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Autore: sasaneki    06/03/2015    2 recensioni
«Hai mai giocato a poker?»
Un’espressione palesemente interrogativa prese forma sul volto di Kidd.
«Mi prendi in giro?» chiese, sbarrando impercettibilmente gli occhi.
«Oh, no. Sono serissimo.»
Il rosso lo fissò per qualche secondo, accorgendosi di come Law, per una volta, non lo stesse prendendo in giro.
«Sì, certo che ci ho giocato» rispose atono.
«Perfetto, giochiamo allora»
«E come pretendi di giocare se non abbiamo le fiches, genio?» domandò.
L’ennesimo sorriso beffardo prese forma sulle labbra di Law.
«Povero e ingenuo Eustass-ya» lo schernì «Non ci servono…» rispose semplicemente.
«Come sarebbe?» domandò, ancora più confuso.
«Mai sentito parlare di strip poker?»
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Era un po' che non scrivevo una KiddLaw. E torno oggi con questa... non so nemmeno io cosa pensare.
Dal titolo si capisce benissimo cosa andrete a leggere, spero solo possa essere di vostro gradimento.
L'idea mi è venuta a caso, davvero. Stavo pensando al fatto che non gioco a poker da un bel po' e ho detto "Ehi, e se giocassero loro due, cosa succederebbe?".
Ebbene, ecco quello che ne è uscito.
E' una oneshot senza alcune pretese, davvero.
Spero comunque che vi piaccia e attendo vostri pareri, nel caso abbiate voglia di esprimervi.
Buona lettura!


Disclaimer: One Piece © Eiichiro Oda
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Poker?
 

La pioggia cadeva incessante, picchiettando ripetutamente e con ritmo costante i vetri delle finestre.
L’unico suono udibile nel piccolo e confortevole appartamento di Trafalgar Law era il melodioso scrosciare della pioggia.
Si prospettava essere una giornata piuttosto noiosa.
Certo, Law avrebbe potuto approfittarne per leggere un buon libro o per studiare, ma considerata la sua mente brillante, il divertimento sarebbe terminato in poco tempo, riportandolo al punto di partenza.

Si era abbandonato sulla poltrona del salotto da circa trenta minuti, con in mano il telecomando della televisione alla ricerca di qualche programma che fosse un minimo interessante. Ma la sua ricerca non ebbe risultati positivi, e finì per cambiare distrattamente e a intervalli regolari i canali televisivi.
Accanto a lui, un Eustass Kidd altrettanto annoiato, che minacciava di addormentarsi da un momento all’altro, mentre gli cingeva le spalle con il suo possente braccio. Buttò disperatamente la testa all’indietro, volgendo lo sguardo al soffitto, per poi emettere un sonoro sbuffo.
Il moro si voltò pigramente a guardarlo.
«Che succede, Eustass-ya?» domandò, quasi retoricamente.
Il rosso, avvertendo ironia nella domanda di Law, gli lanciò un’occhiata in cagnesco.
Come se quello stronzo non sapesse che Kidd si stava annoiando a morte.
«Oh, cosa ti fa pensare che mi succeda qualcosa?» chiese, con ironia e una pacatezza che non gli apparteneva minimamente «Non succede nulla, assolutamente niente, ed è proprio questo il problema, Trafalgar!» aggiunse, mentre quella calma andava scemando ad ogni parola, fino a sfociare in un tono adirato.
Law non riuscì a trattenere un ghigno. Vedere il suo fidanzato perdere il controllo era sempre uno spettacolo che lo divertiva fino all’invero simile. E Kidd si adirava ancora di più, perché non sopportava che quell’aspirante medico di merda lo prendesse in giro a quel modo.
«Non c’è un cazzo da ridere» disse il rosso.
«Oh, dai, non te la prendere» ribatté Law, senza abbandonare il suo ghigno.
«Senti, Trafalgar, mi annoio» ribadì «E se non ti fai venire in mente qualcosa da fare, userò il tuo culo come intrattenimento» aggiunse, abbozzando un sorriso e avvicinando il volto a quello di Law.
«Come sei scontato e tradizionale, Eustass-ya» rispose il moro guardandolo negli occhi, assottigliando lo sguardo.
«Si sa che le cose tradizionali sono sempre le migliori» puntualizzò Kidd, per poi congiungere con irruenza le proprie labbra a quelle di Law, costringendolo a sdraiarsi.
