CAPITOLO
QUATTRO
Un mietitore sa sempre
quando qualcuno sta per morire nella sua città. Un istante prima che la vita
abbandoni un corpo, quando ormai è troppo tardi per salvare la persona in
questione, quelli come me sentono che un’altra anima sta per raggiungere il
limbo e deve essere traghettata dall’altra parte. I mietitori, sospesi
eternamente tra la vita e la morte, non fanno altro che tenerle in costante
collegamento, in modo che si completino l’un l’altra. È l’esistenza della morte
a dare valore alla vita. Senza quelli come me, al servizio di un equilibrio più
antico del tempo, la vita e la morte non avrebbero alcun senso.
Eppure, dopo aver
passato tanto tempo con Vera Volkov, dopo aver seguito i vivi nelle loro
vicende, ben più profonde di quei pochi attimi prima della loro morte che ero
solita osservare, avevo sviluppato un nuovo istinto, una capacità quasi
soprannaturale di percepire non solo una morte imminente, ma anche il profondo
segno che quest’ultima avrebbe lasciato sui vivi.
I meccanismi naturali
che governano la vita sono molto più profondi e complessi della placida
tranquillità della morte. Eppure, quell’impeto e quella forza necessari a
concentrare nel breve spazio di una vita tutto ciò che un essere umano è in
grado di fare e provare, animavano i vivi in un modo che quasi invidiavo.
Quella notte, Alexander
Park aveva l'aspetto di un cimitero deserto. Col favore delle tenebre,
l'inverno tornava a esercitare il suo dominio su San Pietroburgo, rafforzando
le lastre di ghiaccio sul terreno freddo e profumando l'aria di nevischio.
Liev passeggiava tra
gli alberi spogli con aria inquieta, calpestando le poche foglie secche rimaste
a terra. Suo padre, dietro di lui, attendeva impassibile, circondato da una
quindicina di uomini e donne, tutti lupi mannari.
Quando Vera arrivò,
insieme al suo branco, Liev sgranò gli occhi rivelando la sua sorpresa, mista a
un'angosciante paura. Lei gli rivolse un debolissimo sorriso, cercando di
mostrarsi più fiduciosa di quanto fosse in realtà.
I due alfa, Volkov e
Sidorov, si scambiarono un'occhiata truce.
Il padre di Vera
sembrava furioso, quello di Liev infastidito. Nessuno dei due, però, pareva
sorpreso dall'accoglienza ricevuta.
«Che cosa ci fai qui?»,
chiese Sidorov con un sorriso beffardo sul volto.
«Potrei farti la stessa
domanda», ribatté Volkov.
Un vento impetuoso si
levò sul parco, raccogliendo le foglie secche da terra e facendole turbinare in
circolo nello spazio tra i due branchi.
«Avrebbe dovuto essere
la prova di mio figlio», replicò Sidorov. «Avrebbe dimostrato al branco di
essere un degno alfa», concluse indicando con un ampio gesto del braccio tutte
le persone intorno a lui.
«Lo stesso vale per mia
figlia», disse Volkov mettendo una mano sulla spalla di Vera.
La ragazza guardò Liev
impassibile. Lui ricambiò il suo sguardo, come se volesse comunicarle qualcosa
con gli occhi.
«Suppongo allora che
dovremo farci da parte», suggerì il padre di Liev. «Se entrambi vogliono la
stessa cosa, lasciamo che lottino per ottenerla.»
Volkov guardò il suo
nemico di sempre e parve riflettere sulla sua proposta. Ovviamente, il piano
originario era quello di trovarsi in una situazione di vantaggio, in modo che
se Vera fosse stata in difficoltà, avrebbe potuto contare sull’aiuto del suo
branco. Lo stesso Liev, di fronte a un branco intero, anziché affrontarla
direttamente, avrebbe cercato semplicemente di sopravvivere all’agguato e
scappare. Sidorov doveva aver fatto lo stesso ragionamento per quanto
riguardava suo figlio, ma trovandosi in quella situazione, proporre uno scontro
diretto tra i due ragazzi, alla presenza di entrambi in branchi, significava
lasciare che i due combattessero ad armi pari fino alla morte. Evidentemente,
era fiducioso che suo figlio sarebbe riuscito a battere Vera. Lei, però, era
tutt’altro che debole e lo sguardo esitante di Liev contribuì a far sì che
Volkov accettasse la proposta.
«E sia», dichiarò. «Non
ci saranno interferenze da parte dei branchi, né ripercussioni dovute all’esito
dell’incontro.»
«Concordo
assolutamente», disse l’altro.
Nessuno dei due era
andato in quel parco con l’idea di dover combattere una guerra aperta.
Io, allo stesso modo,
non mi aspettavo di dover traghettare dall’altra parte un gran numero di anime,
come invece era successo in altri momenti, in occasione di scontri o battaglie.
«Papà», sussurrò Vera.
«Io invece credo che dovremmo cercare un’altra soluzione.»
«Non c’è niente da
risolvere», dichiarò lui. «Volevi la tua prova e adesso l’avrai. Dimostra
quanto vali e rendimi orgoglioso di te.»
Dal suo sguardo, intuii
che Vera capì solo in quel momento che Liev aveva ragione riguardo ai loro
padri. Neanche il rischio che Vera perdesse quello scontro rimanendo uccisa era
un valido motivo per cercare un compromesso con il branco di Liev.
Vera lanciò un’occhiata
alle sue spalle in direzione di Isey, che si teneva a qualche passo di distanza
da lei e suo padre insieme al resto del branco. Nei suoi occhi, vide soltanto
la disperazione di chi riconosce che non c’è altra via d’uscita se non quella
di lottare. Lei gli sorrise, poi si voltò di nuovo verso Liev e senza degnare
di uno sguardo suo padre, si mosse in direzione della zona libera che si era
formata tra i due branchi.
