~~Era felicità quella che provavo. La sentivo dentro di me, pervadere ogni tendine, ogni nervo, scavare a fondo nella dinamica del mio organismo: si faceva strada nelle arterie e penetrava nel muscolo cardiaco fino a farlo saltare, gioioso e leggero in una danza battente. E tu eri lì, con me, e mi guardavi con quei tuoi occhi immensi e pieni di meraviglia. Sentivo il tuo corpo sudato a contatto con il mio, scosso dalla fatica, mentre alzavi la testa e in un sussurro ansante -sono di nuovo arrivato primo- mi dicevi, con una punta d’orgoglio ad illuminarti il viso e il sudore che gocciolava sulle tempie. Morivo di invidia e delusione quando, ogni volta, mi superavi proprio alla fine, distruggendo ogni mia certezza di vittoria, ma ti ammiravo per questa tua imbattibilità ed ero fiero di poter dire –E’ il mio migliore amico-.
Ma la potenzialità la spontaneità di quei momenti, è scivolata via, risucchiata nella banalità di un rapporto fermo, che rotola rovinosamente sempre più in basso, mossa dalla forza accidiosa dell’inerzia. E sento una distanza, un divertirsi forzato, un silenzio maldestramente mascherato che cozza con quel gigantesco sorriso che ti costringi a fare. Siamo in una gabbia dolorosa, costretti in un immenso baratro dal quale non abbiamo il coraggio di uscire. Perché è sempre stato così, io e te, un noi che era un rifugio ed è diventato un assurdo labirinto di falsità celata, di un'ipocrisia non nostra che pesa sulle menti stanche, provate dallo sforzo di mantenere un fiore appassito.
Non abbiamo la forza di abbandonarci, sarà il tempo, se vorrà, a deviare i nostri percorsi su due linee differenti.