Il moro contraccambiò il bacio, insinuando le dita sottili fra i capelli rossi di Kidd, facendo spazio tra le sue gambe lunghe e snelle al corpo massiccio dell’altro. Percepì la mano calda di Kidd insinuarsi sotto la felpa gialla e nera, percorrere la pelle ambrata del suo fianco dal basso verso l’alto per poi compiere il percorso a ritroso, fino a giungere ai bottoni dei jeans chiari, che il rosso prese a slacciare con foga.
Fu in quel momento che Kidd avvertì la mano di Law posarsi sulla sua, come se gli stesse chiedendo tacitamente di fermarsi.
«Che cazzo ti prende?» chiese sorpreso e irritato, staccandosi di pochi millimetri dalle labbra di Law e volgendogli un’occhiata perplessa.
«Ho avuto un’idea»
«E non puoi aspettare?» domandò, ormai esasperato e rimettendosi a sedere di fronte al moro.
«Oh, no. Vedrai che ti piacerà, Eustass-ya…» rispose Law, accompagnando le sue parole con il solito ghigno che sfoderava ogni qualvolta che la sua mente partoriva un’idea geniale.
«Lo spero per te, Trafalgar! Avanti, di che si tratta?» domandò, segretamente curioso di conoscere quale idea folle avesse attraversato la mente di quello squilibrato.
«Hai mai giocato a poker?»
Un’espressione palesemente interrogativa prese forma sul volto di Kidd.
«Mi prendi in giro?» chiese, sbarrando impercettibilmente gli occhi.
«Oh, no. Sono serissimo.»
Il rosso lo fissò per qualche secondo, accorgendosi di come Law, per una volta, non lo stesse prendendo in giro.
«Sì, certo che ci ho giocato» rispose atono.
«Perfetto, giochiamo allora»
«E come pretendi di giocare se non abbiamo le fiches, genio?» domandò.
L’ennesimo sorriso beffardo prese forma sulle labbra di Law.
«Povero e ingenuo Eustass-ya» lo schernì «Non ci servono…» rispose semplicemente.
«Come sarebbe?» domandò, ancora più confuso.
«Mai sentito parlare di strip poker?»
Tutta la confusione di Kidd sembrò sparire dal suo volto in una frazione di secondo, lasciando spazio solo ad uno dei suo ghigni.
«Per una volta hai avuto un’idea decente» disse il rosso.
«Vado a prendere le carte» rispose l’altro, senza fare troppa attenzione alle parole di Kidd.
Tornò nel salotto con un mazzo di carte, e con in dosso una camicia bianca aderente, che gli fasciava perfettamente le braccia toniche e il torace muscoloso, e una cravatta nera legata al collo.
«Per quale motivo ti sei vestito così?»
«E’ opportuno che entrambi i giocatori abbiano lo stesso numero di vestiti addosso» spiegò Law «Ed avendo tu una felpa e una maglietta è giusto che anche io abbia il tuo stesso numero di indumenti… altrimenti non ci sarebbe gusto».
Si sedettero sul tappeto del salotto, uno di fronte all’altro.
«Ti avverto, Law, me la cavo piuttosto bene a poker».
Law non badò più di tanto alle parole di Kidd, mentre mescolava velocemente e con movimenti fluidi e precisi - quasi come se fosse un chirurgo professionista - le carte.
«Taglia il mazzo, fenomeno» disse il moro, posando il mazzo fra loro due. E Kidd lo assecondò.
«Ti va bene se giochiamo a Texas hold’em?» domandò Law.
«Per me non ci sono problemi».
Procedette a dare le carte, distribuendone due a testa. E prima di bruciare quella in cima al mazzo e girarne tre sul banco, si tolse due dei suoi orecchini e li posò sul tappeto.
«Per giocare bisogna puntare, Eustass-ya» disse sorridendo.
«Lo so benissimo, non c’è bisogno che mi spieghi come funziona» rispose Kidd, sfilandosi i braccialetti d’oro dai polsi e posandoli accanto agli orecchini di Law.
A quel punto, il moro bruciò la prima carta, per poi scoprirne tre.
Kidd osservò con aria concentrata le sue due carte – un sette di quadri e un sette di cuori -, per poi dare un’occhiata alle tre carte scoperte: un sette di picche, un cinque di quadri e un Re di cuori.
