La notte scorse rapida. Il sangue
sulle mie mani si seccò ed
il suo corpo divenne freddo.
Era stanco, perso, privo di energia.
Avevo fatto quello che dovevo, quello
che credevo
necessario, ma non provavo alcuna gioia in questo. Lei era morta, lei
era spenta
ed io ero vuoto.
I primi raggi del sole mi
illuminarono il viso, il calore
inizió ad irradiarmi, richiamando quel poco che restava della mia
coscienza.
Più volte battei le
palpebre confuso, lentamente
razionalizzai il seguito della mia storia e mi scoprì
incapace di lottare. Sorrisi
sereno mentre mi avvicinavo al focolare spento, raccogliendo una
manciata di
polvere verde da un barattolo sul camino.
Le fiamme eruppero, ed il mondo
iniziò a vorticare non appena
iniziai la chiamata al modo dei maghi.
Le forze Auror arrivarono dopo pochi
minuti. La porta di
casa mia fu divelta da un incantesimo urto, ed io fui trovato su di lei
ad
accarezzarle i capelli.
Quei bellissimi capelli arancioni,
così simili, ma anche
così diversi dal sangue che le imbrattava il corpo.
“Ginny!”
Fui spinto da parte mentre qualcuno
della forza Auror si
gettava su di lei. Le controllò il battito cardiaco, le
carezzo il viso, vidi
perfino cadere alcune lacrime sul suo volto pallido ed esanime.
Ron mi si scagliò contro
prima che qualcuno potesse
fermarlo, ed anche volendo non l’avrei evitato. Il primo
pugno mi spaccò il
naso, il secondo mi mando lungo disteso e poi mi prese a calci.
Contai almeno tre costole rompersi
sotto il suo assalto
spietato. Ogni picco di dolore seguito dalla stessa fragile domanda.
“Perché?
Perché!? PERCHÉ!?”
Ci volle ancora qualche secondo prima
che i suoi colleghi
riuscissero a trattenerlo, ad impedirgli di ridurre in carne macinata
quanto di
me era ancora intatto. Ma anche così non sentì
nulla smuoversi,
ero ancora vuoto e sterile come un campo invernale.
Sputai sangue, mi rimisi a sedere, ma
sorrisi. Sorrisi a Ron
che ora cercava di recuperare la bacchetta per scagliare qualche
maledizione
mortale, ed agli altri Auror che mi guardavano sbigottiti.
Sorrisi e scossi il capo.
“Dovevo farlo Ron. Dovevo
farlo. Voleva chiamarlo Albus
Severus… Ti rendi conto? Albus Severus…”
Una risata monotona e priva di vita
proruppe dalle mie
labbra prima di vedere un bagliore rosso.
E poi fu il buio e la tregua dal
dolore.
N.D.A. Avevo bisogno di scrivere qualcosa. Pace