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Autore: xingchan    09/03/2015    6 recensioni
C. C. 1484:
“In primavera giunse nella Terra di Buck un messaggio da Rohan: Re Éomer desiderava vedere Messere Holdwine per l’ultima volta. Meriadoc era già anziano (102 anni) ma ancora sano e vigoroso. Si consultò con il suo amico il Conte, e poco dopo ambedue affidarono beni e incarichi ai figli e passarono Sarnoguado. Non furono mai più visti nella Contea. Si seppe poi che Messere Meriadoc si era recato a Edoras per trascorrere qualche tempo con Re Éomer prima che morisse in autunno.
Poi Meriadoc e il Conte Peregrino andarono a Gondor, ove dimorarono durante gli ultimi brevi anni di vita che rimanevano loro; quando morirono, furono composti a Rath Dinen insieme con i grandi di Gondor.”
(J. R. R. Tolkien)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Merry, Pipino
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Concerning hobbits'
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The Last Journey

 

 

“ [...] quando morirono, furono composti a Rath Dinen

insieme con i grandi di Gondor.”

(J. R. R. Tolkien)

 

 

 

Peregrino si risvegliò qualche ora dopo, rannicchiato su se stesso nel suo letto.

Strabuzzando gli occhi annebbiati dal sonno, si rese conto di trovarsi nella stanzetta sua e di Merry.

Aveva appena avuto il più terribile degli incubi, di quelli incredibilmente reali, che fanno svegliare di soprassalto e rimangono impressi per molto tempo nella mente spazzando via tutto il resto.

La testa gli doleva e gli bruciava come se fosse in fiamme, ma cercò comunque di voltarsi di lato per volgere il sguardo verso il letto di suo cugino, come ogni mattina. Normalmente, Merry all’alba era ancora addormentato: faceva tardi spesso quando andava ad osservare le stelle con Legolas. Ma stranamente il suo letto ora era vuoto e composto.

D’improvviso ricordò quel che successe qualche ora prima. Il sogno, o meglio, quel che a lui pareva un sogno, era la realtà, pura e semplice. Una nuova e impietosa e lancinante ondata di dolore lo investì come una marea posseduta d’immane potenza dilaniante, che lo conduceva verso un ostile, terrificante infinito, sballottandolo malamente, senz’ordine, dove non esisteva una destinazione ben definita.

Se la morte di Diamante lo aveva pesantemente destabilizzato, quella di Merry gli fu devastante.

Avvertì un freddo intenso, tale da sentire l’esigenza di coprirsi completamente; e nel calore quasi innaturale del suo giaciglio altre mute ed inesorabili lacrime sgorgarono dalle palpebre abbassate.

Si forzò di pensare ai momenti gioiosi, quando ancora la Guerra non aveva toccato le loro vite, modificandole in quel modo. Sorrise debolmente quando ricordò le loro scorribande per i campi colmi di delizie, sfuggendo ad un giustamente inferocito Maggot; oppure quando puntualmente si sfogava con lui illustrandole quanto Diamante, all’epoca fidanzata, fosse intrattabile.

Non c'era niente nella sua giovinezza e presunta maturità che non fosse in qualche modo legato a Merry.

Ma invece di consolarlo, quei ricordi sortirono l’effetto opposto.

Altri febbricitanti tremori freddi gli attraversarono il corpo, e per un momento immaginò il caro Merry che si accorgeva del suo malessere e lo abbracciava con quel senso paterno che lo rendeva così amabile.

Rammentò la notte nella grotta sulla strada per Minas Tirith, in cui ciascuno espresse il desiderio di andarsene per primo. Merry era riuscito a placare l’animo dell’altro anche se il suo non era in condizioni migliori. Ma in cuor suo, Pipino non credeva che Merry sarebbe stato così immaturo da dolersi nel suo stesso modo se fosse stato al suo posto.

Chi poteva dirlo se fosse questione di pienezza o no? Aveva una così grande confusione in testa che non si sentiva in grado neanche di formulare un frase, figurarsi intavolare quel tipo di ragionamenti.

Ora però Merry non c’era e mai sarebbe tornato, morendo prima di lui; e per quanto provasse ad ingoiarlo, c’era sempre quel groppo in gola che non si sarebbe mai sciolto. A dirla tutta, si sentiva uno sciocco quando in quei sporadici istanti pensava di restare solido; non poteva pretendere di andare avanti quando sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta.

