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Autore: FreDrachen    04/03/2015    2 recensioni
SOSPESA
La vita scorreva lenta e noiosa per Nidafjoll,principessa della Terra del Sole. L'unico a capirla é la sua viverna, Ratatoskr con cui aveva stretto un legame eterno.
La vita di corte così assillante per la sua natura indomabile,viene scardinata dall'arrivo di San eroe di una guerra combattuta anni prima di cui la principessa è all'oscuro. L'uomo sembra l'unico disposto a darle spiegazioni alle strane visioni sulla Gilda degli Assassini, annientata cinquant'anni prima.
Gli eventi crolleranno quando Nida verrà a sapere di un'atroce verità su di sé e il suo passato che la trasformeranno dalla principessa indomita che era,in una guerriera pronta a tutto per ottenere vendetta.
Della sua rabbia e del suo rancore approfitteranno gli elfi per riconquistare il Mondo Emerso.
Forze millenarie determineranno le sorti del mondo.
Nida riuscirà a scegliere tra la dannazione e la salvezza del suo mondo?
[crossover Mondo Emerso/Ragazza Drago]
Dal prologo:
Dubhe brandì la spada e la trapassò da parte a parte. I suoi uomini la imitarono.
La Gilda degli Assassini aveva cessato di esistere portandosi con sé questa tremenda previsione. In elfico.
Il nostro tempo tornerà.
Genere: Dark, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dubhe, Nuovo personaggio, Rekla, San
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 8 :Brandelli di verità
Lo andò a cercare subito dopo pranzo. Lo trovò che si allenava con la spada, in una stanza dell’Accademia separata dalle altre, usate di solito per gli addestramenti.
«San»chiamò la ragazza.
San si girò, stupito.«Nida, cosa ci fai qui?».
«I sogni»disse semplicemente.
San rinfoderò la spada, e si sedette su una panca.«Vieni. Siediti, e raccontami».
La ragazza fu novizia di particolari. Mano a mano che andava avanti con il racconto, gli occhi di San s’illuminarono.
Non appena la ragazza terminò,disse:«Credo di sapere di cosa si tratti. Questo sogno che mi hai raccontato, non è un sogno qualsiasi. È una visione».
«Ma che differenza c’è tra un sogno, vero e proprio, e una visione?»lo interruppe Nida.
«La visione è un contatto, mettiamolo in questi termini, che un morto cerca di instaurare con un vivo. Questa ragazza di cui mi hai parlato, è esistita veramente. È stata l’assassina più letale e pericolosa che abbia mai calcato su questa terra. Quello che hai sognato questa notte è stato il suo primo omicidio, il primo di una lunga serie».
«Questa donna, quando è morta?».
San si rabbuiò. Ma durò solo un attimo. Sorrise tristemente e tornò l’uomo di sempre, l’uomo di cui Nida si fidava.«Circa cinquant’anni fa».
«Ma allora perché la sogno? Insomma, lei è morta mezzo secolo fa. Cos’ha a che fare con me?».
«Non lo so. I contatti, che un morto vuole instaurare con un vivo, sono imperscrutabili». Fece una piccola pausa.«Vorrei averne uno io di questo tipo di contatto»aggiunse a mezza voce.
Nida lo guardò interrogativa. San sorrise amaramente.«Con mia moglie. È morta circa quindici anni fa. E forse anche con mia figlia».
Nida rimase a bocca aperta.«Hai una moglie e una figlia? Perché non me l’hai mai detto?».
«Avevo una moglie. È stata uccisa, ma non ho ancora scoperto chi è stato, ma soprattutto perché l’ha fatto. E lo stesso vale anche per mia figlia. Forse.».
«Forse? Che intendi dire con forse?».
«Non ho nessuna prova che sia morta. Mentre di mia moglie, ho ritrovato il cadavere, di mia figlia no. Tuttora, sto vivendo con la speranza che un giorno possa riabbracciarla».
San si guardò intorno.«Non dirai a nessuno di questa confessione. Promesso?».
«Promesso»disse Nida, intenerita.
Continuarono a parlare, del più e del meno.
«Parto»disse San, improvvisamente.
A Nida morì il sorriso, sulle labbra.
«Lo faccio per Amhal. Dice che questo posto gli parla di Mira, e che vuole distrarsi da tutto ciò che gli ricorda il suo maestro. Andremo a Damilar, una zona infetta».
«È pericoloso. Non puoi andartene». Il suo tono tradiva la preoccupazione che aveva.
San pensò istintivamente alla boccetta, che gli era stata consegnata, qualche mese prima, da un suo contatto, in una locanda a Nuova Enawar. Si sentì a disagio.
«È per il bene di Amhal».
La ragazza stette in silenzio, per un periodo che sembrava un’eternità.
«Quanto starete via?»chiese, infine, con un filo di voce.
«Un mese. Poi torneremo a Makrat». Si sentì male all’idea di dirle una bugia, ma non poteva rivelarle la verità. Non poteva però lo stesso, lasciarla così.«Tornerò, te lo prometto»le disse con un sorriso sincero, a cui Nida rispose, incertamente.