Liev, dall’altra parte,
rimase immobile qualche istante. Poi suo padre gli diede una pacca sulla spalla
e lo spinse verso di lei. Lui si costrinse a muovere le gambe. Le si avvicinò
al punto da poterle parlare sottovoce senza che le loro famiglie li
ascoltassero.
«Perché sei venuta?»,
le chiese. Nei suoi occhi mi pareva di aver letto una scintilla di rabbia, immediatamente
offuscata dalla disperazione nella sua voce.
«Mi dispiace», rispose
lei semplicemente. «Credevo di poter gestire la situazione, ma mi sbagliavo.»
«Non c’è via d’uscita»,
commentò Liev in tono piatto. Sembrava distrutto.
«Certo che c’è», disse
Vera piano. «Combattiamo. Almeno in questo modo uno di noi due diventerà un alfa
e potrà fare in modo che cose di questo genere non si ripetano mai più.»
«Sappiamo entrambi come
finirebbe, amore mio», replicò lui con dolcezza. Era la prima volta che lo sentivo
chiamarla così.
«Certo», disse lei. «Tu
sei più bravo di me. Sei sempre stato più bravo di me in tutto e io sono
convinta che sarai un alfa eccezionale. Ho fiducia in te.»
«Non deve essere per
forza così», disse lui. «Potresti vincere tu.»
«Mio padre non ti ha
mai visto trasformarti, per questo crede che io possa farcela, ma si sbaglia.
Non appena vedranno quanto sei più forte di me, sarà chiaro a tutti l’esito
della battaglia. E se le cose non dovessero andare come si aspettano,
nascerebbero dubbi che nel migliore dei casi metterebbero in discussione il tuo
diritto a diventare alfa e nel peggiore scatenerebbero una guerra», rispose
lei. «Io non ho paura, Liev. Ti prego, non averne neanche tu.»
Lei gli sfiorò un
braccio in un movimento abbastanza rapido da non essere visto, poi indietreggiò
di qualche passo. Probabilmente avrebbe almeno voluto baciarlo, prima di
iniziare quello scontro, ma non poteva permetterselo.
Così, quando gli fu
sufficientemente lontana, gli sorrise e iniziò a trasformarsi.
I suoi occhi gialli brillarono
nel buio e la pelle le si ricoprì di un candido pelo bianco, proprio mentre
cadeva a quattro zampe. La ragazza-lupo ululò alla luna, ma più che un ululato
di sfida, il suo sembrava un pianto disperato.
Liev la imitò e si
trasformò, senza mai staccare gli occhi arancioni dalla sua amata. Nell’esatto
istante in cui il branco di Vera vide l’enorme lupo grigio in cui si era
trasformato, un mormorio si levò nel parco. Lo stesso Volkov s’irrigidì.
Liev ululò insieme a
Vera, gridando la sua disperazione al vento di Alexander Park.
Tutto, nella città,
parve tremare. La terra sembrò raggelarsi, il vento accanirsi sugli alberi. Mi
domandai se sarei stata in grado di percepire tutto quel dolore se mi fossi
trovata altrove, se non avessi seguito la storia di quei due ragazzi.
Alla fine, quando a
entrambi sembrò mancare la forza di ululare ancora, si fissarono come avrebbe
fatto qualsiasi altra coppia di predatori nemici e iniziarono a muoversi in
circolo.
Vera fece un paio di
finte e poi si lanciò su Liev a denti scoperti. Lui scartò agilmente di lato,
poi cercò di colpirla a un fianco, ma lei fu abbastanza veloce da evitarlo. Si
allontanarono di qualche metro l’uno dall’altra e ripresero a studiarsi,
limitandosi a qualche finta. La loro danza durò parecchi minuti, ma nessuno dei
due branchi mostrò segni di impazienza. Liev e Vera, al contrario, sembravano
entrare sempre di più nell’ottica dei predatori, al punto che Vera riuscì a
ferire Liev al fianco con un morso. Lui guaì e se la scrollò di dosso, poi si
voltò verso di lei e la attaccò. Vera schivò il primo assalto, ma al secondo
tentativo, Liev le addentò in pieno una spalla.
Vera cadde di schiena a
terra e ritornò umana, nuda e tremante, coperta del suo stesso sangue.
Liev le si avvicinò,
come se volesse proteggerla dal vento con il suo corpo caldo. Lo sentii guaire
mentre leccava la ferita che aveva provocato a Vera. Il suo sangue macchiava di
rosso la neve candida, proprio mentre alcuni fiocchi ricominciavano a scendere,
segno che l’inverno, a San Pietroburgo, non si era ancora arreso.
«Liev», disse Vera
ansimando per il dolore e per il freddo. «È ora.»
Liev mugolò in protesta
e riprese a leccarle la ferita.
Vera sollevò il braccio
sano da terra e gli prese delicatamente il muso, avvicinandolo al suo viso per
costringerlo a guardarlo negli occhi.
«Se non mi uccidi tu»,
disse, «sarà qualcun altro del mio branco a farlo. O qualcuno del tuo. Se non
lo fai, le nostre vite saranno comunque costantemente in pericolo e non avremo
mai la possibilità di cambiare le cose.»
Liev le sfiorò una
guancia con il naso umido e lei sorrise tra un brivido e l’altro. Poi gli diede
un bacio leggero e lasciò cadere il braccio nella neve. Chiuse gli occhi,
aspettando il momento in cui tutto sarebbe finito.
Liev lanciò un ultimo
ululato carico di disperazione. Poi la azzannò al collo.