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Autore: Shainareth    11/12/2008    5 recensioni
Il sole splendeva alto nel cielo, segno che le preghiere di tutti gli amanti del Quidditch, giocatori o tifosi che fossero, erano state ascoltate. La faccia di Ron, quella mattina, era un vero spettacolo, pensò Harry, appena sveglio, vedendo l’amico intento ad infilare il maglione al rovescio.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole splendeva alto nel cielo, segno che le preghiere di tutti gli amanti del Quidditch, giocatori o tifosi che fossero, erano state ascoltate. La faccia di Ron, quella mattina, era un vero spettacolo, pensò Harry, appena sveglio, vedendo l’amico intento ad infilare il maglione al rovescio. Sicuramente, si disse, Ron doveva essere nuovamente in preda ad una delle sue crisi d’ansia pre-finale. Harry inforcò gli occhiali, senza però indossarli, e si alzò. Con una pacca di incoraggiamento sulla spalla del rosso, troppo nervoso per emettere suoni che andassero al di là di versi gutturali non identificabili, diede il buongiorno a Seamus – Neville dormiva ancora, mentre Dean doveva già essere sceso a far colazione. Infine, andò a sciacquarsi il viso. Prese un asciugamano, tamponò l’acqua che grondava dalla fronte, dal naso e dal mento, e finalmente mise sul naso le lenti rotonde. Aggrottò le sopracciglia scure: i suoi capelli erano senz’altro più spaventosi della faccia di Ron. Cercò di sistemarli alla bell’e meglio, per quel che gli era concesso, finì di lavarsi, si vestì e finalmente discese le scale del dormitorio maschile assieme al compagno di squadra, l’insostituibile Firebolt in pugno.
«Come ci riesci?» tartagliò Ronald, costernato, finalmente in grado di spiccicare parola.
«A far cosa?»
«Ad esser così rilassato prima di una finale!» fu l’ovvia risposta che seguì.
Harry sorrise e alzò le spalle. «Cosa vuoi che ti dica… Sarà la forza dell’abitudine.»
«Pazzesco…» non si capacitava l’altro che proprio non riusciva a condividere i suoi sentimenti.
Passarono attraverso il ritratto della Signora Grassa, lasciandosi così la Sala Comune alle spalle, ed aspettarono che le scale tornassero al proprio posto per poterli portare al pian terreno, in vista di un’abbondante ed energica colazione. Harry aveva parecchia fame, a Ron si era chiuso lo stomaco. Fischiettando un allegro motivetto il primo, e farfugliando qualcosa di insensato l’altro, i due ragazzi fecero il loro ingresso nella Sala Grande accolti da una serie di applausi provenienti da sinistra, dov’era il tavolo dei Grifondoro, ed una fila di fischi da destra, dov’era quello dei Serpeverde, come si può ben immaginare.
Al tavolo furono accolti dal luminoso sorriso di Hermione. Ginny li raggiunse poco dopo, e così anche Seamus e Neville, il quale pareva essere ancora per metà nel mondo dei sogni. Tra gli studenti del Grifondoro regnava l’ottimismo: la coppa di Quidditch sarebbe stata loro ancora una volta.
E mentre Ron, che per il panico non si era accorto di essersi quasi seduto sulle gambe di Dean, ora prendeva definitivamente posto accanto a Hermione, questa cominciò a riempirlo di chiacchiere «Mi raccomando, Ron: non farti prendere dal panico» fu il caldo, quanto scontato, consiglio che seppe dargli. Premurosa, la ragazza si era completamente dimenticata che la squadra di Quidditch contava di altri sei giocatori. Prese il piatto dell’amico e cominciò a riempirlo di cibo energetico ma al tempo stesso non troppo pesante. «So che come al solito avrai lo stomaco in subbuglio, ma qualcosa dovrai pur mangiarla, o finirà che non ti reggerai sulla scopa» lo riprese, benevola.
Intontito, lui la fissò con espressione poco intelligente in viso. «So già che vomiterò tutto» considerò, quindi, quando Hermione gli mise il piatto sotto al naso.
Sorridendo per il solito quadro coniugale che i suoi migliori amici sapevano offrirgli in simili occasioni, Harry gettò un occhio in direzione di Draco Malfoy, che per l’ennesima volta sarebbe stato suo diretto avversario quale Cercatore nella finale che si sarebbe dovuta svolgere di lì a poco: anche il biondino guardava nella sua direzione e pareva schernirlo come al solito davanti ai propri compagni, accendendo così diverse risate sguaiate, soprattutto da parte di Pansy Parkinson, Tiger e Goyle.
