Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: vegeta4e    09/03/2015    3 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 31

 Il giorno dopo eravamo rientrati a Fort George con calma, come se Washington non fosse morto e come se la macchia di sangue sul mio polsino bianco non fosse altro che innocuo condimento alimentare. Per tutto il tragitto verso New York Charles era rimasto in silenzio, abbassando lo sguardo sulla propria sella ogni volta che incrociavamo dei patrioti, ancora ignari di tutto. Erano strani, i patrioti, ma ammetto che un po’ li invidiavo. Erano consapevoli di essere nella merda, eppure combattevano con entusiasmo. Con un entusiasmo che io non avevo mai avuto neanche negli anni d’oro della mia gioventù, quando ancora ero una giubba rossa, quando ancora credevo che imbracciare un fucile avrebbe avuto i suoi lati positivi e mi avrebbe donato un minimo di gloria.

Invece no.  Uccidere non placa la sete di vendetta e non ti fa sentire meglio, ti lascia solo sulla coscienza una manciata di uomini e ti macchia l’animo, facendoti via via diventare indifferente alla morte altrui, come fosse una cosa normale. Così normale da farti considerare l’omicidio l’unica soluzione per cambiare qualcosa. Non ero fiero di ciò che ero diventato, mentre ammazzavo George non avevo provato rimpianto, né paura per ciò che mi avrebbe aspettato una volta morto, nel caso ci fosse stato qualcosa. A dire il vero mi facevo un po’ timore. Sapevo di essere freddo e distaccato, ma per quel genere di cose non te ne rendi conto finché non ci rifletti seriamente, finché non ti trovi la realtà sbattuta in faccia come uno schiaffo.

Anche Charles sarebbe diventato così una volta diventato Gran Maestro? Non volevo. Non volevo e non dovevo rovinare anche lui.

Lo guardai ancora, voltando di poco il capo verso destra. A vederlo sembrava semplicemente stanco e ancora stordito per la sbornia, ma io lo conoscevo bene. Sapevo leggere il suo linguaggio del corpo, anche se Lee faceva di tutto per apparire calmo e rilassato. La schiena era dritta e tesa, le mani strette sulle redini di cuoio, i piedi irrigiditi sulle staffe, pronti a spronare il cavallo per fuggire. Tentai di distrarlo, facendo battute sul fatto che non reggesse l’alcool e che si fosse addormentato come un marmocchio, ma non servì molto. La tensione era tanta, e quello che mi preoccupava era il fatto che avrei dovuto spiegare a Jenny tutta la questione. Avrei dovuto parlarle di Washington, di Artemas, della carriera militare di Charles andata quasi sicuramente a puttane. Tutto quanto. Temevo che me la sarei trovata contro per aver messo Lee nei casini come se fosse un estraneo qualunque, perché mettere altre venti guardie a controllare che Fort George non venisse preso d’assalto non garantiva proprio nulla. Ward era un pari di Charles, e la sua parola valeva ben più del volere di un paio di uomini a difesa di un forte, e se la causa era un mandato d’arresto per un generale ritenuto traditore, beh, non c’erano scuse. Senza contare che se Lee si fosse barricato dentro avrebbe alimentato i sospetti su di lui. Confidavo comunque nell’intelligenza di Charles, conosceva bene l’ambiente e sapeva come muoversi, ma questo non placava il mio senso di colpa. L’unica cosa che mi restava da fare era sperare che Artemas Ward non fosse tanto folle da attaccare un forte per un sospetto. Faceva bene a credere che Charles fosse coinvolto, ma non c’erano prove. Avevo fatto un lavoro pulito, cancellando addirittura le tracce sulla neve per evitare che le seguissero e raggiungessero la locanda in cui avevamo alloggiato. Non avevano nessuna prova contro di me, che ero il sicario, figuriamoci contro Charles, che non aveva neanche preso parte alla missione.

Deglutii, tentando di calmarmi. Dovevo sperare nella giustizia. Insomma, non si può arrestare un uomo su due piedi, no? Era la parola di Charles contro quella di Artemas, non avrebbero potuto fargli nulla.

Dio, che situazione del cazzo.

«Tutto bene?» La buttai lì, girandomi a sinistra fingendo di osservare il paesaggio.

Charles inarcò le spalle facendo scricchiolare le ossa, mollando poi le redini con la mano sinistra per riscaldare le dita intorpidite con un po’ di fiato caldo. «Diciamo di sì.» Avrei voluto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che la cosa peggiore che gli fosse potuta capitare sarebbe stata la sospensione del servizio militare, che avrei difeso la sua vita con la mia a qualunque costo, ma non lo feci. Forse avrei dovuto anche chiedergli scusa, ma non trovai il coraggio. A malapena riuscivo a guardarlo in faccia.

