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Autore: Rixbob    08/03/2015    2 recensioni
Tutti amiamo sognare. Tutti speriamo che i nostri sogni diventino realtà. Ma quando i sogni si trasformano in incubi, anche sognare diventa pericoloso. Questo Susanna lo sa bene, lo ha imparato a sue spese molto presto.
Il sogno di sua madre era diventato presto un incubo, e aveva condizionato per sempre la vita di sua figlia. Per questo Susanna non sogna, non sogna perché sognare è inutile e stupido, non sogna perché la vita non è fatta di sogni, ma di solide realtà.
Vive la sua vita giorno per giorno, senza mai voltarsi indietro, ma quando incontra un misterioso ragazzo su di una nave, tutte le sue certezze vacillano. E se poi, sognare non fosse tanto male?
E se poi, per un curioso scherzo del destino, non potesse fare a meno dei sogni?
E se, tra sogni e realtà, una semplice ragazza si trovasse ad affrontare la più grande avventura della storia?
E se poi quella stessa ragazza si trovasse tra due fazioni rivali, senza sapere da che parte schierarsi?
E se poi ci aggiungiamo amici un po' particolari, amori, delusioni e leggende dimenticate?
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Crono, Dei Minori, Ethan Nakamura, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hot n Cold

 

Un timido raggio di sole inondò la stanza, posandosi su di un viso addormentato; un volto chiaro e delicato, incorniciato da folti capelli rossi e ricci, costantemente spettinati; un bel viso senza dubbio, ma di certo non un viso tranquillo: trasmetteva un'inquietudine inadatta a una faccia così bella.

Poi un rumore interruppe quel panorama idilliaco e la ragazza si rigirò nel letto, come intuendo che presto sarebbe finito tutto. Passi.

Passi pesanti, piedi che pestavano il pavimento, senza fare nessuno sforzo per sembrare leggeri; pesanti, ma lenti, come se non ci fosse nessuna fretta. Si avvicinavano.

Fuori dalla porta una donna tutta occhiali e sciarpe aveva alzato il braccio, pronta a bussare, aveva preso aria, pronta per urlarle di alzarsi. Aprì gli occhi in quel momento, come rispondendo a quel richiamo. Assaporò ancora mezza addormentata quel microsecondo di pace che le rimaneva prima dell’inizio della giornata, troppo piccolo perché avesse tempo di pensare.

A vederla in quel momento, con quegli occhi grigi e profondi, appena aperti, sembrava una bambina che si affacciava sul mondo per la prima volta.

Era solo un microsecondo, non aveva tempo di mettere su quell’espressione sarcastica che caratterizzava la sua giornata.

Era solo un microsecondo, perché non lasciava che durasse di più, perché non avrebbe mai permesso a nessuno di vederla.

Era solo un microsecondo, e in realtà neanche lei sapeva che esistesse, quel microsecondo, e non lo sapeva manco la donna con il braccio alzato fuori dalla porta. Quel microsecondo era la parte più bella della giornata, e nessuno lo conosceva.

Sbatté subito le palpebre, accecata dalla luce, e quando li riaprì, i suoi occhi erano spenti, impastati dal sonno.

Il microsecondo era passato e, ancora una volta, nessuno lo aveva notato.

-Sveglia!-

La ragazza arricciò le labbra, tirandosi la coperta sopra la testa, forse oggi l’avrebbe lasciata stare, magari si sarebbe semplicemente girata e sarebbe tornata alle sue sciarpe, perché non sperare?

La porta si aprì con un tonfo –Che stai aspettando? Svegliati bella addormentata! So che sei sveglia!-

Perché le cose che speri non si avverano mai

Strinse più forte gli occhi, cercò di convincersi che se non li apriva, tecnicamente non era sveglia.

- Carly!-mormorò lamentosamente

Se fosse stata in uno di quegli scadenti film che si vedevano ogni tanto in televisione, adesso Carly le avrebbe tirato via le coperte, avrebbe aperto la finestra urlando,e l’avrebbe minacciata di buttarle un secchio d’acqua in testa, poi sarebbe uscita come una furia sbattendo la porta e sarebbe andata a prepararle la colazione.

E Carly le tirò via le coperte, spalancò la finestra urlando e le si posizionò davanti dicendo che il giorno dopo l’avrebbe svegliata con un secchio d’acqua gelata.

La ragazza si raggomitolò su sé stessa –Alzati! È tardi! Io ti preparo la colazione ma tu devi essere pronta in cinque minuti!- e uscì sbattendo la porta.

Si tirò a sedere sbuffando, certe volte si chiedeva a cosa servissero gli stereotipi, Carly non bastava?

Poggiò i piedi nudi sul freddo pavimento, assaporando quella sensazione. Chiuse le palpebre, decidendo se fosse il caso di ributtarsi sul letto.

Una lama di luce accecante squarciò le sue palpebre, le passò un brivido lungo la schiena mentre ricordava il suo incubo, questa volta era stata peggiore rispetto alle altre.

Era solo un incubo, Susanna, non era reale pensò per tranquillizzarsi mentre ancora tremava Smettila di fare la stupida e alzati! si rimproverò, ma nonostante questo le veniva ancora difficile lasciare quel letto.

Si avvicinò alla finestra, il sole era già alto, probabilmente sarebbe già dovuta essere a scuola... guardò il calendario, ma se si preoccupò perché era martedì ed era in ritardo non lo diede a vedere.

Ammirò gli altri tre letti vuoti della stanza, tutti belli e sistemati, opera di Carly, il suo era l'unico disordinato, come sempre, ma non ci fece caso. Prese i vestiti dall'armadio e cominciò a cambiarsi, tanto il letto l'avrebbe sistemato Carly.

Era questo il bello di vivere in un orfanotrofio, c'era sempre qualcuno che faceva le cose al posto tuo.

Non orfanotrofio, si corresse sghignazzando, Istituto di accoglienza per sole ragazze Santa Teresa, comunque si chiamasse, non c'era molta differenza.

Guardò i vestiti buttati sul suo letto con aria scettica, sbadigliando, poi scosse le spalle e cominciò a cambiarsi, mentre il freddo le entrava nelle ossa.

Si prese un secondo per guardarsi allo specchio, spalle sottili, gambe magre, bassa, il naso troppo grande e la bocca sottile, lineamenti non perfetti ma neanche brutti, che la rendevano comunque una ragazza carina, considerando le alternative.  

Dodici anni è un’età così inutile si ripeté per la millesima volta.

Guardò di nuovo il calendario infilandosi i jeans. 18 ottobre 2008.

69 69 69 69 si ripeté come un mantra

Il giorno dopo sarebbe stato 68 e quello dopo 67, alla fine in qualche modo sarebbe arrivata a 0 e si sarebbe resa conto che il giorno più brutto dell’anno era passato.

-Che fine hai fatto?- urlò Carly dal piano di sotto, Susanna sorrise.

Non capiva perché tutti parlassero male degli orfanotrofi, a lei piaceva il suo; la direttrice non era cattiva e scontrosa ma solare e allegra con tutti loro, né Carly né il resto del personale li trattava male, e nessuno di loro era un vecchio zitello che non aveva trovato felicità nella vita.

