Un
altro giorno stava
trascorrendo tranquillo - si fa per dire almeno - sulla grande Approdo
del Re.
La città, avvolta dalla sua stessa puzza, dal vociare dei
mercanti, dai versi
degli animali, dai ruggiti dei pokemon, dal cozzare delle lame, dal
tintinnare
dei soldi e da tante altre cose, ferveva di vita come la capitale
dell'immensa
Westeros doveva essere.
Le giornate si stavano facendo
man mano sempre più lunghe e calde, segno della fine della
primavera e
dell'approssimarsi dell'estate, incoraggiando così molti
degli abitanti ad
uscire per strada per godersi un po' di calda aria aperta, oppure anche
di
andare ai moli per farsi una nuotata nelle gelide ma piacevoli acque
della Baia
delle Acque Nere, oppure anche sulle rive del Fiume delle Rapide Nere,
la cui
acqua in quel periodo scorreva meno impetuosa del solito.
A festeggiare l'arrivo imminente
della nuova stagione folle di bagnanti seminudi o completamente
svestiti si
potevano trovare a piccoli gruppi lungo tutto il bagnasciuga. Nell'aria
c'era
giubilo ed erano in molti a sembrare divertiti da quell'atmosfera,
anche coloro
che di norma avrebbero dovuto svolgere il proprio lavoro come i marinai
con le
gambe nell'acqua mentre stavano seduti sui moli, oppure anche le cappe
dorate
della Guardia Cittadina le quali spesso disertavano le postazioni per
farsi un
bagno oppure per pescare nel fiume. Tutti sembravano essere felici.
Almeno
tutti tranne uno.
Rhaegon Targaryen non dormiva
oramai da due notti, e non era più uscito dalle sue stanze
nemmeno per andare alla
latrina. Non accettava cibo e non si cambiava i vestiti, non lasciando
nemmeno
entrare nessuno nei suoi appartamenti. Pur avendo più di
trent'anni si
comportava ancora come un bambino capriccioso. Cosa che in un certo
senso
ancora era realmente.
Il principe, dopo aver ricevuto
quella sconvolgente notizia, aveva deciso di ritirarsi dal mondo
intero,
isolandosi da tutto e da tutti. Non accettava di vedere nessuno e non
rispondeva ai richiami fattigli da dietro la porta della sua camera.
Tentava
persino di resistere ai suoi bisogni fisiologici, anche se non con
molto
successo. Piuttosto che mollare tutto e arrendersi alla
realtà dei fatti aveva
preferito pisciarsi addosso, invece di richiedere almeno un pitale come
la
buona educazione avrebbe previsto.
Schifato dal suo stesso olezzo,
alla fine Rhageon era stato costretto ad aprire la finestra anche
perché si
moriva dal caldo in quella stanza chiusa. Era come un grande forno, era
giunto
a questa conclusione, e non voleva certo finire lessato come i cuochi
lessavano
le carni degli animali giù al Fondo delle Pulci. Il caldo
poi aveva acuito la
puzza di pipì, costringendo l'uomo a spalancare
completamente le imposte per
poter respirare.
Camminava avanti e indietro
davanti alla finestra, fermandosi ogni volta subito prima di toccare il
letto o
il suo leggio per voltarsi e riprendere a camminare. Erano due giorni
che era
intento a fare questo e poco altro, gettando di tanto in tanto qualche
sguardo
distratto al panorama fuori dalla finestra.
Nemmeno una nuvola solcava il
cielo, e essendo gli appartamenti di Rhaegon sulla parte della Fortezza
Rossa
che dava sul mare, una fresca brezza marina soffiava costantemente su
quella
facciata, spazzando costantemente le pareti esterne. In basso il mare
cristallino era punteggiato da velieri di ogni dimensione, anche se da
quell'altezza sembravano tutti minuscoli.
All'inizio aveva osservato per un
po' il panorama, ma si era presto stancato di quel paesaggio in lento
mutamento. Come il bambino che era aveva preso a fare i capricci,
barricandosi
nella sua stanzetta e impedendo a qualsivoglia persona di penetrare nel
suo
piccolo rifugio segreto. Doveva ancora riprendersi dalla notizia, e
aveva
deciso di elaborare il lutto da solo, senza l'ausilio di nessuno.
