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Autore: sheeranshobbit    06/03/2015    2 recensioni
"Quello era il giorno. Me l'ero ripetuto mentre salutavo mia madre che mi faceva le ultime raccomandazioni. Me l'ero ripetuto mentre mio padre mi ricordava di chiamare come minimo tre volte al giorno perché altrimenti si sarebbero preoccupati. Me l'ero ripetuto mentre aprivo la porta di casa per l'ultima volta, lasciando le mie chiavi sul comò dell'ingresso, perché tanto non mi sarebbero servite per un po'. Me l'ero ripetuto mentre afferravo il manico delle mie due valigie, zaino in spalla e Canon al collo, e mi dirigevo verso il taxi bianco che mi avrebbe accompagnata, perché i miei genitori dovevano lavorare."
'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Unforgettable
So open your eyes and see
The way our horizons meet
And all of the lights will lead
Into the night with me
And I know these scars will bleed
As both of our hearts bleed
All of these stars will guide us home.
-Ed Sheeran, All of the stars.

 

Sono forte, lo posso fare.
Faccio un respiro profondo e fisso l'erba umida davanti a me.
–Quattro anni fa c'è stato un incidente. Un grave incidente. Era buio, pioveva a dirotto, talmente tanto che il muro d'acqua impediva di vedere la strada. Furono coinvolte due macchine, una andò fuori strada e sbatté contro ad un albero. Il conducente morì sul colpo– mi schiarisco la voce, che sta cominciando a tremare. Evito lo sguardo di Ed, ma so che è fisso su di me.
–Mia nonna era la conducente..– scuoto la testa mentre la vista comincia ad essere offuscata dalle lacrime. –Lei stava venendo da me. Ero sola in casa e non avevo nessuna voglia di cucinarmi la cena, così era corsa da me per farmi da mangiare. Una buona a nulla, una stupida bambina viziata, ecco cosa sono!– sbotto. La rabbia che provo nei miei confronti ripensando a quei momenti è infinita. Non riesco più a parlare, così mi copro il viso con le mani e scoppio in un pianto incontrollato. Sapevo che sarebbe successo. Rimango nella mia posizione finché due mani calde mi avvolgono in un abbraccio, in cui mi perdo molto volentieri. Mi aggrappo a Ed come se fosse la mia ancora di salvezza in un mare in tempesta. Lascio che il suo profumo mi riempia la mente e assaporo quella sensazione di protezione che la sua stretta riesce a regalarmi.
–E' tutta colpa mia, capisci?– riesco a dire, tra un singhiozzo e l'altro.
–Shh– si limita a dire il rosso, stringendomi un po' più forte mentre mi accarezza i capelli con la mano.
Rimaniamo in quella posizione, immobili e abbracciati, finché non riesco a calmarmi. Mi bruciano gli occhi e mi fa male la testa, in più comincio a sentire l'effetto della stanchezza e della Vodka. Decido comunque di continuare. Cerco di staccarmi dalla presa di Ed, ma lui non sembra voler lasciarmi andare, e a me non dispiace avere una spalla su cui piangere. Mi siedo più comoda di fianco a lui, appoggio la testa sulla sua spalla mentre lui giocherella con i cordoni della mia felpa.
–Non sono riuscita a superare lo shock della notizia. Mi sono chiusa in me stessa. Ho smesso di parlare, non mangiavo, non andavo a scuola.. Me ne stavo chiusa in camera mia, al buio. Non volevo vedere nessuno. Mi sentivo un mostro, come se tutte le colpe del mondo fossero ricadute su di me nel giro di pochi secondi. Non riuscivo a pensare ad altro, ma non piangevo. Era come se fossi lo spettatore della mia vita. Sentivo il dolore, ma non lo provavo davvero. Solo un senso di costante vuoto. Avevo deciso di lasciarmi andare– faccio un sospiro.
–Fu allora che i medici decisero che era arrivato il momento di ricoverarmi. Mi portarono in ospedale. Pesavo pochissimo, così mi costrinsero a mangiare e per un breve periodo sembrava che tutto si stesse sistemando. Poco dopo però, le cose ricominciarono ad andare da sole, a ruzzolare per il dirupo dimenticandosi di puntare i freni.  Così, in un soleggiato pomeriggio di Gennaio, mi portarono in un centro di recupero, dove ero seguita da psicologi esperti in traumi e cose del genere. Ti risparmio i dettagli– una pausa, respiro, chiudo gli occhi, li riapro, –quattro mesi dopo ero fuori. Fu difficile, molto difficile. Nessuno mi aveva mai dato la colpa di nulla, il mio unico nemico ero io– guardo Ed. –Il dolore non può essere cancellato, ma può essere vissuto.
