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Autore: vannagio    04/03/2015    6 recensioni
La matematica non è un'opinione: due più due è uguale sempre a quattro.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Guardaroba




«Non c’è niente di platonico con l’haute couture».
(Episodio 3x07 “Draw back your bow”)


Il campanello di casa prese a trillare insistentemente proprio quando si era infilata lo spazzolino in bocca. Sfrecciò fuori dal bagno come Flash, urlando “Un affimo, sfo affifando!”, ma tornò subito sui suoi passi. Sputò il dentifricio nel lavandino, si pulì la bocca con l’asciugamano e si diede una frettolosa pettinata ai capelli. Non si sa mai chi puoi trovarti sulla soglia di casa alle nove del mattino, anche se è domenica. E lei aveva imparato la lezione.
Aprì la porta, trafelata.
«Buongiorno, tesoro. Stamattina sono stata svegliata dai miagolii di King che faceva il Don Giovanni con la gatta della Signora Fernandes sul mio davanzale».
Felicity prese in braccio il gatto nero che Wanda le stava porgendo.
«Buongiorno, Wanda. Il caffè è in cucina, serviti pure». Si fece da parte per farla entrare e rivolse un’occhiata stizzita al grosso Don Giovanni peloso. «King, noi due avevamo un patto. Tu non avresti più importunato la micia della vicina ed io non ti avrei fatto castrare. Sono stufa di coprirti con la Signora Fernandes!».
King miagolò dispiaciuto. Eh no, mio caro, questa volta non attacca.
«Non mi importa quanto sia carina, fattela passare, non sono ancora pronta a diventare nonna!».
Nel frattempo Wanda l’aveva presa in parola e adesso sedeva sul divano con un tazza fumante di caffè macchiato (solo tre gocce di latte, non una di più, non una di meno) e un sopracciglio inarcato.
«Dolcezza, non per farmi gli affari tuoi, ma sei sicura di sentirti bene?».
Felicity mollò malamente King sul pavimento. Ignorò l’occhiata tradita del gatto. Non sarebbe riuscita a impietosirla. Non più.
«Sto benissimo. È solo l’ennesimo esponente del genere maschile della mia vita che mi delude».
«Uhm».
Wanda nascose l’espressione perplessa dietro la tazza. Aveva scelto quella a forma di testa di Hulk. Felicity sospirò.
«Tu fai pure come se fossi a casa tua, io torno di là… ho un lavoro rimasto in sospeso».
Ovviamente Wanda non era in grado di farsi gli affari suoi, così la seguì con la testa di Hulk stretta tra le mani. King ne approfittò per saltare sul divano, stiracchiarsi pigramente e acciambellarsi sui cuscini. Le sue scappatelle notturne con la micia dovevano averlo sfiancato. Beato lui! Oddio, era davvero invidiosa della vita sessualmente attiva del suo gatto? Era proprio arrivata alla frutta.
«Oh, cielo. Che diavolo è successo qui dentro?», strillò Wanda, distogliendola dai suoi nefasti pensieri. «Pare che ti sia esploso l’armadio!».
Felicity affossò la testa nelle spalle e fece vagare lo sguardo sconsolato sulla sua camera da letto, interamente sommersa da un mare di vestiti.
«Non riuscivo a dormire. E quando non dormo, fisso il soffitto. E quando fisso il soffitto, penso. E quando penso fissando il soffitto, mi vengono in mente le cose più strane. Tipo che non ricordavo dove fossero finite le mie ballerine coi panda. Allora, dato che non riuscivo a dormire, ho pensato che tanto valeva mettersi a cercarle. Ero quasi sul punto di trovare l’ingresso per Narnia, ancora nessuna traccia delle ballerine, quando mi sono resa conto del perché non sapevo dove si fossero cacciate».
Wanda aveva di nuovo nascosto l’espressione perplessa dietro il ghigno furioso di Hulk.
«Sì…?».
«Ho troppi vestiti! Così ho deciso di mettere ordine nel mio guardaroba, erano due anni che non lo facevo, ce n’era davvero bisogno».
Wanda posò la testa di Hulk sul comodino, tra una pochette di perline e un paio di décolletté, e si guardò intorno.
«Più che due anni, sembra una vita… E quegli scatoloni?».
Felicity sorrise.
«La situazione mi stava sfuggendo un pochino di mano, così…».