L'ennesimo bussare alla porta di
legno all'inizio sembrò non destare alcun effetto nel
principe. I colpi erano
leggeri e delicati, e forse Rhaegon nemmeno se ne accorse nella foga
del suo
camminare. Alla successiva mandata si fecero più forti, pur
mantenendo una
certa leggerezza e un ritmo gradevole. Era sicuramente una donna.
Rhaegon si riscosse
all'improvviso, spaventato, segno che era stato colto di sorpresa. Pur
avendo
sbarrato la porta lui stesso aveva ancora paura che qualcuno la potesse
sfondare, forse un membro della Guardia Reale, o magari uno dei suoi
stessi
fratelli, infuriato per il suo comportamento. Ma la voce che
udì non
apparteneva a nessuno di questi.
- Figlio mio, fa il bravo e apri.
Era sua madre, la riconobbe dal
tono rauco e dalla voce traballante seppur autoritaria. Ma per quanto
le
volesse bene aveva fatto un giuramento a sé stesso e decise
di ignorarla,
tornando a camminare avanti e indietro facendo finta di niente.
La donna bussò un'altra volta, ma
non ottenendo risposta decise apparentemente di lasciar perdere.
Rhaegon esultò
mentalmente pur continuando nella sua futile attività. Si
lasciò scappare per
sbaglio una risatina, quasi subito repressa per paura che la madre
potesse
essere ancora lì fuori. Cosa in effetti vera.
- Rhaegon, aprimi.
Detta con voce più bassa anche se
molto più inquietante, l'uomo la udì lo stesso.
Si immobilizzò e smise
immediatamente di respirare. Restò a fissare la porta ad
occhi sgranati,
terrorizzato, come se un gigantesco Tyranitar la dovesse sfondare da un
momento
all'altro. Non fece il minimo movimento mentre una goccia di sudore
freddo gli
scendeva dai capelli per penetrare nel farsetto, strisciandogli lungo
la
schiena. Poi trovò il coraggio sufficiente per una debole
risposta.
- N-no...
- Rhaegon.
Probabilmente aveva parlato in tono
talmente basso che la lady sua madre non l'aveva nemmeno udito. Il
principe
rimase di nuovo spaventato da quelle parole impersonali eppure
così
autoritarie, e non poté fare a meno di provare ad
indietreggiare. Tentativo
fatto fallire dal suo stesso terrore, la cui morsa gli attanagliava il
corpo
facendolo diventare quasi un pezzo di marmo.
- Aprimi.
Rhaegon, sospinto da una strana
forza molto più potente di lui, alla fine fu quasi costretto
ad andare ad
aprire. Avanzò a scatti, come cercando di rifiutarsi, ma
qualcosa dentro di lui
gli diceva che se non l'avesse fatto l'intera faccenda sarebbe finita
molto
male.
Si avvicinò cautamente alle assi
di legno, togliendo quella che bloccava l'entrata. Dopodiché
procedette ad
aprire la porta, azione che richiese molto più tempo di
quanto Rhaegon avrebbe
mai potuto immaginare. La porta si aprì con un lento
cigolio, rivelando
gradualmente la figura leggermente in carne della lady sua madre.
Ella lo guardò non appena la
visuale glielo consentì. Si guardarono negli occhi, lei con
i suoi azzurri e
lui con quelli violetti. Lei con i lunghi capelli castani e lui con i
lunghi
capelli argentei. Lei col suo fisico robusto e lui col suo smilzo.
Difficilmente qualcuno avrebbe detto che erano madre e figlio, anche se
così era.
A Rhaegon prese voglia di
vomitare. Non ce l'avrebbe mai fatta a sostenere uno sguardo come
quello della
madre troppo a lungo. La regina madre Bethany poteva anche sembrare una
qualsiasi nobile grassa e arrogante, ma era la sua forza d'animo e la
sua fermezza
che aveva evitato al reame molte grane nel corso degli anni.
Fortunatamente per lui fu la
madre a prendere l'iniziativa. Ella, senza distogliere lo sguardo,
avanzò verso
di lui e lo abbracciò, apparentemente ignorando la puzza di
piscio e la
viscidità dei suoi vestiti sporchi. Non era però
un abbraccio vero, quasi una
cosa di circostanza, come per ribadire il loro rapporto all'interno
della
famiglia.
Lady Bethany si staccò quasi
subito dal figlio, il quale restò confuso. La regina
continuò a guardarlo negli
occhi, rimproverandolo silenziosamente per i suoi capricci. Rhaegon non
poté
fare altro che chinare umilmente la testa, esattamente come un bravo
pargolo
quando finalmente capisce di avere sbagliato.