-Arrivo!-

Sapeva che non tutti erano così e che non era certo un caso se la sua situazione era questa e ricordava anche di una certa signora italoamericana che l'aveva trovata e aveva pregato gli assistenti sociali di non mandarla in un orfanotrofio troppo brutto, offrendosi anche di pagare qualcosa ogni mese per assicurarsi che stesse bene.

Le avevano raccontato quella storia verso i sette o otto anni, ma a lei non era mai importato particolarmente di quella signora che l'aveva salvata dalla morte.

Lei gli aveva dato un nome e aveva fatto sì che vivesse, ma non si sentiva in debito con lei più di quanto si sentisse in debito con sua madre per averla fatta nascere, era semplicemente la cosa giusta da fare, e la signora si sarebbe potuta vantare con i suoi figli o nipoti del buon gesto che aveva fatto la notte di Natale.

Sorrise tra sé e sé: la notte di Natale, la notte dell'amore e della famiglia, sua madre aveva deciso di abbandonarla proprio quel giorno.

Quando era più piccola e ancora cercava una scusa per il gesto di sua madre, si diceva che voleva portarla fuori a vedere la neve, e poi per qualche ragione fosse stata costretta ad abbandonarla. Un motivo qualunque, anche il più incredibile: un rapimento alieno, una rapina... si diceva che non l'avrebbe mai abbandonata spontaneamente.

La cercava nelle donne eleganti che passavano vicino l'orfanotrofio, affacciata alla finestra il più possibile, convinta che sua madre avrebbe alzato lo sguardo e l'avrebbe riconosciuta.

Col passare degli anni però sentiva sempre meno l'importanza di una madre nella sua vita, non l'aveva voluta, semplicemente, e le stava bene così, infondo neanche Susanna voleva conoscerla.

Ogni tanto fantasticava su di lei, pensava che avesse una famiglia, con un marito e dei figli, che vivesse in una bella casa in campagna lontana dal traffico e dal caos della città, ma che dentro si sentisse sola e triste per quello che le aveva fatto. Probabilmente sua madre alla sua età sognava di avere una famiglia, ma lei era arrivata troppo presto; per questo l'aveva abbandonata.

Da parte sua aveva smesso di sognare quando le avevano raccontato la storia della donna italo-americana prima di allora credeva che tutti i bambini del mondo vivessero in un orfanotrofio e non conoscessero i propri genitori.

Aveva smesso di sognare, perché sua madre era un chiaro esempio che i sogni non sempre portano bene, spesso fanno male, e lei non voleva soffrire ancora, né far soffrire chi le stava accanto; viveva giorno per giorno, senza progetti, la sua vita si sarebbe evoluta con lei, e un giorno senza neanche accorgersene si sarebbe trovata con un marito, dei figli, un lavoro e una casa tutta sua.

Sarebbe successo, perché è così che deve andare la vita.

Arrivò in fondo alle scale senza essersi accorta di aver cominciato a scenderle –Oh! Ce l’hai fatta!-

-Certe volte succede- rispose lei, venendo subito fulminata dalla donna

-Sei fortunata che sono di fretta, se no imparavi a rispondermi in questo modo!- minacciò con la sua voce gracchiante e fastidiosa mentre si sistemava la sciarpa intorno al collo

Aspettò con aria di importanza che dicesse qualcosa, ma Susanna continuò a mangiare le sue frittelle con tranquillità – Oh Carly! Perché sei di fretta? Devi andare ad un appuntamento?- disse con voce acuta –Si Suzanne, sono felice che ti interessi, ma non è niente di che, devo solo vedere una persona-

Susanna prese un po’ di marmellata, la assaggiò e la mise via disgustata – Che persona? Un uomo?- continuò Carly –Oh no tesoro, solo un mio vecchio compagno di scuola, torna adesso da un viaggio in Giappone, ha lavorato lì per tre anni-

Susanna fece un tentativo con il succo di frutta, e non rimase delusa –Che lavoro faceva in Giappone?- le lanciò un’occhiataccia mentre lei continuava a bere –Seriamente Suzanne, non sei neanche un po’ curiosa?-

Posò il bicchiere davanti a sé –Per la trecentesima volta, il mio nome è Susanna, non Suzanne, non Susan, non Susù, Susanna. E comunque, no, non mi interessa-

Carly la guardò per un attimo, era più acida del solito –Hai avuto di nuovo un incubo?-

Sbuffò –Come se non lo sapessi-

Rimase per un attimo pensierosa –Lo dirò al dottor Hill, ti darà qualche pillola per dormire. A quanti siamo? Cinque, sei, questo mese?-

-Otto-

-Questa cosa ti sta decisamente sfuggendo si mano-

-Sono solo sogni, non sono importanti- rispose alzandosi da tavola

-Mia mamma diceva sempre… -

-Ascolterò le perle di saggezza di mamma Carly un altro giorno, ok? Adesso devo andare- rispose con un sorriso, magari si sarebbe calmata.

Invece, mise il broncio –Devi imparare l’educazione, ragazzina-

-Non tutti possono essere signore come te, a dopo!- la salutò prendendo lo zaino e uscendo di corsa

-Maleducata- disse quella sistemando il disastro lasciato dalla ragazza, mentre un sorriso si faceva strada sul suo viso.

 

(Cappelli)

 

La sua prima lezione era letteratura inglese e, come prevedibile, arrivò in ritardo, il che non sarebbe stato un grande problema se non fosse dovuta andare a quella particolare lezione.

Doroty Grubsy, comunemente detta la Megera, un metro e settanta di pura ipocrisia e  arroganza, la guardava con un misto malcelato di odio e compassione.

-Ben arrivata, Stewart- gracchiò

- Bel cappello- ribatté Susanna, esprimendo l’opinione comune della classe. La Megera aveva questa assoluta mancanza i buon gusto che la portava ad abbinare al maglione verde scuro e alla gonna a quadri lunga i cappelli più improponibili. Ma quel giorno aveva superato se stessa oggi con un cappello blu elettrico su cui svettava un fiore rosa shocking.

Si vestiva sempre allo stesso modo, maglione pesante verde scuro ch non si adattava bene al suo fisico eccessivamente magro e gonna a quadri lunga che lasciava a stento vedere le ballerine nere, al punto che Susanna si era chiesta più di una volta se non avesse l'armadio pieno solo di quei vestiti prodotti in serie, o se semplicemente non li cambiasse mai.

Gliel’aveva pure chiesto una volta, suscitando le risa della classe e l’odio della Megera.

Il viso della donna cambiò colore, passando dal consueto rosa sporco al rosso e poi al viola – Come si permet…-

- Ha una brutta cera prof, si sente bene?-

- Stewart! Interrogata!- fu tutto ciò che riuscì a dire, il viso alterato dalla rabbia.

Susanna sbuffò, quanto odiava quel nome: Susanna Stewart , probabilmente quando gliel'avevano dato avevano bevuto qualche bicchiere di troppo, e la professoressa lo sapeva, per questo la chiamava sempre per cognome,.

Si alzò comunque per andare interrogata, non che avesse molto da dire su Oscar Wilde. Il giorno prima aveva provato a studiare, cercando in qualche modo di superare l’odio innato che provava per quella materia, ma ben presto le era venuto il mal di testa e si era distratta. Che bello avere la dislessia e il disturbo da deficit dell’attenzione.

