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Autore: lulida    11/03/2015    3 recensioni
Coralline è cresciuta in una famiglia agiata, nella zona ricca di Manhattan, suo padre, uno degli avvocati più famosi di New York, discende dal conte di Essex, Thomas Cromwell.
La sua, una vita che poteva svolgersi solo in salita, eppure contrariamente a tutto ciò che era predestinato per lei, sceglie di abbandonare la casa paterna ed inseguire il sogno di divenire artista.
Dietro questa scelta, c'è un dolore che rifiuta d'accettare.
L'uomo che amava, l'ha ferita nel peggiore dei modi, tradendola con sua sorella.
Questo ha creato in Cora una sorta di rigetto verso gli affetti troppo profondi e un bisogno di tenere a debita distanza chiunque abbia il potere di farle battere il cuore.
Non le risulta un problema, fin quando non rientra nella sua vita, proprio l'uomo che l'ha distrutta.
Adesso Jared è un attore di successo e una rock star, è ricco, sempre bellissimo, forse più di allora e si diverte a provocarla, ma lei non è disposta a cadere nuovamente nella sua rete per niente al mondo e combatte strenuamente per non cedere, dando avvio a una serie di fraintendimenti, rivelazioni e bizzarre situazioni, che la costringeranno a prendere una decisone una volta per tutte.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autore: come sempre ringrazio chi commenta e segue la storia. 
In questo capitolo vengono descritti gli ultimi preparativi prima di abbandonare New York alla volta di Los Angeles. 
Buona lettura, spero vi piaccia.

                                                                                              -  La    Partenza   -

A Gramercy, in una palazzina bianca che dava su una via tranquilla, Ann stava rosolando la cipolla e l'aglio a fuoco lento, mentre Cora tagliava i pomodori e le carote sul piano della cucina.
Dallo stereo usciva la voce di Billie Holiday e le note di “I’m A Fool To Want You” riempivano la stanza.
A parte poche chiacchiere sul cibo, nonna e nipote non avevano parlato molto, si erano dedicate da subito a preparare il pranzo, seguendo i gesti rituali che da anni le legava l'una all'altra più di qualsiasi discorso.
Ann assaporò la salsa visibilmente soddisfatta di se stessa.
«Che ne pensi?», le porse il mestolo perché l'assaggiasse anche lei.
«Perfetta come sempre», rispose Cora con un sorriso.
Ma Ann scosse la testa, e come si fosse ricordata in quel momento che mancava qualcosa, abbandonò il mestolo dentro la pentola e si diresse verso il frigorifero.
«E così... sei andata a casa di tua sorella a...».
La nonna lasciò la frase in sospeso mentre apriva l'elettrodomestico e rimaneva a guardarne l'interno, in cerca di qualcosa che non sapeva più cos’era.
Cora intuì ciò che andava cercando e prese il concentrato: «... A portarle Seljak», disse terminando la frase per lei e porgendole il barattolo.
Erano passati sei giorni dalla proposta che le aveva fatto Shan nello studio di Hirst, in quel lasso di tempo aveva terminato e consegnato la commissione, svuotato la dispensa, e per ultimo, riportato il cane a Emy.
Rimaneva da mettere le poche, ultime cose in valigia, e sarebbe stata pronta per la partenza.
«Oh grazie», Ann fece un delizioso sorriso.
Sua nonna era una delicata ed elegante signora di ottant'anni, una versione più vecchia e più bassa della mamma di Cora, che portava con grazia le sue rughe e i suoi capelli argentati.
Solo dal tremore alle mani e dal fatto che fosse un po' svampita si capiva che in effetti non aveva più tutte le sue facoltà.
«Come l'hai trovata?».
«Emy? Come sempre. Quando sono arrivata a casa sua stava urlando contro il marito. Tutto nella norma, direi».
Ann scosse la testa e soprappensiero aggiunse il concentrato al sugo.
