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Autore: Ortensia_    07/03/2015    1 recensioni
Io sono una persona e in quanto tale ho dei limiti.
Io sono uno scrittore e in quanto tale sarò giudicato per quello scrivo.

[...]
Chi sono io? Mayuzumi Chihiro. E cosa rimarrà di me? Un foglio di carta e una penna.
[...]
Se credessi nell'esistenza del Diavolo, sono sicuro che i suoi occhi sarebbero questi.
[ Vincitrice del contest "Ripopola Fandom" indetto da __Bad Apple__ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Chihiro Mayuzumi, Kiseki No Sedai, Ogiwara Shigehiro, Seijuro Akashi
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli occhi del Diavolo'
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Capitolo VIII

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Odio che sia successo proprio oggi, odio che i miei occhi abbiano raggiunto il loro limite e che questo mi impedirà di proseguire con la stesura del mio romanzo almeno per una settimana.
Oggi dovevo tornare a scrivere del mio imperatore, e invece mi sono svegliato con la vista annebbiata e un dolore lancinante nell'incavo sopra le palpebre.
Ogiwara ha insistito che chiamassi il dottore non appena è venuto a trovarmi. La motivazione che mi ha spinto ad acconsentire è la stessa del perché ho appeso le sue cartoline nella mia cucina: perché smettesse di assillarmi; tuttavia ho deciso di farmi visitare, anche se controvoglia, perché io stesso riconosco che c'è qualcosa che non va.
Alcune volte Ogiwara sa essere peggio di Ikeda-san. Ha preteso che lo chiamassi una volta arrivato a casa e mi ha riempito di domande, mi ha raccomandato almeno un paio di volte di riposare e di stare a letto come solo una mamma premurosa potrebbe fare. Patetico.
Questa volta sono costretto a seguire i consigli di Ogiwara, perché sono esattamente gli stessi del dottore.
Dovrò riposare gli occhi per almeno una settimana, e ciò significa non solo stare lontano dal mio romanzo, ma anche dalla lettura di altri libri che tengo sulle mensole. Per una settimana dovrò rinunciare al mondo di carta che mi tiene compagnia da quando ero piccolo: non avevo mai pensato ad un'eventualità del genere, probabilmente passerò sette giorni a fissare il soffitto bianco della mia camera e a dormire.
Non che guardare la televisione mi piaccia, ma sicuramente mi aiuterebbe a passare il pomeriggio, peccato che il dottore mi abbia concesso solo un'ora al giorno, quindi ammazzare il tempo con qualche stupido programma o un film è fuori questione.
Al suono stridulo del campanello inspiro profondamente e vedo il mio sterno sollevarsi e riabbassarsi velocemente, sbuffo e inclino la testa lentamente, guardo il pavimento: devo proprio alzarmi? Non ho intenzione di ricevere altre visite e raccomandazioni, non ho bisogno della pietà delle persone.
Sfiato sommessamente e torno a guardare il soffitto, ma un secondo trillo mi fa saltare i nervi. Mi alzo in fretta e mi dirigo all'ingresso, apro la porta e faccio quasi fatica a ridurre la stretta rabbiosa sul pomello. Stretta che si annulla non appena incontro gli occhi di Diavolo che riescono a scavarmi dentro con una semplice occhiata e di fronte ai quali non posso far altro che arrendermi.
«Oggi non scrivo.» annuncio, e lui non pare sorprendersi.
Varca la soglia senza chiedere il permesso e io non dico nient'altro, mi limito a chiudere la porta e a seguirlo, come se i nostri ruoli si fossero invertiti e fosse lui il padrone di casa.
Akashi varca la soglia di camera mia e io lo seguo a ruota, mi pietrifico non appena si volta verso di me e assottiglia il proprio sguardo, senza più togliermi gli occhi di dosso.
«Che brutti occhi ...» mormora appena e io mi sento immediatamente ferito dalle sue parole.
Le palpebre si abbassano, ma non chiudo gli occhi. Perché dovrei farlo? Soltanto perché a lui non piacciono?
«Sono così spenti.»
«Non mi sento molto bene.» rispondo a denti stretti e torno a stendermi sul letto, a guardare il soffitto bianco: Akashi capirà.
«Non potrò scrivere per una settimana.» ma visto che non mi piace questo silenzio e voglio evitare qualche stupido malinteso, ho deciso di spiegargli cosa c'è che non va «i miei occhi sono molto stanchi.»
Il letto cigola appena e io non riesco a credere a ciò che è appena accaduto, vorrei mettermi a sedere per vederlo con i miei occhi, ma la voce di Akashi mi tiene inchiodato al letto.
«Ti fanno tanto male?»
Che gli importa?
«No.» sfiato sommessamente e sento il letto che cigola ancora una volta, trattengo il respiro non appena la mano di Akashi mi accarezza la fronte.
«Io dico di sì.» mi sussurra piano e intreccia le sue dita ai miei capelli.
Butto fuori l'aria e sento le palpebre crollare: la sua vicinanza è un sonnifero, mi ha rilassato completamente.
Cerco di resistere alla tentazione di chiudere gli occhi, anche se quello che vedo in questo momento è un volto dai contorni vaporosi e l'unica cosa che mi tiene ancora inchiodato alla realtà è lo scintillio vigoroso dei suoi occhi.
«Chihiro, chiudi gli occhi e riposa.»
Mi sembra quasi di sentire la voce di mia madre, quella voce gentile e cristallina nella quale riponevo tutte le mie speranze di bambino, dietro cui avevo creduto di potermi nascondere, sfuggire alla crudeltà del mondo.
Akashi si china su di me, sento il suo respiro caldo e delicato sfiorarmi le labbra e nonostante la luce mi stia corrodendo gli occhi decido che vale la pena resistere.
Un velo di nebbia grigiastra si è posato poco più sotto delle mie ciglia, ma gli occhi del Diavolo sono ancora sopra di me: mi guardano, mi scavano dentro, come se la mia anima fosse infinitamente profonda e non soltanto quella di un povero emarginato sociale che teme e detesta la realtà moderna.
Le labbra di Akashi si posano sulle mie, delicate e morbide proprio come le avevo immaginate, ed è velluto nero quello che germoglia all'improvviso sotto le mie palpebre. Se lui è il Diavolo, che mi trascini pure all'Inferno.


