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Autore: Lost In Donbass    04/03/2015    0 recensioni
California, 1987.
Questa è l'America della perdizione, della musica, delle libertà negate. E' il tempo di un'epoca giunta al limite, dove non c'è più niente da dire. E' l'America delle urla, delle speranze, dei cuori infranti.
Nella periferia di un'insulsa cittadina si muovono otto ragazzi, otto anime perdute e lasciate a loro stesse. Charlie se ne vuole andare ma gli manca il coraggio di voltare le spalle. Jimmie Sue spera, crede in qualcosa che la possa salvare ma a cui non sa dare un nome. Jake è al limite, soffoca tutto nel fumo, dimentica grazie all'alcol, non ne vuole più sapere. Jasper ha finito di sperare, di pregare, di credere; ha dimenticato cosa vuol dire piangere, cosa vuol dire vivere.
Tirano avanti come possono. Sono le creature di una periferia assassina e di una società fraudolenta e fallace. Sono dei bastardi senza gloria e senza onore.
E questa è la loro storia.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO NOVE : TODAY IS THE FIRST DAY OF THE REST OF OUR LIVES
 Si consiglia di ascoltare "Church On Sunday" dei Green Day


Jimmie Sue e Boleslawa stavano camminando speditamente verso la casa dove si sarebbe tenuta la famosa festa.
-Senti, Jimmie, credi che si risolverà tutto come la scorsa volta?
-Beh, Bolly, evitare un pestaggio non sarà di certo semplice con la gente che ritroveremo. Comunque, in qualche modo vedremo almeno noi due di evitarlo.
Jimmie fece una specie di giravolta ridendo, guardando entusiasta la sua nuova gonna di pelle nera. Gliela aveva regalata Ash, per il suo compleanno. Sospirò; chissà come era riuscito il suo amico a ottenere una gonna così bella … ripensò per un attimo ai suoi occhi scuri e al giorno in cui si erano incontrati per la prima volta. Rivisse quel momento in pochi, splendidi secondi.
 
Stava correndo, per la strada bagnata dalla pioggia incessante di uno degli inverni più rigidi che colpirono la California. Teneva gli occhi chiusi a causa del pianto, gli bruciavano come non mai, mentre il sangue secco che le incrostava i capelli emanava quell’insopportabile odore di ferro che Jimmie Sue così bene conosceva. I ricordi erano sfocati nella sua testa di bambina, ancora così innocente, così dannatamente pura come il cristallo. Le girava la testa, era scappata di casa come un cane dopo che aveva visto suo padre che picchiava sua madre. Ma era inciampata nelle scale e evidentemente aveva preso una zuccata. Era corsa via lo stesso, sotto l’acqua crudele che le sferzava il viso, verso i suoi amici che le avrebbero offerto rifugio e conforto, e forse, le avrebbero curato la testa. Correva e non pensava, come era solita fare quando le cose non andavano nel verso giusto. E le cose non andavano mai nel verso giusto. E lei correva, correva sempre più veloce fino a che non cadeva per terra boccheggiante. O fino a che Jasper non se la stringeva contro e le diceva che andava tutto bene, che era tutto un brutto sogno. Allora si calmava, cullata dalla voce del capo, del suo maschio alfa. Come un piccolo lupo, si sentiva. Un lupo che ha bisogno della protezione del branco. Anche se quel giorno non tutto andò come previsto. Sentì qualcosa che la spingeva in terra, qualcosa che non aveva visto ma che l’aveva malauguratamente intercettata. Rotolò sull’asfalto duro, sfregando la testa dolente sulla strada. Alzò lo sguardo terrorizzato verso i due tipi che stavano sopra di lei sghignazzando. Quello era un altro branco, e si sa bene cosa fanno gli altri ai cuccioli degli altri. Si raggomitolò per terra, chiudendosi a guscio, pregando silenziosamente che la lasciassero stare. Era solo un cucciolo innocente. Come in un film terrificante sentì un piede colpirle la schiena bagnata. Pianse, lasciò che le lacrime si mischiassero alla pioggia che incessantemente e gelida le scorreva sui vestiti fradici, insieme a un altro calcio nelle gambe. Quando poi le sue orecchie tappate udirono una voce dire “Ma non vi vergognate?! Lasciate stare questa poverina!” sobbalzò ma non osò alzare lo sguardo nel timore che tutto ciò si rivelasse un illusione infondata. Ma i calci si bloccarono “Che vuoi, moscerino?” “Non pretendo di mostrarmi come un eroe, ma userò le maniere forti se non la mollate immediatamente” “Si, sentiamo, quali sarebbero le maniere forti?” Jimmie Sue osò alzare lo sguardo e intravide tra la cortina di pianto e pioggia una terza figura che fronteggiava i due aguzzini. Poi fu tutto un susseguirsi di immagini senza capo ne coda per la bambina raggomitolata per terra; teneva le mani premute sulle orecchie. Si, era un leone, ma anche i leoni a volte hanno bisogno di protezione. Soprattutto se hanno la criniera bagnata e una spina nella zampa. Poi un mano si tese verso di lei e la tirò su dalla strada. Era un bambino come lei, occhialuto, con i capelli neri appiccicati alla fronte per la pioggia che non la voleva smettere di innaffiare la cittadina. “Ciao! Mi chiamo Ash Cohen, come ti senti?” “J… Jimmie Sue Mellencamp. Perché mi hai salvato?” sentiva la sua stessa voce soffocata e catarrosa. Ed era strano che un perfetto estraneo si preoccupasse per lei, così, di punto in bianco. Forse voleva qualcosa in cambio. Si, sicuro. Ash le mise la propria giacca sulle spalle e le sorrise cordiale “Dove stavi andando?” “Cosa vuoi per questa mano che mi hai dato? Non ho biglie con me, adesso” il piccolo leone tornava pian piano a risorgere in Jimmie “Non voglio niente! Perché dovrei voler qualcosa? Dai, ti accompagno alla tua destinazione” Jimmie scrutò quegli occhi così neri e vi lesse qualcosa di talmente profondo che la fece allibire. Qualcosa che non aveva mai trovato prima negli occhi dei suoi amici. Erano caldi, sicuri. Erano presenti. Il presente era una cosa che non aveva mai trovato negli altri, era una cosa così nuova e speciale per la bambina … Finì che si fece accompagnare fino al covo per scrutare ancora quel bambino coraggioso che, contro ogni regola della città, era venuto in suo soccorso senza volere nulla in cambio.
 
-Ehi, Jimmie Sue, stai bene?- la vocina acuta di Boleslawa la distolse dai suoi turbinosi pensieri.
-Certo! Stavo solo pensando a quando Ash si è aggiunto a noi.
Bolly fece un sorrisino malizioso e le diede una gomitata
-Ma cosa vorresti insinuare?!- ridacchiò oltraggiata l’altra, restituendo la gomitata.
-Nulla, mia cara, assolutamente nulla- la ragazza rise forte, scuotendo la lunga treccia bianca.
-Faremmo meglio ad affrettarci, non vorrei che il Bacardi finisse subito!
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata e affrettarono il passo verso la casa sede della festa. Ma se qualcuno avesse osservato attentamente lo sguardo delle due, vi avrebbe trovato sentimenti che difficilmente si trovano in due adolescenti dirette  a una festa. Una sorta di malinconia, profonda ma allo stesso tempo sottile, addolorata ma convinta aleggiava tra Jimmie Sue e Boleslawa. Sembrava quasi che cercassero di farsi andare bene tutto, che provassero a ignorare qualcosa di interno che lottava per uscire, che si fossero assuefatte a quel monotono ritmo di vita sregolata oramai diventata banale. Una preghiera silenziosa per un cambiamento che tardava ad arrivare e rimorsi per delle scelte sbagliate da cui non sarebbero potute tornare indietro. Quello nascondevano i loro occhi, un paio rossi e una paio azzurri, se qualcuno avesse scavato nel profondo. Ma nessuno si era mai preso la briga di guardare oltre al colore delle iridi.
 
Jeremy, Ash, Frizzy e Jake erano andati in formazione compatta a prendere sotto casa Charlie e in quel momento, mentre si avvicinavano alla rumorosa casa, Frizzy spiegava a Charlie cosa si faceva solitamente alle feste.
-Sai, Charlie, non devi far altro che ballare.
-Ma io non so ballare!
-Nessuno in quella manica di oranghi lo sa fare, ragazzo! Semplicemente, basta che ondeggi come un giunco al ritmo dello stereo- intervenne Jeremy, improvvisando qualche giravolta in mezzo alla strada.