Senza dire una parola la regina
lo prese per mano e lo portò di fianco al letto. Dopo che si
fu sistemata lo
guardò di nuovo, come ad invitarlo a fare altrettanto.
Rhaegon seguì l'ordine
(perché alla fine di questo si trattava) con leggera
riluttanza, distogliendo
lo sguardo dalla parente mentre sentiva la soffice superficie del
materasso
premere contro il suo fondoschiena. Cercò di ignorarla,
facendo finta di
guardare lo specchio dall'altro lato dell'ambiente.
Quando però la madre gli prese il
mento non poté fare a meno di seguire i movimenti delle sue
mani. La sua non
era una presa ferrea, ma stretta abbastanza da imporre la sua
autorità materna
su quel figliolo particolare. Lui, pur mantenendo un visibile broncio,
girò la
sua testa verso quella di lady Bethany.
- Rhaegon. - esordì lei - Adesso
basta. Hai fatto abbastanza capricci. Non hai risposto a nessuno,
né a servi,
né a ser Jared e nemmeno a Bhaela che pure è
stata tanto gentile con te.
Rhaegon non rispose.
- Sei stato cattivo, sappilo.
Devi imparare a superare il lutto, esattamente come ho fatto anch'io
quando
sono morti tuo padre e tuo fratello. Non sei più un bambino,
almeno lo spero,
impara ad essere uomo.
Sentir nominare suo padre e suo
fratello turbò ancor di più il povero Rhaegon
Targaryen. Re Jaehaemond e il
principe Laerion erano gli unici ad averlo probabilmente mai capito, e
se
n'erano andati sin troppo presto da questo mondo. Ma Rhaegon era
l'ultimogenito
nato dall'unione tra Jaehaemond Targaryen e Bethany Bracken, doveva
saperlo che
i più vecchi - come Laerion appunto, che era il primogenito
- muoiono prima. Ma
se era vero che i vecchi morivano, perché sua madre, che era
decisamente più
anziana di suo fratello, non era morta prima di lui?
Rhaegon continuò comunque a
rimanere in silenzio, non esternando nulla di quel ragionamento finale.
Sapeva
che sua madre era una donna rancorosa e non voleva di certo provocarla.
Era
anche abbastanza intelligente da aver capito che magari sarebbe potuto
risultare in qualche modo offensivo.
- Capisco che fossi molto
attaccato a tua zia Jaella, ma cerca di capire. Tutti prima o poi
dobbiamo
morire, e lei era vissuta anche fin troppo.
Rhaegon rimase scosso da queste
parole. Era vero che la zia Jaella era vecchia, molto più di
suo padre, di sua
madre, di Laerion e degli altri della famiglia, ma non avrebbe mai
immaginato -
e nemmeno voluto - che morisse. Era forse la persona a cui voleva
più bene al
mondo, e non poteva accettare che se ne fosse andata. Al massimo sua
madre se
ne poteva andare, come avevano fatto tutti gli altri. Lei era cattiva,
non le
era mai piaciuta.
Prese ad accarezzarsi la corta
barbetta argentata nervosamente, come se stesse facendo fatica a
nascondere
quei pensieri nefandi. Era pur sempre la propria madre contro cui stava
mentalmente ingiuriando, e rinnegare i propri genitori non era
decisamente una
cosa bella. Ma Rhaegon questo non lo sapeva, e anche se l'avesse saputo
non
l'avrebbe capito.
- E' il cerchio della vita. Lo
Sconosciuto arriva prima o poi per prendere la tua vita, e non ci si
può
opporre. Alla fine è toccato anche a Jaella, esattamente
come è toccato a
Laerion, a tuo padre e ai suoi fratelli. Un giorno sarà
anche il nostro turno.
E' inevitabile, prima o poi quel momento arriva per tutti.
Il ragionamento della regina
Bethany non faceva una piega, anzi, era abbastanza ovvio per tutti che
la vita
dovesse andare così. Ma non per Rhaegon. Lui non era
così acuto, non capiva le
meccaniche della vita, e mai lo avrebbe fatto. A suo tempo il Gran
Maestro
Quenkal aveva detto che la mente di Rhaegon si sviluppava tre volte
più
lentamente del normale, e probabilmente era vero, visto che a
trent'anni il
principe si comportava come se ne avesse dieci.