Adhara resistette qualche giorno appena.
«Che hai?»le chiese Amina una mattina. Lei si riscosse, come se si fosse appena svegliata, e la guardò senza capire.
«Stai bene? Sono un paio di giorni che sei…assente»disse preoccupata la principessa.
Adhara sentì di non proseguire oltre. «È andato via»disse, e le raccontò tutto. La ragazzina fece del suo meglio per consolarla, ma Adhara sapeva che non c’erano parole capaci di colmare quel vuoto che si sentiva dentro. Era di Amhal che aveva bisogno. Le aveva menzionato la Foresta del Nord. E allora decise.

Quella sera Kalth era in biblioteca. Gli piaceva molto studiare, era un modo per capire il mondo in cui viveva. Stava leggendo “Le Cronache”di Sennar, il suo preferito, quando vide Adhara fare capolino dalla porta. La salutò, con un sorriso amichevole.
Adhara rimase immobile, a tormentarsi le mani.«Come si raggiunge la Foresta del Nord?»gli chiese d’impulso, tutto d’un fiato.
Kalth la guardò dubbioso.«Perché t’interessa?».
«Sai che San è stato distaccato là?».
Il ragazzino annuì.«Sai dove di preciso?».
Kalth era sempre più perplesso.
“Cosa sto facendo?”si chiese Adhara.
«No. Mia sorella Nida sa l’ubicazione. Dovresti chiederlo a lei. Ma Adhara che hai? Perché lo vuoi sapere?».
Lei prese coraggio.«Ci devo andare».
«Non si può uscire dal palazzo. Lo sai».
«Si, ma io ci devo andare comunque». E gli raccontò tutto.
«Giurami che non lo dirai a nessuno»disse, non appena ebbe finito.
«È una follia».
«Lo so. Ma non dirlo lo stesso a nessuno».
«E Amina?».
Adhara ebbe un tremito.«Con lei me la vedo io».
«Non capirà, e sinceramente avrebbe ragione…».
«Non è per sempre. Tornerò»affermò con convinzione.«Dove posso trovare tua sorella?».
«A quest’ora, di solito è in Accademia ad allenarsi, ma da quando è partito San, ho notato che passa molto tempo sulla terrazza che dà sulla città, vicino ai giardini».
«Grazie».
«Non l’abbandonare. Ti prego non abbandonare Amina. Spiegale, e cerca di tornare».
«Lo farò»disse con convinzione, e uscì dalla biblioteca.

 Il freddo la prese alla gola. Makrat si stendeva ai loro piedi. Il nero della sua skyline era punteggiato da una miriade di luci, prodotte dalle fiaccole. A fianco, l’Accademia incombeva lugubre in quella fredda nottata. Nida era appoggiata al parapetto, avvolta in un mantello nero, che la faceva sembrare un’ombra tra le ombre. Le si avvicinò piano, titubante, il vento gelido, che le scompigliava i capelli.
«Tutto bene?». Nida l’aveva intravista, mentre guardava il profilo della città. Si limitò ad annuire.
«Sai dove hanno distaccato Amhal e San?»le chiese a bruciapelo.
«In un accampamento alle pendici dei Monti di Rondal, si chiama Damilar».
«Come posso arrivarci?».
Nida la guardò senza capire.«Son quattro giorni di cammino, fermandosi solo la notte»iniziò. E continuò a darle tutte le informazioni necessarie.«Perché lo vuoi sapere?»aggiunse.
«Ci devo andare».
«Non si può uscire, lo sai. Vige il coprifuoco».
«Ma io ci devo andare». E le raccontò tutto, come aveva fatto con Kalth.
«Ti capisco»disse Nida, non appena Adhara smise di parlare.
Adhara la guardò, stupita.«Mancano anche a me. Soprattutto San. Da quando è partito, non so più a chi confidare i sogni che faccio».
«Quali sogni?».
«Quelli sulla Gilda» rispose stancamente. Notando la sua aria smarrita, aggiunse:«Era una setta sanguinaria, che praticava il culto di Thenaar».
«Ne vuoi parlare?».
Nida la guardò. Di San si era fidata istintivamente. Con lei, invece, era titubante. Aveva un che d’inquietante.
«Non capiresti. È legato al sogno che ho fatto qualche giorno fa».
«Ci proverò».
Iniziò a raccontare.
                                                                               ***
Non c’era stata tregua per Rekla, dopo essere diventata Guardia dei Veleni. Dato che la maggior parte degli omicidi avevano bisogno dei veleni, non c’era giorno in cui non ci fosse qualcuno a chiederglieli. Fu così che quando venne convocata da Yeshol nel suo studio, lo prese per un miracolo. Meglio, molto meglio la missione. Si fermò sull’uscio, sorpresa. Non poteva crederci. Era passato un anno dall’ultima volta che l’aveva visto.
«Dohor». Gli si avvicinò.«Ma cosa ci fai qui?».
Il giovane re rise di cuore.«Che accoglienza ». si fece serio.«Sono venuto qui per affidarti una missione ».
Rekla alzò gli occhi al cielo.«Ma non riesci a combinare niente senza di me».
Dohor le sorrise.«Sembra proprio di si».
« Chi dovrò uccidere questa volta?».
«Non sarà facile. Dovrai assassinare Ido».
Ido. Il traditore. Se lo ricordava bene. Il fratello di Dola. Le sarebbe piaciuto conoscere Dola, ma era morto pochi mesi prima del suo arrivo alla Rocca. Di Ido sapeva ciò che le avevano detto suo nonno e Yeshol. Sapeva anche che era stato il maestro d’armi di Nihal, la vera responsabile della morte di suo nonno. Sentì la rabbia montare, senza che potesse fare nulla.
“L’ho giurato a me stessa un anno fa. Ora che mi si presenta un occasione del genere, non me la lascerò sfuggire” pensò.
«Quando si parte?».
«Ansiosa di uccidere, una vera assassina. Ci vediamo domani nello stesso luogo dell’altra volta».