Aveva quindi deciso che Oscar Wilde non era importante e che non se ne sarebbe fatta niente nella vita, e aveva rinunciato.

Del resto, non si era mai illusa di poter essere una studentessa modello, e aveva talmente tante insufficienze che avrebbe dovuto ripetere il settimo anno come minimo tre volte, ma sapeva anche che sarebbe stata espulsa prima, o che l’avrebbero promossa semplicemente per levarsela di torno.

L’interrogazione, di conseguenza, fu penosa: un’insieme di suggerimenti più o meno giusti recepiti più o meno bene per domande più o meno difficili.

A seconda ora avrebbe dovuto avere matematica, ma non aveva molta voglia di andarci perché solo qualche giorno prima aveva avuto una “lite” con Jeremia Davenport che si era conclusa con la sua punizione, la prima dell’anno.

Non che avesse esattamente fatto qualcosa a Jeremia, anzi, era stato lui a insultarla per primo, lei aveva avuto a malapena il tempo di rispondergli quando il professore era entrato e Jeremia si era accasciato a terra piangendo.

A niente erano servite le sue spiegazioni, il teatrino del ragazzo aveva fatto effetto e la preside, conoscendo la nomina della ragazza, aveva deciso che fosse colpa sua e l’aveva mandata in punizione.

Questo piccolo inconveniente non aveva fatto altro che rafforzare la sua già brutta reputazione, e Sean Cresta, un belloccio dell’ottavo anno che sembrava interessato a lei, si era improvvisamente allontanato.

La cosa però non le dispiaceva troppo, conosceva i ragazzi di quella scuola, e loro conoscevano lei, un paio di settimane e l’incidente sarebbe stato dimenticato, ben presto la gente avrebbe ricominciato a parlarle.

-Ciao- era talmente immersa nei suoi pensieri che non aveva sentito nessuno arrivare.

Si girò curiosa –Oh, Julie, ciao- disse. Julie Sloan era appoggiata al suo armadietto con fare noncurante.

- Ho saputo di Jeremia-  Susanna alzò le spalle

- Lo sanno tutti che è un cretino-

- Gli hai dato una bella lezione-

- Non ho fatto niente-

- Lo hai fatto piangere, hai una strana concezione di niente... -

- Era tutta scena-

- Non è la prima volta che lo fai-

Susanna sbatté lo sportello dell’armadietto, spazientita. Julie era una ragazza apposto, ma non la poteva certo definire una sua amica, e c’era qualcosa che non la convinceva in questa conversazione – Dove vuoi andare a parare?-

- Credo che tu gli piaccia-

Susanna rise di gusto – Sei rimasta indietro di qualche mese, Slo, io e Jeremia abbiamo rotto alla fine dell’anno scorso-

- Infatti non ho detto che state insieme-

La campanella suonò – Devo andare in classe, grazie per la piacevole chiacchierata- disse, lasciando la ragazza in piedi accanto al suo armadietto.

 

All'uscita Susanna si sedette su un muretto, aspettando l'autobus, da sola. Quasi tutte le mattine andava a scuola a piedi, visto non era tanto distante dall’orfanotrofio, una mezzora al massimo, e infatti quasi tutte le ragazze andavano lì, ma quel giorno non aveva voglia di camminare.

Rimase seduta sola, squadrando i suoi compagni, la maggior parte odiosi, aveva una o due ragazze con cui parlava ogni tanto, tra cui Julie, ma non poteva definirle amiche.

Difficilmente trovava qualcuno veramente simpatico con lei, e la maggior parte delle volte quei pochi che trovava avevano altri amici e non le davano troppa importanza. A scuola se le capitava di parlare con qualche ragazza, sentiva sempre compassione nella sua voci; ma non le importava, da persone così chiuse se lo poteva pure aspettare, ciò che le faceva rabbia era l'atteggiamento da vittima delle altre ragazze dell'orfanotrofio, non facevano che lamentarsi e frignare quando qualcosa andava male, lamentandosi di quanto la vita fosse ingiusta: alcune di quelle ragazze era stata allontanata dalle famiglie perché il padre o la madre, in alcuni casi entrambi, erano ubriaconi e drogati, alcuni erano violenti; una piccola parte invece era stata abbandonata dalle madri o entrambi i genitori erano morti; ma per la maggior parte di loro era un problema economico, madri single che non arrivavano a fine mese, o genitori “mentalmente instabili”. Erano tutte nella stessa situazione, ma si lamentavano tutte come se fossero le uniche ad aver avuto una vita difficile.

Vide Jeremia che parlottava con alcuni ragazzi del corso di storia e la fissava, affrettandosi però a spostare lo sguardo per non incrociare i suoi occhi.

Mio Dio gli piaccio ancora, pensò esasperata. Le era andato dietro per quasi un anno e quando, finalmente, lei si era decisa a dargli una possibilità, la scuola era praticamente finita e si erano lasciati prima delle vacanze.

Si mise le cuffiette, aspettando l’autobus, mentre Hot N Cold di Katy Perry le fracassava i timpani.

Non amava stare in mezzo alla gente; alle grandi folle preferiva la tranquillità della sua camera, dove poteva fare quello che voleva.

In quel momento, per esempio, aveva voglia di chiedere a Carly come fosse andato il suo appuntamento mentre mangiava il gelato che avrebbero dovuto servire il giorno dopo a pranzo.

Guardò l’orologio, erano ancora le 14.47 e l’autobus non sarebbe passato prima di 10 minuti, Jeremia invece ci avrebbe messo forse dieci secondi ad arrivare da lei.

- Ehy Suz-

Merda

- Jeremia, posso parlarti o ti metti a piangere?- disse, acida. A causa sua era finita in punizione, aveva sprecato la prima punizione dell’anno senza aver fatto niente per cui meritasse davvero una punizione, e questo la infastidiva

- Io, ecco, ehm, in realtà non... –

Lo fissò mentre quello cercava di salvare la sua reputazione, senza riuscirci – Se non hai niente da dirmi, io devo tornare in istituto.-

- Non aspetti l’autobus?-

- Ho voglia di camminare-

- Posso venire con te, se vuoi-

- Tu abiti dall’altra parte della città- disse, avviandosi

- Tra una settimana iniziano gli allenamenti di calcio e devo rimettermi in forma- ribatté, raggiungendola

- Sei sempre in panchina alle partite-

- Per questo devo essere in forma-

Rise involontariamente – Senti, non ti chiederò scusa per l’altro giorno-

- Non pensavo che l’avresti fatto-

- E non mi rimetterò con te-

Jeremia la guardò sorpreso per qualche secondo – Sloan non sa tenere la bocca chiusa, mi dispiace- si scusò – Ci si vede- lo salutò, lasciandolo solo al cancello della scuola.

 

- Non avresti dovuto lasciarlo così- la rimproverò Carly mentre si metteva il mascara – Sei stata cattiva-

- Che avrei dovuto fare? È un cretino-

Carly sorrise, e Susanna non poté fare a meno di pensare che la donna, ventottenne a suo dire, trentatreenne sulla carta, aveva veramente un bellissimo sorriso, nascosto sotto le lenti spesse e le sciarpe voluminose.

