Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: the_raggedyfangirl    10/03/2015    4 recensioni
[dal prologo]
«Cosa ha a che fare Gavin Lestrade con qualunque cosa tu mi abbia detto negli ultimi vent’anni?!».
Nessuno dei due sembra accorgersi che Sherlock ha sbagliato (ancora) il nome di Greg.
Anzi, nessuno dei due sembra accorgersi di qualunque cosa succeda attorno a loro quando i loro sguardi s’incatenano, consapevoli dell’effetto che si fanno reciprocamente.
«Oh, fratellino, - sospira, senza staccare per un istante gli occhi da quelli di Lestrade - nessuna persona al mondo ha a che fare più di lui in qualunque parola io abbia mai proferito negli ultimi vent’anni…»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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4. Teens
 
Per Gregory non era stato facile gestire l’indifferenza di Mycroft e dopo diversi giorni passati a chiedersi cosa avesse fatto male per meritarselo (va bene, era stato d’accordo anche a lui all’idea di non vedersi per un po’, ma ciò non voleva dire tagliarlo via completamente dalla sua vita) si era rassegnato all’idea che se avesse chiamato ancora probabilmente la famiglia Holmes avrebbe finito per chiamare la polizia.
«Tesoro, è successo qualcosa? Perché non ti vedo più uscire di questi giorni?» domandò un pomeriggio Mamma Lestrade, vedendo il figlio assumere la tipica posizione stravaccata sul divano. «Ho questo amico che ha smesso di considerarmi. È solo che io ci tenevo a noi e penso di aver rovinato tutto..» sospirò, non totalmente sicuro del perché lo stesse facendo. La solitudine faceva brutti scherzi. «Amore mio, se non vuole essere tuo amico ha chiaramente qualche rotella fuori posto e non dovresti porti nessun problema a riguardo. Perché non fai una sorpresa a Sadie invece? Ohh, portale una fetta della torta che ho fatto stamattina, sono sicura che le piacerà!» Gregory alzò lo sguardo sulla madre e si domandò per quale motivo a lei piacesse così tanto la sua fidanzata. Forse perché erano disgustosamente simili.. ora iniziava a ragionare come Mycroft, mancava giusto questo. Come se la sua assenza non si imponesse già in qualunque cosa lo circondasse. Aveva decisamente bisogno di vedere la sua fidanzata e non pensare più agli occhi di ghiaccio che lo seguivano in ogni suo sogno.
Sapeva la strada per casa Harrison a memoria e non era neanche la prima volta che la percorreva con una fetta di torta in mano, considerando la premura che poneva sua madre nel cercare di rendere la dieta di Sadie del tutto inefficace. Le farò una sorpresa, lei sarà felice e mangerà la torta e magari andremo a vedere un film. Perfetto. Stupendo. Non avrebbe potuto realizzare che c'era qualcosa di sbagliato, Greg non era tipo da sesto senso o roba simile, viveva quello che gli capitava e cercava di tirarne fuori il meglio, anche se spesso vedere il lato positivo non era semplice.
Sentiva la televisione da fuori dalla porta e bussò forte in modo da farsi sentire nonostante l'apparecchio. Sadie venne ad aprire: indossava un adorabile vestito anni cinquanta, nonostante fuori si gelasse. Si portava dietro una coperta a scacchi a mo' di mantello e pensando a quanti film alla tv avevano visto rannicchiati sotto quella coperta, Gregory iniziava già a sentirsi stupido per aver dubitato della loro relazione... forse era davvero la cosa migliore che gli fosse mai capitata. «Ehi amore, mia madre ha fatto la torta e te ne ho portato un pezzo, scusa se non ti ho avvisato ma ho pensato di farti una sorpresa...» c'era qualcosa di profondamente sbagliato nel volto della sedicenne. Era pallida, con gli occhi scuri spalancati come se avessero appena visto un fantasma. Lestrade poteva dire di averla vista così turbata una sola volta nella sua vita e preferivano non parlare di quell'incidente, benché avesse causato l'inizio della loro relazione. «Chi è alla porta, dolcezza?» Greg non lo conosceva, ma ciò non impedì ad un brivido di percorrergli la schiena quando vide questo sconosciuto (che poteva benissimo essere il membro segreto degli Spandau Ballet) baciare il collo della sua ragazza. Era un po' come quando un film che ti sta piacendo molto si rovina in pochi istanti e tu ti senti tradito dal regista, come se ti avesse promesso che quella era l'unica cosa che non doveva andare storta e fosse riuscito a distruggerla ugualmente. «E' un tuo amico? Piacere, mi chiamo...» invece di stringere la mano al ragazzo Greg gli mollò la torta e girò sui tacchi, senza nemmeno prendersi il piacere di guardare ancora una volta la faccia impietrita della ragazza. La sentiva correre dietro di sé (non che lui stesse correndo, ma una sua falcata era più o meno l'equivalente di cento metri ad ostacoli per la giovane) e per una volta era piacevole essere quello inseguito, lo faceva sentire importante. Non che in quel momento si stesse prendendo la briga di analizzare le sue emozioni, tutto quello che voleva fare era cacciare tutto il più a fondo possibile e godersi solo quell'inquietante senso di libertà che pervadeva ogni fibra del suo essere. «Greg, per l'amor del cielo fermati. Non intendo propinarti una scusa campata in aria. ...Mi sentivo sola, okay? Mi hai trascurata! E non parli mai delle tue emozioni! Ti nascondi dietro un sorriso, sei sempre il Signor VaTuttoBene, ma non andava tutto bene! Lo sappiamo entrambi! Dimmi come ti senti! Urlami contro! I veri uomini come Bill non hanno paura di parlare di quello che provano...» Gregory  Lestrade si voltò così velocemente che per poco la ragazza non gli andò a sbattere contro. «Bill? Oh, Bill. Ma certo, non poteva chiamarsi altro che Bill, complimenti ai genitori per l'originalità. Chi avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe diventato uno scarto di boyband? In cosa si sta laureando? Medicina? Letteratura!? Sadie, tu ci credi sul serio nei tuoi fragili progetti di carta, non è vero? Mi dispiace deluderti, ma a volte la vita non va come programmi e sai perché? Perché non puoi pianificare le persone!- si accorse di star alzando la voce e respirò profondamente per cercare di calmarsi -Okay, okay. Non voglio urlarti contro. Non voglio proprio parlarti. L'unico modo per neutralizzarti è non darti ascolto e non intendo più essere un personaggio del Sadie Harrison Show. Mi dispiace, davvero, ma non voglio giocare con te» e con questo se n'era andato, lasciando l'ex fidanzata da sola con un castello di carte crollato.
 
