Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Barry Q    08/03/2015    0 recensioni
Mi chiesero cosa fosse per me l'ispirazione, così raccontai di quella donna sulla riva del Tamigi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Su una riva del Tamigi


La città era in ammollo in una pozza di triste buio quando i suoi occhi malinconici penetrarono i miei giorni.

Camminavo, senza sapere dove andare. Mi guardavo intorno, senza sapere cosa cercare e spaventato all'idea di ciò che avrei potuto trovare. Vivevo, senza sapere bene come fare.

I piedi cominciavano a dolermi, perennemente in bilico sulle superfici irregolari dei sampietrini e l'aria umida e fredda che risaliva dal fiume mi trafiggeva la carne e danzava implacabile con le mie ossa, stancandole e ferendole.

Niente valeva stringersi nel lungo cappotto o affondare il viso tra le pieghe della sciarpa. Niente valeva accelerare il passo o eleggere scorciatoie.

Quella strada sembrava non finire mai e la notte uniformava i contorni. Nemmeno la luna osava farsi vedere, forse per non turbare la magica e raccapricciante sospensione in cui tutta Londra sembrava galleggiare.

Qualcuno borbottava, altri, dopo un'insensata lite, marciavano lungo i marciapiedi, mano nella mano solamente perché così erano abituati a fare, persino quando non si provava altro che odio. Altri ancora, i più coraggiosi, si sporgevano oltre il parapetto ed immergevano i loro sguardi oscuri nelle torbide acque del Tamigi.

Fu lì che la incontrai e d'improvviso mi parve uno scempio il solo pensare di poter muovermi oltre.

Accadono cose terribili nel corso di una vita e il più delle volte ci ostiniamo a tenerle con noi, quasi che lasciarle andare possa significare tornare ad essere vulnerabili, privi della benché minima protezione, di nuovo soli, di nuovo deboli.

E poi, invece, ci sono le cose belle, quelle che ci ripromettiamo di non dimenticare mai e che invece volano via, strappate alla nostra anima dai ricordi velenosi.

Lei era una di queste cose belle, eppure non mi ha ancora lasciato.

Sarà stato forse per quei suoi lunghi capelli grigi in balia della brezza fiumana? O per quel profilo duro e accartocciato a malapena accarezzato dalla luce del Big Ben?

Mi avvicinai, incrociai le braccia sulla pietra, sospirai.

Non si mosse. I suoi grandi occhi morti seguivano il quasi indistinguibile ondeggiare del fiume, con l'intensità di chi durante una tempesta apocalittica si aggrappa all'ultimo avamposto ancora in piedi.

Sembrava andarne della sua vita, come se distogliere lo sguardo dal Tamigi avrebbe potuto significare cadere, sparire. Morire.

Uno strano desiderio mi sconquassò le viscere.

Sapevo che non era lì per perdersi in chiacchiere o fare la conoscenza di uno come me, con questi pantaloni sagomati e queste scarpe da mutuo, eppure proprio non ce la feci a resistere all'impulso di rivolgerle la parola.

Cosa passava per quei suoi occhi vuoti?

Dovevo saperlo.

“Freddo, eh?”.

Lenta, mosse il capo quasi volesse guardarmi, attenta però a non perdere mai di vista la brodaglia nera sotto di noi.

“Non ha freddo con quei pochi vestiti addosso? Vuole che le...”.

“No”. Feroce come le spine di una bellissima ma mortale rosa, la sua voce. Giovane e vecchia, morta e viva, luce e vuoto.

“D'accordo” annuii “Ma sappia che finirà per ammalarsi se continua a starsene qui con solo quella felpa addosso”.

“Senta” sbottò con la voce rauca di chi fuma troppo o non abbastanza “Mi dica cosa vuole, così posso farle un prezzo e la facciamo finita. Ah?”.

“Io non...oh!” esclamai, sinceramente stupito “Lei è...”.

Si sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie e fu allora che vidi le terribili cicatrici che come trame infernali le rigavano il viso. Finalmente mi guardò, limitandosi a muovere solamente gli occhi, troppo stanca persino per preoccuparsi di apparire beneducata.

“Non sono per quelli come te” sussurrò “Sparisci”.

I vapori funerei della sua voce mi pareva di vederli strisciare su per quella metà di viso deturpata, penetrarle le orecchie e raggiungere gli occhi. Come spiegare, altrimenti, la patina languida che d'improvviso le velò lo sguardo?

“Ehi” dissi, scoprendo una voce troppo simile alla sua, altrettanto instabile, altrettanto sottile.

Allungai un braccio, poi me ne pentii.

Lei, immobile, tornò a fissare il fiume.

“Che le è successo?” domandai “Posso saperlo?”.

Sorrise e nonostante le ombre scorsi denti a zig zag e a tanto così dal marcire e staccarsi.

Eppure, nonostante la sensazione di raccapriccio che mi afferrò a quella vista, non potei fare a meno di trovarla bella. Non vedevo le cicatrici o la dentatura ingiallita incorniciata da labbra increspate dal freddo, né il grigiore dei capelli radi o le folte sopracciglia. Vedevo un sorriso. Di cos'altro c'è bisogno per esser belli?

“Mi pagherete?”.

“Certo”.

“Allora ve lo dirò”.

Scrollò le gracili spalle, facendomi temere, sebbene per un solo istante, che fosse sul punto di spezzarsi.

“Mi è successo che ho deciso di scommettere su di me” confessò, spegnendo il sorriso e tornando alle sembianze di relitto su uno scoglio di cartapesta, tanto lontano e ben nascosto da non avere altro visitatore che lei “Ho scommesso su di me ed ho fallito”.

Mi ritrovai con la gola secca d'emozioni.

Su quello stesso scoglio, in fondo, avevo vissuto anch'io. In tempi diversi, in modi diversi, ma la solitudine è solitudine, non fa distinzioni, non discrimina. È giusta, la solitudine.

“E guardi il fiume” dissi, non sapendo bene perché, come se avesse bisogno della mia costatazione per rendersene conto.

“Si” sospirò. Poi, allarmata, mi guardò. “Mi pagherai, vero?”.

“Certo. Ti va di seguirmi?”.

“No” rispose “Preferisco guardare il fiume”.

Mi avvicinai, attento a non sfiorarla.

Raggiunse le mie narici un vento che odorava di umida malattia, ma mi sforzai di non palesare alcuna reazione.

Fissai il fiume insieme a lei.

“Ti piace?”.

“Cosa?”.

“Il fiume”.

“Si. Mi piace. Mi paghi?”.

“Prima voglio sapere cosa ti piace del fiume”.

Abbassò il capo, lasciando che la ciocca dietro l'orecchio destro, da poco riordinata, penzolasse in avanti e nascondesse il suo volto deturpato.

“Mi chiama” confessò “Di continuo. Non smette un attimo di chiamarmi”.

“E cosa ti dice?”.

“Di unirmi a lui”.

La guardai, al sicuro dietro il sipario argentato che ci divideva.

Le porsi due banconote, ma lei non le prese.

“Parlava anche a te, non è vero?” mi domandò.

Non si aspettava una risposta. Voleva che guardassi il Tamigi insieme a lei e che per una notte non fosse da sola.

Che per una notte non lo fosse nessuno di noi due.

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Barry Q