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Autore: Christa Mason    07/03/2015    3 recensioni
Julian Casablancas è uno studente del Le Rosey e fa tremendamente freddo quando incontra Gil.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Poche cose veloci. Grazie per le recensioni, non pensate che passino inosservate... anzi. Ricambierò leggendo le vostre storie il prima possibile, ogni recensione verrà ricambiata perchè meritate il mio tempo. Grazie mille!   

  Sarebbe troppo facile dire che è Julian Casablancas ad intimidirmi, perchè non è questo: è il fatto che non mi riconosca, il fatto che mi sia sfuggito senza notare il mio sguardo, scii in spalla e una sigaretta in bocca, ho paura che mi osservi interrogativo Io e te non ci siamo già visti da qualche parte? non ricordando neanche il mio volto, mentre io ricorderò per sempre il suo, con quello di Alex Watts, disperato alla cabina telefonica, e quello di Gary Simmons, violaceo steso sulla spiaggia innevata. Mi avvicino cauta al tavolo, aspettando che mi dicano cosa vogliono. 
  “Tre, quattro, no cinque caffè americani, grazie” dice uno di loro. 
  “… e portate una bottiglia della vostra migliore sambuca!” dice Casablancas sbattendo la mano sul tavolo, con fare capriccioso da grand attore. Non mi neanche ha guardata. 
  “Non serviamo alcolici a quest’ora.” dico io. 
  “Avanti, solo per correggere i caffè…” dice lui disinvolto ridendo con gli altri. Si volta e mi vede, mi vede per la prima volta. Il suo sorriso si smorza appena per poi rinnovarsi quando finalmente mi riconosce. “Gillian!” urla davanti ai suoi amici, i ragazzi ricchi di Le Rosey che un attimo prima pendevano dalle sua labbra. Sussulto appena. Indossa una giacca di pelle, consumata e troppo stretta. Sembra non aver dormito un gran che perchè ha delle occhiaie scavate, una pessima cera, e sembra più agitato di quanto lo era la sera prima, lo immaginavo a bere un caffè dopo l’altro per mantenersi sveglio. “Gillian…” mi chiama di nuovo col mio nome completo, s’alza dal tavolo, con fare da galantuomo prende la mia mano “… è una ragazza di qui che mi ha eroicamente aiutato a tirar fuori Gary dal ghiaccio…” 
  “Sono Gil, nessuno mi chiama Gillian.” cerco di dire.
  “… e che ha un vero problema con l’alcol.” conclude Julian. Nessuno sa davvero cosa voglia dire, ma ridono tutti ugualmente. Perchè questo Julian Casablancas è così, fa ridere, semplicemente. Immagino che quando dice un problema con l’alcol si riferisca al fatto che m’ero preoccupata che ci facessero un test per capire se avessimo bevuto, la sera appena passata. Non lascia la mia mano. 
  “Non ho nessun problema con l’alcol.”
  “Allora portaci la sambuca.” mi sorride, spavaldo e stupido. Lascio la sua mano irritata. Mi prendeva in giro, lui che faceva della brutta storia di Gary solo un bell’aneddoto, una storiella per intrattenere i suoi amici davanti a un caffè, e ora mi trattava non diversamente da come ci si aspetterebbe che qualsiasi ragazzino viziato possa trattare una cameriera, ed io sono solo una cameriera. 
  “Vi porto i caffè.” faccio per andarmene.
  “Gary s’è svegliato, sai.”
  “Mi fa piacere.” esito.
  “Puoi venire a trovarlo, con me.”
  Sento lo sguardo degli altri su di noi, è come una dimostrazione che Casablancas non ha nessuna intenzione di fallire. Ma cosa dovrei rispondere? No Julian, non vengo a trovare il tuo amico che alla fine non è morto, in ospedale, con te. Immagino la mia visita in ospedale, Gary che mi guarda scrutandomi non potendo neanche sapere chi sono. 
  “Non lo conosco neanche Gary, e lui non conosce me.”
  “Possiamo andare da un’altra parte, insieme?” gli altri ridono, ma lui è serio. 
  “Non conosco neanche te.” la mia voce non è sprezzante, ma sincera, perplessa. Sono fuori luogo, devo sembrare una vera stupida agli occhi dei ragazzi del tavolo Dodici. 