Si presentò in anticipo nei giardini reali. Si era portata tutte le sue armi, coltelli da lancio, da una parte con la punta avvelenata, dall’altra no,la cerbottana con il sacchettino con gli aghetti avvelenati. E poi ancora il laccio strangolatore, un pugnale e la spada. La sua spada. Aveva una lama tagliente come un rasoio, scura nella parte inferiore e dorata sulla superiore che mostrava riflessi iridescenti. L’elsa aveva una semplice forma cilindrica ramata, rastremata verso il basso, e terminava con una protuberanza che ricordava una foglia. “La mia spada” pensò Nida, che, come sempre, assisteva come uno spettatore ai fatti. Lì regnava una grande varietà di fiori. C’era anche il suo fiore preferito:la rosa blu.
«Ti piacciono?». Dohor apparve improvvisamente, beccando Rekla che accarezzava assolta i petali vellutati delle rose. Rekla ritrasse istintivamente la mano.«Si»rispose, con un leggero rossore che si faceva strada sulle sue guancie. Cambiò improvvisamente argomento.«Allora, partiamo?».
Dohor si permise una risata.«D’accordo, d’accordo».

Arrivarono nell’accampamento nei pressi di Lar, nella Terra del Fuoco, dopo cinque giorni di viaggio. Durante il viaggio, discussero.
«La situazione è tragica»iniziò Dohor.«Dopo la morte di Aires, Ido dopo che l’ho scacciato dall’Ordine dell’Accademia, è riuscito a creare un esercito. E ora sono mesi che ci attacca senza sosta, e, inoltre, è appoggiato dalla popolazione locale. Non so più che fare».
Rekla scosse la testa, divertita.
Il re la guardò dubbioso.«Che c’è?».
«Niente. Mi diverte il fatto che finisci sempre nei guai».
«Ma ci sei tu a toglier mici». Dohor le sorrise con affetto. Ora iniziava a guardarla con occhi diversi, e tutte le volte che le era accanto, sentiva le farfalle nello stomaco. Le era mancata in quell’anno che non l’aveva vista.
«Ti accompagno nella tenda che ti ho fatto preparare». Era abbastanza ampia, con un letto, a vederlo comodo, e un tavolo al lato opposto.
«Posa pure la tua roba. Poi, se vuoi, puoi fare un giro per l’accampamento, così, per ambientarti».
«Va bene».
Dohor arrossì, senza motivo.«Va bene…ora vado a …ecco…a pensare alla strategia per le battaglie»balbettò, e se ne andò.
Rekla fece un piccolo giretto per l’accampamento. Si fermò incuriosita a vedere i soldati, che per un po’sarebbero stati i suoi compagni, rilassarsi, o almeno tentavano. Rekla leggeva chiaramente la tensione nei loro occhi. Poi tornò nella sua tenda, e si dedicò alla pulizia della sua spada. Gliel’aveva fatta forgiare suo nonno, per il suo tredicesimo compleanno, e da allora, le aveva dedicato una cura maniacale. Continuò finché, stanca morta, si buttò a letto, vestita, e si addormentò all’istante.


Si svegliò di soprassalto. Sentì il ruggito di un drago, seguito poi da urla di gente terrorizzata. Brandì prontamente la spada e scostò la tenda. Ciò che vide la raggelò nel profondo. Metà dell’accampamento era in fiamme, persone che correvano da una parte all’altra, chi per combattere, e chi era stato colto dal panico che cercava una via di fuga. E poi Lui, seduto sul suo drago rosso. L’avrebbe riconosciuto ovunque. Ido. Il traditore. Rekla sentì montare la rabbia. 
“No, non ancora. Presto avrò tutto il sangue che voglio”.
Si gettò rapida sui nemici, la spada in mano, il pugnale nell’altra. Neppure si fermò a guardarli. Sapeva dove doveva andare. Tra i corpi abbattuti, pioggia e fango, corse fino alla tenda di Dohor. Non c’era. Rekla s’illuminò. Dagon, il drago di Dohor. Poteva usarlo per combattere contro Ido. Lo raggiunse che scalpitava, ansioso di combattere. Era un drago di terrificante bellezza. Era nero come la notte, con ali possenti, e occhi rossi come tizzoni di brace. Il drago la riconobbe subito, e si abbassò, per permetterle di salire sulla sua groppa.
S’alzarono in volo. Era sopra di lei, illuminato dai lampi di quella notte tempestosa.
Fece rallentare Dagon e invertì la direzione. Ora il nemico era dritto davanti a lei. Si guardarono per un breve momento. Era nella solita tenuta da guerra:una corazza di cuoio, la sua spada con grattato via il giuramento al Tiranno, un semplice mantello con il cappuccio mezzo calato sul volto, ma non abbastanza da coprire il candore spettrale della cicatrice che gli attraversava una buona metà della parte sinistra del volto. A Rekla sembrò che Ido ridesse. Un grido furibondo le salì alla gola. Si avventò su di lui ma Vesa, il drago di Ido le vomitò addosso una vampata rosso sangue. Dagon schivò la fiamma con una brusca virata e Rekla partì all’attacco. Ancora una volta il guerriero eluse il fendente. I suoi colpi andavano a vuoto uno dopo l’altro, mentre quelli vibrati dal suo avversario erano vigorosi e rischiavano di disarcionarla ogni volta. Quell’uomo era dotato di una forza tale che Rekla dovette afferrare la spada a due mani per poterla contrastare. Rekla iniziava a essere stanca ed era sempre più furiosa. Perché non riusciva a colpirlo? Lo gnomo non si scomponeva, ribatteva a ogni fendente con una mano sola. Rekla sguainò il pugnale  a sorpresa mosse il braccio in un affondo. Ido lo schivò arretrando di poco. 
«Fai sul serio»le disse Ido, minaccioso.
«Anche a costo di morire».lo colpì a un fianco, e, quando vide il sangue del suo nemico uscire copiosamente, si permise una risatina di scherno.«Non ci avresti mai creduto se qualcuno ti avesse detto che saresti morto per mano della nipote di Aster». 
Ido la guardò, stupito.«Non è possibile»mormorò.
 «Si Ido,è possibile. Rekla della Terra del Mare. Ricordati il mio nome, perché sarò io a ridurti a brandelli». Lo colpì.  Quando la sua lama riuscì a scalfire la corazza, Rekla urlò di gioia, ma il grido le morì sulle labbra quando sentì un dolore lancinante al fianco. Non si accorse neppure di cadere all’indietro e scivolò nel buio più assoluto.