Cala il silenzio. Negli occhi di Ed leggo l'insicurezza più totale, la paura di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
–Io non..– sussurra.
Annuisco.
Il rosso si limita ad abbracciarmi, mentre ci stendiamo sulla coperta e ricominciamo a guardare le stelle.
–Sai che giorno è oggi?– mi chiede, dopo un po’.
–Uhm.. 8 Luglio?
–Il 7– mi guarda e sorride. –Sai cosa succede il sette Luglio?
Scuoto la testa, mentre mi accoccolo un po’ di più sulla sua spalla.
–Anticamente, sulle sponde della via Lattea, viveva il sovrano di tutti gli dei e imperatore del Cielo, la cui figlia, Vega, passava le giornate a tessere e cucire stoffe e vestiti per le divinità. Lavorava talmente tanto che non aveva neppure il tempo di pensare a se stessa e ai propri interessi. Giunta all’età adulta però, il padre mosso da pietà, poiché alla figlia non era mai stato concesso altro che lavorare il fuso, le scelse un marito: era un giovane mandriano, di nome Altair, la cui attività consisteva nel far pascolare buoi e fare attraversare loro le sponde del Fiume Celeste. Anche lui era un grande lavoratore e non pensava ad altro che a svolgere il suo lavoro.
Essendo un matrimonio combinato, i due si conobbero solo il giorno delle nozze, ma immediatamente si innamorarono follemente l’uno dell’altra.
Furono talmente presi dal loro amore che dimenticarono completamente i loro doveri e il loro lavoro. La loro unica ragione di vita sembrava essere diventata l’amore e la passione. Così la mandria di buoi finì per essere abbandonata a se stessa e agli dei cominciarono a mancare gli abiti fino ad ora confezionati. Il sovrano decise quindi di punirli: i due avrebbero dovuto vivere le loro vite separatamente. Per evitare che si potessero incontrare, l’Imperatore del Cielo creò due sponde separate dal fiume Via Lattea, che fu reso impetuoso e privo di ponti.
Il risultato non fu però quello sperato: il mandriano non faceva altro che sognare la sua amata e continuava a non seguire i suoi animali. La fanciulla pensava solo al suo amore, trascurando gli abiti per gli dei. Il sovrano allora, disperato e mosso da pietà,  promise alla coppia di dargli il permesso di vedersi una volta all’anno, a patto che ricominciassero ad occuparsi dei loro incarichi. A queste parole, i due giovani innamorati, animati dalla speranza di potersi di nuovo incontrare, anche solo per una notte all’anno, ripresero a lavorare.
Da quel momento in poi, dopo un anno di lavoro e fatica, ogni 7 Luglio, Vega e Altair attraversano il Fiume Celeste e si incontrano nel cielo stellato- Ed punta un dito verso l’alto e indica due punti luminosi, uno di fianco all’altro.
–E’ molto bella– guardo gli occhi del rosso, che brillano sotto la luce soffusa della luna.
–Me la raccontava mia madre– e a quelle parole noto una leggera inclinazione nella sua voce.
–Va tutto bene?
Ed mi guarda, accenna un sorriso, poi torna a guardare verso il cielo.
 
–Sei ancora sveglia?
–Mhmh..– mugugno, in uno stato non ben definito tra il sonno e la veglia.
–Hai la Canon?
–Cosa?– stringo gli occhi e mi alzo a sedere. Non vorrà..
–La Canon, ce l'hai? Facciamo una foto.
Lo guardo confusa.
–Ora?
–Ora!
–No no, neanche per sogno. Sono struccata, ho le occhiaie e siamo mezzi ubriachi e..
–Cat, tira fuori la Canon.
Serro le labbra e lo guardo, ma sembra molto convinto, così cedo e mi allungo per prendere la custodia della macchina.
–E' buio, verranno uno schifo– borbotto. Imposto l'autoscatto poi mi giro verso di lui, che si è sdraiato a pancia in giù sulla coperta.
–Se la metti qui veniamo bene?– chiede.
Annuisco, mentre appoggio la macchina sullo zaino e cerco di farla stare il più dritta possibile, poi accendo il display e premo il pulsante di scatto. La lucina arancione comincia a lampeggiare.
–Ahh– mi lascio scappare un urletto non ben motivato mentre saltello verso Ed, che mi sta dicendo non troppo gentilmente di muovermi.
–Ci sono, ci sono– rido, e mi lancio su di lui senza tanti complimenti. Lui si lamenta ma lo zittisco subito, mentre inforco il mio sorriso migliore, un po' ubriaco e sbilenco, e mi abbasso per attorcigliargli le mani sotto al collo.
Bip.
Bip.
Click.
 **
 
