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Autore: BebaTaylor    10/03/2015    0 recensioni
Noi non potevamo essere troppo tristi, o troppo felici, o arrabbiati, o impauriti, terrorizzati o qualsiasi emozione che vi venga in mente. Noi dovevamo essere quasi... apatici, privi di qualsiasi emozione che non fosse appena accennata.
Noi cinque eravamo i guardiani degli elementi. Acqua, Fuoco, Terra, Vento, Spirito. Era nostro compito mantenere l'equilibrio sulla Terra ed evitare qualsiasi catastrofe naturale. Niente alluvioni, niente esondazioni, niente terremoti, frane, slavine, valanghe, niente incendi indomabili, niente vulcani che eruttavano lava come un rubinetto aperto alla massima potenza. Niente tornado, uragani, venti che sradicavano alberi e scoperchiavano case e facevano ribaltare le navi nell'acqua, niente tsunami.
Io ero la più piccola del gruppo, avevo venticinque anni e da cinque anni, e per altri trenta stavo immolando e sacrificando la mia vita per la mia missione.
Solo che era un sacrificio troppo grande
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Elements

Parte III



Sapevo che qualcuno stava parlando ma non riuscivo a capire né chi fosse né cosa stesse dicendo. Era come se la voce mi arrivasse distorta e le parole fossero solo un mucchio di sillabe dette a caso.
«Tabitha!»
Mi sentii scrollare e udii il mio nome.
«Vegliati, ti prego. Apri gli occhi.»
Lo feci, ma lentamente. Eravamo ancora in auto e sentii la mano di Leo che mi tastava la faccia. «Mi ficchi un dito nell'occhio.» biascicai.
«Scusa.» fece lui e Adam imprecò. «Dobbiamo uscire.»
«Sì.» dissi e guardai Damon e urlai. Era accasciato contro la portiera — l'auto posava su quel lato — e si lamentava che gli faceva male la spalla. Io ero contro di lui, la cintura di sicurezza che mi premeva contro il fianco.
Colpii l'airbag e quello si afflosciò, slacciai la cintura e mi sistemai contro il bracciolo che divideva i due sedili e riuscii ad aprire la portiera e la spalancai con così tanta forza che per un attimo temetti che potesse volare via. 
Mi sistemai meglio e presi il viso di Damon fra le mani. «Riesci ad uscire?» gli chiesi e gli sfiorai il viso, sentendo la barba appena accennata sotto le dita. Lui annui e gemette. 
«Aspetta che ti aiuto.»
Guardai Leo saltare giù dall'auto e mi accucciai accanto a Damon, lui si aggrappò al sedile e lo spinsi mentre Leo, seduto sul bordo dell'auto, si sporgeva e lo afferrava sotto alle ascelle. «Mi gira la testa.» borbottò Damon.
«Adam? Samuel?» chiamai, preoccupata per tutti noi.
«Sto bene.» disse Adam.
«Mi fa male il fianco.» gemette Samuel, «Ma sono intero.» disse e seguì Adam fuori dall'auto, chiusero la portiera e si arrampicarono per aiutare Leo a tirare fuori Damon.
Quando il ragazzo che amavo fu in strada — e mi sentii male nel vederlo dolorante — uscii anche io, portandomi a dietro la borsa e andai vicino a Damon, lo strinsi e lo baciai, stringendomi a lui e sussurrandogli che andava tutto bene.
Riprendemmo a camminare, avanzando lentamente, con i sensi all'erta, sapendo che Lei era lì, da qualche parte, pronta ad attaccarci quando meno ce lo aspettavamo.
Ci rifugiammo in quello che una volta era un minuscolo ristorante. Non si vedeva nulla, era buio pesto e non avevo più la torcia. Ci raggruppammo nella minuscola cucina e Adam gettò uno straccio dentro una grossa pentola e gli diede fuoco. 
«E adesso?» fece Leo dopo un po'.
«Non lo so.» sospirò Adam guardando il fuoco che aveva creato. Samuel era appoggiato con la schiena a un mobile, come me, mentre Damon aveva posato la testa sulle mie cosce.
«Tornerà.» disse Adam. «E noi non sappiamo cosa fare.» sospirò.
«Dovreste provarci voi.» disse Damon.
«Chi? A fare cosa?» chiese Leo.
«Tu e Samuel.» rispose Damon e io continuai a passere le dita fra i suoi capelli. «Io e Adam abbiamo controllato i nostri elementi.» spiegò, «Potreste provarci anche voi due.»
«Dovrei scatenare un terremoto?» squittì Samuel.
«No.» fece Adam, «Ma aprire una voragine sotto quella stronza, aspettare che ci caschi dentro e richiudere tutto sì.»
«Fosse facile.» sospirò Samuel.
Rimanemmo ancora in silenzio.

Poi, Lei tornò.