Non riusciva a muovere nessun muscolo. Non capiva dov’era né cosa stesse accadendo. Sentiva indistintamente una specie di litania. Un senso di calore al fianco. Poi vide solo luce. Nient’altro.

 «Come sarebbe a dire che è tutto inutile?». 
Il mago si sfregava nervosamente le mani. Aveva paura. “E fa bene”pensò Dohor.
«Mio signore, ha una ferita molto profonda. Anche usando gli incantesimi di guarigione più potenti, c’è poca possibilità che si riprenda». 
Dohor prese per il bavero il mago .«Allora tenta l’impossibile. Se lei non si salverà, la seguirai nell’oltretomba». Assaporò l’effetto delle sue parole.
 Il mago deglutì.«Farò tutto ciò che è di mio potere». Dohor lo lasciò andare, e il mago, con un inchino, si congedò. Dohor si sfregò la faccia. In mente un unico pensiero. “Ti prego salvati”.

Era l’alba quando Rekla si risvegliò. Una luce fioca filtrava dalla finestra vicino al suo giaciglio. Non riusciva a ricordare quasi nulla. Cercò di voltare la testa. Vide qualcuno seduto al suo fianco. Si sforzò di guardare meglio per distinguerne il volto, perché aveva la vista annebbiata. Infine lo riconobbe.
«Rekla, sei sveglia».
Dohor era pallido,e aveva due profonde occhiaie. Avrebbe voluto fargli delle domande, ma dalla gola non le usciva nessun suono.
«Shhh. Sei nella mia tenda, non c’è nulla da temere. Cerca di riposare, parleremo quando starai meglio». Allora Rekla chiuse gli occhi, e scivolò in un sonno senza sogni che durò tutto il giorno e la notte. Quando la mattina dopo aprì gli occhi, il sole era già alto. Rekla ne guardò la luce, e le sembrò stranamente pallida. Poi capì. Nell’aria c’era l’odore acre, e il cielo era completamente offuscato da nubi di fumo denso, dovuto all’incendio provocato da Vesa. Dohor era ancora accanto a lei.
«Come va?».
«Non lo so»rispose Rekla, e si meravigliò di quanto fosse flebile la sua voce.
«La ferita era molto grave. Avevi un fianco squarciato. È un miracolo che tu sia ancora viva». Le raccontò tutto. Rekla rimase ad ascoltare in silenzio.
Quando Dohor ebbe finito, chiese:«Quanto tempo sono rimasta incosciente?».
«Tre giorni Rekla. Tre giorni senza dare segni di ripresa». Dohor fece una pausa, e la guardò negli occhi.«Ho avuto davvero paura che tu morissi. E poi, Yeshol non me l’avrebbe mai perdonato. Ma la cosa importante è che tu sia viva».
Rekla trascorse i quattro giorni seguenti in compagnia delle cure amorevoli di Dohor. In tutta la sua vita non era mai stata così coccolata. Trovava dolce il modo in cui Dohor le faceva compagnia. Una volta le aveva portato una rosa blu, e si era sentita sciogliere il cuore.
«Tra qualche giorno potrai tornare alla Casa»le disse una sera Dohor.
«Perché? Non mi vuoi qui?».
 Dohor fu tentato di dirle si, ma gettandole un’occhiata, vedendola ferita per mano di quel bastardo, si trattenne.«Non voglio che tu rischi di morire per mano di Ido».
 «Eravamo molto vicini quando mi ha colpito. Ha avuto tutto il temo di prendere la mira, non poteva sbagliare il colpo»disse la ragazza.«Sai cosa significa?»insistette, ma lui si ostinò a tacere. «Dohor, rispondimi: mi ha risparmiata?».
«Non ha importanza».
«Per me ne ha, invece. Ha ferito Dagon e si è fatto beffe di me, così come ha fatto con mio nonno». Rekla alzò la voce.«Mi ha lasciata in vita per questo. Per dirmi che per lui non significo niente, che non sono neppure un pericolo!». 
Una fitta al fianco la costrinse a tacere.
«Si, ti ha risparmiata!»sbottò Dohor.«E allora? Ringrazia il cielo di essere ancora viva».
«Ma…». Per Dohor la discussione terminava lì. Lasciò la tenda. Andò in quella che era diventata sua dopo che la precedente l’aveva lasciata a Rekla. Si gettò sulla branda, fissò il soffitto. Era giusto mandarla indietro?