- Ti voleva accompagnare a casa-

- È noioso-

- Ha cercato di attirare la tua attenzione-

- Mi ha spedito in punizione!-

- Come se non ci saresti finita anche da sola-

La conversazione aveva preso la direzione sbagliata, doveva cambiare argomento alla svelta – Com’è andato il tuo appuntamento?-

- Adesso ti interessa-

- In mia difesa, erano le sette di mattina e il cervello non era ancora collegato al resto del corpo-disse – Allora, com’è andato?-

- Non era un appuntamento-

- E allora cos’era?-

- Era un... una rimpatriata tra vecchi amici-

- Non è vero, avevi la sciarpa da appuntamento-

- Io non ho una sciarpa da appuntamento!- sentenziò – Non più almeno-

- Quindi è andata male?-

- Poteva andare peggio, e ora vai a studiare-

- Carly -

- Di corsa, la preside ha chiamato stamattina per l’ennesima insufficienza-

- La Grubsy mi odia, non è colpa mia!-

- Di corsa, Suzy -

Sbuffò E comunque mi chiamo Susanna pensò uscendo dal bagno.

 

La classe era agitata, tremendamente agitata, solo uno sciocco non se ne sarebbe accorto. Susanna lo sapeva, e lo sapeva anche la Megera visto che combatteva con il registro elettronico al posto di controllare la classe, già pronta per tornare a casa.

La Megera sembrava particolarmente nervosa quel giorno, mentre picchettava feroce sui tasti, nervosa e bistrattata, talmente distratta da non notare gli scambi di bigliettini tra due ragazze in fondo alla classe.

Era un comportamento strano certo, ma Susanna aveva immediatamente deciso che lo preferiva al solito cipiglio da sergente che sfoderava durante le lezioni.

Un foglio arrotolato le passò accanto alla testa, ma non ci fece caso. Era stata una bella giornata, Jeremia non si era visto e Sean era venuto a cercarla dopo l’ora di biologia. Inoltre la Megera non era in forma, il che le migliorava sempre le giornate.

DRIIIIIN

La classe si alzò in piedi, come fosse un unico corpo, uscendo il più in fretta possibile dalla classe.

Susanna rimase un minuto buono ancora ferma al suo posto. Le piaceva essere l’ultima: l’ultima ad arrivare, l’ultima ad andare via, era un modo per evitare la confusione e, infondo, anche per mettersi in mostra.

Anche la Megera, stranamente, era rimasta in classe, di solito usciva ancora prima degli alunni strisciando la sua lunga gonna sul pavimento; ma quel giorno la professoressa sembrava non volerla fare uscire, si era piazzata davanti alla porta della classe e non si spostava di un centimetro.

-Professoressa?.- disse, preoccupata da quello strano evento

-Mi hai dato molti problemi, Stewart- gracchiò quella, ma la voce non era la sua, era molto più... metallica.

Tutto qui? L’aveva bloccata in classe solo perché le aveva dato molti problemi? – Mi... scusi?-

- Non crederai di cavartela così facilmente. Tu sei uno dei casi più difficili che mi sia mai capitato-

- Cercherò di calmarmi, se è questo che vuole- la stava spaventando, c’era qualcosa di strano nella Megera, come un luccichio cattivo negli occhi.

- Non mi basta mezzosangue, la tua puzza è troppo forte per me-

Susanna la guardò confusa, "mezzosangue" che diavolo stava dicendo? E perché la accusava di puzzare? Soffocò l’impulso di annusarsi le ascelle -Scusi professoressa, come mi ha chiamato?-

-Preferisci semidea, Stewart? Non fare la finta tonta mezzosangue, con me non attacca! Ora tu verrai con me, con le buone...- le prese il braccio e glielo torse dietro la schiena -o con le cattive-

Accadde tutto molto velocemente.

Susanna provò a liberarsi, ma la stretta era troppo forte -E no Stewart! Lo sai che non si disubbidisce agli insegnanti- gracchiò, poi la scaraventò contro il muro.

Qualcosa le diceva che il problema non fosse il suo comportamento.

La ragazza rimase accasciata al muro per qualche secondo, massaggiandosi il braccio. Tutto le appariva sfocato e irreale, ma anche se gli occhi non funzionavano la sua mente era in pieno fermento. La Megera aveva più di cinquant'anni, come faceva ad avere tutta quella forza? E, soprattutto, perché l'aveva aggredita?

Durò solo un attimo, poi riacquistò la vista e si rimise malamente in piedi, con la testa che le girava, la Megera si stava avvicinando velocemente, più velocemente di quanto Susanna avesse creduto possibile.

C'era qualcosa che non doveva esserci, qualcosa di sbagliato, in tutta quella scena, ma soprattutto nella professoressa, ma pensò che fosse per il colpo alla testa, anche se con tutto quello che stava succedendo non poteva esserne sicura. Però più la professoressa si avvicinava, più era certa di vederci bene. La Megera aveva due enormi zampe di drago, verdi, grosse e bitorzolute, al posto delle gambe. Alla cintura la pelle di drago si incontrava con la pelle umana, sfrigolando, e dando l'impressione che lì si formassero teste di animali. I suoi capelli erano serpenti.

Terrorizzata, lanciò contro quella figura mostruosa tutto ciò che le capitava sotto mano, che non era molto, a cominciare dal suo zaino. La cosa lo prese al volo e lo strappò in due. Susanna cercò una via di fuga, una qualunque via di fuga, ma l'unica era la porta che dava sul corridoio, e tra lei e la porta c'era un essere mostruoso metà uomo e metà drago.

Ma com'era possibile che nessuno sentisse tutto quel baccano e venisse ed aiutarla? Certo la scuola era finita, ma a scuola c'era sempre qualcuno, qualche bidello, o un prof ritardatario, anche molto dopo la fine delle lezioni.

Corse verso la lavagna e cominciò a lanciare gessetti verso quella che una volta era la sua professoressa, inutilmente. L'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi, fu il pavimento che si avvicinava pericolosamente alla sua faccia. Poi il buio.

 

(Esplorazione)

 

Si svegliò in una lussuosa camera d'albergo, la testa le girava e aveva la vista annebbiata. Solo quando finalmente ritornò a vedere decentemente si accorse che c'era un ragazzo sulla ventina seduto sul letto, accanto a lei.

Aveva i capelli biondi e una cicatrice svettava sul suo bel viso.

-Bene! Vedo che ti sei svegliata! Io sono Luke -

 

Susanna guardò il ragazzo, Luke, a lungo, giocherellando nervosa con la coperta. La storia che le aveva raccontato aveva dell'incredibile: dei, mostri, semidei... queste cose erano solo miti, superstizioni che gli antichi creavano per dare un senso a ciò che li circondava, ma oggigiorno c'era la scienza. Gli scienziati avevano dato risposte a tutto, c'era una spiegazione logica dietro tutto quello che succedeva. Ma allora perché una parte di lei non aveva dubbi sulla veridicità di ciò che Luke le aveva raccontato?