«Sta’ tranquillo, non è la prima volta che uccidiamo qualcuno di importante. Ricordi Braddock?» Gli scoccai un’occhiata. «Avrebbero dovuto impiccarmi o spararmi a vista, invece eccomi qua.»

Annuì debolmente, fissando distrattamente l’orizzonte e lasciandosi dondolare dall’andatura del cavallo. «Probabilmente sarà come dite voi, mi sto fasciando la testa prima del tempo.» Si sforzò di sorridere.

Per tutto il resto del viaggio non dissi nulla. Capii che aveva bisogno di starsene per i fatti suoi, di ragionare su ciò che di lì a breve sarebbe accaduto per prendere le decisioni migliori, quindi lo assecondai.

Ero sicuro che non gli sarebbe potuto accadere nulla, e in fondo è quello che pensiamo tutti quando si tratta di disgrazie come la morte, no? Le vittime sono sempre gli altri, mai noi in prima persona, mai gli amici o i familiari. Eppure avrei dovuto pensarla diversamente. Con Charles, però, non ci riuscivo. Lui era lì, intoccabile, e ogni volta mi ripetevo: figurati se succede a lui.

 

Arrivammo a New York di mattina presto. Inutile dire che mi chiusi immediatamente nella mia stanza senza salutare nessuno. Insomma, avevo una decina di ore di sonno arretrato da recuperare. Non amai così tanto il mio letto fino a quel momento. Comodo, caldo e soprattutto singolo, senza nessuno accanto pronto a russarmi nelle orecchie ogni venti secondi.

Quando riaprii gli occhi era l’una passata. Scostai le coperte e mi tirai su, indeciso se essere scocciato per il fatto che nessuno fosse venuto a svegliarmi per pranzare o apprezzare la gentilezza che avevano avuto nel lasciarmi riposare un’ora in più. Mi abbottonai la camicia e infilai la redingote, poi uscii dalla mia camera, percorrendo il corridoio fino alle scale per raggiungere il salone principale.

Vidi Jenny arrotolarsi una ciocca di capelli attorno all’indice, lo sguardo perso oltre il vetro della finestra che dava sul piazzale interno di Fort George, intenta a guardare chissà cosa con un’espressione che tanto mi ricordava la Jennifer di quarant’anni prima, quella che passava le ore dietro le tende bianche di casa nostra per sbirciare le strade affollate di Londra.
Sorrise dolcemente, ignara del fatto che la stessi osservando, continuando a torturare i capelli rossicci.
«Cosa c’è di tanto interessante da guardare?» La affiancai con le mani giunte dietro la schiena, trovando risposta alla mia domanda prima che lei parlasse, scorgendo Lee, con indosso solo la camicia, i calzoni e gli stivali, tirare di spada con un giovane reclutato da poco nelle guardie di Fort George.
«Charles sta dando lezioni di scherma ad un ragazzo.» Movimento di gambe, parata, affondo. Li ripeté tre volte con una naturalezza insolita, come se non avesse fatto altro nella vita, spingendo poi a terra con una spallata il novellino poco più che venticinquenne.

Prese a camminare in tondo con strafottenza, sputando di lato e guardando con stizza la matricola ancora a terra «Avanti, alzati» iniziò a roteare la spada per riscaldare il polso, mentre il ragazzino si alzava con ancora il fiato corto. «Vedi di impegnarti di più. L’avversario non aspetta che tu ti rimetta in piedi, ti conficca la spada nel petto e vaffanculo!, funziona così!»

