anch'essa nera e un felpone largo grigio scuro; era marzo e faceva ancora un pò freddo ma è una delle poche cose che amo, il freddo: Riuscivo a coprirmi quanto bastava a non far vedere qualche cicatrice o anche qualsiasi parte del mio corpo. Se avessi potuto sarei andata anche giro con un sacchetto di plastica nero in testa: a mio parere avrei fatto sicuramente più bella figura. 
Uscii di casa senza mangiare, come al solito. L'aria fredda era pungente e mi attraversava la pelle; mi vennero i brividi, ma mi abituai subito alla temperatura accendendomi una sigaretta. Iniziai ad incamminarmi verso la scuola, consapevole del fatto che avevo ormai più di un'ora di ritardo. 
Quando arrivai il cancello della scuola era chiuso, quindi dovetti suonare alla segreteria. Aspettai cinque minuti poi risuonai, visto che nessuno mi aveva ancora aperto. Mentre aspettavo due ragazzi uscirono dall'istituto e vennero da me. Eravamo separati solo dalle sbarre del cancello ma potevo sentire su uno dei due l'odore di Marijuana. Quello più alto fu il primo a rivolgermi la parola:
-Cosa vuoi fare qua?-
-Dovrei entrare a scuola, ma visto che l'arrampicata non è il mio forte, sto aspettando qualcuno che mi apra.-
-E tu pensi che saremo noi a farlo giusto?-
-Non mi importa chi sia ad aprirmi, se non vuoi farlo aspetterò qualcun altro.-
Non so perchè ma mi dimenticai completamente della presenza di quello più basso. Mentre parlavo con l'altro mi soffermai per un pò di tempo sui suoi occhi: erano strani, ma belli. Erano castani con delle sfumature grigie e verdi. Non avevo mai visto dei colori così particolari, in un occhio. Mentre osservavo ancora i suoi occhi, mi riportò alla realtà facendomi vergognare ancora di me stessa.
-Ei tesoro, so di avere degli occhi che incantano ma ora il cancello è aperto. Puoi entrare se vuoi e magari ringraziarmi un modo particol...-
-Grazie, ma ora devo andare.-
Me ne andai con le guance che andavano a fuoco per l'imbarazzo e con la rabbia per la figura di merda che avevo appena fatto. Mi calmai subito dopo essere arrivata in classe. "Tanto è inutile, io so solo rovinare tutto. Anche le più piccole cose" pensai, e mi accasciai nel mio banco senza dare tanta importanza al professore che spiegava il fissismo e altre cose.

SPAZIO AUTRICE!
Okay è il mio primo capitolo, della mia prima storia della mia esistenza. L'ho iniziata a scrivere un mese fa e poi mi sono detta "Ehi perchè non condividerla con qualcuno e avere qualche parere/giudizio?" quindi eccomi qui :) 
Potete recensire come volete, darmi consigli sulla scrittura o aiutarmi o anche dirmi che fa schifo don't worry però un parere datemelo. Spero che vi piaccia, altri capitoli li ho già pronti, ma dipende tutto da voi. BYEE

 
   
 
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