Prologo

 
 
 

Non credo sia facile scrivere di me stessa.
La mia vita è stata un completo schifo, e ai miei venticinque anni credevo davvero di aver toccato il fondo.
Tornai in Giappone qualche settimana dopo il mio compleanno. Decisi di festeggiarlo con i miei cari amici americani del College così da dirci per sempre addio. Non ho mai amato la mia terra, come credevo di non amare la mia famiglia. Non stupisce il fatto che anche durante le vacanze mi limitavo a qualche biglietto di auguri e non rispondevo quasi mai alle chiamate. Una parte di me sosteneva che non meritavano le mie attenzioni. I miei genitori in carriera erano sempre impegnati, e nonostante avessero solo me come figlia, non si preoccupavano abbastanza. Mio nonno ci aveva abbandonati di nuovo e questo abbandono segnò letteralmente la mia esistenza. Quando ero in volo per tornare a casa rimuginare sul passato fu inevitabile. Tralasciai la parte in cui l’umanità e la sua beata stupidità è stata messa a rischio per mano di tante teste pazze un miliardo di volte, e cominciai a pensare agli anni del liceo e alle mie prime esperienze sentimentali. Il mio primo ragazzo fu anche l’ultimo. Tom. Il ragazzetto più grande, più chiacchierato… Alto, biondo, dagli occhi ghiaccio intenso. Era favoloso, divertente, sexy e intelligente; ma anche stupido, stronzo e un gran figlio di puttana. Ingenuamente credevo che mi amasse, ma dimenticavo di essere a mia volta la più chiacchierata perché i miei due nonni erano i salvatori del mondo. Mi bevevo le sue scuse e mi affezionai a lui a tal punto che ad ogni suo tradimento seguiva un mio perdono. Era riuscito a rendermi debole. Un concetto che nella mia famiglia e nella mia mente era rifiutato e sostituito con le parole forte, coraggioso, aitante… io lo ero sempre stata e non potevo permettere ad un coglione con il sorriso più bello del mondo di farmi apparire tale.
Fu semplice pensare, ma complicato agire.
Quando persi la verginità lui sembrava non interessarsi più di me, e li capii che era riuscito nel suo scopo.
Aveva aggiunto il mio nome alla lista delle ragazze che era riuscito a rifilarsi nel letto e poi mi aveva messa da parte. Proprio come fa un bambino quando si stufa del suo giocattolino e lo getta nel cestino, lo abbandona a se stesso, e comincia a fare gli occhi dolci per riceverne uno nuovo.
Lo abbandona a se stesso.
Lo abbandona.
Mi aveva abbandonata.
Troppe persone mi avevano abbandonato... mio nonno, i miei genitori, il mio amico, il mio ragazzo.
Fui felice di andare dall’altra parte del mondo. L’unica persona che mi era mancata in America era Bra, ci sentivamo regolarmente ma dopo un anno non ne rimase un granché.
Poi dopo il mio anno da matricola cominciarono i problemi seri.
Qual era il motto americano?
Sesso, droga, alcool e rock’n roll!
Le quattro parole chiavi della mia vita da studente universitaria.
Le persone che mi portavo a letto erano troppe, le serate alle feste con fiumi di alcool erano troppe e gli spinelli erano decisamente troppi.
Una lezione al corso di psicologia mi fece riflettere su cosa desideravo veramente, e che il mio comportamento era solo la conseguenza di quella mancanza… fu allora che decisi di tornare a casa una volta terminati gli studi.
Io avevo bisogno della mia famiglia e mi convinsi che, in fondo, anche loro avevano bisogno di me…