«Ah, solo un pochino?».
«…così ho capito che avevo bisogno di un metodo». Indicò gli scatoli ad uno ad uno. «Qui metto le cose che voglio tenere. Qui le cose nerd di cui non posso fare a meno. Qui le cose che ho messo solo una volta, ma che non si sa mai, potrei riutilizzare. Qui le cose di cui voglio disfarmi. Semplice ed efficace, non trovi?».
Wanda esaminò l’interno degli scatoloni con sguardo critico. I primi tre erano pieni fino a scoppiare. «Semplice ed efficace per non buttare via niente, a quanto pare». L’ultimo conteneva solo un vestito. Lei lo tirò fuori e sgranò gli occhi. «Non posso credere che tu voglia disfarti di questo vestito. È quello per cui ti ho prestato gli orecchini dorati, me lo ricordo bene! Ti stava da dio. Di solito ti preferisco in blu, ma per questo faccio un’eccezione».
Felicity glielo strappò dalle grinfie e lo ricacciò frettolosamente nello scatolo.
«Ormai è irrecuperabile, l’esplosione lo ha rovinato».
Wanda sospirò, come una mamma esasperata, e si rimboccò le maniche.
«Forza, ti do una mano io, diamoci da fare».
L’aiuto di Wanda consisteva nel guardare Felicity che sistemava i vestiti negli scatoli e nel tirarli fuori sistematicamente un istante dopo, per esaminarli minuziosamente uno alla volta e chiedere per quale occasione fossero stati comprati. Alla fine dell’ispezione li ammassava sul letto, in modo che Felicity potesse ricominciare daccapo il lavoro in un loop infinito. Di quel passo non le sarebbero bastate nemmeno dieci Rigenerazioni di un Signore Del Tempo per finire.
«E questo?».
Stava contemplando quello nero. Quello esageratamente scollato sulla schiena, quello esageratamente corto sulle gambe. Quello esageratamente sbagliato per un’informale uscita a quattro con Barry.
«Central City. Un’uscita con degli amici», disse Felicity, lanciando una t-shirt con l’occhio di Sauron e la scritta “Sauron is watching you” nello scatolone delle cose nerd.
«Una festa in tiro, spero».
«Un gioco a quiz in un bar».
«Stai scherzando?! Dimmi che almeno era di sera».
«Pomeriggio».
Wanda roteò gli occhi e lanciò l’abito nel mucchio.
«Si vede che non c’ero io a consigliarti».
Felicity si sentì in dovere di difendersi.
«Però non è che mi stia male, eh? Anzi, sembra fatto a posta per me. Lo ha detto anche la commessa».
«Non lo metto in dubbio, tesoro. Hai solo scelto il momento peggiore per indossarlo. Anche se due cose stanno bene insieme, non è detto che debbano stare insieme per forza. Non sempre, almeno».
Ma Wanda non stava mai ferma, né con la lingua né con i pensieri. I suoi occhi erano già saettati su qualcos’altro: una custodia per abiti, che pendeva dall’anta dell’armadio. Quando ne fece scorrere giù la cerniera, la sua bocca si schiuse in un oooh di stupore.
«Che meraviglia! Scommetto che ti sta d’incanto, il blu è il tuo colore. Quanti reni hai dovuto vendere per permetterti un abito del genere?».
Felicity rise.
«Non l’ho comprato, me l’ha prestato il mio capo. Per una cena. Di lavoro», si precipitò ad aggiungere, notando lo sguardo eloquente di Wanda. «Prima di restituirglielo, mi sembrava educato portarlo in lavanderia».
«Con un haute couture non avrei problemi a liberarmi dell’intero guardaroba. È bello, elegante, affascinante… perfetto! Come potrei sopportare di indossare qualcos’altro, dopo aver provato questa meraviglia? È come baciare una volta Chris Hemsworth e poi essere costretta a baciare solo Danny DeVito per il resto della tua vita. Insopportabile!».
«Te l’ho detto, non è mio. Me ne sono fatta una ragione, è stato bello finché è durato. Cioè pochissimo, è durato pochissimo, ma meglio di niente. Si vede che non era destino».
Wanda abbracciò il tessuto blu come se fosse un amante.
«Vorrei anche io un capo che mi presti un abito di alta moda!».
Felicity si adombrò all’improvviso. Non sapeva perché. O, meglio, a mente lucida lo avrebbe saputo, ma in quel preciso istante, con il carico di frustrazione e notte insonni che si trascinava dietro da qualche giorno, non lo sapeva.