«Scommetto la mia felpa» disse il rosso, senza lasciar trapelare alcuna emozione dal suo volto.
Law si fece pensieroso, osservando a sua volta le proprie carte: un Re di picche e un otto di fiori.
«Ci sto. Scommetto la cravatta» ribatté, con aria di sfida e il ghigno perenne sulle labbra, procedendo poi a bruciare una carta e a girarne un’altra. Un Jack di cuori.
Kidd pensò per qualche istante con quale mossa procedere.
«Busso» disse poi, semplicemente.
E Law fece altrettanto, bruciando nuovamente una carta e scoprendo l’ultima, un otto di cuori.
Kidd ripeté la mossa precedente ma, questa volta, Law non lo assecondò.
«Scommetto la camicia» disse, puntando i suoi occhi grigi in quelli d’ambra dell’altro.
Il rosso sorrise, divertito. Se Law aveva puntato la propria camicia doveva avere qualcosa di sostanzioso in mano ma, d’altronde, era anche vero che quel bastardo era piuttosto bravo a bluffare. E poi, non sarebbe stato certo da Kidd abbandonare così la mano, senza nemmeno averci provato. Dopotutto, era un gioco, un divertentissimo e allettante gioco in cui, l’unica cosa che poteva perdere, erano i vestiti. E la cosa non gli sarebbe dispiaciuta più di tanto. Prima o poi avrebbe dovuto toglierseli. Ma, nonostante si trattasse solo di un gioco, il rosso detestava perdere…
«Bene, Trafalgar. Punto la mia maglietta, allora» ribatté, scoprendo le proprie carte sul tavolo.
Il moro gettò un’occhiata prima alle carte del suo avversario e poi a quelle presenti sul banco, constatando di aver perso la mano… e, a quanto pareva, i vestiti. La sua doppia coppia non era sufficiente per battere il tris di Kidd.
«A quanto pare devo togliermi i vestiti…» appurò Law sorridendo.
E con l’ausilio di due dita, iniziò a sciogliere il nodo della cravatta, sfilandosela lentamente, facendola scorrere sotto il colletto della camicia per poi farla cadere silenziosamente a terra. Passò poi alla camicia, sbottonando con una lentezza estenuante i piccoli bottoni.
Kidd lo osservò, sospeso a metà tra il divertimento e l’eccitazione. Era abituato a strapparglieli via con le proprie mani i vestiti, e ciò gli procurava sempre un notevole senso di piacere e potere. Ma dovette ammettere che anche vedere quel bastardo che si slacciava lentamente quella dannata camicia era qualcosa di assolutamente sublime. E, mentre lo faceva, Law lo guardava dritto negli occhi, rivolgendogli uno sguardo malizioso, man mano che i bottoncini si separavano dai rispettivi occhielli, scoprendo la sua pelle ambrata e tatuata, lasciando in bella vista il suo fisico scolpito al punto giusto. Trafalgar Law sapeva bene come rendere ogni cosa la più eccitante possibile; sapeva bene quali armi usare e sapeva ancora meglio che in quel modo, con quella lentezza, Kidd sarebbe diventato sempre più impaziente di vederlo completamente nudo.
Si sa, l’attesa aumenta il desiderio.
Si sfilò la camicia bianca, lasciando che il tessuto chiaro e leggero scivolasse delicatamente sulla sua pelle, accarezzandola, scoprendogli prima le spalle toniche e tatuate, fino a rimanere a petto nudo. E Kidd non perse l’occasione per ammirarlo estasiato, percorrendo con gli occhi quel corpo sinuoso, soffermandosi con lo sguardo sui tatuaggi e sugli addominali, per poi scendere sul basso ventre, dove due solchi obliqui andavano a scomparire nei pantaloni, lasciando spazio solo all’immaginazione.
Sorrise divertito, il rosso, tornando a guardare Law negli occhi.
«Vedo che ti diverti» disse il moro, sedendosi nuovamente di fronte a lui, sorridendogli beffardamente.
«Molto» ammise, sinceramente divertito, afferrando le carte per mischiarle e ricominciare una nuova mano. Questa volta, per poter giocare, Kidd mise sul piatto le sue due cinture, mentre Law gli altri suoi due orecchini.