Rhaegon lo aveva sentito dire una
volta, mentre origliava una conversazione tra sua madre e il Gran
Maestro. Non
sapeva bene cosa volessero dire, ma percepiva non essere qualcosa di
bello. Non
poté fare a meno di pensare che adesso anche il Gran Maestro
Quenkal era morto
da alcuni anni. Se lo ricordava ancora, i lunghi capelli bianchi e la
catena
che portava al collo molto più grande di lui.
- Rhaegon, devi mostrare la
stessa forza dei tuoi fratelli come farebbe un vero Targaryen. Non puoi
ridurti
così.
"Io sono un vero
Targaryen!" pensò rabbiosamente. Ma in cuor suo sapeva che
la madre aveva
ragione, non era nulla in confronto ai fratelli. Laerion non se lo
ricordava ed
era tanto tempo che non vedeva Naelys, ma pensare agli altri lo faceva
sentire
insignificante. Bhaela era così forte e tenace, sembrava un
vero guerriero
nonostante fosse una donna. Jaehaerys, suo fratello il re, era forte
anche lui
seppur in modo diverso; quella sua postura sempre eretta e lo sguardo
pronunciato gli davano un'aria solenne. Baelor invece gli faceva paura,
era
malvagio. Ricordava quando da piccolo lo spaventava con delle maschere
bruttissime; lo odiava, e sapeva che faceva così solo
perché era più forte di
lui.
Gli altri invece... gli volevano
bene. Jaehaemion gli ricordava tanto il loro padre e sapeva che lo
amava,
nonostante lo desse mai a vedere. Maera invece era sempre stata
lì dopo la
morte di Jaehaemond, a fargli da mamma, quasi come che la loro fosse
morta. Era
così dolce, Maera. L'avrebbe sposata se solo non lo fosse
già stata a Baelor.
"Quel bastardo" pensò con rabbia Rhaegon "Quel bastardo mi
ruba
sempre tutto. Lo odio!".
- Sei o non sei un drago?
Questa domanda lasciò Rhaegon
interdetto per un attimo. Ci stava pensando proprio in quel momento,
mentre
decideva quali dei suoi fratelli meritassero il suo affetto. Era un
drago come
loro? O più probabilmente solo solo una lucertola?
- Io sono un drago.
Quest'affermazione stupì persino
il principe stesso. Si accorse di averlo detto solamente quando vide la
madre
fare uno sguardo compiaciuto, anche se non troppo. Ma Rhaegon era
conscio di
aver mentito, non credendo nemmeno nelle sue stesse parole. Lui non
sarebbe mai
stato un drago, e nemmeno un pokemon. Non sarebbe mai stato nemmeno una
lucertola. Che cos'era lui davvero?
- Un drago, esatto. - ripeté la
regina - E i draghi non piangono. L'acqua gli fa male, è per
questo che nessun
drago piange, come anche fa ogni pokemon di fuoco. Nessuno di loro
versa mai
una lacrima, esattamente come noi Targaryen. Perché noi
siamo draghi. Anche tu
lo sei.
"Io piango. Io sono debole.
Io non sono un drago.". Se era vero che nessuna di quelle creature
piangeva, pensò Rhaegon, allora tutte le loro emozioni non
facevano altro che
restare imprigionate al loro interno. E ciò non andava
affatto bene,
rischiavano di esplodere come una casa attaccata da uno stuolo di
pokemon
infuriati. Rhaegon si sentiva proprio così in
verità, sul punto di esplodere.
- Tuo padre e tuo fratello
Laerion erano draghi, e per questo non hanno mai pianto. Anche
Jaehaerys,
Jaehaemion e Baelor sono draghi e non piangono. Persino Bhaela e Maera
non
piangono, perché anche loro sono draghi. Vuoi essere da meno?
Il principe, nonostante la sua
mente semplice, non poté fare a meno di notare che la madre
non aveva citato
sua sorella Naelys. E lei allora che faceva? Piangeva? Non era un drago
come
loro? Queste domande rimasero nella testa di Rhaegon, anche se aveva
una voglia
matta di enunciarle ad alta voce.
- No, madre. - si limitò ad
annuire.
- Molto bene. Spero che tu abbia
compreso quello che volevo dirti.
- Certo, madre.
Aveva compreso che tutti, nella
sua famiglia, anche i figli dei suoi fratelli, erano draghi. Tutti
tranne lui.