«Avete ragione» si passò una mano sulla fronte, lasciando una chiazza di sporco. «Sono pronto.» Lee stavolta non si mosse, preferendo lasciare l’iniziativa al ragazzo che, poco dopo, si sbilanciò in avanti tentando un affondo. Charles parò il colpo facendo strisciare le due spade sul filo della lama e causando un fastidioso stridio, poi allontanò da sé l’arma nemica eseguendo una cavazione, scattando infine all’indietro, scivolando sul terriccio. Il giovanotto non perse tempo e accorciò le distanze con due falcate, tentando un rovescio che Charles evitò senza fatica. Le due sciabole britanniche cozzarono un paio di volte, gli stivali si muovevano rapidi, alzando una nube di polvere ad ogni passo. Con un tondo più violento Charles disarmò il ragazzo, facendogli volare di mano la spada che rotolò via di qualche metro. «Devi stringerla l’elsa, o farai questa fine!» Si guardarono per una manciata di secondi, poi il mocciosetto scattò di lato per riprendere l’arma, ma Lee lo anticipò, calciandola via e afferrando il marmocchio per i capelli. Gli serrò un braccio attorno al collo senza soffocarlo, ma con la forza sufficiente per impedirgli i movimenti «E ora come la mettiamo, eh?» Mai cantar vittoria prima del tempo, vecchio mio. Due secondi dopo venne spinto via con un calcio, che lasciò sulla camicia di Charles un’impronta marrone all’altezza dell’ombelico. Lee fu costretto a mollarlo, indietreggiando per riprendere fiato, mentre il pivellino corse a riacciuffare la spada, come se solo il fatto di impugnarla potesse salvarlo a prescindere. «Non male, iniziamo a ragionare.» Stavolta la prima mossa la fece Charles,  eseguendo uno sgualembro rapido parato per puro caso dal ragazzo. Il contraccolpo fu così forte che a stento Charles trattenne la spada, ma non perse tempo e roteò su se stesso, strisciando i piedi e colpendo per l’ennesima volta la spada nemica con un tondo, disarmando ancora l’avversario.

Jenny spalancò la finestra e si sporse fuori con un sorriso a trentadue denti. «Sei bravissimo, tesoro!» Charles si girò, distendendo le labbra non appena la vide affacciata, poi si avvicinò alla botte piena d’acqua lì vicino e ci si appoggiò con i gomiti per riprendere fiato, mentre il ragazzo si spolverava i calzoni sporchi di terra per riacquistare un minimo di dignità.

«La tua tecnica è pessima, figliolo. Saresti morto sette volte»

L’altro sbuffò, calciando l’arma a terra. «Se solo mi insegnassi a difendermi invece che farmi cadere, forse imparerei qualcosa.» Rimbeccò acidamente.

Charles soffocò una risata, come se insegnargli anche solo come impugnare una spada fosse un’impresa titanica. «A furia di prendere culate per terra imparerai a fare una parata come Dio comanda» calciò un sassolino nella sua direzione, «a meno che tu non ci tenga a morire come un cane.» Si staccò dalla botte con un colpo di reni e gli diede le spalle, immergendo le mani nell’acqua fredda. Si sciacquò un paio di volte il viso sudato e il collo, poi passò le dita tra i capelli neri e folti, bagnandoli e tirandoli indietro.

«Mi è venuta voglia di tirare di spada» annunciai con un sorrisino.

«Cosa?!» Ignorai gli strepiti di Jennifer e imboccai le scale. «Quel povero figliolo riesce a malapena a difendersi e Charles ci sta andando piano! Sii ragionevole!» Mi seguì correndo ed io sbuffai.

«Il novellino è l’ultimo dei miei pensieri, ho voglia di divertirmi con Charles.» Spalancai la porta ed uscii, guardando il mio pupillo rinfrescarsi e ravvivarsi i capelli.

Mi avvicinai con nonchalance alla sciabola britannica ancora a terra, raccogliendola e rigirandomela in mano. Poi lanciai un’occhiata a Lee, ancora occupato a darsi una sciacquata. «Che ne dici di un po’ di pratica come si deve?» Sogghignai lucidando la lama.

Charles si voltò con ancora il viso bagnato, un paio di gocce colarono dalla punta del naso per poi schiantarsi a terra. «Perché no» allargò le braccia e riprese la propria sciabola, asciugandosi alla bell’e meglio la faccia con la manica sinistra, «non si nega a nessuno una possibilità.»

Mulinellai la spada roteando il polso, portandomi di fronte a lui senza distogliere gli occhi dai suoi. «Non credere che ci andrò leggero solo perché sei il mio allievo. Anzi, al contrario.»

«Lo spero, non ho bisogno di favoritismi.» Non gli lasciai concludere la frase e scattai in avanti, colpendo la sua guardia con una stoccata. Puntai a terra il piede destro e frenai, tentando un fendente e un tondo, e poi di nuovo una stoccata, seguita da un ridoppio. Non andò a segno neanche un colpo, e Charles mi obbligò ad indietreggiare provando un affondo. Lo parai e scattai di lato, portandomi sul suo fianco scoperto, ma non mi lasciò il tempo di attaccare che dovetti difendermi da un ridoppio da sinistra, uno sgualembro da destra e un fendente. Risposi con un tondo e un montante, entrambi parati, mentre il ragazzetto che poco prima si stava allenando con Charles ci fissava con gli occhi sgranati.