I suoi fidi leccapiedi…, si ritrovò a pensare Harry, scacciando ogni malumore con uno scossone del capo: quella mattina si era ripromesso di concentrarsi unicamente sulla partita di Quidditch e nient’altro che quella. Nulla e nessuno al mondo lo avrebbe deviato dai suoi ottimi propositi.
Peccato solo che non tutti fossero della medesima opinione.
Un ruggito che rimbombò per le pareti della Sala Grande mise a tacere il brusio mattutino che anticipava ogni anno la finale di Quidditch, e poco dopo una ragazza dai lunghi capelli biondi, grandi occhi azzurri sporgenti e vistosi pendagli a forma di rapanello alle orecchie, fece il suo ingresso, attirando così l’attenzione di tutto il corpo studentesco che adesso la fissava a bocca aperta. Luna Lovegood interpretò quelle facce pallide e confuse come silente ammirazione per la geniale idea di porsi sul capo il suo nuovo, grosso – forse troppo – cappello di pelo dalla forma leonina.
Si diresse quindi a passo saltellato verso il tavolo dei Grifondoro, e nel silenzio generale esclamò: «Ciao, Harry!»
«Ehm… ciao… Luna…» farfugliò il giovane, deglutendo a vuoto, mentre Ron cominciava a piagnucolare che quello fosse un segno infausto per loro. Hermione gli diede un piccolo colpo sulle costole.
«Sai, ho fatto una nuova magia al cappello» annunciò serafica la biondina, chinando il capo per mostrare l’obbrobrio agli amici.
Harry si ritrasse per paura che quel mastodontico ammasso di pelo potesse piombargli addosso, ed il suo gomito finì nel piatto di uova. «D-Davvero? E… ehm… di che si tratta?» domandò, spinto da un istinto suicida.
Ma, chissà perché, l’innocente sorriso di Luna lo preoccupò più di ogni altra risposta. «Prova a tirargli la lingua.»
«Cosa?» scattò atono il ragazzo, credendo di non aver afferrato bene le sue parole.
«Tiragli la lingua, dài!» lo esortò ancora l’amica, saltellando contenta e battendo le mani. Per la seconda volta chinò il capo verso di lui per facilitargli l’operazione, e per la seconda volta Harry si scansò, rovesciando il suo bicchiere di succo di zucca sulle uova e sul gomito, tanto per rendere il tutto più gustoso.
Ritenendo saggio evitare di deludere una sua tifosa sotto gli occhi dell’intera scuola, ma proprio per questo preoccupato di accontentarla, il giovane Potter esitò qualche istante prima di levare il braccio e di afferrare con mano incerta il lembo di stoffa di velluto rosso che penzolava dalle fauci della testa di leone – leone dall’espressione non troppo furba, tra l’altro. Infine, preso coraggio, Harry tirò la lingua, mentre il suo sesto senso lo avvertiva che si sarebbe ben presto pentito di aver dato ascolto al suo buon cuore piuttosto che al suo buon senso.
Ritirata che ebbe la mano, infatti, per tutta la Sala Grande si levò imperiosa una canzone idiota che, con sottofondo funebre, inneggiava al nome di Harry Potter, il miglior Cercatore di Quidditch della storia di Hogwarts. Comprensibilmente, l’intera stanza fu sommersa di risate, e per evitare di incitare le follie di Lunatica Lovegood, Harry balzò in piedi, rischiando di inciampare sulla panca su cui aveva precedentemente preso posto.
«Fa’ tacere quel coso!» urlò, paonazzo in volto, tornando ad allungare la mano verso il cappello magico; con l’intento di strozzarlo, questa volta.
Luna indietreggiò, stranita. «Non ti piace?» Ma prima ancora che potesse ottenere risposta, il ragazzo aveva scavalcato la panca e le aveva strappato dalla testa il copricapo che, per via dello scossone, proruppe in un acuto sul nome di Harry ed infine in un portentoso rutto. La follia dilagava nella Sala Grande per via del troppo ridere. Nonostante la buona volontà, persino Ron e gli altri amici del povero Cercatore non riuscirono a nascondere più d’un sorriso: rutto a parte, la faccia di lui, allibita e ricoperta di vergogna, era da incorniciare. «Oh» mormorò Luna, accarezzando con sincero affetto la criniera del leone che ora si trovava fra le mani di Harry. «L’ha fatto di nuovo» considerò, piegando il capo di lato per analizzare la sua creazione. «Ogni tanto si incanta ed il ruggito viene fuori roco.»