Dopo un silenzio che le parve interminabile, il ragazzo parlò -Allora, cosa ne pensi?-

Già, cosa ne pensava? Era troppo confusa per elaborare una risposta a questa domanda. La sua testa era un turbinio di emozioni contrastanti: incredulità, stupore, diffidenza, rabbia... Si, rabbia. Rabbia perché anche quelle poche certezze che aveva faticosamente accumulato nel corso degli anni adesso vacillavano per colpa di quel ragazzo biondo. Adesso le emozioni erano troppe, troppe anche perché le lasciassero qualcosa dentro e le mettevano addosso un insopportabile vuoto. Si era riempita di nulla, e non le piaceva. Cosa avrebbe potuto rispondere a una domanda tanto difficile, se in cuor suo non trovava la serenità?

- Cosa sei tu? Una specie di.. mostro mitologico travestito?-

Il ragazzo rise, come se avesse fatto la battuta del secolo – Non sarebbe male, però no. Sono solo un semidio, esattamente come te- Evidentemente fece una faccia sconvolta, perché Luke si sentì in dovere di aggiungere - All'inizio è un po' difficile da accettare, lo so. Ci sono passato anche io, ma vedrai che presto ti abituerai all'idea-

-Se quello che mi hai raccontato è vero, allora... chi sono i miei genitori?-

Lo sguardo del ragazzo si fece cupo -Un qualche dio o dea, il fatto che tu sia stata abbandonata rende tutto più difficile. Agli dei non importa niente di noi, probabilmente tuo padre o tua madre non ti riconoscerà mai.-

Non trovò nulla da controbattere. Sua madre l'aveva abbandonata. Sua madre o suo padre, non aveva importanza adesso, a questo punto non sapeva più quale dei due fosse mortale -I genitori a volte fanno cose terribili.-

Allora Luke fece una cosa che non si sarebbe mai aspettata, le mise un braccio intorno alle spalle, come se condividesse il suo dolore. A quel tocco Susanna rabbrividì. Passarono alcuni secondi, poi Luke si scansò, quasi avesse commesso un errore imperdonabile, e disse –So che odi i tuoi genitori in questo momento, li odio anche io, ma devi capire che tu sei importante per Crono, sei importante per la causa...-

- Io non li odio- disse

- Cosa?-

- Io non odio i miei genitori. Insomma, ho accettato da tanto tempo il loro abbandono, tutto quello che mi hai raccontato non cambia i fatti. E sinceramente non capisco cosa possano averti fatto di così terribile da farteli odiare. Se non li odio io, che sono stata abbandonata, come puoi odiarli tu che li hai conosciuti? Loro ti hanno voluto bene-

- Loro non..-

- In ogni caso, non credo di essere importante per Crono, a quante persone avrai fatto questo discorso già? Quante persone sono su questa nave? A che servo io?-

- Ogni semidio è necessario-

- Si, certo- si alzò, avviandosi verso la porta

- Dove stai andando?!- anche Luke scattò in piedi, punto nell’orgoglio

- Esplorazione- disse semplicemente – Infondo sono bloccata qui no?-

 

Camminò a lungo, perdendosi un’infinità di volte, ma riuscì ad arrivare sul ponte. Si appoggiò al parapetto, fissando il mare.

Passando per i corridoi e attraversando il ponte aveva notato moltissimi mostri e semidei, ma, nonostante le facessero un po' impressione, non aveva fatto loro troppo caso.

Guardò il mare sotto di lei, di un blu intenso, e si diede della stupida. Era arrivata e già si era messa contro il capo, se avesse continuato così la sua permanenza su quella nave sarebbe durata ben poco

Cerca di darti una calmata, idiota! si rimproverò, quello non era l'orfanotrofio dove poteva permettersi tutto o quasi, era una nave nel bel mezzo dell'oceano piena di creature uscite direttamente dall'Inferno, o dal Tartaro, o come diavolo si chiamava. Se l'avessero buttata giù dalla nave, difficilmente qualcuno sarebbe andato a riprenderla.

Poi i suoi pensieri si fecero leggermente più futili, ma non di molto; chi erano veramente i suoi genitori?

Sapeva ben poco degli dei dell'Olimpo, la maggior parte di ciò che sapeva l'aveva appreso dalle lezioni di storia alle elementari, ed erano comunque informazioni molto frammentarie: c'era quello che governava il cielo, anche se non si ricordava come si chiamava, ma non pensava di poter essere sua figlia, non le era mai piaciuto guardare il cielo e odiava gli aerei, non che ci fosse mai salita, semplicemente non le piacevano; poi c'era Afrodite, la dea della bellezza, questa se la ricordava, certo lei era carina, lo sapeva, ma non si riteneva un modello di bellezza, e poi, l’essere carina era più un passatempo; poi c'era Ade, ma non le piaceva per niente pensare che suo padre nel tempo libero giocasse con i morti.

Lì però si fermavano le sue conoscenze, sapeva che c'erano altri dei, ma ricordava si e no due nomi ed ignorava cosa proteggessero.

Si sorprese a vedere che era già passato il tramonto, non sapeva a che ora si fosse svegliata e, persa com'era nei suoi pensieri, lo scorrere del tempo aveva perso consistenza.

Si guardò intorno: sul ponte non c'era quasi nessuno e una brezza leggera le soffiava sul viso, doveva tornare in camera, ma in quale camera sarebbe andata? Non poteva certo tornare da Luke, e non aveva idea di quale camera le fosse stata assegnata. Appoggiò la schiena al parapetto e si cinse le gambe con le braccia.

Le toccava rimanere tutta la notte su quel ponte freddo, sola con i suoi pensieri, perché aveva dovuto fare quella ribelle.

Non poté fare a meno di complimentarsi con sé stessa.

Ad un certo punto il sonno ebbe il sopravvento e si addormentò.

 

(Scuse)

 

Venne svegliata da un calore improvviso, solo quando fu completamente sveglia e all'erta si accorse di avere addosso una coperta.

- Le pensi davvero tutte quelle cose che hai detto prima?- chiese una voce familiare

- Si- rispose senza guardare il suo interlocutore, sapeva che se l'avesse fatto, sarebbe rimasta incantata dai suoi capelli dorati.

Luke la guardò attentamente -Potrei farti punire per quello che hai detto, sai? Disubbidire così al tuo capo...-

-Ma non lo hai ancora fatto-

Il ragazzo sorrise malizioso - Sei la prima che mi parla in quel modo, Susanna - si bloccò, come a cercare le parole giuste - E mi piace- la ragazza lo guardò incredula, aveva sentito bene? Non era arrabbiato con lei per ciò che gli aveva detto?