La ferita le faceva ancora male, ma constatò di poter sostenere un breve viaggio a dorso di un drago. Sgattaiolò dalla tenda a notte fonda, avvolta nel mantello, con tutte le armi lucidate e pronte all’uso. Andò da Dagon, che a quell’ora dormiva. Al solo contatto il drago si svegliò.
«Te la senti di venire con me in missione?». Il drago abbassò la testa, per farla salire.«Come farei senza di te»disse Rekla, con un sorriso.
Si alzarono in volo, e si diressero a settentrione, verso l’accampamento nemico. Rekla fece atterrare Dagon in un boschetto poco distante.«Resta qui. Torno subito»disse, e s’innoltrò nella vegetazione.
Si fermò in prossimità del bosco. Nell’accampamento c’erano delle luci accese, e riecheggiavano urla e risa sguaiate. Rekla attese che tutte le luci si spegnessero, e che nell’accampamento regnasse il silenzio. Poi agì. Mormorò:« Geh schlafen!»ad ogni tenda che incontrava e, sperò, che l’incantesimo durasse per tutta la durata della sua missione.
Uno scricchiolio attirò la sua attenzione. Si volse verso l’origine del rumore, e rimase di sasso. Davanti a lei c’era Ido con la spada in pugno, il cappuccio mezzo calato sul volto. Si riconobbero a vicenda. Rekla vide balenare nell’occhio sano odio puro. Rekla ricambiò l’occhiataccia.«Sono qui per te Ido»disse, mentre la rabbia le esplodeva in petto.«Sono venuta a prendere la tua testa»aggiunse minacciosa.
Il guerriero restò fermo per un istante.«Sei resistente ragazzina. E stupida»ribatté, con voce sprezzante.
«Questo lo vedremo,bastard»mormorò Rekla. Sguainò la spada, e quel semplice gesto scacciò il desiderio di morte. L’esultanza del suo cuore, il desiderio di vendetta, tutto. In lei rimase solo la gelida e spietata determinazione dell’assassino. Ido roteò in aria per un istante la spada. Rekla pensò che stesse saggiando la presa, e, invece, all’improvviso, si vide arrivare dall’alto un fendente. Lo schivò, ma perse l’equilibrio e cadde.«Bé, tutto qui?»la schernì lo gnomo, e tornò alla carica. Rekla si rimise in piedi con un salto, e iniziò a combattere con foga. Ido non si scompose. Il suo modo di battersi era stupefacente: stava quasi fermo, e schivava raramente con lievi spostamenti laterali, muovendo solo la mano che stringeva l’elsa. La sua arte era tutta lì: tirava con precisione, giocando con la lama avversaria, stuzzicandola, colpendola. Poi al momento giusto partiva l’affondo inaspettato. Rekla provò con un affondo a sorpresa. Per quanto frettolosa, la parata dello gnomo fu efficace, ma la ragazza non si scompose. Sguainò il pugnale, e colpì di taglio il fianco di quel maledetto gnomo con tutta la forza che aveva. La lama riuscì a penetrare la dura corazza, e infine raggiunse la carne. Ido reagì con un fendente laterale, ma Rekla fu agile a sottrarsi. Guadagnò la distanza di sicurezza.
«È avvelenata»sogghignò la ragazza, feroce.
«Davvero?»replicò lui con sarcasmo, pensando si trattasse di uno scherzo.
Rekla abbassò la guardia, e questo le costò caro. Ido preparò un affondo a cui lei si scansò per un pelo. Ma fu subito pronta a contrattaccare. Si lanciò contro di lui, ma i suoi colpi erano meno precisi, aveva la vista annebbiata e il dolore le toglieva il fiato. Duellarono ancora al lungo, mentre il suono stridulo delle lame che s’incrociavano, riecheggiava nel silenzio dell’alba. Anche Ido sembrava accusare la stanchezza. Prese ad arretrare. Sbagliò una parata, poi un’altra ancora. 
“Colpiscilo ora! Colpiscilo!”. 
Lo gnomo non ebbe il tempo di vedere il fendente in arrivo. La lama lo centrò al ventre. Fu allora che Rekla sentì un “No” colmo di disperazione. A urlare era stato un ragazzino sui diciassette anni, che le si avventò contro armato di spada. Era bravo a sgattaiolare fuori dalla portata dei suoi affondi, ma non abbastanza. Rekla finse un affondo all’alto. Come aveva previsto il ragazzino si preparò a contrattaccare, ma all’ultimo momento fu veloce a deviare il colpo, e lo colpì alla gola. Il ragazzo cadde a terra, senza un lamento. Trovò ancora Ido disteso a terra, in una pozza di sangue, che la fissava con occhio di fuoco. Rekla alzò la spada e la conficcò nella spalla dello gnomo, inchiodandolo al suolo. Il suo grido le sembrò un canto melodioso. Solo allora si tolse il cappuccio. Ido accennò un sorriso beffardo.«Dunque avevo visto bene. Ci rincontriamo». Rekla fu accecata dalla rabbia.«È finita. Guardami bene in faccia, perché sarò io a toglierti la vita». Gli svelse la spada dalla spalla, e gliela puntò alla gola. Ce l’aveva fatta. Stava per vendicare suo nonno. Ma…
 «Ferma dove sei»l’intimò una voce.
Rekla si girò di scatto, stupita. A parlare era stato Mevern, uno dei Cavalieri Drago dell’accampamento, che la teneva di mira con la spada. Piano, piano si avvicinarono altri soldati armati chi di spada, chi di lancia, che si chiusero a cerchio intorno a lei. Rekla provò a sguainare un coltello da lancio, ma il comandante capì le sue intenzioni.
«Se ci provi t’ammazzo subito».
Rekla sentì montare il panico. Era già giunta la fine? Gli dei erano dalla sua parte perché, all’improvviso sbuccarono gli uomini di Dohor, che si lanciarono sui nemici. C’era anche il giovane re, che non degnò di uno sguardo i corpi dei soldati. Volò verso la ragazza, e la strinse forte al petto.
«È tutto a posto, è tutto a posto. È finita». Rekla si sciolse a quell’abbraccio.
Solo allora Vesa piombò giù dal cielo, artigliò i nemici mentre il suo padrone gli saliva in groppa. Rekla lo guardò allontanarsi. Si sarebbero rivisti, e per quell’occasione l’avrebbe finalmente ucciso. 

