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Autore: _memories_    14/03/2015    2 recensioni
[ TrunksxPan - Rating Arancione: Tematiche ]
Fare i conti con il passato e seppellire le illusioni che hanno segnato la sua vita non sarà facile.
Questa è la storia di Pan, reduce da una vita che non voleva, che vuole ricominciare, speranzosa di trovare un appiglio. La storia di una donna che trova l'amore in chi meno se lo aspetta. Un amore sincero, genuino. Un amore che prende e travolge nella sua semplicità, di cui non si leggerà abbastanza, di cui non si scriverà mai abbastanza...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bra, Goten, Pan, Trunks | Coppie: Pan/Trunks
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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I

Rientrare a casa fu una gioia, realizzai di aver rifiutato le cose migliori che si potessero avere. Una famiglia, non perfetta, ma unita e che ti vuole bene. Papà non era invecchiato di una virgola mentre i segni dell’età si notavano in mamma, che sostituì la sua lunga treccia con un taglio netto per sembrare più giovane. Mi limitai ad abbracciarla e respirai il suo dolce profumo di miele e lavanda tipicamente suo, un profumo che per me significava Casa, significava Mamma. Una lacrima le incorniciò la guancia, e io non mi feci scappare quell’occasione per piangere di gioia, una volta tanto.
Quando entrai nella mia camera sentì una morsa allo stomaco che mi fece luccicare leggermente gli occhi.
Via Pan, hai venticinque anni non più sedici, mettiti a tuo agio e affronta la situazione da persona adulta.
Le lacrime scesero quasi ignorando le parole che mi ronzarono nella mente e non potei fare a meno di piangere.
Rimanevano i bei ricordi, ma i brutti sembravano prendere il sopravvento. Quella stanza evocava i demoni passati, le serate dei pianti, i sostegni di una vecchia amica, ma soprattutto le carezze di un amico che mi aveva abbandonata proprio come avevano fatto tutti.
Una parte di me voleva scappare dalla finestra e ritornare all aereoporto prima che si accorgessero della mia assenza. Ma non potevo andarmene. Mi mancavano, mi mancavano proprio tutti.
Mi mancava il rumore della finestra scricchiolante di camera mia, mi mancava la nonna, mi mancava Bra… mi mancava anche lui. E la voglia di rivederlo era troppo forte. Chissà come se la passava, se la sua relazione era andata a gonfie vele, se magari era tornato scapolo, se gli mancavo. Ormai doveva avere più di trent’anni e magari poteva aver messo su famiglia e seppellito tutti i vecchi ricordi. Forse non era neanche più in città, la sua intelligenza e istruzione potevano averlo spinto a proseguire la sua carriera all’estero e stabilizzarsi. Potevano essere successe tante cose in questi lunghi cinque anni e probabilmente il mio nome in tutti quei progetti non gli era neanche minimamente passato per la testa.
Decisi di calmarmi e pregai che nella camera a fianco non avessero sentito i miei singhiozzi. Cominciai a sistemare le mie cose, mi spogliai e misi in fretta il pigiama. Ero troppo stanca, avevo bisogno di riposare. Mi gettai a capo fitto sul mio vecchio letto e in meno di due secondi Morfeo mi stritolò tra le sue braccia.

*

La mattina seguente mi svegliai all’alba e ci misi un po’ prima di incrociare le gambe e mettermi a sedere. Contemplai la mia stanza illuminata da quella fioca luce del sole nascente, proveniente dalla finestra. La sera precedente non mi ero accorta di quanto quella stanza fosse rimasta uguale. Era pulita, e questo significava che mia madre si preoccupava di pulirla ogni giorno in attesa del mio ritorno. Cominciai ad immaginarla mentre spolverava la mensola dei miei vecchi cd dei Green Day, Nirvana, Bon Jovi e Metallica e magari le scappava un mezzo sorriso malinconico pensando ai pomeriggi che passavo ad ascoltare sempre le stesse canzoni. A differenza del nonno sapevano che prima o poi sarei tornata, la mia famiglia era così abituata agli addii… Ma certo non ai ritorni.
Scesi in cucina non appena sentì un po’ di movimento. I miei erano intenti a preparare la colazione e io morivo dalla fame. Diedi una mano a mia madre mentre mio padre dava un ultimo sguardo alla sua agenda per ricordarsi gli impegni della giornata.
«Tanto lavoro?» chiesi sbirciando.
«Siamo nella norma tesoro.» Rispose papà. Bevve del tè dalla tazza, si alzò mollando un bacio fugace a me e alla mamma e ci salutò.
«Noi cosa facciamo?» domandai a mia madre intenta ad ingozzarsi di cibo.
«Vado di fretta anche io Pan, ho un impegno urgente» con il suo sguardo si stava sinceramente scusando. «Però nel pomeriggio sarò tutta tua. Perdonami…»
Tamburellai le dita sul tavolo. «Spero che Bra sia in casa, altrimenti giro i tacchi e me ne torno a New York» la guardai di sottecchi, poi risi. Mi diede un bacio sulla guancia e scappò via anche lei. Io fissai il mio piatto per due secondi prima di impinzarmi di cibo a dovere. Poi con calma andai in camera a cambiarmi.
Spalancai la porta dell’armadio e tirai fuori vecchie magliette che dubitavo mi entrassero ancora. Ne trovai una rossa molto carina, larga e corta; presi uno skinny jeans scuro e stracciato dalla valigia e infilai i miei inseparabili anfibi. Osservai il mio riflesso allo specchio… molto diverso dall’ultima volta. Ero cresciuta, sembravo più donna, ma questo era ancora da vedere. La frangetta era scomparsa e adesso i miei capelli erano di un’unica lunghezza, li raccolsi in una coda altissima e mi avviai presso la porta.
Non avevo nessuna voglia di guidare così inspirai quantità extra di ossigeno e, quando espirai lentamente, cominciai a sollevarmi fino a fluttuare come se niente fosse.
Descrivere cosa provo volando non è semplice, bisognerebbe provarci per sentirsi come piume che sfrecciano alla velocità della luce. Beh, direi che come piume è perfetta come spiegazione.
Arrivai in casa Brief in un battibaleno. La casa non era cambiata di una virgola, la ammirai attentamente studiando ogni minimo dettaglio. Poi vidi una turchina in grembiule che stendeva i panni con aria sognante. Era Bra in carne e ossa, e come suo solito, non si era accorta della mia presenza.
«Mi scusi!» urlai. Lei si girò e mi guardò con fare interrogativo. Non aveva capito chi ero.
«Mi dica!» rispose allo stesso tono e io non potei fare a meno di piegarmi in due dalle risate.
«Dio, ma ti guardi?» mi ripresi e la guardai.
«Scusa ma non capisco…» si grattò la nuca e si avvicinò piano «Cosa…?» con un po’ di ritardo mi riconobbe e io spalancai le braccia, mi abbracciò fortissimo, quasi a farmi mancare il respiro.
«PAN!» io portai istintivamente una mano all’orecchio.
«Calmati gioia, o i miei timpani piangeranno.» le dissi.
Lei rise e mi prese la mano. «Vieni dentro, avrai tante cose da raccontarmi.»

   
 
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