Si sentiva come un bambino che si aggrappa alle vesti della madre, per poi scoprire che quelli erano solo indumenti vuoti.

Avrebbe tanto voluto fare ciò che Merry si era raccomandato. Ma non vedeva altro che vacuità, e quelli che erano buoni propositi erano come al di sotto di una luce nera, profonda come lo strato più basso della terra. Aveva ragione: sarebbe stata davvero una benedizione, se la morte avesse posto fine alle sue sofferenze.

Perché più che accettare la morte di Merry, aveva concluso con l’accettare la sua. 

 

***

 

I giardini ove risplendeva la candidezza del discendente di Nimloth non erano mai stati così silenziosi. Nuvole bianche si addensarono sulla Cittadella e, avvicinandosi, offrirono al Re di Gondor l’illusione che si fondessero con le mura di Minas Tirith: ma era un tocco morbido, calmo, portatore di quiete, anziché di tempesta.

Arrivarono cancellando il contrasto fra l’azzurro del cielo e i rami carichi di tremuli fiori primaverili, facendolo quasi scomparire alla vista.

L’Albero Bianco di Gondor fu il primo che Merry si accinse a studiare, anni prima: aveva rimirato la sua maestosità per diverso tempo, rammentandolo quando il Re ritornato lo piantò nel cortile accanto alla fontana. Allora era piccolo, e benché crescesse rapido mettendo sui suoi rami fiori della più indicibile bellezza, era lontano da quel che era diventato. Quell’Albero rappresentava appieno la personale ascesa della Gemma Elfica, sotto tutti i suoi aspetti.

La piccola ombra di Peregrino si presentò nel cortile, e il Mezzuomo sembrò stupefatto di trovarvi il Sovrano.

“Non volevo disturbarti.” interloquì debolmente.

“Non disturbi, amico.”

“Ero venuto a vedere l’Albero Bianco.” Per l’ultima volta, ma non lo disse. “Che bei giorni erano quelli, in cui fu piantato dalle tue amorevoli mani.”

Aragorn fece cenno allo Hobbit di accomodarsi al suo fianco, su una sporgenza di roccia modellata per lo scopo; e quando Pipino eseguì, al Re parve ancora più piccolo, pallido, smunto di quanto non fosse. Ma anche più indifeso ed esposto, come se una tremenda malattia l’avesse agguantato con mani tenaci.

Proprio come stava accadendo a lui.

Per quanto gli Hobbit fossero longevi, Meriadoc era già arrivato ad un’età considerevolmente tarda, e Aragorn si sentì uno sciocco per non averlo tenuto in conto. Era così felice di averli ancora entrambi con sé che in un recesso della sua mente credeva di poterli avere accanto fino alla sua, di morte.

Ma non era nella posizione di poter desiderare altro di quello che già non possedeva; e la volontà di Eru Ilúvatar andava rispettata. Ai suoi Figli, che fossero Primo o Secondogeniti, non era dato pretendere di cambiarla, se non in casi particolari. E cosa poteva lui chiedere di più di quanto aveva già ricevuto, per se stesso e per Dama Undòmiel?

Temette di cadere nell’ennesimo errore degli antichi Re Numenoreani, i quali desiderarono possedere l’immortalità degli Eldar, ma ciò mai avvenne, mai con l’ingente superbia dei suoi avi, e mai con scopi vanagloriosi.

Sentì una tenerezza tale da cingere le sue piccole spalle, e nel momento in cui Pipino si abbandonò a quell’abbraccio, questo non fu più sufficiente e lo raccolse in braccio, permettendogli di sedere sulle sue ginocchia.

“Non hai mangiato da ieri...” disse Aragorn, suscitandogli un gemito a quella parola, così innocua in tempi diversi.

“Infatti, è così.”

“Perché non andiamo nelle cucine: provvederò di farti preparare qualcosa.”

“Non ho molta voglia di mangiare, scusami.” replicò Pipino, con una punta mortificata. Non voleva proseguire oltre con quel discorso. Se prima era fonte di interesse, ora il cibo era l’ultimo dei suoi pensieri.

“Pipino, non credo che ti farà bene questo digiuno.”

Sapeva che non era facile, che non era in suo potere tentare di consolarlo quando lui stesso era preda di quell’intensa amarezza, ma Aragorn doveva provare a convincerlo, facendo leva sulla naturale passione e debolezza degli Hobbit, per non perdere anche lui.

“Ed io non credo che mi gioverà granché il cibo, se non posso condividerlo con mio cugino.”