La seconda giocata sembrò iniziare in una maniera totalmente diversa, soprattutto per Law che si ritrovò, alla fine della mano, ad aver vinto con un full. Di conseguenza, toccò a Kidd levarsi felpa e maglietta, lasciando in bella vista il torace scolpito e chiaro. E mentre si sfilava gli indumenti, notò come Law lo stesse squadrando attentamente, cogliendo ogni minimo dettaglio di quel corpo scolpito e massiccio.

Arrivò il momento di giocare la terza mano e, per parteciparvi, entrambi si tolsero i calzini. E, considerato l’andazzo delle mani precedenti, entrambi sapevano che, probabilmente, uno dei due sarebbe rimasto nudo.
Il moro distribuì le carte, per poi procedere a scoprirne tre sul banco. Un sette e un dieci di cuori, e un Re di quadri.
Entrambi guardarono le rispettive carte. Kidd scoprì di avere in mano un sei e un otto di cuori, mentre Law un sette di quadri e un sette di picche.
Il rosso fece la sua puntata, abbastanza convinto delle sue carte.
«Mi gioco i pantaloni»
«Oh, ci vai giù pesante, Eustass-ya. D’accordo, ci sto».
Law, con un movimento lento e fluido bruciò una carta per poi girarne una sul banco, un sette di fiori.
Il moro sorrise sadicamente dentro di sé, sicuro delle sue carte e sicuro di aver ormai vinto.
Kidd, invece, senza darlo a vedere, nella sua testa rivolse un’infinità di insulti e imprecazioni a Law, incolpandolo dell’uscita di quella carta per lui inutile.
Si passò la lingua fra le labbra, senza far trapelare alcuna emozione.
«Busso» disse.
Law lo fissò con sguardo tagliente, mentre le sue labbra si piegarono in un ghigno sadico.
«Mi gioco la biancheria»
Kidd alzò lo sguardo, incatenando i suo occhi d’ambra a quelli grigi dell’altro.
«Sei proprio uno stronzo» sbottò Kidd.
«Oh, mi dispiace, Eustass-ya» disse, palesemente ironico «Prendere o lasciare».
Il rosso sospirò, mentre il volto si distorse in un cipiglio severo.
«D’accordo, Trafalgar. E biancheria intima sia!».
E con un movimento ancor più lento del precedente, Law bruciò una carta, lasciando che la tensione impregnasse l’atmosfera fra i due giocatori, per poi girare l’ultima sul banco.
A Kidd costò uno sforzo immane non scattare in piedi, pronto ad insultare e a prendersi gioco di Law, perché il fato, stranamente, aveva scelto di schierarsi dalla sua parte, regalandogli un bellissimo nove di cuori.
«Bene, Trafalgar, visto che sono già andato in all in non ho più nulla da togliermi».
Sorrise beffardamente.
«Lo stesso vale per me, per cui non ci resta che scoprire le nostre carte».
Entrambi, nello stesso istante, scoprirono sul banco le proprie carte.
Fu Law il primo a parlare.
«Ho fatto poker, Eustass-ya» disse sicuro di sé, senza prima osservare le carte dell’altro.
«Bravo, Trafalgar, ma non è abbastanza» rispose il rosso, stendendo le proprie carte «Io ho scala colore» aggiunse, mentre un ghigno sadico prese forma sulle sue labbra rosse.
Eppure, Law non sembrò rammaricarsi più di tanto. Dopotutto, il divertimento stava anche nel perdere. In un modo o nell’altro, i vestiti avrebbe dovuto toglierseli ugualmente, tanto valeva farlo in un modo diverso e più divertente.
«Oh, a quanto pare ho perso…» constatò «Vorrà dire che dovrò togliermi i vestiti» aggiunse, alzandosi in piedi lentamente, per poi spostare con i piedi le carte su un lato e avvicinarsi a Kidd, rimasto seduto sul tappeto.
Il rosso si ritrovò il cavallo dei pantaloni di Law all’altezza del su viso. Alzò leggermente il capo, guardando Law e assottigliando lo sguardo, mentre si passò la lingua fra le labbra rosse.
«Avanti, Law, togliti pure i vestiti»
Il moro sorrise, abbassando la testa per poter incatenare il proprio sguardo a quello di Kidd.
