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Autore: KH4    09/03/2015    3 recensioni
Nuova raccolta di One-shot con protagoniste la Sharkbaitshipping e la Negativeshipping.
Romanticismo, dramma e situazioni al limite della decenza umana si mescoleranno a ironia e umorismo, con giusto un pizzico di perversione e sadismo che non guastano mai. Ogni capitolo conterrà due One-shot, una Sharkbait e una Negative, per un totale di otto One-shot in quattro capitoli (se decidessi di non aggiungerne altre). Come per Bonds, il quinto capitolo sarà dedicato alla coppia che più avrà riscosso voti, quindi, nuovamente, a voi l’ultima parola!
 
1) Neko (Sharkbaitshipping)/ Ombrello (Negativeshipping).
2) Hand (Sharkbaitshipping) / White Day (Negativeshipping).
3) Foto (Sharkbaitshipping) / Demons (Negativeshipping).
4) Bite (Sharkbaitshipping / Responsabilità (Negativeshipping).
5) Gift (Sharkbaitshippig).
Note: OOC, Triangolo, Gender Bender.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bekuta/Vector, Rio, Ryoga/Shark, Yuma/Yuma
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender, Triangolo
Capitoli:
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Hand.
 
“Molla la presa!”
Non sapeva in che altro modo dirglielo, ordinarglielo, anche se doveva considerare un miracolo il solo fatto che riuscisse a fare altro oltre che a respirare. Metà piattaforma penzolava da un’altezza che riempiva l’aria di grida spaventate e frasi ripetitive, il cemento sfrigolava al singhiozzare dei cavi elettrici, liberi di muovere convulsamente le saettanti teste. Il cigolio dell’acciaio piegatosi d’innanzi a un peso che da solo non poteva più reggere, falciava il tempo d’azione man mano che il sostegno rimasto si frastagliava di reticolati crepati sempre più larghi. Lo scoppio era stato potente, voluto, ma andato oltre le premesse, tuttavia a Shark non sarebbe importato di lasciarsi precipitare insieme ai detriti che sicuramente lo avrebbero infilzato e seppellito. Lo aveva fatto, ancora, superando un confine che si apprestava a punirlo in modo definitivo ed esserne consapevole non gli avrebbe garantito alcun indulto. Il febbricitare della mente e la paralisi d’ogni fascio muscolare – anche quello più insignificante - lo rendevano un pendolo d’acciaio che la gravità sentiva l’obbligo di frantumare prima che i soccorsi ritenessero opportuno aiutarlo; se fosse stato capace di muovere un qualsiasi altro muscolo al di fuori della bocca, avrebbe messo fine a quell’attesa da sé, com’era giusto che fosse. Ma poi quella voce lo aveva risvegliato, con boccheggio smorzato, da quel sonno costellato di luci oscure e fascinanti veli tenebrosi, la nebbia circostante dissipatasi perché riconoscesse gradualmente la figurina sporta verso di lui, il braccio teso in avanti e la mano stretta al suo polso per tenerlo sospeso a mezz’aria. L’ossigeno pompò nei suoi polmoni pizzicandone le pareti trasparenti mentre tutto intorno si degradava un pezzo alla volta, minando quell’ultimo appiglio di artificiale stabilità che poco prima era stato il palcoscenico del loro duello. Era lì, imbrattata della violenza che le aveva scaricato addosso senza tener conto delle sue parole, accecato da un potere covato dal suo rancore assopito. Non poteva tirarlo su, la sua mano stava già facendo l’impossibile soltanto per serrare un polso due volte più grande del suo, le esili dita a impedirgli di precipitare in mezzo a un mare di macerie appuntite. Tenerlo in bilico era tutto ciò che poteva fare per scongiurare il peggio, in attesa di soccorsi che sembravano non aver preso nota della gravità della situazione. Lo Squalo non osò immaginare da quanto tempo resistesse, ma trasalì al percepire una sottile scia liquida solleticargli la pelle: il braccio di Yuna assomigliava a una tela ambrata, dove un numero considerevole di tagli rossastri si era accumulato con aspetto deturpante. Da sotto il gilè che le copriva appena la spalla, intravide un alone scuro da cui colava quella striscia di sangue dalle diramazioni sempre più consistenti.