L’accampamento venne conquistato rapidamente, e senza troppe perdite. Rekla, però, non riuscì a evitare una solenne lavata di capo.
«Avete ragione, ho sbagliato. Però ora abbiamo inferto un duro colpo a Ido, se non sbaglio». “Che se l’è svignata” aggiunse mentalmente. Quella bravata valse a Rekla un salto in avanti nella stima di Dohor che, poco a poco, iniziò a considerarla un elemento indispensabile per la buona riuscita delle missioni. Con Ido sconfitto, nel giro di pochi mesi, la Terra del Fuoco cadde sotto il dominio totale di Dohor. Il successo fu festeggiato con esultanza a Makrat. Rekla decise di indossare il suo vestito rosso, usato durante la sua prima missione. Si sentiva spaesata tra tutti quei nobili boriosi e pieni di arie. Il suo posto non era lì, ma nella Casa, dove tutti venivano trattati alla pari. 
Rekla prese in disparte Dohor.«Ti devo parlare». Il re la condusse nei giardini reali. Si fermarono in prossimità del parapetto. Da lì si aveva una visione mozzafiato.
«Cosa dovevi dirmi?».
Rekla l’abbracciò.«Ti devo ringraziare, per avermi salvato la vita».
Dohor la strinse a sé. La mano di lui risalì lentamente lungo il profilo della sua schiena, e si fermò all’altezza del collo. Poi si staccò, le prese il volto fra le mani, piano, come se fosse una cosa delicata, e avvicinò le labbra alle sue. Il tempo rallentò fin quasi a fermarsi. Non ci fu spazio per pensare, ma solo per sentire:la morbidezza delle sue labbra, il ritmo appena affannato del suo respiro. E quel calore in fondo al petto e nella pancia, terribile e meraviglioso, come cadere in un abisso al rallentatore. Ogni cosa scomparve all’orrizzonte della sensazione dolce che gli inondava il cuore, e ogni cosa perse consistenza. Si staccò appena.«Ti amo»le mormorò. Poi le loro labbra si toccarono di nuovo, e Rekla si godette ogni secondo, con la mente pacificata. Si abbandonò a quella sensazione tenera e avvolgente, desiderando che non finisse mai. Poi, però, tornò in sé, e si staccò con violenza.
«Non possiamo»disse semplicemente.
Dohor la guardò senza capire.«Perché?».
«Tra noi due non può nascere nulla, e questo tu lo sai». Gli indicò le finestre della Camera Reale. «Là c’è la tua vita, tua moglie…».
«Non sono d’accordo»la interruppe Dohor. C’era una tale decisione nelle sue parole, che per un attimo Rekla si lasciò andare alla tenerezza di quel pensiero. Ma fu un istante solo.
«È stata una pazzia»sibilò infine.
Dohor le prese il mento fra le dita, e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Perché?»le richiese.
Rekla non gli rispose, corse via. Via dai dolci baci e abbracci di Dohor. Ma soprattutto via dalla serenità che al lungo aveva cercato.

Rimase confinata nel suo laboratorio per una settimana dopo il bacio. L’unico tragitto che faceva era quello verso la mensa, dove teneva la testa china sul piatto. Rekla non lo voleva vedere e, sapeva, che sarebbe venuto a cercarla. E lei non aveva voglia di vederlo. Al sesto giorno del suo isolamento, qualcuno bussò alla porta. Era Yeshol.
«Posso entrare?».
Rekla non rispose, e si limitò ad aprirgli la porta, che aveva chiuso a chiave.
L’uomo le posò una mano sulla spalla.«Io lo so che ti succede»disse a bruciapelo.
Rekla si sciolse dalla presa, e si voltò verso la parete.
«Ti manca?».
La ragazza si limitò ad annuire.«Da quando non lo vedo, è come se si fosse aperta una voragine, qui, nel cuore». Si portò una mano al petto, dove il suo cuore non ne voleva sapere di calmarsi. «Quando ero con lui mi sentivo protetta. I miei dubbi, le mie incertezze erano sparite all’orizzonte. Non mi ero mai sentita così pacificata».
«Sai Rekla, anche lui prova sentimenti simili, e, ora, senza di te sta soffrendo molto». Si avviò verso la porta.«Fossi in te, andrei da lui»disse prima di chiudersi dietro l’uscio. Rekla rimase seduta sul letto ancora un istante. Poi decise.