Lui non era un drago. Nemmeno un pokemon. Neanche una lucertola. Lui
non era
niente. Si costrinse comunque a smettere rapidamente di lacrimare per
far
contenta la parente, la quale annuì leggermente quando con
la manica della
veste si asciugò la faccia appiccicosa per le lacrime e il
sudore vecchi di
giorni.
- Sono contenta di vedere che mi
hai capito.
Si alzò, si sistemò appena i
vestiti e fece per uscire dalla stanza.
- Tra poco arriveranno dei servi
per rifare la stanza, cambiarti e pulirti. Mi raccomando, non fare
storie e
lascia che facciano il loro lavoro. Non ti vogliono fare del male, sono
stata
io a farli chiamare.
Quando la regina fu uscita
Rhaegon quasi riprese a frignare. Gli occhi gli divennero di nuovo
lucidi e
fece per buttarsi sul materasso, ma in qualche modo riuscì a
trattenersi sino
all'arrivo dei servi. Se davvero non era un drago almeno doveva far
finta di
esserlo. Glielo aveva spiegato una volta Maera, la vita è
solamente apparenza.
E le parole della madre gli avevano tolto qualsiasi dubbio, la sorella
gli
aveva detto il vero. Quindi avrebbe mantenuto la facciata di un drago,
e quando
loro se ne sarebbero andati... sarebbe tornato il bambino di prima.
I servi non ci misero molto a
bussare alla porta. Non ottenendo risposta entrarono di loro spontanea
volontà,
e trovarono Rhaegon ancora seduto sul letto, intento a fissare il
vuoto. Non si
mosse e non scappò come di solito faceva alla vista degli
estranei, rimase
semplicemente seduto sul materasso, estraniato da tutto e da tutti.
Un servo provò a chiamarlo, ma il
principe parve non udirlo. Al che, dovendo eseguire gli ordini
impostigli dalla
regina, lo prese delicatamente e lo fece alzare per portarlo a lavare,
mentre
gli altri rifacevano il letto e pulivano la stanza per togliere
quell'orribile
puzzo.
Lo lavarono lui e alcuni altri in
una stanza poco lontana, la quale dava non sul mare ma sulla
città sottostante.
Mentre lo strofinavano Rhaegon osservò Approdo del Re in
tutta la sua vastità.
Immaginò quanta gente, quanti pokemon e quanti abitanti vi
dovessero abitare,
numeri talmente alti che la sua mente semplice non avrebbe mai avuto la
forza
di realizzare.
Il suo sguardo spaziò per luoghi
molto diversi, dal Grande Tempio di Baelor sulla Collina di Visenya ai
resti
della Fossa del Drago su quella di Rhaenys. Guardò anche
verso luoghi più
bassi, come il Porto oppure il Fondo delle Pulci. Si ritrovò
più volte a
pensare come facesse il suo malvagio fratello a portare senza provar
vergogna
lo stesso nome del pio monarca vissuto più di due secoli
prima.
Si buttò quasi subito a peso
morto sul letto, senza quasi guardare il nuovo ambiente che lo
circondava.
Quasi sfondò il baldacchino, ma non glie ne sarebbe
importato comunque nulla.
Affondò la testa tra i cuscini mentre ne afferrava un altro
e se lo stringeva
al petto. Non si curò nemmeno di chiudere di nuovo la porta
con l'asse. Che lo
vedessero piangere per il bambino che era, questa la crudele sentenza
non
detta, stabilita se da lui stesso o da sua madre nemmeno Rhaegon lo
sapeva.
Lasciò infine che le lacrime cominciassero a scorrere da
sole, abbandonandosi
nuovamente alla disperazione e lasciando che le proprie deboli forze
venissero
totalmente impiegate nello sforzo di versare le lacrime.
Mentre provvedeva a sfare
nuovamente il letto scalciando di tanto in tanto e agitandosi, si mise
di nuovo
a ripensare a sua zia Jaella. Cioè, non era propriamente sua
zia, era già la
zia di suo padre, questo lo aveva imparato guardando gli arazzi
quand'era più
piccolo assieme alla stessa Jaella. Lei gli aveva insegnato a leggere
il
proprio nome ed il suo, come anche gli tutti gli altri della sua
famiglia.
Aveva anche provato ad insegnargli a scriverli, ma la mano di Rhaegon
si era
rivelata troppo tremolante per riuscire a vergare come si deve anche
solo una
lettera.