-Non fare quella faccia stupita, mi piace quando le persone si fanno sentire, è... divertente-

- Ti ho fatto divertire abbastanza?-rispose, piccata

Luke rise piano - Si, certo. Ma non mi hai dato il tempo di risponderti- si appoggiò meglio sul parapetto -Mia madre è pazza. Ogni tanto le si illuminavano gli occhi e cominciava a blaterare del mio futuro, quando non lo faceva era comunque spaventosa. Mio padre, Ermes, non si è mai fatto vivo, non ha mai cercato di aiutare lei o me. È colpa sua se mia madre è diventata ciò che è, e lui non si è mai scusato con me per ciò che mi ha fatto. Non gli importava niente di quello che lei facesse o dicesse. Quindi si, preferirei non averli mai conosciuti, ho passato anni d’Inferno-

- Luke...-

Le intimò il silenzio con un gesto -Un giorno scappai, incontrai altre semidee e un satiro, che ci portò al Campo Mezzosangue. Ma lì le cose non migliorarono. – il suo viso si fece scuro

- Tu non hai la minima idea di quanti ragazzi rimangono indeterminati, di quanti ragazzi non sanno di chi sono figli. Per colpa di quello stupidissimi dio del vino mi sono fatto questa cicatrice.- disse indicandosi il volto -Ho accolto tutti i ragazzi che arrivavano, consapevole che la maggior parte non sarebbe mai stata riconosciuta, e che avrebbe passato la sua vita nel dubbio. Sono stato gentile con tutti, ho aiutato tutti, consolato i ragazzi quando stavano male, li ho aiutati a non sentirsi delle nullità per colpa degli dei. Ne ho anche accuditi alcuni mentre morivano per qualche impresa, per i mostri, o per quegli stupidi giochi che gli dei volevano- una pausa, drammatica -Ho visto una mia amica sacrificarsi per me, morire per me, quando eravamo a pochi metri dal Campo, quando sarebbe bastato uscire un attimo ed aiutarci. E tutto quello che mi è rimasto è stata questa dannata cicatrice e ricordi di persone che sono morte invano. E tutto per colpa degli dei.-

- Luke...-

- Non ho finito. Poi è arrivato quel Percy Jackson, quel piccolo... è arrivato lui ed è stato subito riconosciuto. Un figlio di Poseidone, uno dei Tre Pezzi Grossi, quelli che avevano giurato di non avere mai più figli. Era ansioso di avere un'impresa, voleva salvare sua madre, e Chirone gliel'ha concessa subito. È partito con i miei due migliori amici, e Percy era appena arrivato, l'impresa era pericolosa, e io ero sicuro che li avrebbe fatti uccidere tutti, che Annabeth, la mia amica Annabeth... ero sicuro che lei si sarebbe sacrificata per lui e non potevo accettarlo. Lui non sarebbe dovuto nascere, e tutti lo acclamavano come un eroe. E io che avevo sacrificato tutto per quel Campo... Era ingiusto. Era tutto incredibilmente ingiusto.

- Per questo quando Crono mi ha offerto di costruire un nuovo mondo dove non ci sarebbero state queste ingiustizie, ho subito accettato- la guardò -Io non odio gli dei perché sono un adolescente in crisi, Susanna. Li odio perché sono degli stronzi a cui non importa nulla dei loro figli, che li lascerebbero morire, finché la cosa non li tocca-

- Non avrei mai creduto che...-

-Non preoccuparti, non mi interessa se capisci o meno. Voglio solo sapere cosa hai intenzione di fare-

Susanna rimase in silenzio per un attimo -È questo che vuoi fare? Vuoi... vuoi creare un mondo migliore per quelli come noi?-

-Si, è il mio sogno, e farò di tutto per realizzarlo. E tu? Qual è il tuo sogno?-

-Io non sogno.-

-Perché?-

-Perché è inutile, non cambia la realtà-

-Non credo. Sognare è un modo per plasmare la realtà a nostro piacimento, per farla come vogliamo noi-

-Il mondo non cambia certo per due sognuccoli-

-Si invece! Guarda io dove sono arrivato! Cosa ho fatto con Crono-

-Tu avevi Crono, senza Crono tutto questo non sarebbe stato possibile, e Crono è più forte dei sogni, lui è un Titano-

-Già, ma il suo sogno era il mio sogno, rovesciare l'Olimpo-

Susanna non trovò nulla da controbattere, o forse non aveva la forza per farlo. Appoggiò la testa sulla sua spalla, si stava creando una certa complicità tra i due, una sorta di magia. E nessuno dei due voleva rovinarla.

-Vieni, ti porto in camera-

Nella notte illuminata solo da qualche flebile stella, la nave Andromaca scivolava lenta sull'acqua, ignara dei due nuovi amici che si aggiravano tra i suoi corridoi.

 

(E tu chi diavolo sei)

 

Susanna si svegliò in una stanzetta piccola e molto simile a quella che aveva all'orfanotrofio. Mano a mano che ricordava cosa fosse successo, si chiedeva se non fosse stato tutto un sogno: il mostro che poi aveva scoperto essere Campe, gli dei, Crono, Luke.

Campe.

Effettivamente c'era una grossa possibilità che fosse stato tutto un sogno.

Gli dei.

Sarebbe stato meglio se fosse stato tutto un sogno.

Crono.

Si era decisamente tutto un sogno, che altro poteva essere?

Luke.

Quel nome le gelò il sangue nelle vene, risvegliandole dubbi che era meglio tenere sopiti. Era davvero tutto un sogno? Aveva veramente solo sognato un ragazzo stupendo come Luke?

Sobbalzò. Ma che stava pensando?! Luke non era un ragazzo stupendo, era un ragazzo consumato dalla rabbia, egoista, solo, ambizioso, cattivo. E incredibilmente bello, dolce e profondo, con un intelligenza fuori dal comune e un carisma che pochi altri hanno. Era un leader, era un punto di riferimento per i ragazzi sulla nave.

Si prese la testa fra le mani, incapace di accettare quel che ormai ai suoi occhi appariva così evidente. Luke le piaceva, e pure tanto.

Ma come si fa ad essere attratti da un sogno, da uno stupido sogno? Di qualcosa che non è reale, che scivola via come granelli di sabbia portati dal vento?

Strinse le nocche fino a farle sbiancare, era la prima volta che le piaceva qualcuno, a scuola c'erano ragazzi carini, come Sean o Jeremia, ma quando si metteva con loro era più per vanità che per amore.

Ma con Luke era diverso: voleva baciarlo, sentire la sua risata, voleva consolarlo quando era triste e ridere con lui quando era felice, voleva stare con lui, voleva aiutarlo a realizzare il suo sogno, lui che un sogno l'aveva.

No, Luke era vero, doveva esserlo, tutta quella storia era vera, solo perché c'era lui, e lui non poteva essere finto.

Era disposta a credere a quella storia assurda, a credere che potesse rischiare la pelle per colpa di un dio che voleva prenderla in giro, per sapere che Luke sarebbe stato al suo fianco.

Si guardò in giro, la stanza in origine doveva essere grande, ma era talmente piccola da risultare quasi invivibile. Oltre al suo letto, a castello, c'è n'erano altri due, anche questi a castello, tutti con struttura in metallo, e molto scomodi. Accanto ad ogni letto c'era un comodino con due cassetti, la luce era data da una porta trasparente scorrevole alla parte opposta della stanza. C'erano due porte, una conduceva ad un piccolo bagno, l’altra...

L’altra si aprì in quel momento, rivelando una ragazza bassa e atletica, con lunghi capelli neri e ciocche verdi che incorniciava un viso tondo ed olivastro. Un trucco pesante contornava i suoi occhi scuri, rendendoli quasi a mandorla.

Dietro di lei, una ragazza alta e slanciata, i capelli, malamente tinti castoni, erano raccolti in una treccia disordinata.