Tremò tutto e le cose che erano rimaste sui mobili caddero a terra. Rotolammo e ci rimettemmo in piedi, iniziammo a correre, uscendo dal ristorante e poi vagando per le strade, andando a caso. Damon stringeva la mia mano e io cercavo di guardare attraverso tutta quell'oscurità. Il che era semplicemente impossibile, infatti Samuel inciampò e cadde a terra. Adam e Leo lo aiutarono ad alzarsi ma ormai era troppo tardi: Lei era lì davanti a noi, sempre più minacciosa.
Damon mi spinse contro gli altri e sbattei la fronte contro la spalla di Samuel.
«Voi non potete farlo!» gridò Lei, «Perché lo state facendo?» pigolò, «Io vi punisco e voi continuate a sbagliare!»
Respirai velocemente e pensai che la volevo morta. Lei gridò e agitò le braccia, la strada iniziò a tremare e i lampi rischiaravano il cielo nero.
Gridai quando vidi la strada si sollevò e si arrotolò su se stessa, come una gigantesca onda, producendo un rumore assordante.
Rimanemmo lì, fermi, immobili, a osservare la rossa onda di asfalto che si avvicinava sempre di più. Chiusi gli occhi e pregai che si fermasse, che si bloccasse.
«Ci sei riuscita!» gridò Leo e quasi caddi quando Samuel si spostò.
«Cosa?» feci e guardai. Vidi l'onda d'asfalto ferma, bloccata, congelata. «Oh... merda.» commentai.
«Anche Lei è bloccata!» fece Samuel indicando una figura sulla sinistra. Guardammo tutti in quella direzione e la vedemmo, lì ferma, immobile, con le braccia spalancate e la bocca aperta, quasi distorta. Era raccapricciante.
«Ehm... perché siamo ancora qui?» domandò Damon, così ci voltammo e tornammo indietro.
Nel cielo nero, l'azzurrognolo di un lampo rischiarava l'ambiente. Anche quello era bloccato.
Avevo fermato il tempo.

✫✫✫

Ci nascondemmo di nuovo in un garage, strisciando sotto la porta basculante e riparandoci dietro uno scaffale di metallo.
Damon mi abbracciò, stringendomi così forte che mi fece quasi male ma non dissi nulla perché non volevo dire nulla.
«Cosa farete quando sarà tutto finito?» domandò Adam e passò la bottiglia d'acqua a Samuel.
«Io so cosa faranno loro due.» sorrise Leo mentre guardava me e Damon e io avvampai quando mi resi conto di quello che intendeva dire.
«Io vorrei aprire un mio ristorante.» disse Samuel, «Anche un buco, giusto per cominciare.» 
«Io vorrei fare quel viaggio in Europa.» esclamò Adam. «Londra, Parigi, Barcellona, Milano, Roma, Dublino, Praga...» sospirò, «Almeno con sta storia ho messo via abbastanza soldi per potermi fare un mese di vacanza.»
«E tu, Leo?» feci io e bevvi ancora.
Lui arrossì e si grattò la testa, «Io vorrei...» mormorò, «Vorrei fare un corso per fare il clown per i bambini in ospedale...» confesso con la voce bassa.
«Uh, che cosa dolce.» commentai, «Sei proprio un Pasticcino, lo sai?»
Lui arrossi e borbottò che non era un Pasticcino.
«Tabitha...» mi chiamò Adam, «Quando il tempo ripr-»
Il boato fu tremendo e coprì la domanda di Adam. Sembrò come se un palazzo crollasse e tutto tremò.
Ricevetti una gomitata nelle costole, forse da Damon o da Leo, non so. Gli scaffali tremarono e caddero a terra, insieme alla polvere d'intonaco che cadeva dal soffitto.
«Fuori!» urlò Damon e mi spinse, uscimmo dal garage un attimo prima che quello implodesse su se stesso.
Respirai velocemente quando mi resi conto che potevamo morire lì dentro.
«Perché lo fate?»
Ci girammo e ce la trovammo davanti. «Perché mi fate questo?» domandò, «Perché mi disubbidite?» continuò mentre avanzava lentamente. «Non è questo il modo in cui vi ho insegnato ad usare i poteri.» disse. «Non potete usarli in questa maniera.» aggiunse. «Vi devo punire.» sospirò. «Morirete, adesso.»
Sentii qualcuno che mi tirava un braccio e non persi tempo: iniziai a correre.
Lei si dimostrò ancora una volta più veloce di noi, che eravamo più giovani, in forma. Passammo accanto a una piscina e ci fermammo di colpo quando trovammo davanti a noi un muro di almeno due metri di altezza.
Samuel e Adam presero una panca di legno rovesciata e la sistemarono sotto al muro.
«Venite qui!» gridò Lei.
Vidi Leo guardare la piscina con l'acqua sporca e poi vidi l'acqua alzarsi in un'alta colonna. L'acqua si mosse, veloce, e prese in pieno Lei, facendola gridare dallo spavento.