  “Gil…” mi dice infine. S’inchina ai miei piedi, attira l’attenzione anche degli altri clienti del ristorante, una coppia sta per entrare e si ferma sulla soglia a guardare. Tutti ci guardano, anche la direttrice di sala con gli occhiali anni Sessanta. Che prova da grande attore, idiota. “Vorresti cortesemente accettare il mio invito, uscire con me per una birra? Dimmi a che ora finisci.”
  Silenzio.
  “Alle sei.” cedo senza neanche rendermene conto.
  “E allora portaci cinque caffè americani e una bottiglia di sambuca, Gil. Ci vediamo alle sei.” 
  Rimasi immobile, i commenti di tutti, partì addirittura un cenno di un applausi. I ragazzi del tavolo Dodici riaccolsero Julian tra di loro con fare camerata. Fantastico Julian, nessuna ti resiste. Ma perchè questa cameriera, puoi fare di meglio, molto meglio. 
  Lascio l’ordinazione al bar, torno a fare il giro dei tavoli, la paffuta donna con gli occhiali con la montatura anni Sessanta mi guarda, non dice niente anche se vorrebbe. Cerco di non guardare Julian, ma continuo a guardarlo. Continua a parlare al suo tavolo, agitando le sue mani macchiate di inchiostro. Vedo che gli hanno concesso la sua bottiglia di sambuca, il cui contenuto continua a versare nel suo bicchiere. Per un attimo lo immagino ubriaco che sfascia tutto il locale, ed io che provo a spiegare che non è un mio amico, che non è nessuno e che non è colpa mia se è un irresponsabile ubriacone che ha deciso di demolire un ristorante. Fortunatamente non succede niente del genere, comunque. Quando se ne va, Julian mi saluta con la mano. A dopo mima con le labbra. Ed esce sbattendo la porta a vetri del ristorante, attira qualche sguardo e sparisce nel bianco paesaggio. Ricambio il saluto e realizzo che sto per uscire con uno dell’istituto Le Rosey. 
  Sono le sei quando mi guardo allo specchio. Sono nello spogliatoio destinato allo staff del ristorante, osservo il mio viso anonimo e stanco, i miei capelli sfibrati e senz’anima. Già vedo il fallimento della serata. Casablancas che mi aveva invitato ad uscire solo per continuare il suo spettacolo davanti agli altri, passa il tempo in silenzio a fissare una birra, guarda me, Julian, guarda me almeno una volta, penserò io. Lui desidererà qualcosa di più pesante della birra che finirà in fretta, per poi salutarmi educatamente, e mi lascia, senza farsi più vedere. 
  Mi tolgo il grembiule, esco dallo spogliatoio, mi ritrovo in sala e lo vedo lì, sperduto nell’ingresso che osserva le foto sulla parete. Appendono su quella parete le foto di attori, cantanti più o meno famosi che si fermano alla stazione sciistica e mangiano al ristorante. Le avevo guardate anche io quelle foto, riconoscendo a mala pena un paio dei volti raffigurati. Raggiungo Julian, infilandomi il giaccone di mia madre, quello che odora del concerto dei Rolling Stone
  “Perchè mi hai invitato ad uscire, Julian?”
  “Ciao…” dice lui, e sembra sinceramente sorpreso della mia domanda. “Perchè voglio prendere una birra con te, o una qualsiasi altra cosa, se tu hai davvero un problema con l’alcol.”
  “Non ho un problema con l’alcol.” ribadisco. 
  “Allora è perfetto.” 
  Lui odora di sigarette scadenti, perchè non ti puoi comprare delle sigarette decenti, Casablancas?, la sua pelle trasuda la sambuca che s’è bevuto questa mattina. Sono brava con gli odori, e Julian odora di disastro, ha l’odore che aveva mio padre quando se n’è andato per sempre. 
  “Dove andiamo?” chiedo io. Lui apre la porta e lascia che esca prima io. 
  “Non ne ho idea, non conosco questo posto. Dimmi tu.” 
  Camminiamo sulla neve senza meta. 
  “C’è un solo bar nel mio quartiere, ma non so se…” sto per dire ma non se uno come te lo farebbero entrare, poi guardo Julian e mi convinco che di ricco ragazzino viziato non ha proprio niente. Porta ancora quelle Adidas luride e la sua giacca di pelle troppo stretta, sembra un patinato Sid Vicious, con la bocca chiusa potrebbe passare inosservato mi dico. 
  “Ma non so se…?” 
  “Niente, andiamo.”
  
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