“Non ce la puoi fare a reggerci entrambi! Tirati su e scendi prima che crolli tutto, va bene così!” A parlare fu l’ansia mascherata da ragione, ma lei non lo ascoltò ne cedette al dolore che ne comprimeva il viso sempre più sofferente.
Sì, era davvero andato oltre, stavolta. Credendo di avere il controllo non si era accorto di essersi lasciato plasmare e trasformare in un pupazzetto riempito d’energia, che subito l’aveva castigato per non l’aver eseguito il compito richiesto. L’illusione di poter restituire il male inferto a sua sorella si era scoperta una recita orchestrata al solo fine di utilizzarlo come pedina in un piano di maligna specificità, un tassello qualunque manovrato dalla sua stessa sete di vendetta. Se ne era lasciato cullare, gradualmente ossessionare sino a non vedere null’altro che le fiamme serpentine colpevoli dell’incoscienza di Rio, il sorriso maligno del Marionettista in fondo al baratro di follia dentro cui si era lanciato senza immaginare di essere già stato consumato per metà, diventato come l’avversario. La sola colpa di Yuna era di aver scorto qualcosa che per gli altri non esisteva, che aveva personalmente cancellato poiché inconciliabile con le macchie che ne infangavano l’orgoglio: una persona in cui credere.
Il cedimento di un pilastro sottostante la piattaforma fece ondeggiare il pezzo pendente con maggiore oscillazione. La corvina tossì al picchiare duramente il busto contro la parete verticale, sporgendosi con metà corpo rivolto al vuoto e l’altra mano artigliata a una stretta fenditura.
“Stupida! Così cadrai anche tu!” Il controllo scemò del tutto, la frustrazione mescolata alla preoccupazione incalzante fecero traboccare quelle parole impregnate quasi più della prima sensazione che della seconda “Ti ho detto che va…!”
“Vuoi davvero discutere se vada bene o no lasciarti andare?!? IDIOTA!!!” Per la prima volta, sentì la sua voce tingersi di rabbia, esplodergli in faccia e lasciarlo attonito “Ti piacerebbe che ti odiassi, che credessi che sei come pensi di essere e che non cambierai mai, sarebbe più facile, ma la verità è che hai paura!”
Cosa centrava lei? Perché aveva permesso che finisse in mezzo a qualcosa che non la riguardava? Se l’era ritrovava a fianco di punto in bianco, vicino, senza aspettare che imboccasse sentieri oscuri per strappargli l’animo dalla grigia apatia. A una volta si era succeduta un’altra e un’altra ancora, finché, dallo stesso pertugio lasciatole involontariamente aperto, si era insinuato un soffuso calore umano, un innaturale affetto che ne aveva risvegliato il desiderio di sentirsi meritato dagli altri. Da lei, più di tutti.
“E’ tutto spaventoso quando non fai altro che camminare nel buio e non sai dove andare, ma sono tua amica, Shark. Lo sarò sempre, ci tengo a te…” Il suo flebile mormorare lo raggiunse, benché, attorno, lo spezzarsi di più rumori si accavallasse ripetutamente per soprassedere a qualunque altro suono. “Puoi anche non considerarmi tale, cacciarmi tutte le volte che ti verrà voglia e anche tentare di tagliarmi la testa, se ti va! Tanto io continuerò a preoccuparmi per te, quindi farai bene ad accettare l’evidenza e metterti l’anima in pace, perché a costo di inculcarti in quella zucca che non sarai mai più solo, verrò lì sotto a picchiarti finché non svieni!!!”
Avrebbe voluto divincolarsi, fare quello che lei si ostinava a respingere; ha sbagliato troppe volte, ceduto al peggio di sé oltre ogni limite consentito per credere di poter ingoiare come se nulla fosse il disgusto per la propria immagine, ma fu l’amaro scesogli in gola per l’assurdo volere che Yuna non lo abbandonasse e il sapere che mai sarebbe successo, a ripugnarlo e a farlo desistere dal rifugiarsi nella piccola bolla calda priva di rimpianti che lei gli aveva generosamente regalato. Forse, più avanti, avrebbe smesso di mentirsi sul perché non riuscisse a liberarsi della sua goffa presenza, ce l’avrebbe fatta a tranciare le inutili barricate di orgogliosa accozzaglia accatastatesi attorno ai sorrisi che voleva rivolgerle. Allora avrebbe stretto quella mano che aveva tanto a cuore la sua incolumità trasmettendole quel che a parole non sarebbe riuscito a dirle.




White Day.
 