«Io no, invece».
«Come?».
Felicity la raggiunse senza guardarla negli occhi e chiuse la cerniera della custodia con stizza.
«Vorrei un capo normale. Uno come il Signor Steele, magari. Con lui era tutto più semplice. Una camicia, una gonna ed ero pronta. E quando lavoravo al Tech Village, invece? Indossavo quell’orribile divisa e via! Perché credi abbia cominciato a comprare tutti questi abiti?».
Wanda si strinse nelle spalle.
«Perché sono belli e ti stanno bene e ti rendono carina?».
«Sbagliato! Perché un bel giorno Queen entra nel mio ufficio, un paio di occhi da cucciolo, un sorrisetto sbilenco e… puff! All’improvviso una camicia e una gonna non sono più sufficienti, la coda bassa mi fa sembrare una suora e il trucco leggero non mi valorizza il viso. Con Palmer, poi… ancora peggio!». Felicity si fece cadere a peso morto sul mucchio di abiti e sbuffò. «Vorrei un capo a cui non freghi nulla di me, se non per assegnarmi del lavoro da svolgere. Vorrei un capo vecchio, sposato e inaccessibile. Che non mi faccia venire voglia di indossare un abito ogni giorno diverso. O di trovare l’abbinamento perfetto per quelle Jimmy Choo che ho visto in vetrina. O di mettere una tonalità di rossetto piuttosto che un’altra. Vorrei un capo che… che non mi baci. E se proprio sentisse il bisogno di farlo, allora vorrei che non mi lasciasse con un palmo di naso dopo avermi baciata». Si voltò a guardare Wanda. «Perché tutti gli uomini della mia vita prima mi baciano e poi scappano? Letteralmente e metaforicamente, intendo».
Lei aveva ripreso a sorseggiare il suo caffè. E ancora una volta aveva nascosto l’espressione perplessa dietro il cipiglio minaccioso di Hulk. Felicity cominciava a pensare che Wanda lo facesse per delicatezza. Una sorta di “Tesoro, credo che tu sia un po’ tocca, ma non ho il cuore di dirtelo in faccia, perciò mi limito ad annuire e sorridere”.
«Ooookay, la mia domanda è… Di solito è mettere ordine nel guardaroba che ti sconvolge oppure metti ordine nel guardaroba perché sei sconvolta per qualcosa?».
Felicity si riscosse dalla trance chiacchierona in cui era cascata e con orrore si rese conto di aver detto tutte quelle cose ad alta voce. Tipicamente Felicity. Arrossì vistosamente e tornò a tuffarsi nell’armadio senza aggiungere altro. Incredibilmente, per una volta, Wanda non fece commenti e lei gliene fu immensamente grata.
Qualche ora più tardi, lo scatolo delle cose da buttare via era moderatamente pieno e l’armadio moderatamente in ordine (alla fine le ballerine coi panda erano state trovate, incuneate in fondo a un cassetto, tra un cappello a forma di Tardis e le pantofole a forma di piede di Hobbit). Un piccolo successo, visti i continui tentativi di boicottaggio da parte di Wanda. Su un solo abito non avevano ancora raggiunto un accordo. Quello rosso. Quello dell’appuntamento disastroso con Oliver.
«Certi abiti sono speciali. Non si possono semplicemente buttare via», disse Wanda.
«A volte non si ha altra scelta che disfarsene, anche se non si vorrebbe. Non ha senso occupare spazio nell’armadio, se so già che non indosserò mai più quel vestito».
«Decidi tu se indossarlo o meno, Felicity».
«Quello che voglio io conta poco, se il vestito è irrecuperabile».
Wanda lisciò la stoffa annerita del vestito sul copriletto.
«Non è messo così male, basterebbe farlo sistemare e tornerebbe come nuovo. La zia della mia amica Sam possiede una lavanderia con un ottimo servizio sartoria che, stando a quello che dice lei, è miracolosa. E fa anche consegna a domicilio».
Felicity scosse la testa.
«È una causa persa».
«Come la fai tragica! Che cosa ti costa fare un tentativo?». Wanda prese un post-it dal cassetto del comodino e ci scarabocchiò sopra qualcosa. «Qui c’è l’indirizzo e il numero telefonico della lavanderia, decidere cosa farne adesso spetta a te».
E le attaccò il post-it direttamente sulla fronte.