«Non potete farlo! Non potete usare gli Elementi in questo modo!»
Scavalcammo il muro e corremmo di nuovo, senza una meta precisa.
«Manchi solo tu, Samuel!» gridò Damon mentre mi spingeva verso la porta di un ristorante. Entrammo e ci nascondemmo dietro il grande bancone. Adam afferrò la scopa e spazzò via i pezzi di vetro. Io rovesciai una cassa di plastica blu e mi ci sedetti sopra — il pavimento era bagnato di alcolici vari —, stringendomi la borsa al petto. 
«Io non so come ho fatto.» mormorò Leo, «Io volevo che affogasse... non che venisse fuori una colonna d'acqua.»
Gli strinsi la mano, «Bhe, ci sei riuscito ed è questo che conta.»
Ci zittimmo quando sentimmo dei passi avvicinarsi.
«I miei bambini cattivi...» cantilenò Lei, «I miei bambini cattivi che devo punire.» continuò.
Damon mi strinse la mano con forza e io lo guardai, perdendomi nei suoi occhi chiari.
Qualcosa sopra di noi esplose e una pioggia di schegge dello specchio dietro allo scaffale delle bottiglie era pronta per cadere su di noi. Abbassai la testa e alzai il cappuccio, posai la fronte sulle ginocchia e attesi.
«L'hai fermato di nuovo.» gridò Leo e ci alzammo in piedi.
Lei era lì, dall'altra parte del bancone, la gamba destra alzata.
Vidi Samuel posare le mani sul bancone e chiudere gli occhi per un'istante prima di riaprirli. «Usciamo.» ci disse. «Provo a creare una voragine sotto di lei.»
Tornammo fu fuori dal bar, appena al di là della soglia, Samuel si concentrò ancora e sotto il piede sinistro di Lei si formò una piccola crepa che puoi si allargò come una ragnatela, diventando sempre più grande. I pochi vetri ancora in piedi si frantumarono, scendendo così lentamente che mi sembrò che qualcuno avesse avviato la funzione “avanza per fotogramma”.
Adam fece un passo avanti, mettendosi accanto a Samuel. La terra tremò ancora e la voragine si formò mentre un cerchio di fuoco si alzava attorno ad esso.
«Cosa state facendo?» gridò Lei, «Cosa pensate di fare?»
«Questo.» rispose Leo e il rubinetto si aprì di botto e l'acqua uscì dirigendosi verso di Lei. L'acqua si arrotolò su se stessa, formando un'altra colonna che l'avvolse, facendola gridare e urlare mentre la voragine diventava sempre più profonda, facendola precipitare un po' troppo lentamente.
Le lingue di fuoco si alzarono, arrivando al soffitto, l'acqua vorticò velocemente e il vento si alzò dietro di noi, superandoci e schiantandosi contro di Lei, avvolgendosi sulla colonna d'acqua.
Poi, Lei, urlò e la vedemmo cadere, seguita dall'acqua, dall'aria e dal fuoco, le cui fiamme si ripiegarono verso l'interno e sembrarono saltare dentro il buco.
Con un leggero tremolio e borbottio il buco si chiuse quasi perfettamente, solo alcune piastrelle erano un po' scheggiate.
«Oh... cazzo.» commentò Adam. «Che... diavolo, è una figata!» esclamò e Samuel barcollò ma rimase in equilibrio, afferrò una bottiglia di succo di mela che era a mezzo metro da lui e la prese per poi iniziare a bere.
«Mettiamoci sopra qualcosa.» propose Leo e insieme spostammo il frigorifero, compreso le bottiglie che c'erano dentro. Dato che era caduto su un lato ci limitammo a spingerlo su dove, fino un attimo prima, c'era la voragine, sopra di esso mettemmo un paio di tavolini e le sedie e ogni oggetto che trovammo, alla fine rimanemmo lì a guardare.
«Ce l'abbiamo fatta.» sospirò Damon.
«Già, peccato che non sappiamo come sistemare le cose.» fece Leo.
«Lo sentite anche voi?» chiese Adam.
«Cosa?» fece Samuel.
«Il crepitio.» rispose l'altro.
Mi concentrai e lo sentii: una vibrazione bassa, continua, un suono che mi ricordò il rumore che faceva il coperchio della pentola dove dentro stava bollendo dell'acqua.
«Io direi...» Adam deglutì, «Di correre. Veloci. Via da qui.»
E corremmo, forse per un centinaio di metri, forse meno, prima che il bar esplose.
Mi tolsi i capelli dal viso e aprii gli occhi. «Damon?» chiamai, «Adam? Samuel?» chiesi, «Pasticcino?»
Nessuna risposta se non qualche gemito. Rotolai sul fianco sinistro e vidi Adam, lo scrollai e lui gemette. «Come stai?»