L’orologio incastonato in cima al lampione segnò le sei e un minuto, con il cielo sporco di un grigiore fuligginoso a turbinare verso ovest. Il giorno preferito dalle ragazze, dopo San Valentino, stava per concludersi, l’unica occasione in tutto l’anno dov’erano i ragazzi a dover dimostrare i loro sentimenti con gesti e parole concentrati in regali. Imbacuccata per benino nel suo caldo giaccone, la testolina di Yuna sporgeva appena da dietro un enorme sacchetto pieno di scatoline colorate, peluche infiocchettati e dolciumi tutti rigorosamente a base di cioccolato bianco. Il quattordici di Marzo non era stato denominato White Day per un motivo qualunque, il bianco era d’obbligo quanto il rosso durante il quattordici di Febbraio, ma come per molte altre cose inerenti al mondo femminile, la corvina non era riuscita a immedesimarsi nella frenesia che aveva posseduto le sue compagne all’idea di poter ricevere un regalo da qualche ammiratore o dal ragazzo amato.
“Pesca grossa quest’anno, eh, Tori-chan?” Ridacchiò lei, ammiccando al sacchetto che reggeva fra le mani e che, ovviamente, non era suo.
“Non me ne parlare: in queste buste ci saranno almeno cinque chili di cioccolato”, sospirò l’amica “Sarebbe un peccato buttarlo, ma non ho proprio idea di come smerciarlo…”
“Provare a mangiarlo?” Suggerì la duellante.
“Sei matta?!? Dovrei rinchiudermi a vita in palestra per smaltire tutta questa roba!” Sbottò quella.
“Era solo un’idea…” Yuna roteò gli occhi all’insù, ricordandosi che mettere Tori e Cibo nello stesso discorso fosse più pericoloso che introdurre la mano in una tana di serpenti a sonagli.
Un'altra stranezza di quel mondo a cui apparteneva e che al tempo stesso la vedeva messa al confine: il Peso. Tendeva a dimenticare troppo spesso quanto l’amica la detestasse per l’ingurgitare quintali di cibarie senza che il suo fisico asciutto oltre ogni umana giustizia ne risentisse e come provava a dirle che anche lei avrebbe potuto permettersi di mangiare qualsiasi cosa desiderasse semplicemente muovendosi un po’ di più, ecco che la tempesta si alzava e lei doveva correre ai ripari prima di finire prigioniera in chissà quale filantropica lamentela. Se fossero stati regalati a lei cinque chili di cioccolato bianco li avrebbe mangiati senza tanti crucci, ma tutti quei dolcetti ben stipati in graziose confezioni variopinte appartenevano a Tori e non si sarebbe mai permessa a chiederne un po’: un dono rimaneva pur sempre un dono, fatto col cuore, voleva sperare, e la gran parte di quei pacchetti e peluche era da parte di Arito e nessuno, men che meno lei, avrebbe dubitato del sincero affetto che lo legava all’amica – anche se quelle due buste non si potevano paragonare ai bastioni di doni recapitati a Rio dal 99% degli studenti, che ne elogiavano i passi come fosse stata un regina in terra e quasi avevano scatenato una rissa su chi dovesse essere il primo a darle il suo presente -. Quanto a lei, non aveva mai dovuto preoccuparsi che qualcuno si picchiasse per la sua attenzione o che passasse giorni interi a scegliere il miglior cioccolato per far colpo: nemmeno rientrava nella top twenty delle studentesse più in vista della scuola e per rigore di logica, agli sgorbietti non andavano nemmeno le briciole. Lo sapeva da sé di non essere quel tipo di ragazza a cui i maschi andavano dietro – leggiadra e incantevole - o di essere fonte d’interesse per qualcuno che la considerasse più di un’amica o, ancora, la guardasse di sottecchi anche solo per mezzo secondo, ma tanta invisibilità non l’aveva mai sfiorata con l’intenzione di ferirla indelebilmente. Ogni cosa ha bisogno del suo tempo per sbocciare, Sweetheart. Il tuo arriverà quando meno te lo aspetterai, soleva ripeterle sempre Obaa-chan. E se era lei a dirlo, non c’era motivo per dubitare del contrario.
“Tadaima!*” Accompagnata Tori, Yuna si era diretta a casa, ricordandosi all’ultimo minuto che la nonna era fuori città e che Onee-san sarebbe rientrata tardi.
Si incamminò verso l’attico dopo aver lasciato la cartella sul divano. Stranamente, quel giorno, Vector non si era presentato alle lezioni, né si era premurato di dare sue notizie. La cosa non l’aveva preoccupata, capitava che il ragazzo bigiasse per ragioni personali, ma il fatto che quel suo sorriso furbesco le fosse balenato in testa alle stessa velocità di uno schiocco di dita, la impensierì.
“Uh? Cos’è?” Nell’aria del corridoio si era levato un insolito profumo di fiori. Di Rose, se avesse dovuto azzardare un’ipotesi, e proveniva proprio dall’attico, dove, una volta salita la scaletta, avvampò al punto da perdere quasi i sensi e finire a testa in giù: l’intera stanza era stata svuotata di tutti gli artefatti collezionati da Tou-san e rimpiazzati da un triliardo di foto di Vector, che ne tappezzavano ogni centimetro col corpo immortalato in pose nude al limite dell’indecenza e spedirono il cuore della ragazza fra le braccia di un’aritmia incontrollabile per come quelle le ammiccassero sensualmente. Sulle condizioni dell’amaca avrebbe preferito sorvolare, per pietà dell’altra metà di se stessa che non era morta sul colpo allo scoprire la sorpresa: su di essa – imbottita di cuscini con sopra stampata la faccia del ragazzo, cuori di cioccolato bianco e nastrini di un tenue celeste – era stata appesa un’integrale gigantografia del suddetto che la guardava come se volesse mangiarla viva. Fra i denti della candida chiostra teneva una rosa bianca, lo stesso tipo di rosa che ricopriva il pavimento con un centinaio e passa di gemelle.
“Che...Che…Che…!” Andò in iperventilazione con le corde vocali a ripetere la stessa parola, la pelle a fumare vapore e colorata di un lucido rosso peperone sempre più bollente. Doveva uscire da lì prima di rimetterci i pochi brandelli di sanità mentale rimastile, calmarsi, prendere un sacco – un enorme sacco – e liberarsi di tutta quella roba prima che qualcuno ne scoprisse l’esistenza – almeno delle foto, fiori e cioccolatini li avrebbe sistemati in un’altra maniera -. La confusione regnava senza che riuscisse a pensare con un minimo di razionalità, tutto quel bianco era…Destabilizzante, da shock accecante. E il conoscere l’artefice avrebbe dovuto ragguagliarla su come soltanto lui potesse farle lacrimare gli occhi per la disperazione. Vide la lettera sul suo comodino in un attimo di lucidità e passò un buon quarto d’ora a fissarla, combattuta fra l’aprirla o il lasciarla dov’era per chiedersi se quella sorta di pseudo-umano fosse nei paraggi, magari mimetizzato fra le sue tante foto, perché almeno – forse - le avrebbe impedito di collassare al suolo come successe, per quel paio di paroline apparentemente innocue e il succinto completino di candido pizzo sfilato con tremore incontrollabile dalla scatolina non notata in un primo momento.
 