«Veramente, Eustass-ya, pensavo di lasciare a te questo privilegio» disse, con tono caldo e inclinando leggermente il capo da un lato.
«Oh, se è questo che vuoi» rispose.
Si mise in ginocchio, portando le mani sulle cosce di Law, facendole scorrere avidamente sulla stoffa dei jeans, avvertendo sotto i polpastrelli la consistenza dura di quelle gambe sottili, ma toniche. Giunse con entrambi i palmi fino al cavallo dei pantaloni, per poi salire ancora di qualche centimetro, palpando da sopra il tessuto quel principio di eccitazione che Law riscoprì di avere fra le gambe.
Sorrise, Kidd. Sorrise senza guardarlo negli occhi, nonostante fosse consapevole che il moro lo stesse fissando con attenzione.
Abbandonò il cavallo appena teso dei suoi pantaloni, facendo scorrere le proprie mani verso l’alto, finché non giunse con le dita alla pelle ambrata del suo basso ventre. Si soffermò a toccarla, sfiorandola dapprima, con un tocco così delicato che sembrava non appartenergli minimamente. Le sue mani si fecero sempre più pesanti, curiose, desiderose di riscoprire la consistenza di quel muscoli. Le fece scorrere ancora, lentamente, sugli addominali, tastandone la consistenza dura, percependone i solchi profondi sotto le dita.
Kidd conosceva a memoria quel corpo, l’aveva toccato, sfiorato, morso, lambito un’infinità di volte. Eppure, ogni volta era come se fosse la prima, perché era sempre in grado di meravigliarsi di quanto il corpo di Law fosse dannatamente perfetto, in grado di eccitarlo fino all’inverosimile.
Alzò la testa, incontrando lo sguardo pregno di desiderio di Law, mentre un ghigno si era dipinto sulle sue labbra.
Trafalgar Law impazziva ogni volta che Kidd posava le proprie mani sul suo corpo. La maggior parte delle volte non era per niente delicato, e a Law piaceva da impazzire il modo irruento con cui Kidd lo prendeva. Era anche vero, però, che adorava quei rari momenti in cui il tocco di Kidd si faceva leggero e delicato, aumentando le sue aspettative e il suo desiderio.
Il rosso abbassò nuovamente la testa, afferrando Law per un fianco, spingendo il suo ventre contro le proprie labbra.
Baciò avidamente quella pelle ambrata, sfiorandola prima con le labbra per poi finire in baci sempre più lascivi che, dal ventre, percorsero ogni contorno di quei muscoli, giungendo fino a quel lembo di pelle appena sopra i jeans.
Indugiò per qualche istante ancora, gettando Law nella più totale impazienza. Avvertì le sue mani tatuate insinuarsi nei suoi capelli rossi, stringendoli senza fargli alcun male. Alzò leggermente lo sguardo, notando come il moro aveva gettato la testa all’indietro, ormai in balia del suo tocco sublime e delicato.
Continuò a baciare e leccare, mentre entrambe le mani, con gesti lenti, andarono a slacciare i jeans, ormai troppo stretti, per poi sfilarglieli insieme alla biancheria, liberando l’erezione di Law. Ma, prima di procedere, cingendogli il membro con le proprie labbra, Kidd si alzò in piedi, rivolgendo a Law l’ennesimo sguardo pieno di desiderio, notando nei suoi occhi grigi una leggera delusione.
«Ho bisogno di levarmeli anch’io, cosa credi?!» disse ghignando, alludendo al fatto che anche i suoi pantaloni iniziavano ad andargli troppo stretti.
E mentre cominciò a slacciarseli, Law avvicinò le proprie labbra al suo collo, lambendolo lascivo, dalla clavicola fino all’incavo dietro l’orecchio, avanzando sempre più di qualche passo, costringendo Kidd ad indietreggiare, finché entrambi non si ritrovarono sdraiati sul divano, pelle contro pelle, labbra contro labbra, mentre la pioggia continuava a schiantarsi sulle finestre. E i due sembravano non curarsene minimamente, infischiandosene di quel suono, perché quello che contava in quel momento era stare l’uno contro l’altro, mescolando i propri respiri affannati e i loro corpi caldi, mentre il salotto si riempiva di gemiti e ansiti.

Dopotutto, Kidd dovette ammettere che anche quelle giornate noiose e piovose avevano il loro lato positivo.

 
   
 
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