«Sono ancora vivo.» biascicò lui.
«Sto bene.» mormorò Damon e si mise seduto. Anche Samuel e Leo parlarono, eravamo tutti vivi. Doloranti ma vivi.
Damon mi strinse e io lo baciai, dicendomi che se dovevo morire avrei voluto farlo con il sapore delle labbra di Damon sulle mie.
«Dobbiamo andare.» esclamò Adam e ci alzammo in piedi, ci allontanammo camminando lentamente, troppo stanchi, troppo doloranti per correre.
«Fermatevi.»
Non lo facemmo. Non l'ascoltammo e proseguimmo nella notte buia.
Improvvisamente un bidone prese fuoco e poi una cassetta della posta, un altro bidone... era Adam che illuminava la nostra strada. Entrammo in una casa e ci rifugiammo vicino alla porta sul retro, portandoci dietro la coperte che erano sui divani — dal tessuto con grossi fiori, molto anni Settanta — e ci sedemmo vicini. Non sapevamo deve altro andare, non avevamo più un mezzo di trasporto e in più erano spariti tutti. Eravamo soli.
«Ci troverà.» pigolò Leo e io gli strinsi la mano, sistemandomi meglio fra le gambe di Damon.
«Credo sia qui fuori.» sussurrò Samuel.
«Sta facendo come il gatto con il topo: ci girerà attorno per poi attaccarci.» fece Adam.
Io rimasi zitta, con gli occhi chiusi e feci un respiro profondo, sentendomi improvvisamente stanca. Ricordai quando Lei arrivò, sei anni fa, dicendomi che ero la Guardiana dello Spirito e che la mia vita sarebbe cambiata. Un mucchio di regole: niente emozioni troppo forti, niente relazioni, dovevo smettere di frequentare l'università perché mi rendeva felice, niente feste. E poi le regole del gruppo: un incontro di otto giorni una volta all'anno, che iniziava e finiva sempre negli stessi giorni. Io avrei dovuto mandare un messaggio — e solo uno — una volta preso il treno, per informarli del mio arrivo. Durante il resto dell'anno... il silenzio, fra di noi. Le loro regole — quelle di Adam, Leo, Samuel e Damon — erano leggermente diverse: avrebbero vissuto a coppie in due case vicine, per il resto avevamo le stesse inutili, orribili e stupide regole.
«Credo che stia entrando.» mormorò Samuel. Strinsi la mia borsa, pronta a scaraventarla in testa a Lei, o ad usare la cinghia come cappio per strozzarla. L'avevamo investita, pugnalata, rinchiusa in un buco con acqua, fuoco e vento e nulla... lei era ancora lì.
La porta d'ingresso si spalancò.
Lei era lì, che ci guardava, con un sorrisetto sul viso stravolto. «Oh-oh.» fece e avanzò di un passo. «Siete qui, miei bei bambini.» disse, «Adesso vi punirò.» aggiunse e, prima che potessimo fare qualcosa, fece tremare le pareti e i mobili si alzarono da terra e vennero verso di noi. 
Damon mi spinse a terra e picchiai la testa contro il pavimento. Sentivo i mobili rompersi su di noi e le nostre grida e urla. E sopra tutto ciò, la risata di Lei. Un riso isterico.
La guardai, girando piano la testa e la vidi... ballare. Si muoveva in modo scomposto, saltellando di qua e di là, battendo le mani, divertendosi come se avesse cinque anni.
Leo gridò quando un pezzo di mobile lo colpì in testa, più e più volte. Un altro pezzo si avvicinò e vidi il chiodo, grande, grosso e sporgente. 
Gridai.
E il tempo si bloccò di nuovo, ci alzammo, Adam e Samuel tirarono su Leo e lo portarono fuori di casa.
«Qualcuno sa far partire un auto attaccando i fili?» mormorai guardando l'utilitaria a meno di quattro metri da noi.
«Magari ci sono le chiavi.» esclamò Damon.
E le chiavi c'erano ed erano ancora inserite. Chiunque fosse su quell'auto era scappato. Non m'importava, volevo solo allontanarmi. Samuel e Adam si misero dietro, in mezzo a loro Leo, che gemeva dal dolore. Il motore si avviò al terzo tentativo, quando ero ormai sul punto di prendere a calci quella stupida macchina.
Partimmo e ci allontanammo, sapendo che il tempo avrebbe ripreso a scorrere e che Lei ci avrebbe trovato di nuovo.

«Dove siamo?» domandai.
«Credo nella zona nord di Miami.» rispose Damon e posò la mano sulla mia.
«Dobbiamo allontanarci il più possibile.» fece Adam. «Anche se non so a quanto serva.» sospirò. «Alla prossima gira a destra.» aggiunse.
Lo feci, un po' troppo bruscamente e inchiodai di colpo: davanti a noi c'era un muro altissimo. «Dove mi hai mandato?» domandi e guardai l'ora. Erano le tre di notte.