Se c'era qualcun'altro che voleva
bene e capiva Rhaegon ancor più di suo padre e di Laerion,
quella era
sicuramente Jaella Targaryen. Figlia di Rhaegar il Saggio e sorella di
Jacaerys
il Temerario, sorellastra di Aegon il Buono e di Rhaenys la Tenace. Zia
di tre
re e prozia di un altro, Jaella Targaryen aveva vissuto per
più di otto decadi
prima di spegnersi due giorni prima nella Fortezza Rossa,
all'età di ottantasei
anni. Rhaegon non si ricordava mai di aver pianto così tanto.
Non gli era mai stato permesso di
vedere il corpo. All'inizio si era persino rifiutato di credere che la
zia
fosse morta quando Maera era venuta per dirglielo. Aveva iniziato a
piangere
allora, con la sorella che tentava di consolarlo. Vedendo i suoi sforzi
vani,
Maera se n'era andata, lasciandolo sfogare. Sfogo che ancora non era
terminato
dopo quasi tre giorni.
L'avevano bruciata nel cortile
della fortezza la sera precedente. Dovevano aver esposto il corpo da
qualche
parte, altrimenti non avrebbero aspettato così tanto.
Rhaegon non aveva visto
il rogo, solo un fumo più scuro del cielo notturno quando
aveva aperto la
finestra. Il vento l'aveva raccolto e l'aveva trasportato
chissà dove, sul Mare
Stretto.
Se c'era una cosa che il principe
non riusciva a concepire era che la sua amata zia fosse finita in fumo.
Le
membra che un tempo si erano strette a lui, nel letto della
principessa, mentre
ella gli narrava le leggende e le gesta degli antichi Targaryen, come
Aegon il
Conquistatore, Daeron il Giovane e Aemon il Cavaliere di Drago, adesso
erano
semplicemente svanite nell'aria, consumate dalle fiamme, le ossa
ridotte in
polvere. Era pur sempre una Targaryen, e i Targaryen morti mai
avrebbero
conosciuto il freddo abbraccio della terra, solo le fiamme li
attendevano oltre
la morte.
Ma così Rhaegon non avrebbe mai
potuto depositare un fiore sulla sua tomba. Non avrebbe mai avuto un
posto dove
ricordarla adeguatamente. Aveva persino sentito dire da uno dei servi
che la
sua camera da letto sarebbe presto stata occupata da qualcun altro.
Rhaegon
voleva morire, morire solamente per potersi ricongiungere con l'unica
persona
che gli avesse veramente voluto bene. Nessuno adesso gli voleva bene,
nemmeno
Maera. Sentiva che per lui non provava affetto, ma solo compassione.
Rhaegon voleva morire, e provò a
soffocarsi sia trattenendo il respiro più a lungo che poteva
che tuffando la
testa contro i cuscini, premendoseli spasmodicamente contro la faccia.
Ma lo
Sconosciuto non arrivò.
Dapprima non se ne accorse, preso
com'era a frignare, ma quando essi si fecero insistenti si
girò senza tuttavia
alzarsi. Aspettò alcuni momenti per capire se non se li era
immaginati, non
smettendo comunque di singhiozzare. Quando li sentì,
bofonchiò qualcosa di
incomprensibile che poteva suonare come un "vattene via" e si
rituffò
nel suo giaciglio.
Ma non smisero di bussare. Adesso
Rhaegon si era veramente infuriato. Chi era che lo stava disturbando?
Voleva
solo piangere in pace! Se sua madre voleva che superasse il lutto
almeno che
glielo lasciasse fare a modo suo, facendogli finire le lacrime, e non
voleva
essere disturbato mentre lo faceva.
Pensando che fosse sua madre si
alzò definitivamente dal letto e corse verso la porta
spalancandola. Voleva
urlargli tutto il suo disprezzo per lei, gridandogli in faccia di
andarsene,
che non la voleva, che voleva essere lasciato in pace.
Ma quando aprì la porta la
persona che si ritrovò davanti non era sua madre.
Note
dell'autore
Esatto, mi
piacciono i protagonisti particolari. E dopo Neville di I
am legend vi
beccate anche Rhaegon Targaryen (personaggio inventato da me,
chiariamoci, come la stragrande maggioranza di quelli che compariranno).
Chiedo scusa
se ancora i pokemon non sono apparsi, ma essendo il
protagonista del prologo un condannato a morte e quello del primo
capitolo uno con problemi non sono esattamente il genere di persone a
cui vengono fatti usare.
A presto,
A_e