«Mentre eri via, per quasi un mese, mi sono concessa di fantasticare, di sognare che forse, e dico solo forse, Merlyn si sbagliasse. Che tu fossi vivo e che saresti tornato, e che quando l’avessi fatto, saresti stato diverso, che l’essere quasi morto ti avrebbe dato una nuova prospettiva di vita, che avresti fatto le cose in maniera diversa».
(Episodio 3x12 “Uprising”)


Il campanello di casa la svegliò di soprassalto.
Felicity si guardò intorno, disorientata. King dormiva acciambellato sul suo grembo, la radiosveglia segnava le sei e ventiquattro del mattino, e lei si era addormentata vestita. Di nuovo. Effetti collaterali del passare le notti a dare la caccia ai cattivi: tornava a casa talmente distrutta, che crollava addormentata sopra le coperte ancora prima di sfilarsi le scarpe. Con un sospiro stanco, Felicity si mise in piedi. King, che stava ancora ronfando profondamente, rotolò sul materasso come un sacco di patate senza scomporsi.
Intanto il campanello insisteva.
Arrivo, arrivo.
A quell’ora poteva trattarsi solo dell’ennesima complicazione con Brick.
Si fermò un attimo davanti allo specchio, il suo riflesso era un misto tra lo stropicciato e l’accartocciato. Occhiali storti sul naso, coda moscia, cappotto spiegazzato, occhi pesti per il pianto e il sonno arretrato, il collo un blocco di cemento. Raddrizzò gli occhiali e si sfilò il cappotto, il massimo che era disposta a fare per rendersi presentabile. Prima di aprire la porta, lisciò un’ultima volta la camicetta.
«Ciao, Felicity».
Le ginocchia divennero improvvisamente di gomma. La vista si appannò. La stanza cominciò a girarle intorno. Felicity traballò a destra e sinistra come un birillo, ma prima di finire definitivamente con la faccia contro il pavimento, riuscì ad aggrapparsi allo stipite della porta. Poi guardò nuovamente in su.
Non era un’allucinazione, era veramente lui. Ammaccato ed esausto, ma lui.
«Oliver!».
Gli buttò le braccia al collo e lui la abbracciò di rimando all’altezza della vita. Sentire quel corpo così solido e familiare contro il suo le fece ritrovare stabilità sulle gambe. Oppure erano le braccia di Oliver a sorreggerla? Più probabile la seconda ipotesi, in effetti.
Felicity tornò a fissarlo in volto, quasi per sincerarsi di non essersi sbagliata.
Oliver stava sorridendo. La sua era un’espressione serena, come quella di un uomo che finalmente ha capito cosa vuole e che è disposto a tutto pur di ottenerlo. Forse fu per questo motivo che Felicity non si scompose affatto, quando lui chinò il viso verso di lei e la baciò. Così, sulla soglia di casa, come se fossero stati lontani soltanto per un giorno.
Si separarono per riprendere fiato. Gli occhi di Oliver scintillavano.