«È la strada giusta per l'autostrada.» fece Samuel, «Non ci doveva essere questo muro!»
«Cambiamo strada.» dissi e inserii la retro, feci inversione in un giardino e ritornai sulla strada di prima.
Solo che Lei era ancora lì, davanti a noi. Ormai era alta quasi tre metri e larga altrettanto. Un grosso cubo. Lei gridò, un urlo che riecheggiò nella notte. Accelerai, sperando di riuscire a passare fra lei e il muro. Ce la feci, ma lo specchietto destro venne divelto.
«Hai trovato la patente nei cereali?» squittì Samuel tenendosi saldamente alla maniglia sopra la porta.
«No.» risposi, «Ma quando avevo sedici anni ho provato a guidare l'auto da rally di un amico...» spiegai.
«Questo spiega tutto.» borbottò Samuel.
Io lo ignorai e avanzai, sentendo la strada che vibrava sotto i passi pesanti di Madre Natura. Continuai a guidare, scartando detriti sulla strada scarsamente illuminata — in quella zona alcuni lampioni funzionavano — e a pensare cosa fare. 
Lei gridò, di nuovo, e il terreno tremò con così tanta forza che sbandai, persi il controllo dell'auto e andai a sbattere contro un basso muretto; picchiai la fronte contro il volante e imprecai, chiedendomi perché non ci fosse l'airbag in quell'auto.
Uscimmo e la guardammo, si era fermata e ci fissava come se fossimo un gruppo di bimbi monelli. Mi aggrappai al braccio di Damon e sentii Leo circondarmi i fianchi con un braccio.
Eravamo in trappola.
Non potevamo andare da nessuna parte, se non scavalcando un muretto di un metro d'altezza, o sfondare la porta di un garage, o passare accanto a lei o saltare dall'altra parte della grossa crepa alla nostra destra.
«Vi devo punire.» disse Lei, «Adesso mi sono stufata di giocare.» fece incrociando le braccia grasse. «Siete dei figli ingrati. Vi avevo dato un compito e non lo avete rispettato, mandando all'aria tutti i miei piani.» continuò, «Se seguivate i miei ordine sarebbe andato tutto bene...» sospirò, «Invece... quello che è successo è colpa vostra!»
«Colpa nostra?» gridò Adam, «Tu ci hai tagliato le palle, ci hai fatto vivere una vita di merda... la colpa è tua.»
Lei lo fissò come se fosse un cretino e mosse la mano.
Vidi il grosso bidone di metallo alzarsi e dirigersi verso Adam. Urlai il suo nome ma, prima che potessi fare qualsiasi cosa — tipo cercare di fermare il tempo — il bidone cambiò direzione, venendo verso di me. Mi sentii spingere e caddi a terra, la botta alla testa attutita dalla borsa ormai vuota.
Sentii Leo gemere e lo vidi cadere a terra, privo di sensi e bianco, un biancore che mi spaventò. Piansi e lo chiamai, gattonando verso di lui, con il desiderio di avere in mano una pistola, no, un fucile sarebbe stato meglio, e spararle, ridurla a un colabrodo e farle decine e decine di buchi in testa, ridurle la faccia in una poltiglia di carne, sangue e ossa e materia celebrale.
«Leo?» pigolai e gli toccai il viso, «Pasticcino, ti prego, rispondimi.» lo supplicai. Le mie dita scesero sul collo e lo tastai, alla ricerca del battito cardiaco.
Non lo trovai.
Mi chinai ancora di più e cercai di sentire il suoi respiro.
Non c'era.
«Non respira.» mormorai. «Leo, svegliati.» piansi mentre Samuel e Damon erano accanto a me.
«L'hai ucciso?» ringhiò Adam, «Hai ucciso Leo!» urlò e lo vidi prendere fuoco, completamente. Abbracciai Leo, affondando il viso nei suoi capelli e guardai Adam bruciare. Lui non c'era più, c'erano solo fiamme, alte lingue di fuoco che si mossero contro di Lei, avvolgendo le sue gambe, salendo fino al seno.
Lei sembrò non farci caso e una cascata d'acqua apparve su di lei, spegnendo il fuoco, facendo cadere Adam da due metri di altezza.
Lo schiocco che fece il suo collo quando sbatté contro il cordolo del marciapiede fu... terribile.
Samuel scoppiò a piangere e i suoi singhiozzi giungevano al mio orecchio come lame affilate. Come avrei fatto senza il mio Pasticcino e senza Adam?
Il terreno tremò di nuovo e vidi la crepa arrivare, spinsi Leo lontano da essa e afferrai Samuel per un braccio, perché, quella fessura nel terreno, era diretta verso di lui. Strinsi il tessuto di cotone pesante fra le dita, cercando di afferrarne il più possibile e vidi Damon allungarsi per potermi aiutare. Il terreno cedeva in piccoli detriti e polvere sotto le miei ginocchia ma non m'importava, volevo solo impedire a Samuel di cadere in quel buco che sembrava finire direttamente all'inferno. L'aria si alzò, mentre Samuel scivolava nella crepa.