― «Akashi-sama.» il servitore si inginocchiò ai suoi piedi e inspirò profondamente «non siamo riusciti a recuperare neppure il corpo di Aomine-san, siamo mortificati.»
L'imperatore non mutò espressione, si limito a sbattere le palpebre e continuò a guardarlo. «Capisco.»
«Akashi-sama, il corpo di Kuroko-san richiede una sepoltura.» il servitore mormorò, ancora inginocchiato ai suoi piedi.
L'imperatore si voltò lentamente e contemplò il corpo rigido e livido di Tetsuya: l'unico corpo che gli altri servitori erano riusciti a trovare e recuperare.
«Va bene così, lasciatemi solo con lui.»
Il servitore sollevò lo sguardo verso di lui, cercò di dire qualcosa, ma si zittì e tornò a guardare a terra non appena Akashi gli rivolse di nuovo la propria attenzione, chiedendogli di andarsene con la sola forza dello sguardo.
Il servitore si alzò e incespicò sulle sue stesse gambe, raggiunse velocemente il crocchio di sottoposti in fondo alla sala e li guidò all'uscita. Akashi, dal canto suo, attese che fossero usciti per tornare a rivolgere la propria attenzione al corpo del servitore nel quale aveva riposto più speranze.
Tetsuya aveva tentato di dirgli qualcosa, aveva cercato di metterlo in guardia, ma lui non lo aveva ascoltato ed ora ne pagava le conseguenze.
«E così avevi ragione, Tetsuya: devo essere io ad uccidere quei mostri.» Akashi non aveva intenzione di arrendersi: nonostante avesse perso cinque servitori preziosi, neppure quel languido sentore di rimorso gli avrebbe impedito di perseguire il suo obbiettivo.
Sarebbe partito quella sera stessa.―