«Avevi ragione», disse lui.
«Lo so, io ho sempre ragione. Ma puoi essere più specifico?».
Lui le diede un pizzicotto sul fianco, lei gli fece la linguaccia.
«Sono quasi morto su quel monte, Felicity», rispose Oliver, diventando improvvisamente serio. «Ho capito che la vita è troppo preziosa per viverla a metà. Ho deciso che voglio più di una semplice maschera. Ho…».
Felicity non seppe mai cosa aveva. Le spiegazioni potevano aspettare, adesso voleva solo stringerlo e baciarlo.
«Ti amo, Oliver».
«Meeeeeooo».
Felicity scattò a sedere come un bambolotto a molla. Gli occhi sbarrati, le pupille ridotte a due puntaspilli e il fiatone. King le sedeva di fronte sul materasso, agitava la coda con fare scocciato.
Oddio, ancora?
Si stropicciò gli occhi con le dita, poi scalciò via le coperte e andò in cucina a bere un bicchiere d’acqua, il cuore che prendeva a randellate la cassa toracica dall’interno. King le zampettava dietro con la coda dritta. Naturale, erano le otto del mattino ed esigeva che gli venisse servita la colazione.
Dopo il primo sorso di acqua, il battito cardiaco scalò di marcia e rallentò. Felicity si appoggiò al bordo del lavello, concedendosi un respiro profondo, e si passò il dorso della mano sugli occhi, cercando di bloccare le lacrime sul nascere. Il suo subconscio non ne voleva sapere di smettere di fantasticare. Nonostante quello che Merlyn aveva scoperto, continuava a sperare. E a ricamare. Parecchio.
King nel frattempo si stava strusciando contro le sue gambe. Lei tirò su col naso e lo fulminò con un’occhiataccia.
«Sei il gatto più ruffiano che abbia mai visto!».
Fece per aprire il frigorifero ma si bloccò con la mano sulla maniglia, accorgendosi del post-it di Wanda, quello col numero della lavanderia miracolosa. Lo aveva appeso al frigo perché portarlo sulla fronte non era pratico.
Si era completamente dimenticata del vestito rosso. Del resto, aveva avuto cose più importanti per la testa, nelle ultime settimane. Lo scatolone degli indumenti di cui disfarsi aspettava sotto al letto da diverse settimane di andare incontro al suo destino.
Prese il post-it e se lo rigirò tra le mani, leggendo e rileggendo l’indirizzo della lavanderia.
Forse poteva concedere una seconda possibilità al vestito rosso. Ci aveva speso dei soldi veri e lo aveva indossato una volta sola, in fondo. E se davvero fosse tornato nuovo come Wanda aveva promesso, riservargli un angolino nell’armadio non le sarebbe costato nulla. C’era tanto spazio adesso che l’aveva messo in ordine, un posticino lo avrebbe trovato di sicuro. E forse prima o poi l’occasione giusta per rindossarlo si sarebbe ripresentata… se fosse tornato nuovo.
Se fosse tornato.




