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Autore: Matt Brendan    11/12/2008    1 recensioni
Arriva Natale e colui che ogni giorno vedete a scuola e pensate sia il più forte e il più intrepido inizia a pensare a se stesso e in realtà...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Basta così poco per apparire cattivi? E per apparire?
Il cielo completamente bianco sembrava fissarlo. Chi altro sarebbe rimasto, la vigilia di Natale, su un’inutile panchina nascosta nel nulla della campagna?
Aveva detto in famiglia di dover sistemare alcune questioni prima di Natale, avevano capito avrebbe speso qualcosa in regali e l’avevano trovato il solito tenero bonaccione, ma non sapevano la realtà.
Continuò a fissare il cielo e vide il primo fiocco di neve scendere. Si alzò scocciato e tornò verso casa, sputacchiando per terra. Nessuno doveva sapere.
Nessuno doveva sapere chi era, a scuola come altrove; nessuno doveva conoscerlo bene: avrebbero fatto in modo di assoggettarlo e renderlo l’ultima persona sulla terra. Scena epica nella sua testa: gli altri, come barbari, che corrono all’aria aperta sostenendo la sua testa mozzata.
Fischietta ricordandosi la sua infanzia, negli anni ’90, pieno di giocattoli di plasticona esagerata e dagli appariscenti colori. Ricorda anche la pettinatura cotonata di sua madre.
I Natali sono sempre stati felici a casa sua: nessuno che si lamentava, tutti a festeggiare con gioia, la famiglia al completo, le risate, i giochi...
Però quel Natale... continuò a camminare a testa bassa, in caso avesse incontrato qualcuno non gli avrebbe dovuto spiegare cosa ci faceva in giro in una giornata così fredda.
Quel Natale gli sembrava il momento peggiore della sua vita: aveva dubbi su come comportarsi e su come diventare una persona migliore per i professori e i suoi compagni, voleva sentirsi amato da più persone, non solo dalla sua cerchia di amici.
Quali erano le critiche maggiori che riceveva su se stesso? Faceva paura per la sua vita sregolata, per i giri di droga, di alcol; per la musica troppo trasgressiva e per tutte le bestemmie che riusciva ad urlare. Faceva paura per i suoi capelli, per le risse, per il suo comportamento da socialrivoluzionario, per le sue idee verso le donne e per la propaganda che faceva per il sesso sregolato.
Faceva paura perché era diverso dalla gente che gli stava attorno.
Si raffigurò mentalmente e guardò tutti gli aspetti della sua vita: non si drogava da così tanto tempo che non ricordava nemmeno come si facesse; non si drogava soprattutto da quando aveva iniziato a prendere qualsiasi medicinale per salvare la sua salute troppo precaria, condizionata dalla vita passata piena di “chissenefrega” e di “io faccio come mi pare”. Non che la sua salute fosse sempre stata splendente, soprattutto da piccolo.
Basta così poco a sembrare più grossi e più forti?
Basta un giubbotto gigante, qualche parolaccia, un atteggiamento irriverente?
Si rese conto, timidamente, che nessuno si era avvicinato troppo alla sua intimità, come qualcuno, tempo fa, che l’aveva spogliato di tutte le sue paure e preoccupazioni, facendogli ammettere di essere una persona fragile.
Era più facile dire quello che pensava durante quel periodo: non avrebbe mai fatto la figura dello stupido o dell’ingenuo, mentre ora...
Ora doveva combattere contro tutto e tutti, aveva un perché forte e interessante per spiegare che non poteva bere; riusciva a fuggire dalle risse (al massimo le aizzava), provava a sostenere tutte le rivoluzioni in cui credeva sembrando un terrorista.
Forse erano i capelli, ma a lui piacevano così: non poteva fare come passava per la sua testa senza sembrare un ragazzo complicato e stupido?
Schiacciò il tasto del citofono di casa sua e aspettò che sua madre gli aprisse il portone. Avrebbe potuto raccontare a tutti quanti, magari tramite Internet, visto che andava di moda, quello che era veramente, quello per cui voleva essere ricordato, come voleva essere visto, ma cambiare se stessi poteva voler dire un suicidio nella gerarchia sociale scolastica, una condanna a morte della propria popolarità.
Entrò in casa infreddolito e sorrise a sua madre, col cuore riscaldato dall’albero di Natale illuminato, come sorrideva dieci anni prima, mentre cercava di scoprire che cosa ci fosse nei pacchi dono che stavano sotto l’albero.
Si andò a distendere in camera sua per evitare troppi sguardi da parte della genitrice: avrebbe subito capito che cosa passava per la testa del figlio e lui non voleva rischiare.
Incominciò a contare i mesi di scuola prima del diploma: forse erano troppi per poter reggere ancora con quella farsa, oppure erano troppo pochi per decidere chi essere in futuro.
Si strinse nelle spalle e si girò verso il muro dove i poster dei suoi cantanti “trasgressivi” rimanevano appesi storti e pieni di polvere.
Bastava poco per poter rovinare la propria reputazione, lo sapeva.
Bastava così poco anche per non ripensarci fino a domani e a domani, dopo, dopo ancora.
Si strinse di nuovo nelle spalle pensando alla giornata seguente: gli bastava essere se stesso con le persone che realmente lo amavano.
  
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