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Autore: Thingsthinker    10/03/2015    2 recensioni
Rinuccio e Nina crescono fra la polvere e il dialetto cattivo di un quartiere poverissimo alla periferia della città.
Le ragazze si sposano a sedici anni e se qualcuno le tocca prima è dovere dei familiari ammazzarlo di botte.
Nina è la più brillante della sua classe; lo sanno tutti che scapperà da quel posto appena possibile e cambierà il suo destino.
Rino nel suo destino ci sta già dentro fino al collo, lo vive tutti i giorni quando si alza e va al cantiere; dodici anni, la pelle bruciata dal sole, le braccia forti - perchè devi essere forte, per fare il muratore.
Non potrà mai averla e lei non potrà mai avere lui.
Forse.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rino è partito una settimana prima. E’ partito ed è andato lontano; con un treno, poi un altro, un altro ancora, un traghetto e un altro treno, è andato più lontano di quanto Nina avesse mai potuto immaginare.
Nina partirà tra due giorni. Calca le strade polverose del quartiere con nel petto la malinconia prematura di chi non è ancora partito eppure già brama la terra dove è nato. Una parte di lei spera di non doverci tornare più; spera che le sue orecchie non debbano più sentire gli apprezzamenti volgari dai vecchi seduti ai tavolini del bar, gli insulti delle casalinghe che si mandano a cagare da un terrazzo all’altro mentre stendono i panni. Spera di non doversi più trovare a chiacchierare con volti ridacchianti ma tumefatti dalla violenza, con bambini sporchi che corrono in strada.
Eppure lo sa, che quello è anche in lei. L’andare via di lì non laverà mai tutta la polvere dalla sua pelle, tutti gli insulti dai suoi ricordi. Non dimenticherà mai come si fa ad insultare in dialetto o in che modo bisogna piantare un coltellino svizzero nell’avambraccio dell’ubriaco che ti molesta alle otto di sera.
Nina il quartiere l’ha cucito nella pelle, è in lei sempre e comunque.
 
E’ troppo diversa per rimanere lì, se ne accorge mentre avanza lungo la strada principale. La gente la squadra, le donne bisbigliano, gli uomini ghignano, i ragazzi sfottono. E’ diventata una sorta di fenomeno da baraccone, un pappagallo in una piccionaia. Non la vogliono lì, la gente colta. Non vogliono chi si crede tanto e li fa apparire inferiori.
Nina si sforza di non pensarci, mentre svolta a destra in una strada lastricata male. Il sole di Settembre batte sui vetri opachi delle finestre, sul metallo rugginoso del cancello. Nina entra in un cortile interno, osserva i panni stesi che ondeggiano pigramente al vento; un cane di strada sgranocchia qualcosa all’ombra di un cespuglio. Suona al citofono, nessuno risponde ma il portone viene aperto.
Nina fa un bel respiro, imbocca una rampa di scale dove l’odore di chiuso è così forte che sente i polmoni contrarsi pur di non respirarlo. Sale due piani di scale, poi si ferma.
Lula la sta aspettando in piedi, praticamente aggrappata allo stipite della porta. Il fisico sottile sembra essersi quasi prosciugato per nutrire il bambino che alloggia in lei. La schiena si piega sotto il peso della pancia, il volto pallido, sudato e incavato e la prova delle continue nausee. Eccola, Lula: diciotto anni e la vita che tutti si aspettavano.
“Ehi!” la saluta, ma Lula non risponde. Nina non capisce; è da tanto che non sono più amiche come un tempo, ma Lula aveva sempre mascherato il tutto sotto una falsa benevolenza. Ora invece la squadra con astio, le labbra sottili aspramente serrate.
“Sei venuta.” borbotta.
“A quanto pare…”
Nina ora è di fronte a lei, e non può evitare di fare il confronto; lei bruna, snella ma forte, florida e sana. Lula è pallida e provata dalla vita formata da sette mesi nel suo corpo troppo acerbo, i capelli biondi secchi e sfibrati tirati all’indietro con un mollettone.
A malincuore si sposta dalla porta e avanza barcollando lungo il corridoio spoglio. Nina la segue incerta; la casa è piccola e semivuota, ma non eccessivamente povera. Il mobilificio di Sandro sembra non andare poi tanto bene. I pochi soprammobili sono pacchiani ma non molto costosi, le tende appariscenti ma di scarsa qualità. Lula la scorta in una piccola cucina-sala da pranzo e si lascia cadere pesantemente su una sedia.
“Te ne vai?”
Nina è sorpresa dalla domanda, non se l’aspettava. Il tono brusco la disorienta, ma pensa che forse è colpa della gravidanza e degli ormoni.
“Si.” risponde. “Vado a Roma.”
Lula sospira, si fa aria con un vecchio ventaglio gettando la testa all’indietro. La pelle del collo si tende e Nina può vederle le clavicole sporgenti. La bellezza angelica di un tempo è stata risucchiata dalla forza, dalla necessità di sopravvivenza. E’ magra non perché sta attenta, ma perché vomita qualsiasi cosa ingoi. E’ fragile non perché delicata, ma perché è così debole che potrebbe spezzarsi al minimo impatto con qualcosa di solido. Come, per esempio, Nina.
Esala un respiro fievole, tira le labbra screpolate in un sorriso amaro e scopre i denti bianchi.
“Se solo te ne fossi andata prima, forse non se ne sarebbe andato lui.” sussurra, quasi stesse parlando a se stessa.
“Che cosa hai detto?” Nina si sporge verso di lei, incredula, e in quel momento il volto di Lula ha uno scatto, si irrigidisce, sbarra i grandi occhi chiari. Ora è vigile come un gatto, dritta sulla sedia, con le iridi sfavillanti al sole.
“Hai sentito. E’ per colpa tua che se ne è andato.”
“Non capisco.”
Lula ride, si tiene il ventre con le mani.
“Sei tanto intelligente eppure di persone, tu, non ne hai mai capito un cazzo.”
“Se devi insultarmi, posso andarmene.”
“Non te ne andrai. Non te ne andrai, Nina, perché la verità ti incuriosisce. E il fatto che è sempre stata sotto i tuoi occhi ti incuriosisce ancora di più. Ti credi tanto intelligente, ma non capisci. Lo sai perché ho sposato Sandro?” si indica un livido sull’avambraccio, dove si distingue chiaramente la presa ferrea di tre dita forti “Tu hai pensato che io mi rassegnavo a non trovare niente di meglio. Hai pensato forse che io non meritavo di trovare l’amore, che solo la gente intelligente come te lo trova. Beh, hai pensato male. Io l’avevo trovato, era lui che non trovava me. Lui aveva te. Te, Nina. Brillante, intelligente, divertente. Come potevo io competere?”
Nina si porta una mano davanti la bocca, gli occhi le si fanno lucidi. Lula piange. Piange lacrime di odio e dolore, lacrime di rassegnazione aspra ma tranquilla. Una rassegnazione che il tempo ha freddato ma consolidato.
E ora Lula, con la sua scarsa proprietà di linguaggio, con i suoi vocaboli semplici, sa esattamente cosa dire. Sa quali sono le parole che faranno più male, sa quanto in là spingersi, quanta verità rivelare – tutta.
Lo sa perché ci ha pensato per anni.
“Non me l’hai mai detto.” bisbiglia l’altra, la voce incrinata dal senso di colpa.
“Ho cercato di fartelo capire. Ma comunque a che scopo? Lui amava te, tu lo amavi ma eri una stronza, cosa sarebbe cambiato? Rino non avrebbe mai sposato qualcuna che non fossi tu. Ma non sentirti in colpa, Nina, ho avuto la mia piccola rivincita. Avrai anche per sempre il suo amore ideale, del pensiero, come dite voi intelligenti? Insomma, quello. Avrai sempre il suo amore puro, Nina, ma quello carnale sono riuscita a prenderlo. L’amore della pelle contro la pelle, della bocca sulla bocca, quello l’ho avuto io. Dopotutto, chi le vuole tante belle parole?” domanda, il volto scarno inondato di lacrime amare, gli occhi più grandi del normale mentre mente a se stessa. “Chi vuole sentirsi dire sei bellissima? Quello che conta è la carne, Nina. Il corpo. E forse non credi alle tue orecchie, ma Rino è stato il mio amante. L’amante di Lula, quella stupida; di Giulietta. Forse ti pensava, ma lì c’ero io. Io.”
 