“Merry non avrebbe voluto che ti abbattessi in questo modo.”

“Merry mi ha raccomandato di essere forte e di superare tutto questo. Ma non posso mantenere la promessa. L’uno non può stare senza l’altro, non c’è Pipino senza Merry.” mormorò il suo nome riempiendo le guance di un sorriso perso, rivolto all’orizzonte. “Perfino lui lo ha compreso prima di morire. Cerca di capirmi anche tu, Aragorn. Non mi ha mai interessato granché dove mi trovassi; l’essenziale per me è sempre stato stare con lui, in qualunque circostanza. L’ho sempre seguito, ed ora non farà differenza. Certo, ognuno ha dovuto assumersi le proprie responsabilità, ma il sapersi entrambi vivi e vegeti riempiva la distanza. Adesso però, non ho mai sentito lontananza più grande di questa.”

Il Re pianse, guardando a quelle parole come una condanna per se stesso; ed il Mezzuomo gli carezzò delicatamente la barba bianca, inducendolo a smettere, che non ce n’era bisogno.

Si frugò nei vestiti, per poi rigirarsi fra le mani un oggetto che Aragorn non riconobbe se non la fattura tipicamente elfica: la pietra di Lothìriel, scintillante contro il sole coperto da nubi.

“C’è una cosa che vorrei tu accettassi, Re Elessar.” La sua piccola mano cercò quella di Aragorn, e gliela consegnò, senza preoccuparsi di separarla dalla catenina. “Questa è la pietra che mi diede in dono Dama Lothìriel, la consorte di Sire Éomer, appartenuta da tempo immemore alla sua famiglia di Dol Amroth.” disse. “Decisi di portarla con me nella tomba, ma voglio regalarla a te. Considerala come ulteriore segno della nostra amicizia, dell’amicizia di tutta la Compagnia, come le foglie di Lórien di Dama Galadriel.” Sorrise, ricordando la bellissima Signora dei Galadhrim, salpata decenni addietro dai Porti Grigi con Frodo e Gandalf.

Tutte quelle parole sapevano di ultimo addio, alle orecchie del re di Gondor, e quel dono così inconsueto da uno Hobbit parlava da sé in modo fin troppo eloquente. Per quanto si ostinasse, non avrebbe convinto Pipino a restare. Il dolore nella sua voce mansueta era di quelli che non avrebbero mai trovato posa.

Non insistette oltre, chinando il capo e piangendo silenziosamente. Lo strinse a sé in un’ultima, tacita, amorosa caparbietà, sussurrandogli poche parole di commiato.

“Che scenda su di te la benedizione di tutte le genti della Terra di Mezzo, Messere, che tu ed i tuoi congiunti avete salvato.”

“Grazie, Aragorn.”

 

***

 

Cari Messere Wilcome Brandibuck e Messere Faramir Tuc,

Vi prego di non meravigliarvi se il Re di Gondor vi scrive di suo stesso pugno.

Perché anche se lontani, molta e forte è l’amicizia che ci lega. Ancor più profondo è l’amore che i vostri padri Messere Peregrino Tuc, il Conte, e suo cugino Meriadoc Brandibuck, Signore della Terra di Buck detto “il Magnifico” provavano per le loro rispettive famiglie.

Mi rincresce enormemente darvi notizia della loro morte, tanto più al pensiero di averle dovute affrontare entrambe soltanto nell’arco di qualche giorno. Appena tre sono passati dalla morte di Meriadoc dacché Messere Peregrino lo ha raggiunto, il suo amico migliore e più caro parente, e prego i Valar che io non abbia a soffrire troppo per questi gravi lutti che opprimono il mio animo.

Benché angustiato, il mio cuore si riempie di serenità al rammentare il loro imperituro luogo di riposo, poiché essi hanno ricevuto sepolture degne dei più grandi uomini di Gondor, fondata dai più grandi dell’oramai caduta Nùmenor, a Rath Dinen, quinto livello della Città Bianca, laddove riposano i nostri antenati più valorosi.

Ma al di là del loro essenziale contributo alla pace di cui sta godendo la nostra bella Terra di Mezzo, essi hanno rappresentato per me quanto di più bello, di più spensierato, di più puro ed ingenuo c’è ancora in questo mondo.

Conservo sempre con me il ricordo che Pipino volle affidarmi affinché mi ricordassi di loro, una gemma originaria di Dol Amroth, dono di Rohan, e  le parole di Meriadoc che mi concesse mentre tentavo di curarlo, nella penombra della sua stanza.