Mycroft era rimasto vagamente turbato nel sentire il racconto del ragazzo, circondato dall'asettico ambiente della caffetteria nella quale avevano accordato di incontrarsi al telefono. Guardava gli occhi scuri del diciassettenne seduto di fronte a lui e si rendeva conto di avere delle emozioni contrastanti a riguardo di tutta questa situazione. Analizzando i suoi sentimenti poteva riscontrare che la maggior parte della sua sfera emotiva era occupata da quello che viene definito "sollievo" (perché il suo amico si era liberato da una malsana relazione? Perché ciò lo rendeva disponibile? Ai posteri l'ardua sentenza) ma una buona parte provava comunque dolore all'idea di quello che stesse provando in quel momento. Holmes sapeva che la compassione non faceva parte dell'ordinaria gamma di impulsi che provava, ma non avrebbe potuto esprimerlo in altro modo. Voleva che Gregory fosse felice perché ciò rendeva felice lui, ma accantonò per il momento questa riflessione cercando di convincersi che si trattasse solo di un'evoluzione del suo già precedentemente radicato egoismo compulsivo. Andava riconosciuta inoltre la presenza di un variabile senso di colpa riguardante la propria conoscenza del tradimento antecedente della scoperta da parte del diretto interessato, che portava a farlo rimanere in quello squallido locale in mezzo alla gente ad ascoltarlo lagnarsi della sua fidanzata quando avrebbe potuto leggere un trattato sulla biochimica. Ora sì che si riconosceva. Soddisfatto dalla riconferma delle vecchie convinzioni realizzò che qualcuno stava pronunciando il suo nome. «Terra chiama Mycroft! Com'è la vita sul T.A.R.D.I.S.? Tornerai mai fra noi comuni mortali? ....Tutto bene??» il ginger sbatté le ciglia un paio di volte e fece un gesto sbrigativo con la mano destra senza neanche provare a domandare cosa diavolo fosse un T.A.R.D.I.S., anche perché non avrebbe potuto importargli meno. «Sì certo, chiedo scusa. Questa intera situazione era totalmente prevedibile e considerando le informazioni che mi avevi fornito riguardo la tua relazione non posso che assicurarti che la fine di questa relazione sia la cosa migliore che mi sia... Ti. Ti sia. Perdonami il lapsus, intendevo la cosa migliore che ti sia mai successa»; Lestrade ridacchiò sapendo che quello era il massimo della consolazione che poteva aspettarsi da Mycroft. «Mi sa che hai ragione amico, in ogni caso stasera ho bisogno di bere. Mi fai compagnia?» gli chiese ironicamente, immaginando già la risposta. «Sei minorenne, non ti è concesso bere nei pub» questo suscitò ancora più ilarità nell'amico, che fingendo uno sguardo preoccupato mormorò: «Aiuto, speriamo che la Regina non lo venga a sapere» portando il suo interlocutore ad alzare gli occhi al cielo. «Mi preoccupa che saranno tu ed altre persone come te a proteggermi dai malviventi in futuro» sbuffò, senza riuscire a nascondere un sorrisetto ironico. «Per fortuna ci saranno persone oneste come te al governo pronte a punire i poliziotti cattivi come me» e Mycroft sarebbe quasi riuscito a mantenere il volto impassibile se oh. quello era un occhiolino? Gli aveva visto fare era davvero un occhiolino!? Oh. Ohoh.
 