-Ha ragione Jerry, basta che ondeggi. Oppure ti piazzi su un divano o seduto in un angolo, anche se il divano è sconsigliato, e guardi la gente.
-E pensi a rimorchiare qualche pollastrella- interruppe nuovamente Jeremy.
Charlie squittì oltraggiato da tanta impudenza, ma preferì tacere.
-Giusto anche questo. L’importante è bere, o perlomeno far finta, non fissare negli occhi gli ubriachi, non fare domande innocenti.
-Quindi faresti meglio a tacere, senza offesa, - commentò Ash, aggiustandosi gli occhiali e lanciando un’occhiata leggermente preoccupata a Charlie. Non sapeva perché, ma quel ragazzo risvegliava in lui un istinto di protezione assurdo. Forse perché lo vedeva così indifeso, e lui era sempre stato dalla parte degli indifesi essendolo stato lui stesso al momento dello sfregio …
-Ricordati bene di accettare almeno una sigaretta.
-Ma a me da fastidio il fumo!- pigolò Charlie, spalancando gli occhi.
-Allora, Charlie, tu devi fumare minimo una sigaretta se non peggio quindi lo fai, intesi?- disse Jake – O almeno fingi! Ma cerca di sembrare convincente!
Il ragazzo annuì con un leggero terrore. Ma in che guaio si era cacciato?! Sperò che la serata finisse presto.
-Siccome è la tua prima festa, ti teniamo d’occhio noi, ok?- continuò Frizzy, mettendogli una mano sulla spalla.
-Oh, grazie, vi sono debitore, io … - boccheggiò Charlie, quasi stupefatto della gentilezza dimostrata dai Gentiluomini.
-Sei pur sempre un nuovo arrivato, è nostro dovere iniziarti- sogghignò Jake, dandogli un amichevole pugnetto sul braccio.
-Ma che consigli ineccepibili.
La voce divertita di Jasper dietro le loro spalle li fece voltare con un urletto.
-Ma da quanto ci pedini?!- strillò Jeremy.
-Da esattamente 50 metri.
Ash divenne rosso come un peperone bollito, Frizzy si fece una sana risata, Jake scosse la testa con una smorfia incredula accendendosi una sigaretta, Jeremy continuò nel suo sproloquio di scemenze e Charlie rischiò l’infarto secco. Se Jasper li stava seguendo … voleva dire che aveva sentito tutte le sue stupide considerazioni! Desiderò ardentemente che la terra lo inghiottisse e non lo sputasse più fuori.
-Comunque, stasera ci penso io a Charlie.
Il sorriso tranquillo e vagamente diabolico di Jasper destabilizzò nel giro di poco nuovamente i ragazzi.
-Ci pensi tu?! Quindi posso ubriacarmi fino a star male e raccattarmi tutte le bellone che trovo?!- urlò Jeremy allegro. Se avesse dovuto badare a Charlie si sarebbe tenuto per decenza nei confronti del suo nuovo amico ma ora … bocca mia fatti capanna!
-Oh, cioè, perfetto! Ci pensi tu. Bene!- disse Frizzy leggermente stupefatto dall’uscita del capo.
-Allora noi ci dilegueremo per non farci beccare da Charlie in versione tossici persi- rise Ash.
-Io resto, dai. D’altronde sono io che ti ho trascinato dentro, no?- Jake sorrise dolcemente verso un Charlie rosso fuoco dall’imbarazzo e dall’agitazione.
-Bene, miei cari, allora siete dispensati da qualunque responsabilità stasera. Tu starai con me, vero?
Charlie si sentì infiammare il sangue quando Jasper gli mise un braccio attorno alle spalle e se lo strinse contro. Non aveva mai sentito il fuoco lambirgli il cuore, la pelle, le vene, la gola, il cervello. Non si era mai sentito così sovraccarico di fuoco come in quel momento, in cui se fosse stato da solo magari avrebbe anche trovato il coraggio di baciarlo.
-Si … si certo, grazie davvero per … si- cominciò a balbettare rendendosi ancor più ridicolo di quanto già non fosse.
-Ehi, ci sono Jimmie e Bolly dall’altra parte della strada!- urlò Frizzy – Andiamo a raggiungerle?!
Immediatamente i tre corsero via, lasciando Charlie tra le braccia di Jasper e Jake che borbottava qualcosa di sconclusionato.
-Dai, Jacky, vai con gli altri a divertirti.