Lo trovò seduto su una panchina, nei giardini reali, intento a strappare petali a una margherita. Rekla si avvicinò silenziosamente, facendo attenzione a non provocare il minimo rumore. Le piaceva contemplare la persona che, solo ora, aveva capito di amare. Dovette mettergli una mano sulla spalla perché si accorgesse della sua presenza. Il ragazzo ebbe un lieve sussulto. Si volse verso di lei, e si aprì in un sorriso dolce.
«Devo parlarti». Dohor le fece segno di sedersi.
Rekla sentì il suo cuore battere a mille. Si avvicinò a Dohor, e lo baciò. Come la prima volta il tempo parve fermarsi. Poi si staccò, e lo strinse forte.«Non lasciarmi mai. Io senza di te non esisto». Dohor la strinse tra le braccia.«Non accadrà, mio piccolo Demone Nero». Rekla lo guardò senza capire.«Sarà il tuo appellativo con cui i nemici ti conosceranno».«» «» «» «» «»
                                                                             ***
 «E poi mi sono svegliata». Nida terminò il suo racconto. Adhara rimase pensosa, non sapeva come consolarla. 
«Non so come spiegartelo, ma sembra che questi sogni abbiano un significato. Però non riesco a capire. E comunque, tornando al discorso di prima, è una follia! Il mondo là fuori è piombato nel caos, è sull’orlo dell’abisso. Rischi di non tornare più. È questo quello che vuoi?».
«Tornerò. te lo prometto».
Nida le lanciò un′occhiata indecifrabile.«Voglio crederti».
La mattina dopo, Nida and; da sua sorella. Sapeva che Adhara aveva lasciato il palazzo quella notte, e, sicuramente, Amina se n′era gi' accorta. la trovò seduta sulla sponda del suo letto, con le lacrime che scendevano copiose sulla pergamena, che Adhara le aveva lasciato, spiegandole le ragioni della sua fuga. Amina si voltò verso di lei. Si alzò, e le corse incontro, affondando il viso nel suo petto. Nida la strinse a sé, accarezzandole i capelli, e cercando di consolarla.
«Andrà tutto bene. Ci sono io, e ti prometto che non  ti lascerò sola».
Amina tirò su con il naso.«Davvero? Me lo prometti?».
 Nida annuì. rimasero abbracciate finché non arrivò una serva visibilmente sconvolta.«Vostre Maestà è successa una cosa terribile. Il re sta male».

Al terzo giorno fu chiaro. Era il morbo. Learco rantolava nel letto, non per un malanno passeggero o un attacco di febbre rossa. Il suo corpo piano, piano, si coprì di macchie nere. E, intanto tre servi diedero segni di malattia. Fu il caos. Un'intera ala del palazzo venne chiusa, e gli appartamenti reali spostati in un'area isolata. La Regina Dubhe si murò dentro con il marito.
Nida, nella penombra della sua stanza ascoltava le ultime notizie.
«Sua Maestà ha perso conoscenza stamattina. Da allora sembra non essersi più ripreso. Il Supremo Officiante sta spendendo tutta se stessa, ma le cure non sembrano sortire alcun effetto».
"Se solo mi ricordassi della cura". Eh, si. Il giorno dopo che aveva preparato l'antidoto non ricordava più gli ingredienti che aveva usato. Un mistero. Un vero mistero.
«Mia nonna?»chiese, con tono preoccupato.
«Per ora sta bene».
Nida trattenne le lacrime.«Puoi andare»disse, con un filo di voce.
Pensò a suo nonno, e a tutto ciò che avevano fatto insieme. Ricordò quando era caduta dall'altalena all'età di cinque anni, e lui l'aveva presa in braccio per consolarla. Oppure quando non riusciva a dormire perché aveva paura del buio, e lui le raccontava delle storielle buffe per farla addormentare. C'era stato, e l'aveva sostenuta, anche quando voleva entrare in Accademia. Ma soprattutto quando aveva scoperto di avere dalla sua la magia.