«Dove vai? Perché tu puoi uscire di sera e io no?» il maggiore dei fratelli Holmes lanciò un'occhiata divertita al fratellino che era sdraiato a leggere sul tappeto in soggiorno. Sherlock aveva ricominciato ad uscire dalla sua stanza da qualche giorno e ora sembrava quasi tornato tutto alla normalità. Ma Mycroft sapeva (o era solo la sua percezione colpevolizzata?) cogliere il cinismo in ogni frase che pronunciava e tristemente leggeva il disincanto in ogni sua singola parola. Si stava mettendo il cappotto e si strinse nelle spalle prima di rispondere: «E dove vorresti andare di grazia tu la sera?» l'altro lo guardò come se avesse fatto la domanda più stupida del mondo. «A catturare le lucciole, ovvio» l'altro annuì, sospirando profondamente. «Ovvio,­- e cercò quasi di rivolgere un sorriso al fratello -Ti posso chiedere di non farne parola con i nostri genitori? Loro sono già a letto e io sarò di ritorno prima che se ne possano accorgere, è inutile allarmarli per un'inezia del genere» spiegò, disposto anche a scendere a patti per ottenere il silenzio del piccolo. La risposta non tardò ad arrivare «A patto che tu mi dica con chi stai uscendo- sentenziò abbassando gli occhi sul libro, con un sorriso sornione -­è quel tuo amico che aspetta fuori di casa? Come si chiama?» Mycroft sentì l'urgenza di rispondergli che non lo riguardava, ma sapeva che l'altro non si sarebbe fatto problemi ad urlare a pieni polmoni della sua fuga svegliando così l'intero vicinato. «Si chiama Gregory» ammise infine, esaminando con attenzione un bottone del proprio cappotto. Seguì un breve periodo di silenzio e proprio quando quello con i capelli rossi sperava che la conversazione fosse finita e ciò gli permetteva di allontanarsi da quella casa ci fu un'ultima constatazione, che ci si potrebbe facilmente aspettare da un qualunque bambino di quell'età: «Che nome stupido!» e il più grande, ormai stanco di quella conversazione, aprì la porta e proprio prima di richiuderla dietro di sé sibilò: «Se è così stupido allora dimenticatelo!». Beh, quel che è certo è che Sherlock prese questo consiglio particolarmente alla lettera.
 