«“Ruggito”…?» tartagliò il povero Potter, fissandola incredulo. «Tu quello lo chiami “ruggito”?!»
Le sopracciglia di Luna si incresparono in un’espressione pensierosa. «Non so se farò in tempo ad aggiustarlo prima dell’inizio della partita.»
«Ma…? Perché…?!» volle sapere l’altro, in preda alla disperazione: dal tavolo dei Serpeverde giungevano rumori preoccupanti che lo avrebbero indotto volentieri a penzolare per il collo da uno dei tre anelli che costituivano una delle porte del campo di Quidditch.
«Perché volevo farti una sorpresa» saltò su la fanciulla, contenta come se avesse appena vinto la Coppa delle Case. «Inizialmente avevo pensato di fargli cantare quella vecchia canzone su Ron Weasley, ma poi ho pensato che fosse banale, e così mi sono detta: perché non fare una sorpresa a Harry, che non ha una canzone tutta per sé? Ti piace?» domandò di nuovo, il sorriso sulle labbra.
«NO!» gridò Harry, restituendole il cappello con malagrazia. Un nuovo rutto si propagò per l’aria ed il ragazzo imprecò fra i denti. Prese la Firebolt e lasciò in fretta e furia la Sala Grande, ignorando i richiami dei suoi amici e compagni.
Umiliato, furioso, il giovane si diresse negli spogliatoi con molto anticipo, tanto che quando gli altri giocatori lo raggiunsero, Harry aveva già indossato la divisa da un pezzo.
Ron gli si avvicinò. «Ehm…» esordì, senza sapere da dove cominciare. Gli occhi verdi dell’amico scattarono torvi verso di lui. «Ok, non si può dire che tu sia… ehm… di buon umore, ma almeno io mi sono calmato» sorrise il rosso, iniziando ad indossare la propria divisa, mentre Ginny ridacchiava fra sé.
«Bella consolazione» sbottò Harry, che per il nervosismo avrebbe volentieri fatto a pugni con qualcuno.
«Fai nero Malfoy, allora!» lo incitò Ron, entusiasta, quando lui espresse quel desiderio ad alta voce.
«Ma non esagerare o finisce che gli regalano un rigore» lo avvertì Katie Bell, infilandosi le calzature.
«Per quanto me ne importa…» grugnì Harry, rigirandosi il manico di scopa fra le mani. «Se perdiamo, sarà tutta colpa di quello stupido, stupido cappello!»
Ginny alzò gli occhi al cielo. «Andiamo, non è poi così male. E tu sei poco carino con Luna.»
Lui la fissò a bocca aperta, sconcertato. «A te piacerebbe se qualcuno ruttasse il tuo nome davanti a tutta la scuola?!»
«Se tu non avessi strattonato il cappello in quel modo, non sarebbe successo.»
«Ah, quindi adesso sarebbe colpa mia?!» stentò a crederci, scattando in piedi sempre più adirato. Odiava discutere con Ginny, e, anzi, questa era la prima volta che accadeva. Cercò di calmarsi, visto lo sguardo di rimprovero di lei.
«Precisamente!»
Fu Katie a placare gli animi, invitando la ragazza ad indossare la divisa, mentre Ron prendeva Harry per un gomito e lo trascinava in campo. Ma non appena furono sotto gli occhi di tutti, fischi e battute si sprecarono, e qualcuno iniziò anche ad intonare la canzone che Luna si era premurata di far imprimere nella memoria di ogni studente durante la sua prima dimostrazione del nuovo cappello parlante.
«Beh… per lo meno non è Perché Weasley è il nostro re» tentò di sdrammatizzare Ron, scrollando le spalle e alzando gli occhi verso la tribuna, dove Hermione gli fece un timido ma radioso sorriso, spento non appena il suo sguardo incrociò quello di Harry.
Quando entrambe le squadre si furono schierate l’una davanti all’altra ed i capitani si furono stretti la mano in segno di saluto, Madama Bumb soffiò nel fischietto, dando così inizio alla partita.





  
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