Schivai un fendente spostandomi a destra e con una falcata mi portai a mezzo metro da Lee, afferrandolo per la camicia e sbattendolo al muro. Il gomito sinistro a bloccargli il braccio con cui impugnava la spada, la gamba sinistra tra le sue, la coscia premuta contro l’inguine per non farlo muovere, la mano destra a bloccargli il polso sinistro contro la pietra grezza e fredda. «Ho vinto.»

Charles grugnì infastidito, dimenandosi per liberare almeno la mano disarmata. «Non ancora.» La voce era grave e tesa e aveva il fiatone. Una goccia di sudore gli colò lungo i favoriti, mentre il bicipite destro si gonfiava nel tentativo di contrastare la pressione del mio braccio.

Esercitai più forza e riattaccai il polso di Charles al muro, sorridendo compiaciuto. «Arrenditi.»

«Mai.» Scattò in avanti con il viso e indietreggiai prontamente prima che le nostre labbra si toccassero. Questo movimento gli consentì di liberare il polso sinistro, poi mi spinse via, tenendo la spada davanti al busto puntata contro di me per tenermi a distanza.

Ne approfittai per riprendere fiato, mentre l’orgoglio mi riempiva il petto. Ripensai al ragazzo che avevo allenato nel medesimo posto circa vent’anni prima, quello che dopo cinque parate doveva fermarsi per riposare, lo stesso che se sbagliava si scusava e che non riusciva quasi mai a contrattaccare. Lo avevo davanti a me, ma quella volta era un uomo perfettamente in grado di tenermi testa, di mettermi in difficoltà, se avessi abbassato la guardia. Addirittura sarebbe stato in grado di uccidermi, ne ero certo.

Mi sentii decisamente più leggero, sapevo che in caso di necessità avrebbe saputo difendersi senza problemi, ma testarlo in prima persona mi rassicurò definitivamente. Nel caso in cui Artemas avesse deciso di farla pagare a Lee, beh, avrebbe avuto pane per i suoi denti. E se gli fosse successo qualcosa?

Mi destai appena in tempo per vedere Charles prendere la rincorsa, saltare ed eseguire un’imboccata. Riuscii a mettere di piatto la spada e deviare il colpo, poi indietreggiai per evitare un affondo. Parai tre attacchi di fila e risposi con un tondo che Lee deviò facilmente, poi parai una stoccata seguita da uno sgualembro, lasciando il fianco sinistro scoperto. Fu un dettaglio che non sfuggì al mio pupillo, che si affrettò ad oltrepassare la mia guardia con un ridoppio. Non mi accorsi nemmeno che frenò bruscamente l’attacco, dandomi un colpetto sul fianco con la parte piatta della lama. Mi sorrise quando alzai lo sguardo su di lui e non riuscii a trattenermi, conficcai la sciabola a terra, sorrisi di rimando e gli afferrai una spalla, attirandolo a me e stringendolo forte.

La risposta mi fu chiara: se gli fosse successo qualcosa ne sarei morto. Poco ma sicuro.

Sentii gli occhi pungere quando Charles ricambiò la stretta con un braccio, dandomi poi una pacca sulla schiena e arpionandomi la camicia. Dio, quanto gli volevo bene.

Affondai il viso nell’incavo tra la spalla e il collo. «Sei stato bravo» sussurrai appena. Gli diedi una pacca sull’altra spalla per avvalorare le mie parole e lo immaginai mentre sorrideva orgoglioso.

«Haytham…» Mi voltai a sinistra e vidi Connor. Quando era entrato? Era pallido, un’espressione sconvolta ad occupargli il viso al posto di quella apatica e indifferente che solitamente aveva. Due occhiaie gli infossavano gli occhi, le spalle ricurve e deboli.

«Ragazzo, qual buon vento?» Sciolsi l’abbraccio con Charles e avanzai di qualche passo verso mio figlio, che mi fissava con aria stanca e stralunata. «Non hai un bell’aspetto, è successo qualcosa?»

«Ce l’ha lui» disse solamente. Lanciai un’occhiata a Charles, sperando che avesse capito qualcosa in più di me, ma anche lui fissava Connor con occhi sgranati.

«Chi ha cosa? Spiegati.» Deglutì sfregandosi il braccio destro con la mano sinistra, poi prese fiato.

«Achille. Ha la mela e l’ha usata contro di me.»

 

 

Salve a tutti, lol.

Ebbene sì, è proprio come pensate –nel caso steste pensando la cosa giusta, ewe-. Connor non era e non è pazzo. Su, almeno stavolta che non sono in ritardo clamoroso non la tiro per le lunghe, grazie come sempre a chi legge e un biscottino caldo a chi recensisce, aaww, vi adoroh (?).

A lunedì prossimo! :3

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: vegeta4e