Afferrai i suoi pantaloni, aggrappandomi alla cintura e cercai di tirarlo, mentre Lei, quella brutta stronza, rideva.
Diceva che eravamo i suoi figli eppure ci stava facendo morire. Il terremoto aumento e Samuel ci scivolò dalle mani, cadendo nel buco. Feci per buttarmi dietro di lui ma Damon mi fermò, abbracciandomi da dietro e bagnandomi il collo con le lacrime.
Il vento aumentò, ma non era Damon che lo controllava: era troppo freddo e gelido per essere opera sua. 
Damon gridò e urlò mentre il vento lo trascinava lontano da me. Riuscii ad afferrare la sua mano e a stringerla ma il vento era troppo forte e lo teneva sollevato da terra. Vidi i suoi abiti strapparsi e poi la pelle lacerarsi... poi le sue dita scivolarono via dalla mia mano e lui scomparve.
E il mio cuore morì.
Mi asciugai le lacrime e mi alzai in piedi, i capelli che svolazzavano attorno a me, ormai liberi dall'elastico con cui li avevo legati.
«Sei una stronza.» dissi, sapendo che avrebbe ucciso anche me. Sparai una sequela d'insulti, mandando all'aria gli insegnamenti dei miei genitori: “Porta rispetto per le persone più grandi di te.” 
Ma li stavo anche seguendo: “Non farti mettere i piedi in testa da nessuno, Tabitha. Porta rispetto e riceverai rispetto, ma se ciò non accadesse... pretendilo.”
Strinsi i pugni e guardai Lei, che mi fissava, in attesa della mia mossa. «Perché l'hai fatto?» domandai, «Eh? Perché?»
Lei mi guardò e mosse una mano, una folata di vento mi travolse ma rimasi ferma, in piedi, come se fossi inchiodata in quel punto. Vidi il mio Pasticcino, il suo viso bianco cadaverico, e Adam, con il collo rotto. Guardai il punto in cui Samuel era stato risucchiato e fissai il cielo, chiedendomi dove fosse il mio Damon.
Una calma assoluta mi pervase mentre mi dicevo che, se dovevo proprio morire, l'avrei fatto in grande stile. 
Sentii il crepitio del fuoco e lo vidi, vidi le fiamme alzarsi, lingue di fuoco alte come i palazzi che ci circondavano, creando un'enorme cerchio di fuoco largo almeno un paio d'isolati.
«Cosa stai facendo?» strillò Lei.
Io la ignorai e mi concentrai di nuovo, dicendomi che potevo farcela, che ci sarei riuscita.
Le fiamme diventarono più alte mentre il vento si alzava, sollevano gli oggetti attorno a noi, strappando i lampioni, sollevando auto e detriti; chiusi un attimo gli occhi e quando li riaprii vidi tutte quelle cose schiantarsi contro di Lei, colpendola, per poi rialzarsi e ricominciare.
L'acqua, un'onda altissima, arrivò dietro di Lei e la colpì in pieno, facendola vacillare e cadere a terra. L'acqua si unì al vento, creando un grosso uragano, che continuò a girare attorno a Lei, su di Lei.
Le ginocchia cedettero e finii a terra ma non mi fermai. Dovevo farlo.
Dovevo ucciderla.

Il fuoco si strinse su di Lei, in un cerchio sempre più stretto.
Posai le mani a terra e senti l'asfalto tremare, i sassolini entrami nella pelle. Il tremore si fece sempre più forte e il terreno si frantumò e grossi pezzi di asfalto sprofondarono mentre io mi accasciai al suolo, gli occhi fissi su di Lei, che si dibatteva, cercando di spegnere le fiamme che la bruciavano.
Lei chiuse la bocca, ma un grosso vaso la colpì sul mento, così da costringerla a spalancare le labbra. L'acqua entrò dentro di Lei e la udii gorgogliare, alla ricerca di aria, aria che arrivò, e le chiuse la bocca.
Il terreno tremò ancora, un boato che mi fece tremare tutta, e il fuoco si allargò, arrivando verso di me.
Tutto si amplificò: l'acqua, l'aria, il terremoto, il fuoco. Si allargarono, inghiottendo anche me, bruciandomi, strappandomi i vestiti, lavandomi...
Un istante prima di chiudere gli occhi riuscii a vedere Lei che cadeva a terra, gli occhi rovesciati e un filo di bava e sangue che le colava dall'angolo della bocca. Il suo corpo sussultò un paio di volte poi sembrò irrigidirsi prima dell'ultimo spasmo.
Mentre il buio mi inghiottiva, e i miei occhi si chiudevano riuscii a sorridere.

