Basta così poco per apparire cattivi? E per apparire?
Il cielo completamente bianco sembrava fissarlo. Chi altro sarebbe
rimasto, la vigilia di Natale, su un’inutile panchina
nascosta nel nulla della campagna?
Aveva detto in famiglia di dover sistemare alcune questioni prima di
Natale, avevano capito avrebbe speso qualcosa in regali e
l’avevano trovato il solito tenero bonaccione, ma non
sapevano la realtà.
Continuò a fissare il cielo e vide il primo fiocco di neve
scendere. Si alzò scocciato e tornò verso casa,
sputacchiando per terra. Nessuno doveva sapere.
Nessuno doveva sapere chi era, a scuola come altrove; nessuno doveva
conoscerlo bene: avrebbero fatto in modo di assoggettarlo e renderlo
l’ultima persona sulla terra. Scena epica nella sua testa:
gli altri, come barbari, che corrono all’aria aperta
sostenendo la sua testa mozzata.
Fischietta ricordandosi la sua infanzia, negli anni ’90,
pieno di giocattoli di plasticona esagerata e dagli appariscenti
colori. Ricorda anche la pettinatura cotonata di sua madre.
I Natali sono sempre stati felici a casa sua: nessuno che si lamentava,
tutti a festeggiare con gioia, la famiglia al completo, le risate, i
giochi...
Però quel Natale... continuò a camminare a testa
bassa, in caso avesse incontrato qualcuno non gli avrebbe dovuto
spiegare cosa ci faceva in giro in una giornata così fredda.
Quel Natale gli sembrava il momento peggiore della sua vita: aveva
dubbi su come comportarsi e su come diventare una persona migliore per
i professori e i suoi compagni, voleva sentirsi amato da più
persone, non solo dalla sua cerchia di amici.
Quali erano le critiche maggiori che riceveva su se stesso? Faceva
paura per la sua vita sregolata, per i giri di droga, di alcol; per la
musica troppo trasgressiva e per tutte le bestemmie che riusciva ad
urlare. Faceva paura per i suoi capelli, per le risse, per il suo
comportamento da socialrivoluzionario, per le sue idee verso le donne e
per la propaganda che faceva per il sesso sregolato.
Faceva paura perché era diverso dalla gente che gli stava
attorno.
Si raffigurò mentalmente e guardò tutti gli
aspetti della sua vita: non si drogava da così tanto tempo
che non ricordava nemmeno come si facesse; non si drogava soprattutto
da quando aveva iniziato a prendere qualsiasi medicinale per salvare la
sua salute troppo precaria, condizionata dalla vita passata piena di
“chissenefrega” e di “io faccio come mi
pare”. Non che la sua salute fosse sempre stata splendente,
soprattutto da piccolo.
Basta così poco a sembrare più grossi e
più forti?
Basta un giubbotto gigante, qualche parolaccia, un atteggiamento
irriverente?
Si rese conto, timidamente, che nessuno si era avvicinato troppo alla
sua intimità, come qualcuno, tempo fa, che l’aveva
spogliato di tutte le sue paure e preoccupazioni, facendogli ammettere
di essere una persona fragile.
Era più facile dire quello che pensava durante quel periodo:
non avrebbe mai fatto la figura dello stupido o dell’ingenuo,
mentre ora...
Ora doveva combattere contro tutto e tutti, aveva un perché
forte e interessante per spiegare che non poteva bere; riusciva a
fuggire dalle risse (al massimo le aizzava), provava a sostenere tutte
le rivoluzioni in cui credeva sembrando un terrorista.
Forse erano i capelli, ma a lui piacevano così: non poteva
fare come passava per la sua testa senza sembrare un ragazzo complicato
e stupido?
Schiacciò il tasto del citofono di casa sua e
aspettò che sua madre gli aprisse il portone. Avrebbe potuto
raccontare a tutti quanti, magari tramite Internet, visto che andava di
moda, quello che era veramente, quello per cui voleva essere ricordato,
come voleva essere visto, ma cambiare se stessi poteva voler dire un
suicidio nella gerarchia sociale scolastica, una condanna a morte della
propria popolarità.
Entrò in casa infreddolito e sorrise a sua madre, col cuore
riscaldato dall’albero di Natale illuminato, come sorrideva
dieci anni prima, mentre cercava di scoprire che cosa ci fosse nei
pacchi dono che stavano sotto l’albero.
Si andò a distendere in camera sua per evitare troppi
sguardi da parte della genitrice: avrebbe subito capito che cosa
passava per la testa del figlio e lui non voleva rischiare.
Incominciò a contare i mesi di scuola prima del diploma:
forse erano troppi per poter reggere ancora con quella farsa, oppure
erano troppo pochi per decidere chi essere in futuro.
Si strinse nelle spalle e si girò verso il muro dove i
poster dei suoi cantanti “trasgressivi” rimanevano
appesi storti e pieni di polvere.
Bastava poco per poter rovinare la propria reputazione, lo sapeva.
Bastava così poco anche per non ripensarci fino a domani e a
domani, dopo, dopo ancora.
Si strinse di nuovo nelle spalle pensando alla giornata seguente: gli
bastava essere se stesso con le persone che realmente lo amavano.