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Autore: kiko90    04/03/2015    3 recensioni
Due occhi scuri ed un sorriso capace di illuminare le giornate più buie, di sconfiggere il male che si porta dentro, un sorriso che porterà Robin alla felicità.
*scritta in occasione del compleanno di RuRobin1996*
Ispirata a grandi linee alla serie Tv braccialetti rossi.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico, Robin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia realizzata per il compleanno della mia socia RuRobin1996!
AUGURI SOCIA!!





SORRIDERE ALLA VITA




Passi lenti e decisi riecheggiavano nel corridoio del quarto piano dell’ospedale “Mille Soli”. Con aria seria la dottoressa Robin camminava verso la stanza di un suo paziente con il cuore che le batteva forte nel petto.
Non riusciva ancora a credere di essere cascata in quell’abisso di sentimenti che non si poteva permettere di provare per un paziente, eppure era stato inevitabile affezionarsi a lui così tanto, iniziare a provare sempre più simpatia ed affetto per lui, dimenticandosi del male che lui combatteva ogni giorno, dimenticandosi del suo ruolo di medico e delle regole che questo le imponeva, tutto si cancellava davanti al sorriso spensierato di quel ragazzo più giovane di lei di dieci anni.
Si fermò di colpo nel corridoio insolitamente vuoto, senza lo sguardo di nessun infermiere addosso e arrossì ripensando alla prima volta che lui le aveva detto che era bella così, semplicemente, come se in realtà avesse appena detto che quel giorno il cielo era azzurro. I suoi occhi chiari si erano incrociati con quelli scuri di lui, mentre lo stava visitando ed era rimasta incantata nel notare la totale serenità che rispecchiavano gli occhi di quel ragazzo. Era così diverso da lei, non solo per l’età, ma per il modo di porsi alla vita, sempre con allegria, con un sorriso spensierato ogni giorno, anche quando il cancro era ritornato a bussare nella sua vita impedendogli di partire per mare come aveva sempre desiderato.
Riprese il cammino continuando a sorridere, cercando di celare il rossore che le provocavano quei pensieri. Mai nessuno era riuscito ad entrare così saldamente nel suo cuore, ad abbattere il muro che aveva costruito mattone dopo mattone negli anni. Tante erano state le sofferenze che aveva dovuto affrontare nella vita, fin da bambina, ma lui riusciva a farle dimenticare tutto, farla sorridere come mai aveva fatto, lui era riuscito a farle tornare la voglia di vivere la vita da persona felice, non da persona che cerca di tirare avanti senza concedersi mai un momento per se, senza concedersi un sorriso anche solo per un fiore che le veniva donato.
Spensierata come non mai si lasciò abbagliare dalla luce del sole che entrava dalle grandi vetrate del corridoio, illuminandole i capelli corvino con piccole sfumature blu come la notte.
Era stranamente serena Robin, quella mattina si era svegliata con un insolito buon umore anche se era il giorno del suo compleanno, compleanno che le aveva sempre portato ogni anno brutte notizie, ma non quel giorno; quel giorno lo avrebbe passato in compagnia di Rufy portandolo nel grande giardino pieno di alberi da frutta, dell’ospedale e lì si sarebbe rilassata accanto a lui, tra le sue braccia.
Non stavano insieme Rufy e Robin, non potevano, eppure lui, senza troppi giri di parole, come suo solito, le aveva confessato, proprio in quel giardino, che si era innamorato di lei, che lei era la persona più importante della sua vita. Quel giorno il cuore di Robin aveva quasi ceduto a quelle parole così forti, così sincere, ma anche se avrebbe voluto gettarsi tra le braccia del ragazzo, si era imposta di restare impassibile, di non rovinare il suo rapporto con Rufy e quindi gli aveva risposto solo “sono il tuo medico” non era un rifiuto il suo, era solo un modo per far capire a Rufy che lei non poteva ammettere, finché lui fosse stato ricoverato in quell’ospedale, che anche lei lo amava, che da quando lui era entrato nella sua vita la mattina appena sveglia pensava a lui e non vedeva l’ora di poter andare a lavoro per rivederlo, anche quel giorno che era il suo giorno libero.
Rufy aveva capito e con un sorriso l’aveva tranquillizzata dicendole “aspetterò” poggiandosi una mano sulla gamba artificiale; avrebbe aspettato di guarire per uscire da quel maledetto ospedale e poterla finalmente baciare e stringere tra le sue braccia come desiderava ormai da due anni.
Era quasi arrivata davanti alla sua stanza quando notò i pazienti delle stanze vicine bisbigliare dalle porte delle loro stanze, con facce sconvolte. Qualcosa iniziò ad insinuarsi nella sua mente sempre attenta, sempre pronta a captare ogni informazione prima degli altri ed trovare una soluzione ad ogni problema, ma quel giorno non aveva colto tutti gli indizi che in quei pochi minuti, da quando aveva varcato il corridoio, le erano parsi davanti.
Scosse la testa leggermente per scacciare via i brutti pensieri, no niente le avrebbe rovinato la giornata, non poteva succedere niente che il sorriso di Rufy non potesse cancellare, eppure pian piano degli spilli di ghiaccio iniziarono a gelarle il petto ramificandosi per tutto il costato come se da un momento a l’altro si sarebbe trasformata in una statua di ghiaccio.
I passi di Robin ora erano decisamente più incerti, quando, avvicinandosi alla stanza di Rufy, iniziò a sentire delle voci allarmate di persone che conosceva bene.
Si fermò di colpo davanti la porta della stanza, aperta, e lì il gelo che la stava attraversando pian piano la ibernò sul posto.
Una marea di infermieri dal camice blu e medici con lunghi camici bianchi agivano velocemente in perfetta sincronia attorno al corpo inerme di Rufy disteso a pancia in giù sul pavimento.