Nina sta immobile. Piange anche lei, protesa verso Lula come per bloccare il flusso di parole. E non può crederci. Aveva ovviamente pensato che Rino avesse avuto altre donne, ma per lei erano sempre state sconosciute. Invece eccola, una di quelle donne, proprio davanti ai suoi occhi. Una donna giovane quanto disperata, costretta ad accontentarsi di un uomo brusco e poi a giacere per amore con uno che amava un’altra: un’altra che, casualmente, era la sua amica d’infanzia.
Nina avrebbe voluto confortarla, forse confortare se stessa, eppure l’unica cosa che fece fu guardare immobile la pancia di Lula.
“Sta tranquilla.” sibilò lei “Non è suo. E’ di Sandro, puoi starne più che certa. E spero che sia un maschio, o patirò le pene dell’inferno.”
“Mi dispiace. Per la storia di Rino, intendo. Non ne sapevo niente.”
“Fai bene a dispiacerti. Ora non potrò nemmeno accontentarmi del suo corpo, sei riuscita ad allontanarmi anche da quello.”
“Non se ne è andato per colpa mia!” Nina alza la voce.
Non può essere, non è vero… Oh, sai che lo è.
“Si invece!” grida Lula, ricominciando a piangere “Era il dolore di vederti e non averti che l’ha spinto lontano e ti giuro, ti giuro che lo capisco! Ma tu no, Nina, tu no. Perché sarai pure intelligente ma sei una stronza, lo sarai sempre. E ti auguro che un giorno potrai soffrire così, perché te lo meriti! Tutti ti amano e tu non ami nessuno, non ti importa di nessuno, esisti solo tu! Ma certo. Nessuno ti merita, sei troppo brillante per tutti.”
“N-non è così.” balbetta Nina, spiazzata dal dolore che Lula sta esternando.
“Oh si, invece. E ora esci da questa casa, mi rovini il bambino.”
Nina si alza, come in un sogno. Attraversa il corridoio come se qualcun altro lo stesse facendo al posto suo, apre la porta come telecomandata.
“Mi dispiace, Giulia.” dice, troppo piano perché possa sentirla “Mi dispiace davvero.”


 
 

ZAN-ZAAN.
Mi prendo gioco dei vostri poveri feels agonizzanti, si.
*sadica Lee*
Anyway, vedo che siete davvero in molti e per questo vi ringrazio e vi esorto ancora a lasciare un piccolo commento, se davvero siete arrivati fino a qui nella lettura.
Grazie a tutti ^_^
Lee
  
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