«Sono curioso di scoprire come continuerai il tuo romanzo, Chihiro.»
Akashi non mi è mai sembrato così reale come adesso. In quest'ultima settimana è stato proprio lui a farmi restare con i piedi per terra, la sua presenza mi ha aiutato a sopportare l'idea che per un po' avrei dovuto lasciare da parte il mio romanzo.
È come se all'improvviso avesse smesso di leggermi nel pensiero, di scavare dentro di me con la sola forza dello sguardo.
Sembra che Akashi non immagini neppure che cosa ho in mente di fare, e forse è meglio così.
«Ci vediamo domani, Chihiro.»
«A domani.» mormoro appena, con la voce corrotta dall'appagamento che mi provoca immaginare le sue labbra morbide sulle mie.
Akashi si protende verso di me, io chino il capo e lo bacio piano, chiudo gli occhi quando sento la punta delle sue dita stuzzicarmi l'orecchio.
Le nostre labbra si separano e lui arretra, mi guarda ancora per un istante e infine mi volta le spalle. Socchiudo lentamente la porta e sbircio la sua figura, finché mi è possibile, dalla fessura.
La serratura della porta scatta ed io sono rimasto di nuovo solo, posso tornare a scrivere il capitolo e cominciare a tessere la trama per la fine del mio libro.
È un fantasy? Un fantasy condito di splatter? Non ne ho idea, ho sempre avuto problemi a capire quale genere attribuire ai miei romanzi: lascerò che sia il mio editore a decidere.


― L'imperatore assottigliò lo sguardo e strinse le redini, le strattonò con estrema delicatezza e il cavallo nitrì sommessamente, scalpicciando sulla neve e fermandosi dopo qualche istante di esitazione.
Davanti a lui, una figura a cavallo di un possente destriero nero si stava avvicinando, era sicuro che si trattasse di una donna.
Quando fu più vicina, Akashi schiuse le labbra, ma qualcosa attirò la sua attenzione e gli impedì di parlare, spense la sua voce e atterrì i suoi pensieri.
La donna indossava un turbante che le incorniciava il volto e le copriva le labbra, faceva ombra sugli occhi, ma dalla seta bianca del copricapo sfuggivano ammassi di fili argentati, onde docili e morbide di una colorazione particolare che l'imperatore non aveva mai visto nei capelli di una fanciulla.
Quella donna era una straniera ed era sfuggita ai suoi occhi, quella donna poteva essere la scorciatoia di cui aveva bisogno per raggiungere la perfezione assoluta.
«Qual è il tuo nome?»
La donna sollevò il viso lentamente e restò in silenzio per qualche istante.
«Chishisa, mio signore.»
Akashi socchiuse gli occhi ed inspirò appena, compiaciuto di ascoltare un nome così melodioso pronunciato da una voce altrettanto meravigliosa.
«Significa donna-fantasma nella lingua delle mie terre.»
«Vieni dalle Dune d'Argento, non è così? Dicevano che le donne fossero tutte morte.»
Chishisa non rispose e si sfilò lentamente il turbante bianco, mostrando un viso bronzeo nel quale erano incastonati occhi dalla forma tagliente e aggressiva, di un grigio brillante proprio come i capelli lunghi che si erano improvvisamente riversati sulla sua schiena, oltre che sulle spalle.
«Le donne sono morte.» Chishisa confermò senza rivelare alcuna nota di dispiacere nella propria voce «ma non tutte, mio signore.»
L'imperatore tese le redini e il cavallo nitrì sommessamente, arretrò appena: voleva condurre Chishisa alla sua corte, aveva l'impressione che quella straniera avrebbe potuto colmare per davvero il vuoto lasciato da sua madre e quindi permettergli di raggiungere la perfezione assoluta. E poi era molto bella.
«Sei rimasta soltanto tu?»
«Sì. Le donne erano così affezionate ai villaggi delle Dune da lasciarsi sopraffare da qualsiasi nemico sopraggiungesse, ma io non ho mai considerato “casa mia” il posto in cui sono nata e me ne sono andata in tempo.»
Akashi inclinò lentamente la testa e increspò le labbra in un sorriso: quella donna era incredibilmente interessante, non poteva lasciarsela scappare.
«Ti offrirò alloggio a corte.»
«A corte?» Chishisa sembrò sorpresa e Akashi ampliò il sorriso.
«Stai parlando con l'imperatore, mia cara.» ―

   
 
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