-Dobbiamo subito portarlo in sala rianimazione!- -al mio tre lo carichiamo sul lettino!- -il battito è sempre più basso- -E’ IN ARRESTO CARDIACO. MUOVIAMOCI!-
Un insieme di parole ovattate arrivarono come una serie di pugnalate alle orecchie di Robin, mentre i suoi occhi azzurri continuavano a fissare il corpo del ragazzo riverso a terra, venir sollevato dai medici ed essere posto su una portantina.
Non poteva essere vero, non voleva crederci, non stava succedendo davvero; Rufy non stava per morire!
Infilò una mano nella tasca del camice e trovò le caramelle gommose che piacevano tanto a Rufy e che lei gli comprava di nascosto per farlo contento. La mano le tremò mentre estraeva una manciata di caramelle che, a causa di un nuovo spasmo, caddero a terra.
-Dottoressa Robin è qui! Rufy ha avuto un malore!- la informò un’infermiere mentre le porgeva la cartella clinica di Rufy con le ultime, veloci, annotazioni.
Robin l’afferrò con mano tremante, mentre la barella con il ragazzo che le aveva riscaldato il cuore le passava davanti.
Rufy era pallido, pallido come non mai. Sul suo viso non c’era l’ombra del sorriso che lo caratterizzava né della sua allegria contagiosa. Quello non poteva essere lo stesso ragazzo di cui si era innamorata, lo stesso ragazzo che da due anni combatteva con un tumore che continuava a tornare. Non poteva essere lui, proprio adesso che erano mesi che non aveva più nessun disturbo.
-Robin-ya, vieni dobbiamo operare subito!- le disse Law riscuotendola con i suoi occhi grigi estremamente seri. Anche lui, il chirurgo più temuto dell’ospedale a causa del suo carattere schivo, aveva finito per affezionarsi a quella testa mora di Rufy, nessuno riusciva a resistere al suo entusiasmo, lui contagiava tutti.
-Robin, ho bisogno di te per salvarlo!- la riscosse per la seconda volta Law, prima di incamminarsi e seguire la barella.
Rimase lì, impalata per qualche secondo prima di capire che così restando non lo avrebbe aiutato, anzi lo avrebbe solo lasciato andar via, e non poteva permetterlo; così iniziò a correre dietro la barella per poi ritrovarsi nella sala operatoria.






