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Autore: Futeki    06/03/2015    0 recensioni
Mentre l’inverno volge al termine nella città di San Pietroburgo, Vera Volkov rimane coinvolta in un incidente con la sua auto, rischiando la vita. Tuttavia, qualcuno dall'esterno si accorge che forse non era ancora arrivata la sua ora e decide di fare in modo che lei possa vivere ancora, ritornando alla sua vita piena e complicata, fatta di amori impossibili, situazioni familiari complicate e una buona dose di soprannaturale.
[Storia nominata agli Oscar EFPiani 2016 nella categoria "Migliore attrice non protagonista" (voce narrante)]
[Quarta classificata al contest “Le notti bianche di San Pietroburgo” indetto da Primavere rouge sul forum di EFP e vincitrice dei premi "Best place: Miglior ambientazione" e "Best Tear: Storia più commovente" nel contest “Tragic and Epic Love” indetto da Jo_gio17 sullo stesso forum.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le città dei maledetti'
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CAPITOLO QUATTRO

 

 

Un mietitore sa sempre quando qualcuno sta per morire nella sua città. Un istante prima che la vita abbandoni un corpo, quando ormai è troppo tardi per salvare la persona in questione, quelli come me sentono che un’altra anima sta per raggiungere il limbo e deve essere traghettata dall’altra parte. I mietitori, sospesi eternamente tra la vita e la morte, non fanno altro che tenerle in costante collegamento, in modo che si completino l’un l’altra. È l’esistenza della morte a dare valore alla vita. Senza quelli come me, al servizio di un equilibrio più antico del tempo, la vita e la morte non avrebbero alcun senso.

Eppure, dopo aver passato tanto tempo con Vera Volkov, dopo aver seguito i vivi nelle loro vicende, ben più profonde di quei pochi attimi prima della loro morte che ero solita osservare, avevo sviluppato un nuovo istinto, una capacità quasi soprannaturale di percepire non solo una morte imminente, ma anche il profondo segno che quest’ultima avrebbe lasciato sui vivi.

I meccanismi naturali che governano la vita sono molto più profondi e complessi della placida tranquillità della morte. Eppure, quell’impeto e quella forza necessari a concentrare nel breve spazio di una vita tutto ciò che un essere umano è in grado di fare e provare, animavano i vivi in un modo che quasi invidiavo.

Quella notte, Alexander Park aveva l'aspetto di un cimitero deserto. Col favore delle tenebre, l'inverno tornava a esercitare il suo dominio su San Pietroburgo, rafforzando le lastre di ghiaccio sul terreno freddo e profumando l'aria di nevischio.

Liev passeggiava tra gli alberi spogli con aria inquieta, calpestando le poche foglie secche rimaste a terra. Suo padre, dietro di lui, attendeva impassibile, circondato da una quindicina di uomini e donne, tutti lupi mannari.

Quando Vera arrivò, insieme al suo branco, Liev sgranò gli occhi rivelando la sua sorpresa, mista a un'angosciante paura. Lei gli rivolse un debolissimo sorriso, cercando di mostrarsi più fiduciosa di quanto fosse in realtà.

I due alfa, Volkov e Sidorov, si scambiarono un'occhiata truce.

Il padre di Vera sembrava furioso, quello di Liev infastidito. Nessuno dei due, però, pareva sorpreso dall'accoglienza ricevuta.

«Che cosa ci fai qui?», chiese Sidorov con un sorriso beffardo sul volto.

«Potrei farti la stessa domanda», ribatté Volkov.

Un vento impetuoso si levò sul parco, raccogliendo le foglie secche da terra e facendole turbinare in circolo nello spazio tra i due branchi.

«Avrebbe dovuto essere la prova di mio figlio», replicò Sidorov. «Avrebbe dimostrato al branco di essere un degno alfa», concluse indicando con un ampio gesto del braccio tutte le persone intorno a lui.

«Lo stesso vale per mia figlia», disse Volkov mettendo una mano sulla spalla di Vera.

