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Autore: Your futon    12/12/2008    2 recensioni
Questa è la mia prima, primissima storia, ed è strano mostrarla così a chiunque abbia la voglia di leggerla: è una sensazione nuova, che mi lascia strane emozioni addosso. L'ho scritta di getto, e non so cosa aspettarmi... Si tratta di un racconto particolare, in questo caso tutto incentrato sulla figura del protagonista, attorniato dalla presenza della neve: è la neve che fa da contorno a questa storia, regalandole un'atmosfera tutta particolare. E tutto comincia quando un giorno il pullman non arriva: e Chris si ritrova solo, nella neve, con tanti dubbi e un'amarezza nel cuore...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una fredda mattina d’inverno, quando le cose della mia vita stavano migliorando e io imparavo a non sentire critiche e insulti, cadde la neve.

La neve ha sempre accompagnato la mia esistenza come una presenza negativa. Eppure mi piace: crea atmosfera e dà un tocco magico ad ogni cosa. Mai però l’ho amata,  mai l’amerò: da piccolo mio padre mi prendeva in giro perché non volevo slittare. Allora, ricordo, piangevo perché ero geloso che ci fosse salita mia sorella per prima o ancora per tante altre futili ragioni, ma più tardi invece presi ad odiarla seriamente. Io sono una persona molto timida, ma molto timida a seconda delle occasioni: ho tante maschere, intercambiali e combinabili, e uso quella giusta a seconda dell’occasione. La neve ha sempre saputo mettermi in difficoltà e chiamar fuori il mio lato più impacciato.  

Non è una cosa positiva, ma d’altronde non è nemmeno positivo essere come sono io: tanti mi direbbero un ipocrita, una persona incoerente; tanti mi direbbero che ho più facce io di un cubo, ed io direi che hanno ragione. Ma malgrado abbia tante diverse versioni di me, mai sono stato cattivo con chi potessi permetterlo perché più debole di me, mai buono con chi non potessi essere cattivo perché più forte di me: credo di essermi solo e semplicemente adattato: ho tanti volti perché non riesco ad essere mai veramente me stesso. Ho tanti volti perché la vita mi ha costretto a cambiare, ma non sono falso e bugiardo.

A volte mi sembro una parola latina: mi piace declinarmi, cambiare, flettermi, a seconda dei casi.

A volte una giapponese: mi piace agglomerarmi tra idee diverse per creare tante versioni di me.

Tuttavia l’ho sempre ammesso, e le persone a me più vicine lo sanno: anche se non sono veramente io quello con cui stanno parlando, sanno che non sono una persona falsa. Non ho mai mentito o sono stato l’amico di una persona e poi quello che le ha parlato alle spalle: questo no, non mi appartiene.

Tuttavia il mio essere tante cose mi ha sempre confuso: a volte mi ritrovo da solo, a pensare: chi sono?

La neve non mi è mai piaciuta anche perché, a quanto ricordo, ogni volta che è caduta, m’ha offerto occasione di pensare in questo senso: da piccolo, quando stavo in macchina perché fuori mi annoiavo mentre i miei slittavano nel bianco; da ragazzetto, perché non andavo a scuola e la mamma mi teneva a casa; ora, perché il pullman non passa, la scuola non è più la mia scusa, sono solo nel bianco infinito di un inverno eterno.

Quel giorno non venne il pullman: aspettammo dieci minuti, quindici, venti. Poi cominciarono a tirarsi le palle di neve… io non mi mossi.

La neve è fredda, bagnata, a volta sporca; ti gela; mani, piedi, ossa: non esistono. Non mi piace tenerla in mano. Mentre tutti se la tiravano, ridendo, cadendo, rotando, lanciando, io sorridevo, tranquillo, ma dentro di me piangevo, perché il mio animo – lì, con loro – mi impediva di gettarmi nella neve, di sbellicarmi dalle risate, di essere spensierato e non sentirmi ridicolo.

Poi, piano piano, un’idea s’è fatta largo, e io ho cominciato a capire.

Sospiri. Sospiri infiniti nel buio, nel freddo, sotto un lampione, sotto un fascio di luce gialla, sotto la neve che cade dal cielo.