Un meraviglioso White Day alla più dolce delle mie conquiste!
Sto scherzando, è ovvio che tu sia la mia preferita e qualora volesse ringraziarmi adeguatamente per l’omaggio,
accetterò soltanto pagamenti in natura!




 
Note di fine capitolo.
1*): Sono tornata!
Buon lunedì a tutti! In anticipo sui tempi che mi ero prestabilita, eccomi di nuovo qui, sperando di far piacere ai lettori. Le misure qui iniziano a essere più lunghe, ma credetemi, è difficile per una come me comprimere in una paginetta quello che riesco a esprimere solo usando venti pagine. Poi, sto seriamente pensando di rendere più lunga questa raccolta, inserendo una seconda parte con altre due coppie: la Keyshipping e Photonshipping, sempre con quattro capitoli, per rendere la competizione – se così la si può chiamare, più agguerrita. La prima coppia, perché sono di un tenero inimmaginabile, la seconda per sperimentare qualche romantica ideuzza. La cosa è ancora in fase di progetto, non sono sicura se applicare questa estensione o meno, perché dopo questo aggiornamento è probabile – non detto – che possa impiegarci più tempo a pubblicare (per i soliti motivi che non sto a elencare), ma intanto proseguiamo con le due coppie principali, che sto cercando di sviscerare al meglio delle mie possibilità creative (inutile dire che qui, la White Day è stata volutamente resa Negative per tutta una serie di ragioni che vedono Vector l’unico essere al mondo capace di ordire un regalo simile per Yuna-chan. E anche perché confido che tra le file di questo fandom, qualcuno abbia sempre desiderato un suo servizio fotografico con pose integrali capeggiate da quel suo faccino da schiaffi che tanto si ama e odia). Ringrazio la dolcissima DreamAngel24 per aver recensito la mia operetta e per darmi, come sempre un supporto che farebbe resuscitare l’autostima di un morto vivente. Spero moltissimo di ricevere le vostre opinioni, giusto anche per sapere quale coppia vi piace di più in queste mini situazioni. Mi auguro che come al solito non ci siano errori, nel caso, rileggendo più avanti, provvederò a correggere eventuali sbagli. Un bacione a tutte/i quanti!
 
  
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