Ci fu un attimo di stupore da parte delle tre ragazze, mentre si squadravano sorprese.

- E tu chi diavolo sei- sbottò la punk dopo qualche secondo

- Chi diavolo siete voi piuttosto-

- Noi?- continuò quella, sempre più nervosa – Sei tu ad essere nella nost...-

- Reene calmati- intervenne l’altra – Deve essere una nuova-

Quella che doveva chiamarsi Reene si zittì, senza però smettere di guardarla male, Susanna decise subito che non le piaceva.

- Potresti gentilmente presentarsi , se non ti reca troppo disturbo, nuova, e dirci che diavolo ci fai nella nostra stanza?-disse provocatoria Reene

L’altra alzò gli occhi al cielo – Come ti chiami?-

- Susanna, Susanna Stewart- rispose, riferendosi a quella alta – Voi siete?-

- Karola Austin – rispose  – Indeterminata?-

Susanna le lanciò uno sguardo interrogativo – Che sbadata, scusa. Sai chi è il tuo genitore divino?-

- No- rispose cacciando indietro una rispostaccia –Tu?-

- Ecco io...-

- Atena - disse la punk, lanciando uno sguardo significativo a Karola.

Da parte sua, la ragazza le diede una gomitata, invitandola a presentarsi. Sbuffò – Reene Kresh, indeterminata-

Ci fu qualche secondo di silenzio imbarazzato, mentre Susanna si guardava i piedi e Reene guardava Susanna.

- Che ci fai nella nostra stanza?- sbottò ancora Reene – Ai! Mi hai fatto male!- Karola le aveva pestato il piede.

Decise di ignorarla.

-Quindi in questa camera ci siamo solo noi tre?-

- No, ci sono altre due ragazze, ma penso che le conoscerai stasera. Per adesso, benvenuta nella camera 217-

 

(Torta alle mele)

 

Lasciò le due ragazze in camera, con la promessa che si sarebbero ritrovate quella sera. Cominciò a percorrere il corridoio, alla ricerca del ponte.

Camminò per mezz'ora buona tra le mura verde mela prima di arrivare agli ascensori.  Su un lato dell'ascensore c'era la mappa della nave. Il ponte principale, dove era stata la sera prima con Luke, era all'undicesimo piano.

Non appena pensò undicesimo piano la lucetta del tasto numero 11 si illuminò e Susanna fissò incantata l'ascensore che si muoveva senza che lei lo avesse ordinato. Luke e gli altri semidei dovevano aver fatto qualche magia sull'ascensore, quasi bastasse pensare qualcosa per ordinarglielo.

C’era qualcosa di impossibile da realizzare su quella nave?

L'ascensore si aprì su un ponte enorme, diverso da quello della sera prima. C'era una grande piscina, completamente vuota, e tutto intorno mostri e semidei.

La maggior parte dei mostri passeggiavano annusando l'aria o tappandosi il naso, le tornarono in mente le parole della Megera (Campe, si chiamava Campe) “la tua puzza è troppo forte per me” e si chiese ancora una volta cosa volessero dire, lo avrebbe chiesto a Luke.

Diversi semidei si guardavano in cagnesco ed erano a un passo dalla rissa, mentre alcuni mostri più placidi erano seduti al bar, dove dei mortali imbambolati servivano cocktail verdi, viola e blu. Susanna riconobbe anche qualcosa che sembrava limonata, ma non era pronta a scommetterci.

Si rese conto di aver usato la parola mortale, e di come questo le fosse risultato naturale. Scacciò il pensiero.

Sopra di lei, da prua a poppa, c'erano altri livelli, almeno tre, che in origine dovevano essere pieni di sdraio, e adesso erano usati come ring per il combattimento a corpo libero o con le armi. Al centro del ponte c'era una grande fontana.

Susanna si avvicinò alla fonte e vi immerse una mano. L'acqua era gelida, ma non le dispiaceva, anzi, era come se le carezzasse dolcemente la pelle, era piacevole.

Era tutto talmente nuovo per lei, che anche la semplice sensazione dell’acqua fresca sulla pelle la calmava, era qualcosa di conosciuto.

Poco distante da lei una ragazza con i capelli neri tagliati in un caschetto e la pelle pallidissima litigava con un ragazzo tutto muscoli che le ricordò vagamente Sean, ma, di nuovo, scacciò il pensiero.

Erano passati solo due giorni, ma sembrava una vita fa’.

Gardò più attentamente i due ragazzi, incuriosita. Tutt'intorno a loro mostri e semidei urlavano e facevano il tifo, esaltati.

Quando la ragazza si accorse che Susanna stava guardando nella sua direzione, un sorrisetto le comparve sul volto. Le si avvicinò in un modo un po' troppo simile a come le si era avvicinata Campe solo due giorni prima -Bene bene, chi abbiamo qui?- disse con un sorriso di scherno -Una mezzosangue nuova di zecca! Permettimi di presentarmi, io sono Coline Russell, figlia di Nemesi. Tu sei?-

- Susanna Stewart-

- Susan?-

- Susanna - la corresse -è un nome italiano-

- Quindi sei italiana, eh? E chi è tuo padre? Il dio della pizza?- disse, ma Susanna non rispose, per quanto ne sapeva poteva essere veramente figlia di quel dio, anche se non credeva esistesse, ma contenne tutte le battutacce che le erano venute in mente - Beh, che ti succede? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Forse è meglio che ti aiuti io a svegliarti...- disse

L’acqua della fontana era gelata.

Finì con il sedere sul fondo, quando uscì, grondante d'acqua, Coline e altre due sue scagnozze ridevano come matte.

Successe tutto in un lampo: lanciò un sguardo carico d’odio a Coline, pronta a fare a pugni con lei, nonostante quella fosse molto più grande e imponente.

Sentì uno strano calore invaderle il corpo, forse una reazione al fatto che era appena stata buttata nell’acqua gelata, e Coline cadde per terra urlando.

Poi quel calore, così come era arrivato, scomparve, e Coline sembrò recuperare lucidità, ma rimase ancora qualche secondo rannicchiata, con gli occhi neri sbarrati.

Solo allora Susanna si accorse che tutti, semidei e mostri, erano girati verso di lei e la guardavano.

Le due ragazze che poco prima la deridevano, la guardavano come se fosse un mostro.

-Tu! Brutta strega cosa mi hai fatto?!- urlò, infuriata Coline -Te la farò pagare!-

Susanna non ebbe la forza di controbattere, era successo tutto così velocemente, ma cos'era successo, esattamente? E soprattutto se era stata lei a farlo, come aveva fatto?

Si guardò le mani come se non le riconoscesse, sconvolta.

Un attimo dopo Coline si era avventata su di lei e la tempestava di calci e pugni. Tutto intorno mostri e semidei urlavano, esaltati da quella rissa fuori programma.

Provò a pararsi la faccia con le braccia, dimenandosi, ma quella era molto più grande e più forte, e la bloccava. Sentì il sangue inondarle la bocca e un crack molto poco rassicurante.