 Un dolore lancinante alla testa mi sveglia. Apro gli occhi, ma la luce accecante che proviene dalle finestre mi costringe a richiuderli. Ogni singola fibra del mio essere è indolenzita, ma cerco comunque di puntarmi sui gomiti per tirarmi su. In quel momento un mugugno sommesso attira la mia attenzione e mi ritrovo a rotolare in terra senza neanche avere il tempo di rendermi conto di chi o cosa fosse sotto di me.
–Ahia!– sbotto.
–Mi hai perforato la gabbia toracica con il tuo gomito– il rosso sbatte gli occhi e cerca di mettermi a fuoco. E' spettinato fino all'inverosimile e mi rendo conto solo ora che la sua maglietta giace dispersa in un angolo insieme.. –rabbrividisco– insieme alla mia.
No aspetta, no aspetta..
Lo guardo terrorizzata, poi mi alzo in piedi di scatto, procurandomi un'altra simpatica fitta alla testa, che mi costringe a chiudere gli occhi e rimanere immobile per qualche secondo. Ed intanto si è messo a sedere e si massaggia le tempie.
–Perché non hai la maglietta? E io?! Perché non siamo al parco? Cos'è successo? Dov'è Lynch? Cosa..– mi arriva un cuscino in faccia e la mia raffica di domande viene interrotta.
–Ti prego, ti prego stai zitta– brontola lui. Ce l'ha con me? Perché ce l'ha con me? Oh no, no, no, no..
–Vado a farmi una doccia.
–Ma..
Mi zittisce con uno sguardo, poi si avvia su per le scale con passo ciondolante e sparisce in bagno, lasciandomi sola con i miei interrogativi.
Mi butto all'indietro sul divano e appoggio un braccio sugli occhi per cercare di alleviare il bruciore dovuto alla luce. Che ore saranno?
Ok, cerca di concentrarti Cat. L'ultima cosa che ricordi qual è? Eravamo al parco, io ho raccontato quello che dovevo raccontare, poi Ed ha suonato di nuovo.. Poi..poi.. I ricordi cominciano a diventare un po' più frammentari mentre visualizzo un'immagine distorta di me stessa che trangugio qualche sorso dalla bottiglia di Vodka. La vodka, ma certo! La bottiglia è appoggiata sul tavolino, completamente vuota. Quel ragazzo farà meglio a muoversi, ho bisogno di risposte.
In quel momento un colpo alla porta d'ingresso mi fa sobbalzare. Mi lamento, mentre lentamente mi alzo dal divano e mi avvicino per guardare dallo spioncino. Metto a fuoco una figura in piedi sulla soglia: jeans scuri, maglia a mezze maniche, RayBan neri. Vorrei sbagliarmi..
Apro la porta di scatto.
Un tuffo al cuore.
–Walt!

Salve gente! Mi sono impegnata un sacco per aggiornare il prima possibile e spero veramente che questo capitolo vi piaccia come a me è piaciuto scriverlo :)
Dunque, innanzitutto vorrei dire che la leggenda delle stelle non l'ho inventata io, ma l'ho trovata un paio di anni fa mentre facevo una ricerca sul giappone (infatti è una leggenda giapponese), l'altro giorno rovistavo tra gli scatoloni del garage e l'ho ritrovata, così ho pensato "perchè no?" ed eccola qui. 
Poi. tadaaaan, ben ben due colpi di scena. Prima Cat che rifiuta il bacio di Ed, e poi Walt che si presenta a casa di Lynch. Il momento è critico, perchè Cat non si ricorda minimamente di come si sia conclusa la serata. In più abbiamo scoperto più cose sul passato di Cat. Cosa ne pensate? Vi lascio col dubbio e con la promessa di aggiornare al più presto. 
Grazie mille a tutte le persone che hanno recensito i capitoli precedenti, non so come farei senza di voi! 
Un bacio, Annie :)
  
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