La ragazza guardò Liev impassibile. Lui ricambiò il suo sguardo, come se volesse comunicarle qualcosa con gli occhi.

«Suppongo allora che dovremo farci da parte», suggerì il padre di Liev. «Se entrambi vogliono la stessa cosa, lasciamo che lottino per ottenerla.»

Volkov guardò il suo nemico di sempre e parve riflettere sulla sua proposta. Ovviamente, il piano originario era quello di trovarsi in una situazione di vantaggio, in modo che se Vera fosse stata in difficoltà, avrebbe potuto contare sull’aiuto del suo branco. Lo stesso Liev, di fronte a un branco intero, anziché affrontarla direttamente, avrebbe cercato semplicemente di sopravvivere all’agguato e scappare. Sidorov doveva aver fatto lo stesso ragionamento per quanto riguardava suo figlio, ma trovandosi in quella situazione, proporre uno scontro diretto tra i due ragazzi, alla presenza di entrambi in branchi, significava lasciare che i due combattessero ad armi pari fino alla morte. Evidentemente, era fiducioso che suo figlio sarebbe riuscito a battere Vera. Lei, però, era tutt’altro che debole e lo sguardo esitante di Liev contribuì a far sì che Volkov accettasse la proposta.

«E sia», dichiarò. «Non ci saranno interferenze da parte dei branchi, né ripercussioni dovute all’esito dell’incontro.»

«Concordo assolutamente», disse l’altro.

Nessuno dei due era andato in quel parco con l’idea di dover combattere una guerra aperta.

Io, allo stesso modo, non mi aspettavo di dover traghettare dall’altra parte un gran numero di anime, come invece era successo in altri momenti, in occasione di scontri o battaglie.

«Papà», sussurrò Vera. «Io invece credo che dovremmo cercare un’altra soluzione.»

«Non c’è niente da risolvere», dichiarò lui. «Volevi la tua prova e adesso l’avrai. Dimostra quanto vali e rendimi orgoglioso di te.»

Dal suo sguardo, intuii che Vera capì solo in quel momento che Liev aveva ragione riguardo ai loro padri. Neanche il rischio che Vera perdesse quello scontro rimanendo uccisa era un valido motivo per cercare un compromesso con il branco di Liev.

Vera lanciò un’occhiata alle sue spalle in direzione di Isey, che si teneva a qualche passo di distanza da lei e suo padre insieme al resto del branco. Nei suoi occhi, vide soltanto la disperazione di chi riconosce che non c’è altra via d’uscita se non quella di lottare. Lei gli sorrise, poi si voltò di nuovo verso Liev e senza degnare di uno sguardo suo padre, si mosse in direzione della zona libera che si era formata tra i due branchi.

Liev, dall’altra parte, rimase immobile qualche istante. Poi suo padre gli diede una pacca sulla spalla e lo spinse verso di lei. Lui si costrinse a muovere le gambe. Le si avvicinò al punto da poterle parlare sottovoce senza che le loro famiglie li ascoltassero.

«Perché sei venuta?», le chiese. Nei suoi occhi mi pareva di aver letto una scintilla di rabbia, immediatamente offuscata dalla disperazione nella sua voce.

«Mi dispiace», rispose lei semplicemente. «Credevo di poter gestire la situazione, ma mi sbagliavo.»

«Non c’è via d’uscita», commentò Liev in tono piatto. Sembrava distrutto.

«Certo che c’è», disse Vera piano. «Combattiamo. Almeno in questo modo uno di noi due diventerà un alfa e potrà fare in modo che cose di questo genere non si ripetano mai più.»

«Sappiamo entrambi come finirebbe, amore mio», replicò lui con dolcezza. Era la prima volta che lo sentivo chiamarla così.

«Certo», disse lei. «Tu sei più bravo di me. Sei sempre stato più bravo di me in tutto e io sono convinta che sarai un alfa eccezionale. Ho fiducia in te.»

«Non deve essere per forza così», disse lui. «Potresti vincere tu.»