-No, Jas, su, resto qui con voi.
Jake accese una sigaretta e la mise in bocca a Jasper.
-Vai, davvero. Stai tranquillo.
Jake osservò i due ragazzi. Uno così tremebondo, e l’altro così a suo agio. Una parte di sé avrebbe voluto andare con gli altri a ubriacarsi e a ballare, ma l’altra metà gli diceva che avrebbe fatto meglio a rimanere lì con loro. Non sapeva cosa avrebbe fatto Jasper e, nonostante si fidasse ciecamente di lui, aveva paura che potesse far qualcosa che mettesse nei guai il piccolo Charlie. E quello lui non voleva che accadesse, assolutamente. Lo trovava ingiusto, da un lato, lasciare un pulcino indifeso tra le braccia di colui che si, era per lui un dio in terra, ma che era volubile come una nube e che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa anche senza senso. Jake sospirò : la scelta era più complicata del previsto. Ma alla fine decise di lasciar perdere e di seguire gli altri. D’altronde, se fosse successo qualcosa, sarebbe stato nelle vicinanze in tempo per salvare il salvabile.
-Va bene, allora io vado, eh? Ci vediamo dentro- e corse via.
Charlie emise un gemito quando lo vide andarsene. Non che gli dispiacesse stare con Jasper, anzi. Ma si sentiva terribilmente impacciato con uno così.
-Lo so che non sei per niente a mio agio con me, Charlie, ma potresti provare a stare calmo, cosa ne dici?
Charlie deglutì. Non era possibile che scoprisse così facilmente i sentimenti della gente che lo circondava. Anche se forse lui era come un libro aperto; non sarebbe riuscito a nascondere nulla di quello che succedeva nel suo cuore.
-Ci avviamo?- riuscì ad articolare, alzando lo sguardo verso il capo, cercando di far ragionare il cervello che voleva andare in tilt.
-Con piacere, mio caro.
La vibrazione del “mio caro” di Jasper fece tremare Charlie come un filo d’erba accarezzato dal freddo venticello invernale che preannuncia la neve. C’era una nota così melodica nella voce dell’altro che ti penetrava fino all’angolo più recondito del cuore; una voce talmente gelida che metteva la pelle d’oca, ma allo stesso tempo dolce, come l’ambrosia bevuta dagli dei. Una voce che dava alla testa come una droga. Charlie venne preso sottobraccio e si avviarono verso la casa illuminata in fondo alla via, da cui già si sentiva la musica risuonare per la strada silenziosa.
-Senti, Charlie, vorrei dirti una cosa.
-Si?- si voltò velocemente, improvvisamente curioso, nella luce pallida e malaticcia di un lampione solitario. Si accorse che il mascara colava come grandi lacrime dannatamene affascinanti sulle guance di Jasper.
-Tienimi stretto, ragazzino, tienimi stretto.
Charlie si bloccò allibito. Ma che diavolo … cosa voleva dire “tienimi stretto”?! perché glielo aveva detto. Non parlò, si limitò ad abbassare lo sguardo e percepì lo sguardo di Jasper su di sé, come un coltello che lo trafiggesse da parte a parte. Si sentì esaminato da una sorta di raggi x. Poi la mano delicata e glaciale dell’altro lo riprese sottobraccio e lo trascinò più velocemente lungo la strada improvvisamente deserta. Charlie sentì il proprio cuore aumentare terribilmente i battiti, e di nuovo sentì la voce di Jasper nell’orecchio, come una spina velenosa di una rosa unica nel suo genere.
-Ora probabilmente non capisci ciò che ti dico, ma a suo tempo tienimi stretto finché puoi, incatenami se è necessario. Basta che mi tieni.
-Tenerti? Co … cosa intendi? Spiegati per favore? Cosa vuoi dire?- balbettò Charlie, vinto dalla curiosità tipica di quei piccoli pesciolini senza nessuno che si vanno a infilare in enormi anemoni carnivori attirati dai colori luccicanti in un mare oscuro e avvelenato.
-Lo capirai, Charlie. Lo capirai.
Detto ciò, i due ragazzi si ritrovarono davanti al cancelletto della casa, che vomitava fiotti di luce, stridule risate e musica spacca timpani. Charlie alzò ancora una volta uno sguardo al cielo nerastro per via delle nubi, e poi venne spinto dentro, in quell’inferno di rumori.
  
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