Era strano vedere quella stanza vuota, senza più nessuno a riempierla di gioia, non sentire il profumo dei fiori degli alberi del giardino entrare dalla finestra sempre aperta.
Robin con cautela, come se camminando diversamente o solo emettendo una parola potesse rompere l’equilibrio dei ricordi che tappezzavano quella stanza, si fermò davanti la finestra ora ben chiusa e guardò oltre il vetro, oltre l’ospedale, oltre il giardino, verso il mare, calmo, che splendeva in quella mattinata estiva.
Una lacrima scese silenziosa sulle sue gote, scivolando fino al mento dove si fermò qualche secondo per poi oscillare e cadere giù.
Accarezzò il vetro davanti a se osservando i frutti colorati rispecchiare tra le foglie verdi degli alberi e un sorriso dolce, ma allo stesso tempo amaro, le solcò il viso.
Ricordava perfettamente il giorno del suo trentaduesimo compleanno, il giorno in cui trovò Rufy steso a terra, il giorno in cui lo operò.
Ricordava ogni cosa con estrema precisione, ogni emozione, ogni scena, persino l’odore del disinfettante che impregnava la sala operatoria; ricordava tutto compresi gli occhi di Rufy perfettamente serrati e l’angoscia che lei provava ogni volta che lo osservava.
Dei passi la riscossero dai quegli oscuri pensieri e piano si voltò, in tempo per vedere entrare un ragazzino con un enorme borsone in spalla accompagnato da un’infermiere.
Il ragazzino dagli occhi chiari la guardò sorridendole per poi posare il suo pesante borsone sul letto che un tempo aveva occupato Rufy.
Il cuore di Robin sussultò a quel gesto, come se compiendolo quel ragazzo avesse contaminato la serenità di quella piccola stanza, ma sapeva non essere così, sapeva che era giusto così e in cuor suo augurò al ragazzo che quella stanza potesse trasmettere un po’ di quella gioia che ragazzi nel suo stato in quella situazione perdevano di vista.

Uscì dalla stanza salutando con un sorriso il nuovo arrivato e, portando una mano al ventre gonfio entrò nell’ascensore.
L’acciaio lucente dell’ascensore rifletteva il suo nuovo aspetto. Erano passati due anni da quel fatidico giorno, anni duri, ma che l’avevano portata comunque alla felicità.
Il suo viso era più rilassato, anche dopo la visita in quella stanza che aveva voluto rivedere per forza. Il suo corpo si era adattato al suo stato interessante e i suoi occhi brillavano per la felicità di quel periodo, felicità che doveva solo ad una persona.
Le porte si spalancarono e lì, davanti a lei nel corridoio dell’entrata, c’era lui, Rufy, con il suo tipico sorriso rivolto verso di lei.
Rufy le camminò incontro salutando nel tragitto infermieri e dottori con cui aveva trascorso due lunghi anni in quell’ospedale, persone che non lo avrebbero mai dimenticato.
-tutto bene amore?- le chiese sfiorandole una guancia dolcemente. Ora non dovevano più nascondersi, non dovevano più celare i propri sentimenti perché erano liberi, liberi come l’aria di vivere con serenità il loro amore.
L’operazione era stata dura, ma Rufy l’aveva superata con la forza di un leone e, anche se la riabilitazione lo aveva messo a dura prova ne era uscito forte e sano, finalmente, e una volta uscito dalle porte di quell’ospedale aveva urlato a tutti di amare Robin e di volerla sposare. Ricordava Robin l’imbarazzo di quella dichiarazione davanti tutti i suoi colleghi, ma si fece coraggio e si lasciò trasportare dal cuore, gettandosi tra le braccia di Rufy, pronto a sostenerla.
Aveva lasciato l’ospedale per un po’, giusto il tempo per viaggiare con Rufy per mare e poi rimanere incinta, ed ora dopo che Rufy era stato sottoposto al controllo di routine e tutto era nella norma, potevano dire arrivederci alla vecchia vita, ed aprire il cuore ed il sorriso ad una nuova e più serena esistenza, insieme senza più barriere, senza più malattie da sconfiggere, solo amore per un futuro pieno di sorrisi insieme a Rufy.
   
 
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