-FERMI!- urlò ad un certo punto una voce -Cosa succede qui?- nessuno parlò, la nave era piombata immediatamente nel silenzio. -Allora? Ho detto cosa succede qui?-

Un ragazzo uscì dal gruppo e disse, con voce tremante – Q-quella ragazza, ha-ha fatto qualcosa a Coline e lei ha cominciato a picchiarla-

Luke guardò prima Susanna e poi la figlia di Nemesi, infuriato ma composto -Coline, lasciala andare- disse.

La ragazza rimase ferma qualche secondo, poi ubbidì, rassegnata.

Susanna sentì Luke che ordinava ad alcuni ragazzi di aiutarla a rimettersi in piedi. -Ce la fai a camminare?- le chiese uno dei due, biondo e con gli occhi marroni. Susanna annuì, non voleva sembrare debole di fronte a tutta la nave.

-Non finisce qui, mezza cartuccia, non finisce qui- le sussurrò Coline quando le passarono accanto, beccandosi un occhiataccia da Luke e dal ragazzo biondo.

-Portatela in infermeria- disse Luke e i due ragazzi ubbidirono.

Entrarono nell'ascensore in silenzio e, sempre in silenzio, aspettarono che l'ascensore raggiungesse l'ottavo piano.

-Comunque, io sono Mark. figlio di Apollo- disse il ragazzo biondo uscendo dall'ascensore

- E io sono Jeoff, piacere- aggiunse subito il secondo, un ragazzo con la faccia piena di brufoli e i capelli neri -figlio di Efesto -

-Potremmo vederci, ogni tanto...- riprese il biondo, Susanna li fulminò entrambi con lo sguardo. Ci stava veramente provando con lei in quella situazione?

-Eccoci arrivati in infermeria, vuoi che restia...- cominciò Mark

-Ti lasciamo riposare in pace- lo interruppe Jeoff, chiaramente il più intelligente dei due, Mark lo guardò male, ma si lasciò trascinare via.

Susanna sbuffò, poi entrò nell'infermeria.

Si rese subito conto che era troppo piccola per essere l'infermeria originaria della nave, era più probabilmente un centro benessere attrezzato con le sdraio tolte dal ponte superiore e i lettini originali di quel posto. C'erano almeno cinquanta lettini, ogni due o tre separati da un paravento.

In fondo alla sala c'erano delle scale, quindi probabilmente c'era un'altra sala uguale a questa nel piano di sopra.

Accanto all'infermeria vide quella che doveva essere stata la palestra, adesso trasformata in Arena.

-Si sono sistemati bene- disse tra sé e sé, accorgendosi dopo di aver parlato a voce alta.

Vide mostri dalla pelle di diversi colori e alcuni semidei aggirarsi tra i lettini, molti dei quali erano occupati. Si avvicinò a una semidea.

-Ehy, scusa-

-Si?- rispose quella distrattamente, senza neanche guardarla in faccia

-Ho appena finito di fare a botte con una ragazza- mentre parlava, il labbro spaccato le faceva male

-Oh, capisco. Vieni, vedo se abbiamo ancora ambrosia- disse, esaminando la sua faccia. Non doveva essere messa tanto bene: le sanguinavano naso e bocca, e sentiva delle fitte lì dove Coline l'aveva presa a calci.

La ragazza la fece sedere su uno dei lettini liberi e scomparve per qualche minuto. Susanna continuò a guardarsi in giro, evitando di guardare quella che sembrava una donna-pipistrello gigante nel lettino accanto al suo.

Quando la ragazza tornò teneva in mano quello che sembrava un quadratino di... non sapeva esattamente di cosa fosse, ma non sembrava nulla di particolarmente gustoso.

-Su, mangia- disse la ragazza, Susanna prese in mano il quadratino.

-Che roba è?-

-Per il Tartaro, veramente non conosci l'Ambrosia? Una delle poche cose buone che hanno fatto gli dei... non è pericoloso, su mangia-

- Ambro-che?-

- Sei una semidea? Se sei una semidea e non un mostro travestito mangia e basta- sbottò quella, che cominciava a spazientirsi

- Ma almeno ha un buon sapore?- chiese, ancora diffidente.

Sorrise furba -Provala e basta- e Susanna la provò.

Sentì un improvviso calore, sapeva di torta alle mele, e improvvisamente smise di sentire dolore -È fantastica! Ma che roba è?- ripeté

-Se sorda? Si chiama Ambrosia, dolcezza, te lo ha già detto- rispose la donna-pipistrello -Di che sapeva?- aggiunse subito dopo.

- Torta alle mele-

La donna-pipistrello annuì e si girò dall'altra parte -Perché fa' così?- chiese Susanna alla ragazza

-Lei non è un semidio, non può mangiare l'Ambrosia né bere Nettare-

-Oh-

-Su vai, adesso è tutto apposto- fece per andarsene -Ci si vede-

 

(Altre scuse)

 

Lo trovò davanti la porta della sua camera, con le braccia conserte, e un'espressione accigliata.

- Luke -

-Entra- disse il ragazzo, spalancando la porta.

In camera c’erano ancora Karola e Reene, più un’altra ragazza che non conosceva

- Fuori- comandò Luke alle ragazze, che lo guardavano stupite – Adesso-

Le ragazze uscirono. Quando la porta si chiuse, Luke sbottò -Allora, mi spieghi cos'è successo?- Susanna lo guardò, incapace di dire qualsiasi cosa.

Dopo alcuni secondi di silenzio, Luke sbatté improvvisamente il pugno chiuso contro il muro -Vuoi parlare! Non ho tutto il giorno!- gridò, con gli occhi fuori dalle orbite, era la prima volta che Susanna lo vedeva così arrabbiato, e non le piaceva -Anzi no! Non voglio saperlo! Io non tollero scazzottate di questo tipo tranne che in allenamento! Mi hai capito bene?-

-Io... si-

-Perfetto. Ora dimmi che è successo perché non ci ho capito niente-

-Io non stavo facendo niente! Ero tranquilla vicino alla fontana e quella lì, Coline mi ha buttato nella fontana, e io mi sono arrabbiata e ho sentito questo calore e-e poi lei si è piegata su sé stessa e ha... ha cominciato a piangere e a gridare... io non ho fatto niente, te lo giuro!- disse sedendosi pesantemente sul letto.

Luke trasalì – Cosa hai detto? Ripeti l’ultima cosa che hai detto-

- Non ho fatto n...-

- No, prima-

- Il calore?-

- Si, si, ripeti quella parte-

- Ho sentito questo calore, forse è stato una reazione all’acqua gelata, non lo so, e Coline è caduta e piangeva e aveva gli occhi sbarrati e...-

- Basta così- la bloccò – Non muoverti da qui fino a che non te lo dico io-

- Luke, ma cosa...?-

- Niente domande, rimani qua-

E uscì.

 

 

NdA

Salve a tutti!

Eccomi qui, con il primo capitolo! Spero che vi sia piaciuto, perché mi ci sono impegnata veramente un sacco :3

La struttura del capitolo (tipo tutti quei mini titoli all'inizo di alcuni paragrafi) sono spudoratamente copiati da The Life and Times di Jewels (se siete potterhead e anche se non lo siete dovete per forza leggere quella fanfiction) (l'hanno pure tradotta in italiano, non avete scuse)

E comunque spero che vi sia piaciuto e che mi lasciate tante recensioni!

A presto

Rixbob 

   
 
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