Tutti se ne sono andati in collina, a slittare: ed io ho usato una scusa: sono rimasto indietro: non ho voglia, non mi piace!

Ma in fondo so: erano loro, loro con i quali non riuscivo ad essere nemmeno una delle mie facce più belle; ed era quella neve che rendeva tutto difficile, me goffo e il mio animo grigio.

Mah.

Neve, bianca neve, scendi dal cielo portando quiete e pace, rimpianti, sogni perduti, tristezza; mi piace guardarti dalla finestra, accanto al camino, con un bicchiere caldo in mano. Ma non di più. Non t’attaccare a me come sui rami d’abete, non vincolarmi troppo alle persone che odio.

Gli altri, per fortuna, non insistettero molto: forse non fu fortuna, forse sapevano già quale fosse la mia opinione. Fatto sta che decisero di trovarsi alle otto.

Ci andai, giusto per vedere, per non sentirmi troppo escluso; ma poi, di nuovo, sfuggì via. E fui in casa, stanco, triste, stanco.

Come sempre, appena furono assieme, appena davanti a loro ebbero la prospettiva del divertimento, si dimenticarono degli altri: non fui l’unico lasciato indietro. Hanno formato il loro gruppetto, i più belli, quelli che nella vita sapranno distinguersi, essere spiritosi, divertirsi, cogliere gli attimi più felici, scavalcare gli altri, e vincere. E anche quelli che son quasi al loro pari, ma pari pari non sono, vengono lasciati indietro: arrivano un po’ tardi, perché abitano lontano, e anche se sanno che mai saranno lì per le otto in punto, corrono comunque, sperando di arrivare presto. E quando arrivano trovano solo il nulla; anzi no: la neve che cade dal cielo, e li deride, con la sua delicatezza, con la sua libertà infinita.

Intanto io, solo ed inquieto, andai a casa con una fredda tristezza nel cuore.

Per tirarmi su il morale cercai il caldo.

Ho scoperto da tempo che, chi è spesso afflitto da cattivo umore, deve trovare dei piccoli rimedi tutti suoi: riti, riti da ripetere, che rendono il cattivo umore un qualcosa da esorcizzare. Infatti, è solo facendo qualcosa, solo impegnandosi, che ci sembra di star veramente combattendo. Io, amante del caldo, mi preparo un tè, una mia vecchia passione, e poi mi copro tutto tutto tutto; quindi mi siedo, o al computer o vicino al camino. Ed allora, o cerco l’ispirazione o cerco il tepore e la temporanea pace del riposo.

Quella volta optai per il camino, ma non per il riposo: a Natale avrei cambiato il cellulare. Io non sono uno stupido ed anzi, mi reputo una persona intelligente, una persona sensibile, che non si ferma alla superficialità e spesso va in fondo; tuttavia, come tutti, sono soggetto a molti vizi, capricci, esigenze. È uno dei miei più neri lati negativi: sono un po’ egocentrico anche io; e sebbene spesso mi sia considerato diverso dagli altri, artista incompreso, anche io (a mio tempo) ho cercato i vestiti di marca, ho pensato ai migliori modi per piacere agli altri, sono caduto nell’esteriorità, ed ho cercato per un mese prima di trovare il cellulare che mi piacesse. A volte a pensarci, me ne vergogno, penso davvero di essere un ipocrita. Mi sento ridicolo.

In ogni caso, mi sedetti, avvicinai il mio gatto alle ginocchia, e poi sfogliai pigramente la rivista, cercando qualcosa qua e là: ma non riuscivo a pensare: sentivo me pigro, lo sforzo di pensare ingiustificato. Così lasciai da parte ogni possibile scelta, e mi limitai a girare pagine, guardando immagini di cellulari costosissimi. Poi mi stancai anche di quello. Misi la musica: tra l’altro era il mio periodo country.  

Fu così che mi trovò mia madre, dopo l’ultimo inutile suo tentativo di andare al lavoro.

Prima armeggiò un po’ vicino al camino, poi si sedette anche lei e mi guardò con un sorriso strano.

  
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