Disse che niente di tutto quello che era diventato sarebbe stato possibile senza noi membri della Compagnia dell’Anello. Ed io risponderei che neanche io sarei Re di Gondor se non ci fossero stati loro ad offrirmi il loro disinteressato supporto.

Sarò al loro fianco, quando il mio momento giungerà, e lo rimarrò finché ed oltre il mondo degli uomini avvizzirà, e cadrà definitivamente nell’ombra.

Vi porgo la mia benedizione su voi ed i vostri discendenti.

Che la vostra dolce Contea possa prosperare per tutte le ere a venire.

 

Con il mio più sentito affetto e più immensa gratitudine,

Aragorn, Re di Gondor, e vostro amico.

 

 

 

 

 

 

NDA

Ed eccoci alla fine! ^o^

Vi lascerei qui, ma voglio condividere con chi mi legge il percorso che ho intrapreso con questa ff (se non volete tediarvi ulteriormente, vi consiglio di chiudere qui la lettura xD).

Ho sempre considerato queste storie molto difficili da trattare ma finché si trattava di one-shot la cosa mi riusciva, seppur con qualche ostacolo di sorta. Imbarcarmi in un’avventura long qui per me ha significato molto, specie perché ho letto LotR, Lo Hobbit, il Silmarillion e Racconti Incompiuti in tempi relativamente recenti (in tutti questi... quanti? tredici anni?! mi sono attaccata soltanto ai film, come una cozza), quindi credevo che mi sarei seriamente bloccata, e con bloccata non intendo gli intervalli di un mese che solitamente mi prendevo (a proposito, chiedo scusa ma quando non c’è ispirazione o non sono sicura sono cavoli! xD), ma che la considerassi troppo per me, finendo con il cancellarla (qualcuno di voi sa che ho queste idee malsane di cancellare le mie ff da una vita! xD).

Ancor più difficoltosi sono stati il tema ed i personaggi principali. Più che la scelta di affrontare determinate tematiche, premeva in me il desiderio di trattare dell’ultimo viaggio di Merry e Pipino, un desiderio perlopiù fine a se stesso, perciò inizialmente avevo un’idea molto vaga di come avrei maneggiato gli addii, le perdite e quant’altro. Al contrario, avevo un’idea abbastanza precisa di come si sarebbero svolti i fatti. Tutto merito di Tolkien e delle sue Appendici! *^*

Solo basandomi sulle parole che ci ha lasciato è stata possibile questa piccola creazione e, per l’appunto, per sottolineare questo alla stragrande maggioranza dei capitoli ho aggiunto le sue citazioni.

Fin dall’inizio vi ho espresso le mie difficoltà nell’introdurre Meriadoc. Mamma, quante grane mi ha dato! ^-^’

A differenza degli altri, nasconde in sé quell’agglomerato di “hobbitudine” (Benni, ti rubo un attimo il termine xD), di umiltà, di saggezza e di conoscenza difficili da conciliare. Devo dire che ho avuto la possibilità di “conoscerlo” meglio (ovviamente, secondo la versione e l’idea mia propria che mi sono fatta di lui) e di apprezzarne soprattutto la curiosità (quella moderata, quella che si può soddisfare solo attraverso gli studi o semplicemente guardandosi attorno e riflettere).

Ma più di tutto, ciò che mi ha colpito è stato il senso di responsabilità verso Pip, questo fratellino da proteggere, anche se anziano. :)

Ok, vedo di finirla presto, altrimenti ci addormentiamo tutti assieme! xD

Spero solo che a voi sia piaciuta, e che abbia fatto tutto sommato un buon lavoro.

Voglio nominare chi mi ha seguita: Betely, evelyn80, ewan91, fay90, fede95, Freia89, Laylath, leila91, Malika, MirzamLupin, the little strange elf;

preferita: leila91, nce, Yami sama;

e recensita finora: Laylath, leila91, the little strange elf, evelyn80, ewan91, CerseitheChaos, _Son Hikaru e Moriel91!

Non credevo che sareste stati così entusiasti di questa ff! :D

Ovviamente, un sentito ringraziamento va anche ai lettori silenziosi: la storia ha ricevuto un sacco di visite e questo mi fa molto piacere! :)

Sì, insomma...

Grazie dande a duddi!

 ... spero di avere altra ispirazione per questa sezione, poveri a voi! :P

   
 
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