«Non voglio essere una donna che ami».
(Episodio 3x12 “Uprising”)


Il campanello di casa suonò contemporaneamente al diiiin del microonde, che annunciava che la porzione di lasagne si era scaldata.
Tempismo perfetto.
Felicity spalancò la porta e si ritrovò davanti un ragazzo alto, allampanato e brufoloso, che portava un berrettino con il marchio della lavanderia “Lo Smacchiatore”. Lo stesso marchio campeggiava al centro della scatola che reggeva sottobraccio.
«La Signorina Smoak?».
«Sì».
«Una firma qui».
Felicity scarabocchiò il suo nome sulla ricevuta, prese la scatola che lui le stava porgendo e infine gli allungò la mancia. Dopo avergli augurato buona giornata, si chiuse la porta alle spalle e andò a sedersi sul divano, con la scatola in grembo. Rimase a fissarla in silenzio per un po’, il suo campo visivo tremolava leggermente e le orecchie le fischiavano per l’emozione.
Alla fine il vestito rosso era tornato davvero.
Esattamente come Oliver.
Contò fino a tre e finalmente trovò il coraggio di aprire la scatola. L’abito era stato stirato e piegato con cura, il rosso era tornato intenso e acceso come un tempo: in mezzo alla carta velina bianca, spiccava come una macchia di sangue nella neve. Okay, pessimo paragone. A mia discolpa, però, c’è troppo sangue nella mia vita ultimamente.
Prese l’abito per le spalline, lo distese sul divano per esaminarlo più da vicino e ne accarezzò affettuosamente il tessuto, sentendosi euforica nel ritrovarlo morbido e soffice come quando l’aveva toccato per la prima volta, nel piccolo negozietto in cui l’aveva scovato. Era come ricongiungersi con una persona amata.
Entusiasta come una ragazzina, si era alzata dal divano con l’idea di provarlo, quando lo vide. Un alone. Sul retro del corpetto. Che le mozzò il fiato. E poi notò anche il biglietto nella scatola.

Contrariamente alle aspettative non siamo riusciti a riportare l’abito al suo splendore iniziale. La politica della nostra attività non prevedere un rimborso in denaro, ma l’attribuzione di un coupon che le darà diritto a due lavaggi gratis, servizio sartoria inclusa. Può venire a ritirarlo in lavanderia già da domani mattina.
Ci scusiamo per l’inconveniente.

Alla fine il vestito rosso era tornato davvero.
Esattamente come Oliver.
Ed esattamente come con Oliver, il suo ritorno non cambiava un accidente, perché il vestito era ancora irrecuperabile come prima di essere portato in lavanderia, lei era stata un’ingenua a sperare che le cose potessero cambiare e due lavaggi gratis non avrebbero migliorato di certo il suo umore. Non si poteva rimpiazzare un abito così bello con un coupon, o curare il cancro con l’aspirina, o battere un assassino con l’aiuto di un altro assassino.
È ora di darci un taglio.
Più risoluta che mai, Felicity andò in camera, tirò da sotto il letto lo scatolone degli indumenti di cui disfarsi e vi gettò dentro l’abito rosso. Poi si infilò un paio di scarpe da tennis, il capotto, sollevò la scatola dal pavimento e si diresse verso l’ingresso a passo di marcia.
«King, fa’ il bravo, torno subito».
Il gatto, che puntava le lasagne attraverso il vetro del microonde come una potenziale preda, non la degnò di uno sguardo.
Felicity camminò per un centinaio di metri lungo il marciapiede, fin quando non si imbatté nel cassone dell’immondizia. Nell’aprirne il coperchio, venne investita in pieno viso da una zaffata di marcio e putrido che le fece storcere il naso.
È giunto il momento di lasciarlo andare sul serio, basta con i tira e molla.
Nel preciso istante in cui il cartone lasciava le sue dita e lo scatolone spariva dentro al cassone con un tonfo sordo, Felicity si sentì meglio, sollevata. Le tornò in mente il periodo successivo all’arresto di Cooper, quando aveva messo da parte i vestiti neri e le borchie in favore degli occhiali e delle gonne al ginocchio. Si ricordò anche di quella volta che aveva rinnovato il suo guardaroba, in seguito alla “promozione” a segretaria personale di Oliver Queen. Ora come allora si sentiva come dopo un drastico taglio di capelli. Quando vedi le forbici per un attimo vai nel panico, ma una volta che la prima ciocca è stata recisa, non puoi fare altro che metterti comoda e aspettare di vedere il risultato finale.
Ormai è andata, non si torna più indietro.
Felicity si avviò verso casa con la sensazione di essere più leggera. Comprensibile, dato che si era lasciata alle spalle qualcosa di grosso, una zavorra. E se da un lato questo la faceva sentire libera di andare avanti, di fare ed essere tutto ciò che voleva, dall’altro le faceva provare smarrimento. Perché la zavorra in fondo è un’ancora e l’ancora rassicura, sull’ancora puoi fare affidamento, all’ancora ti ci aggrappi nei momenti difficili.
Ma per definizione ti tiene anche ancorata al fondo.
Stava per svoltare l’angolo, quando si accorse della vetrina di una piccola boutique dal nome francese. Felicity si avvicinò per guardare gli abiti esposti e non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. C’era un aspetto positivo nel riordinare il guardaroba e nel disfarsi della roba vecchia…
Si creava tanto spazio per nuovi acquisti.