✫✫✫

Sentii qualcosa scivolarmi sul viso e capii che erano i miei capelli. Alzai piano la mano destra e li scostai.
«Tabitha! Tabitha!»
Aprii piano gli occhi e vidi Adam in ginocchio davanti a me,con il viso rigato dalle lacrime ma, sopratutto, vivo.
«Oh, Tabitha.»pianse e mi tirò su, stringendomi forte e singhiozzando contro il mio collo.
Lo abbracciai a mia volta. «Siamo vivi?» sussurrai.
«Credo di sì.» rispose lui e si alzò in piedi, aiutando a fare lo stesso anche a me.
«Gli altri?» chiesi mentre gli stringevo la mano.
«Non lo so.» rispose. «Ho visto solo te.»
Annuii, piano e continuammo ad avanzare. «Chissà dove siamo...» mormorai.
«A me sembra lo stesso posto dove abbiamo visto i tizi in bianco e nero.» disse Adam, «Solo che questo è... colorato.»
Mi guardai attorno, constatando che aveva ragione. Sembrava lo stesso posto dove avevamo incontrato la diciottesima generazione di Guardiani solo che le pareti erano dipinte in un misto di colori pastello.
«Hai sentito?» mormorò Adam.
Annuii, «Sì.» risposi a bassa voce, «Sembrava un gemito.»
Adam lasciò la mia mano e corse verso l'origine di quei gemiti. Io gli corsi dietro, accorgendomi di non essere stanca. Era come se mi fossi svegliata dopo un lungo sonno ristoratore.
«Leo!» gridai, superai Adam e mi inginocchiai accanto a lui, gli sfiorai il viso con la mano e scoppiai a piangere quando lui aprì gli occhi, fissandomi.
«Tabitha.» mormorò.
«Stai bene?» chiese Adam.
Leo annuì, «Sì.» fece, «Mi fa un po' male la testa ma sta passando.»
Sorrisi e lo strinsi a me. Adam gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi.
«Samuel e Damon?» chiese il mio Pasticcino.
«Non sappiamo nulla.» risposi e riprendemmo a camminare, io al centro dei due ragazzi che mi tenevano per mano. Avanzammo per diverso tempo, fino a quando non ci bloccammo in una specie di piazza.
Al centro c'erano due panche, di marmo rosa, a forma semicircolare, disposte una davanti all'altra. Davanti a noi si trovava una semplice fontana, con il piatto a forma di mezza sfera. Il punto da dove zampillava l'acqua mi ricordò la forma di una damigiana.
«Adam! Leo!»
«Tabitha!»
Mi girai nel sentire il mio nome e sorrisi quando vidi Damon e Samuel apparire da un corridoio alla nostra sinistra, lascia le mani di Adam e Leo. Corsi verso di lui e lo abbracciai per poi baciarlo. Lui mi strinse e infilò le mani nei miei capelli.
«Ti amo.» mi sussurrò all'orecchio.
«Anche io.» gli dissi e baciai il suo viso, gli sorrisi e andai ad abbracciare Samuel.
Ci spostammo sulle panche dove ci sedemmo, stavamo per parlare quando apparve una nuvoletta di fumo azzurro. La fissammo, pronti a scappare quando il fumo si diradò e apparve un uomo molto vecchio, con la barba e i capelli bianchi e grande occhi azzurri.
«Siete tutti qui.» disse e la sua voce era bassa, tranquillizzante.
«Chi sei?» domandò Adam.
«Io sono Padre Natura.» rispose lui e si sedette sull'altra panca. «E sono qui per scusarmi per quello che ha combinato mia figlia e per spiegare come sono andate le cose.»
Figlia? Quell'essere era sua figlia? Ero sconcertata, quell'anziano era affascinante come Sean Connerry, come poteva essere il padre di quell'essere bruttissimo?
«Vedete, fino al Quindicesimo secolo non c'erano Guardiani,» esordì l'uomo, «Il naturale equilibrio degli Elementi veniva mantenuto da me e mia figlia. Mia moglie è morta di parto. Saremo anche immortali, ma certe cose ci uccidono. Mia moglie è morta di parto...» il suo sguardo divenne triste «È andato tutto bene per un sacco di tempo... solo che mia figlia, a un certo punto, dopo una serie di eruzioni, uragani, tornado, esondazioni e terremoti... Lei, come dire... impazzì.» Padre Natura si lasciò andare a un lungo sospiro. «Disse che era colpa degli uomini e che doveva trovare una soluzione. Così si elesse Madre Natura e trovò cinque persone con poteri speciali e li convinse che erano i Guardiani degli Elementi e che dovevano mantenere l'equilibrio.»continuò, «All'inizio non c'erano regole ma, quando si scatenò un violento terremoto sulle coste australiane, con la conseguenza di uno tsunami... cambiò le “sue” regole.» disse, «Regole che conoscete anche voi.» fece, «Sono le stesse dal Milleseicento, anno più, anno meno.»