«Mio padre non ti ha mai visto trasformarti, per questo crede che io possa farcela, ma si sbaglia. Non appena vedranno quanto sei più forte di me, sarà chiaro a tutti l’esito della battaglia. E se le cose non dovessero andare come si aspettano, nascerebbero dubbi che nel migliore dei casi metterebbero in discussione il tuo diritto a diventare alfa e nel peggiore scatenerebbero una guerra», rispose lei. «Io non ho paura, Liev. Ti prego, non averne neanche tu.»

Lei gli sfiorò un braccio in un movimento abbastanza rapido da non essere visto, poi indietreggiò di qualche passo. Probabilmente avrebbe almeno voluto baciarlo, prima di iniziare quello scontro, ma non poteva permetterselo.

Così, quando gli fu sufficientemente lontana, gli sorrise e iniziò a trasformarsi.

I suoi occhi gialli brillarono nel buio e la pelle le si ricoprì di un candido pelo bianco, proprio mentre cadeva a quattro zampe. La ragazza-lupo ululò alla luna, ma più che un ululato di sfida, il suo sembrava un pianto disperato.

Liev la imitò e si trasformò, senza mai staccare gli occhi arancioni dalla sua amata. Nell’esatto istante in cui il branco di Vera vide l’enorme lupo grigio in cui si era trasformato, un mormorio si levò nel parco. Lo stesso Volkov s’irrigidì.

Liev ululò insieme a Vera, gridando la sua disperazione al vento di Alexander Park.

Tutto, nella città, parve tremare. La terra sembrò raggelarsi, il vento accanirsi sugli alberi. Mi domandai se sarei stata in grado di percepire tutto quel dolore se mi fossi trovata altrove, se non avessi seguito la storia di quei due ragazzi.

Alla fine, quando a entrambi sembrò mancare la forza di ululare ancora, si fissarono come avrebbe fatto qualsiasi altra coppia di predatori nemici e iniziarono a muoversi in circolo.

Vera fece un paio di finte e poi si lanciò su Liev a denti scoperti. Lui scartò agilmente di lato, poi cercò di colpirla a un fianco, ma lei fu abbastanza veloce da evitarlo. Si allontanarono di qualche metro l’uno dall’altra e ripresero a studiarsi, limitandosi a qualche finta. La loro danza durò parecchi minuti, ma nessuno dei due branchi mostrò segni di impazienza. Liev e Vera, al contrario, sembravano entrare sempre di più nell’ottica dei predatori, al punto che Vera riuscì a ferire Liev al fianco con un morso. Lui guaì e se la scrollò di dosso, poi si voltò verso di lei e la attaccò. Vera schivò il primo assalto, ma al secondo tentativo, Liev le addentò in pieno una spalla.

Vera cadde di schiena a terra e ritornò umana, nuda e tremante, coperta del suo stesso sangue.

Liev le si avvicinò, come se volesse proteggerla dal vento con il suo corpo caldo. Lo sentii guaire mentre leccava la ferita che aveva provocato a Vera. Il suo sangue macchiava di rosso la neve candida, proprio mentre alcuni fiocchi ricominciavano a scendere, segno che l’inverno, a San Pietroburgo, non si era ancora arreso.

«Liev», disse Vera ansimando per il dolore e per il freddo. «È ora.»

Liev mugolò in protesta e riprese a leccarle la ferita.

Vera sollevò il braccio sano da terra e gli prese delicatamente il muso, avvicinandolo al suo viso per costringerlo a guardarlo negli occhi.

«Se non mi uccidi tu», disse, «sarà qualcun altro del mio branco a farlo. O qualcuno del tuo. Se non lo fai, le nostre vite saranno comunque costantemente in pericolo e non avremo mai la possibilità di cambiare le cose.»

Liev le sfiorò una guancia con il naso umido e lei sorrise tra un brivido e l’altro. Poi gli diede un bacio leggero e lasciò cadere il braccio nella neve. Chiuse gli occhi, aspettando il momento in cui tutto sarebbe finito.

Liev lanciò un ultimo ululato carico di disperazione. Poi la azzannò al collo.

   
 
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