«Che ti è successo?».
«Questa sono io, ora».

(Episodio 3x05 “The secret origin of Felicity Smoak”)


Il campanello di casa trillò una volta e Felicity non gli diede il tempo di farlo una seconda.
«Ray, ciao, entra. Dammi solo un secondo, okay? Non riesco a trovare la carpetta con gli appunti».
Mentre Ray si chiudeva la porta alle spalle, tornò a mettere a soqquadro l’appartamento. King sorvegliava il tutto con sguardo algido e distaccato da una postazione sopraelevata.
«Non ti preoccupare, Felicity, abbiamo ancora dieci minuti prima che la delegazione russa metta in scena un reboot della guerra fredda. CMQ trovo sconcertante che una donna tanto efficiente sul lavoro possa essere scandalosamente disordinata in casa propria».
Lei sbuffò.
«Così non mi aiuti».
«Ah, era previsto che ti aiutassi?». Ray inclinò la testa di lato. «Carino il vestito, è nuovo?».
Felicity prese fiato dalla frenetica ricerca e si lisciò la gonna, sorridendo imbarazzata.
«Sì, l’ho comprato qualche giorno fa. Davvero ti piace?».
Ray annuì.
«Il blu è proprio il tuo colore».







__________________







Note autore:
Come sempre, comincio col precisare che Wanda e il gatto King non mi appartengono, sono creazioni di nes_sie e potete ritrovarli qui e in altre sue storie.
Seconda cosa che tengo a precisare è che rimango una Olicity convinta, ma credo che il periodo con Ray farà bene sia a Felicity che a Oliver. ;)
Questa shot nasce dopo aver visto l’episodio 3x07 e dalla constatazione che Felicity ha una vera fissazione per i vestiti e accessori annessi. Ha un guardaroba vastissimo! E beata lei, aggiungerei. In ogni caso, avevo scritto la prima parte ma senza riuscire a trovare una conclusione accettabile. L’idea base era di salvare il vestito rosso in qualche modo e quindi indirettamente salvare Oliver agli occhi di Felicity. XD Intanto il tempo passava, gli episodi pure… e mi sono resa conto di due cose: Oliver di settimana in settimana diventa sempre meno salvabile agli occhi di Felicity (non ne combina una giusta, diciamocelo); quando capita qualcosa di importante nella sua vita, Felicity cambia modo di vestire. Dopo Cooper, dopo la “promozione” a segretaria… perché non dopo aver chiuso sentimentalmente con Oliver? Ovviamente è un rinnovo meno drastico dei precedenti, ma fare ordine nel guardaroba è sempre un lavoraccio. Almeno per me è così. Così ho abbandonato l’idea iniziale in favore di… questo.
Non linciatemi!
Ho inserito questa shot in questa raccolta perché… boh? Il “due più due” c’è, ma è più impalpabile che negli altri capitoli.
A presto, vannagio
   
 
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