Mycroft si aggirava tra i tavoli del pub gremito di gente come un soldato in un campo minato. Non voleva toccare niente (anche solo pensare alla quantità di germi presenti in quella stanza gli faceva venire il panico) e le urla gli avevano fatto venire il mal di testa... ed era lì dentro da quarantnasette secondi. Si concentrò su Greg e lo seguì mentre zigzagava tra i vecchi ubriaconi fino a condurlo in un angolo del locale stranamente tranquillo. Si sedette ad un tavolo altamente instabile, completamente rovinato da scritte di ogni genere intagliate nel legno ammuffito. «Questa è la parte più antica del locale, non ci viene mai nessuno» spiegò il più solare dei due, mentre guardava l'amico togliersi il cappotto con circospezione sistemandosi di fronte a lui, dall'altro lato del povero tavolo. Quello rispose con una smorfia, trattenendosi dall'affermare ironicamente che non capiva quale fosse il motivo per cui nessuno prediligeva quel posto. «Io ci lavoro qui, part-time. Se non fosse per te dopo il liceo sarei venuto qui a lavorare a tempo pieno... e probabilmente mia madre mi avrebbe diseredato. Non è sempre così pieno, è solo perché è sabato sera. ...Devo dire Myc, non credevo che saresti venuto sul serio. Questo non sembra proprio il tuo habitat naturale» ammise infine, appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa sulle mani. «Touché, tuttavia suppongo che un inglese debba entrare in un pub almeno una volta nella vita, quindi meglio togliersi subito il pensiero» mentì il ragazzo, se Lestrade gli avesse chiesto di buttarsi nel Tamigi sorridendo lui l'avrebbe fatto senza battere ciglio, solo che neanche lui l'aveva ancora realizzato appieno.
«Mi stai dicendo che non hai mai bevuto una birra in vita tua?! Dobbamo rimediare. Ora. Offro io!» entusiasta come un bambino l'ultimo giorno di scuola fece un segno al barista che Holmes non riuscì a cogliere ed in pochissimo tempo entrambi avevano di fronte a loro un boccale di birra che al poveraccio sembrava più alto di suo fratello Sherlock. «Gregory, non ce n'è bisogno, ti ringrazio infinitamente ma preferirei un bicchiere d'acqua se fosse possibile...» l'altro lo zittì spostando il recipiente contenente il liquido dorato ancora più verso di lui. «Oh, andiamo! Sei un genio, non ti spaventerà certo dell'alcol! Siamo giovani e io farò in modo che non ti accada nulla di male, lasciati un po' andare!» purtroppo dovete sapere che l'unica cosa più grande dell'intelligenza di Mycroft Holmes era il suo orgoglio, spinto ai limiti dell'autodistruttivo. Non si sarebbe certo fatto vincere da un po' di malto fermentato, inoltre il suo cervello era troppo sviluppato da lasciarsi inebriare dall'alcol, avrebbe certamente saputo quando fermarsi prima di mettersi in ridicolo.
 