Aveva dodici anni. Era stato all'ennesima provocazione del Maestro Oromis.«Principessa Nidafjoll».
Nida era scattata in piedi. Davanti a lei, il maestro la guardava rosso di rabbia. Si era persa per l'ennesima volta, a contemplare fuori dalla finestra l'orrizzonte, fantasticando e sognando di volare via.
 «La smettete di distrarvi? Dovete starmi a sentire se vorrete diventare regina».
Oromis batté sul tavolo la mano aperta, facendo sobbalzare il libro. Nida lo guardò, infastidita.
«Avanti. Ripetetemi quanto stavo dicendo».
Nida gli rivolse uno sguardo di sfida.«Non lo so».
«E ve ne vantate?».
«L'avete detto anche voi che ero distratta, perché mi chiedete cose che non posso dirvi?».
Le labbra di Oromis si fecero sottili, gli occhi grandi di rabbia.
«Una futura regina deve avere dietro di sé anni di studi. Deve avere una mente acuta e aperta. Non sarà facile per te…».
Non poté sopportare altro.«Basta!»urlò Nida picchiando con un pugno il tavolo, che prese fuoco. Inorridita, gettò uno sguardo fugace alla sua mano. La trovò infuocata. Ma il fuoco non la bruciava, anzi, lasciava un piacevole torpore. Oromis la guardava impietrito, in preda al panico. Solo dopo un minuto buono si decise a dare l'allarme. Del tavolo non era rimasto altro che ceneri, e le fiamme avevano minacciato la libreria, che sarebbe andata perduta se non fosse intervenuta il Supremo Officiante, in visita a palazzo.
«Ausschalten»aveva mormorato, e le fiame si spensero.
Poi si era rivolta all'uomo, appoggiato alla parete, bianco come un cencio.«Cos'è successo?».
«Ha dato fuoco a tutto! Per poco non mi ammazzava. è un pericolo, un mostro!»sbraitò.
"Un mostro". Queste parole riecheggiarono nella mente di Nida, ancora scioccata. Guardò Oromis. La guardava con un misto di terrore, sospetto e odio.
Si guardò le mani, inorridita.
«Nida…»provò a dire la sacerdotessa. Non poté tollerare altro. Uscì velocemente dalla stanza, e corse fino alla scuderia dei draghi, da Ratatoskr. Gli salì in groppa, come faceva sempre quando era giù di morale o arrabbiata. La viverna, per tutelare l'isolamento del suo cavaliere proibì a chiunque, con ruggiti assordanti e piccole fiammate, di avvicinarsi finché non si fu calmata.
Il primo e unico che ebbe il coraggio di avvicinarsi fu Learco.
«Tutto bene?».
Nida lo guardò.«Io non volevo. Maestro Oromis mi ha fatto arrabbiare, ed è successo tutto all'improvviso».
«Non devi avere paura. La magia è bene. Può essere usata per far del bene agli altri».
«Sul serio?»Chiese la ragazzina, asciugandosi una lacrima col dorso della mano.
Learco annuì. Insieme andarono da Dubhe, per far in modo che approvasse un addestramento alla magia. Ma la regina fu irremovibile .
«No, no, e poi no. La magia è male, è distruzione».
«Non tutti i maghi sono malvagi. Pensa a Sennar».
«Ah si? Visto che siamo in vena di esempi, che mi dici del Tiranno?». 
La discussione era andata avanti per ore, finché Learco non cedette. Nida, fuori dalla porta, aveva sentito tutto. Forse Maestro Oromis aveva ragione. Era un mostro.
Ci fu un altro incidente. Stavolta ad andare a fuoco fu una delle pesanti tende rosse nella sala del trono. C'erano voluti molti servi, armati di secchi con acqua per domare l'incendio.
Fu allora che Nida decise.
Si era diretta al tempio di Thenaar, sede del Supremo Officiante. Theana l'aveva accolta con affetto. Sentiva in lei una strana aurea, così simile al suo dio, oppure non era altro che la simpatia che le suscitava, essendo la nipote di Dubhe.
«Dimmi Nida, a cosa devo la tua visita?».
Nida le raccontò tutto nei minimi particolari.
«Vorrei che mi insegnaste a controllare questi poteri»terminò.
Theana si accarezzò il mento, con fare pensoso.«Dubhe non sarà d'accordo. Ma se non faccio qualcosa, non so cosa potrebbe rimanere del palazzo. per cui…»lasciò la frase in sospeso. L'anziana maga scrutò il viso impaziente della ragazza.«…ti insegnerò la magia. non preoccuparti per tua nonna, so come prenderla». Nida si aprì in un sorriso così grande, che mancava poco che uscisse. «Si inizia da domani. Un giorno si, uno no».
«Ci sarò». 

I suoi pensieri furono interrotti da una serva. S'inchinò.«Il principe , vostro padre, ha dato ordine di prepararvi per Nuova Enawar».
«Ma…i miei nonni? Loro che fine faranno? Non possiamo lasciarli qui!».
La serva la guardò ancorata.«Mi spiace mia Signora». Se ne andò, chiudendo la porta.
Nida rimase al centro della stanza, piangendo tutte le sue lacrime. Non avrebbe rivisto più suo nonno. Fu tentata di andare nella sua stanza, ma si trattenne. Non poteva. Lei doveva rimanere sana. Per Amina. Preparò il suo bagaglio. Poi aprì l'armadio, dove aveva nascosto il Libro Nero. L'aveva letto tutto. L'aveva sconvolta una previsione, che Yeshol aveva scoperto. "L'ultimo scontro è imminente. Una Sheireen una discendente nera, condannerà o salverà il mondo". Lo lasciò lì, ben nascosto da occhi indiscreti.
L'ultimo pensiero andò a Gedd. Se ne era già andato.
«Ora sto meglio, posso tornare dalla mia gente»le aveva detto.
Nida abbassò lo sguardo.«Quindi è un addio?». Non avrebbe potuto reggerlo. Si era abituata alla sua presenza, non voleva che partisse.
Gedd, notando il rammarico nella sua voce, non se la sentì di lasciarla.«Non è un addio. Sono sicuro che ci rivedremo».
«Lo prometti?».
«Si lo prometto».
Si chiuse dietro di sé una vita, che le sembrava lontana anni luce.
   
 
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