«E perché non l'hai fermata?» abbaiò Samuel.
«Ho cercato di farlo.» sospirò l'altro, «Solo che lei mi ha rinchiuso in questa dimensione...»
«Siamo bloccati qui?» domandai e strinsi la mano di Damon. Forse non avrei rivisto la mia famiglia ma almeno sarei stata con Damon.
«Oh, no!» disse Padre Natura e la sua voce era quasi... divertita. «Quello che avete fatto mi ha liberato e rinchiuso mia figlia... vi rimanderò sulla Terra.»
«E quello che è successo?» chiesi io, «Il terremoto in Florida...»
«Non ci sarà.» disse lui, «Vi rimanderò indietro un paio di secondi prima che si scatenasse la scossa.» spiegò, «Voi ricorderete tutto, gli altri no...»
«Ma potremmo...» pigolò Damon.
Lui ci guardò e sorrise, «Potete fare quello che volete, della vostra vita.» disse, «Ma prima devo spiegarvi un'ultima cosa.» aggiunse, «Vedete, le persone che hanno occupato il ruolo di Guardiani hanno dei poteri. Voi potete controllarli e tu, Tabitha,» mi guardò, «Puoi controllarli tutti.» disse, «Voi potete accendere il fuoco del camino senza usare un fiammifero, potete spegnere un incendio facendo apparire una nuvoletta carica d'acqua, potete far alzare un mobile pesante stando sul divano, potete rivoltare la terra di un campo senza usare un aratro... cose di questo genere.» spiegò. «Ma non dovete abusarne. Avete capito?»
Annuimmo.
«E Lei?» chiese Adam, «Cosa...»
«Lei sarà punita.» disse Padre Natura, «Sarà mandata in una dimensione da dove non potrà più uscire...» fece un sorriso triste. «È ora di tornare a casa.» esclamò dopo qualche secondo di silenzio. 
Una nuvoletta di fumo dai colori dell'arcobaleno ci avvolse e sentii il mio corpo sempre più leggero, come se mi stessi sgonfiando, come se fossi fatta d'aria...

✫✫✫

Ero al lavoro e mi sentii strana, mentre mi chinavo per raccogliere la gomma che era rotolata sotto alla mia scrivania. Le mie dita sfiorarono la superficie bianca quando mi ricordai tutto quanto.
Ricordai il terremoto, la corsa verso Miami, tutto quello che era successo dopo. Strinsi la gomma e alzi la testa e imprecai sottovoce quando la sbattei contro la scrivania. Mi rialzai e trovai la mia collega Emma che ridacchiava.
«Hai la testa dura, eh?» commentò.
«Eh, già.» dissi, «Lo dice sempre anche mia madre.»
Mamma, papà.
Damon.
Deglutii e bevvi un sorso di acqua dalla mia bottiglietta e controllai quello che dovevo fare. Mi venne quasi da ridere e da piangere quando vidi chi avrei dovuto chiamare.
Lavoravo nel campo delle assicurazioni — sulla casa, sulla vita, sulle barche, camper, automobili — e quel giorno avremmo dovuto assicurare una Maserati e io avrei dovuto chiamare il concessionario che l'aveva venduta per assicurarmi che l'avesse venduta veramente e che non fosse una truffa.
Alzai la cornetta, composi il numero e incastrai il telefono fra spalla e orecchio mentre muovevo il mouse per richiamare la finestrella con i dettagli dell'auto.
«Benvenuti alla Evan's Cars. Sono Damon, come posso aiutarla?»
Io assicuravo auto, Damon, il mio Damon le vendeva. «Sono Tabitha, della Green Insurance.»
«Tabitha.» fece lui. «Tutto bene?»
«Sì.» risposi. «Chiamo a proposito di una Maserati...»
«Sabato usciamo a cena?» mi interruppe lui.
Sorrisi, «Certo.» risposi, «Il numero di telaio è...»
Mentre gli fornivo tutti i dati, sentivo il mio cuore esplodere di gioia.
Sarei uscita con Damon.
Avrei rivisto Adam, Samuel e Leo. Potevo andare dalla mia famiglia e festeggiare sul serio il Ringraziamento e il Natale.
Avrei avuto, finalmente, la mia vita.

Salve! Nuovo capitolo, l'epilogo arriverà presto, magari anche questa settimana, sempre che riesca a postare dal cell sfruttando il wi-fi comunale xD
Grazie a chi legge questa storia, a chi la leggerà, a chi ha messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite e a chi commenterà, perchè lo farete, vero? ç.ç
Grazie anche a chi mi inserisce fra gli autori preferiti, siete tanto ma tanto carini e vi adoro.
Ci si vede presto con l'epilogo!
E leggete le altre mie storie!

   
 
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