Greg aprì gli occhi di colpo, come se si fosse svegliato da un incubo di cui non si ricordava niente. Sbattendo le palpebre riuscì a mettere a fuoco il soffitto di camera sua, il che gli fece emettere un sonoro respiro di sollievo. Va bene, il giorno prima aveva alzato il gomito ma almeno era nel proprio letto. Aveva anche mangiato troppo? No, era da escludere che fosse per il cibo del giorno prima se il letto improvvisamente gli sembrava troppo stretto. Man mano che si svegliava, la calda sensazione di un qualcosa che occupava gran parte del suo giaciglio si trasformò in un'opprimente certezza, fino a riuscire a sentire distintamente il gentile peso di una mano poggiata sul suo stomaco. Non aveva mai dovuto avere a che fare con una situazione simile e non aveva la più pallida idea di come gestirla. Così stette fermo immobile, a guardare il soffitto con gli occhi spalancati, schiacciato dall'imbarazzo e dal terrore di muoversi finché non trovò il coraggio di voltarsi a guardare il volto dell'altra persona che abitava il suo letto. Furono delle montagne russe emotive. Inizialmente si fece pervadere dal sollievo, realizzando che era solo Mycroft, ma poi realizzò che Mycroft non era solo Mycroft, era M Y C R O F T ed era nel suo letto. Cercò di non svenire, il tutto senza emettere il ben che minimo suono, sapendo che se l'avesse svegliato sarebbe stato molto peggio. Nei minuti che seguirono cercò di fare mente locale sulla serata precedente, non ricorodava assolutamente nulla di quello che era successo eppure era convinto che sarebbe stato impossibile per lui dimenticare una serie di eventi che potessero portare Mycroft Holmes ad essere la mattina dopo in mutande dentro il suo letto. Cercò di distrarsi, rubando un momento per osservare quel volto così particolare in quel sacro momento di vulnerabilità. I riccioli rossi risaltavano sparsi sul cuscino come sangue sulla neve e sembravano raggi ribelli che cercano di fuggire da un sole che si rifiuta di splendere. Quando scese con lo sguardo fino a posarsi sul volto, Lestrade perse un battito, perché così rilassato era molto più bello di quanto se lo potesse immaginare. Era come quando riusciva a strappargli un sorriso vero o quando lo metteva in imbarazzo con una delle sue battute idioti, per un istante si faceva strada fino alla superficie il Mycroft 'essere umano' ed era la cosa più stupefacente che Gregory avesse mai visto. Gli ricordava quando, dopo aver montato un bellissimo albero di Natale, ci si decide ad attaccare la spina per accendere le lucine e diventa mozzafiato, superando ogni concezione di bellezza teorizzata dall'uomo. In un istante questo viso si illuminò di due brillanti luci azzurre, che all'inizio sembravano spaesate e confuse quanto lo era stato Greg al suo risveglio. In tutta risposta l'altro gli sorrise e non riuscendo a pensare ad un qualcosa migliore da fare si allungò, sfiorando con le labbra quelle dell'altro ragazzo. Fu come una scossa elettrica, che si espanse lungo tutto il corpo di Greg e gli esplose nel cervello quando Mycroft si allungò contro di lui a sua volta, unendo le loro bocche come i pezzi di un puzzle. Era bollente e morbido e Gregory non riusciva a sopportarlo, spostandosi completamente su un fianco per poter approfondire l'umido bacio. Sorrise e percepì la lingua stranamente esperta del ragazzo scivolare sopra i suoi denti, rendendolo praticamente ad un vegetale. Gli unici impulsi che gli arrivavano al cervello gli imponevano di spostare le mani lungo il corpo del ragazzo, che si contorceva sotto ogni suo tocco. «Tesoro, preferisci i pancake per colazione oppure i cereali?» Greg si fermò. Questa non era la voce di Mycroft. Aprì gli occhi di scatto, travolto dalla luce che entrava dalle finestre spalancate. Il suo letto era freddo e vuoto, mentre lui ancora mezzo addormentato si sentiva le guance in fiamme mentre metteva a fuoco la madre al centro della stanza. «A che ora sei tornato ieri che non ti ho sentito? Comunque vuoi darmi una risposta? Preferisci i pancakes o i cereali? Volevo fare le uova strapazzate ma non ho testa di uscire a comprarle e poi i negozi sono chiusi di domenica» il figlio si limitò a respirare profondamente e a chiudere gli occhi un'ultima volta, sperando inutilmente che fosse questo il sogno e non quello in cui si era trovato così bene pochi secondi prima.
 
Mycroft era riuscito a tornare a casa senza destare alcun sospetto nei genitori. Sherlock aveva evidentemente cercato di aspettarlo sveglio e lo ritrovò addormentato sullo stesso tappeto su cui l'aveva lasciato con la testa affondata dentro il libro. Lo prese pazientemente in braccio, facendo particolare attenzione a non svegliarlo e lo portò in camera sua, rimboccandogli le coperte prima di andarsene. Ma in tutto questo tempo non riusciva a smettere di sentire lo stomaco in subbuglio ed era inutile dare la colpa all'alcol, ormai continuare a raccontarsi storie non aveva alcun senso. Era pura chimica eppure sembrava un qualche strano maleficio tratto da quelle storie che suo padre aveva tentato di raccontargli un paio di volte quando era piccolo. Come avrebbe fatto a convivere con quello che provava per Gregory Lestrade?




Buongiorno e BUON NATALE! *schiva i pomodori* mi dispiace tanto ç_ç sono praticamente stata risucchiata da un buco nero di malattie, verifiche, feste comandate e computer rotti che mi ha impedito di continuare questa piccola creatura. Quindi per farmi perdonare ho deciso di trollarvi facendovi credere che si fossero baciati. Ops. Ora vado a nascondermi prima che possiate iniziare a tirarmi i cocomeri :') 
A parte tutto, spero davvero che questo capitolo vi piaccia e grazie mille a tutti coloro che mettono tra le seguite, preferite, lasciano una recensione o semplicemente leggono, perché rendete le mie lunghe giornate disorganizzate molto più luminose :33 detto questo a presto! (spero)
-Cece
 
   
 
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