«Tua sorella è una donna debole che riesce a trovare un’identità solo attraverso un uomo. Purtroppo, ha scelto un uomo davvero pessimo», continuò a parlarle mescolando.
«Dici? Io ritengo l'abbia trovato esattamente come meritava», rispose Cora sorseggiando del vino, quasi certa che il prossimo argomento sarebbe stato la sua piatta vita sentimentale, agli antipodi di quella movimentata di Emy.
Vecchio stampo come tutte le nonne, Ann si era sposata molto giovane, adorava il marito, e non vedeva l'ora che anche Cora avesse la sua stessa vita appagante.
Secondo lei era ora che conoscesse una brava persona, si sposasse, si trasferisse in una casa con giardino e avesse dei figli.
Era la sua idea di “brava persona” a essere confusa.
Non aveva idea del perché nel cuore di Ann fosse rimasto tanto a lungo il suo primo amore adolescenziale: forse perché era diventato un attore, un divo che spesso vedeva in tv e di cui subiva il fascino, forse perché ai tempi della loro relazione, con sua nonna era sempre stato molto gentile.
Qualunque cosa fosse, aveva un debole per Jared, ed era il motivo principale per cui stava evitando di dirle che sarebbe partita a breve: non voleva rischiare che quella deliziosa e apprensiva nonnina, iniziasse a farsi film romantici.
«Tu sei diversa da lei. Nessuno riuscirebbe a metterti i piedi in testa», Ann prese il calice che era sul piano della cucina, e sorseggiò il suo vino.
«Uomini all'orizzonte?» - aggiunse dopo un attimo.
Cora scosse la testa negando, con la speranza di cavarsela così.
«Sto benissimo senza. Amo il mio lavoro, ho buoni amici e il tempo per fare ciò che mi piace. Cosa che probabilmente non mi potrei permettere se fossi sposata e avessi dei figli», le rispose portando l'insalata a tavola.
La nonna la seguì con il cestino del pane.
Ann non riusciva proprio a capire perché non si fosse ancora sistemata, e in teoria, la nipote poteva comprendere il suo punto di vista.
Anche a lei sarebbe piaciuto incontrare la persona giusta, un uomo dotato di sensibilità e che al tempo stesso riuscisse ad affascinarla, che le comprasse dei fiori senza motivi particolari, e sapesse sorprenderla...
Ma nella realtà gli uomini così non esistevano, o se esistevano, a lei non erano mai toccati.
Secoli prima c'era stata la storia con Jared... e poi?
Non molto di più, in realtà.
C’erano stati altri due uomini durati pochissimi mesi.
Negli ultimi anni gli appuntamenti erano diradati, fino a sparire del tutto, e adesso l'unico irriducibile rimaneva Victor Hopper.
Victor era un'artista e frequentava gli stessi ambienti di Cora, andavano alle stesse esposizioni, conoscevano le stesse persone ed era capitato una decina di volte fossero usciti insieme ad amici comuni.
Dopo approcci poco più che abbozzati, le aveva domandato di andare a bere qualcosa, da soli, e quando lei si era rifiutata, era diventato insopportabilmente insistente, rendendola ancora più ferma nella sua decisione.
Victor aveva avuto un debole per lei fin da l'inizio, ma Cora no, trovava patetico quel suo modo di tormentarla, e proprio non lo poteva soffrire.
In realtà, doveva ammettere che con il passare del tempo era divenuta molto esigente... troppo.
E tutto questo dove l’aveva portata?
Lì dalla nonna che la osservava con preoccupazione, mentre si preparava a fare le inevitabili domande sulla sua vita sentimentale.
«Che mi dici di lui?», domandò Ann con sguardo improvvisamente attento.
«Di chi?», rimase interdetta.
«Di Victor. Di chi credevi stessi parlando?».
Cora fece un sonoro respiro.
L'ultima volta le aveva detto che quell'uomo la infastidiva, ed evidentemente non lo aveva dimenticato.
Con il passare dell'età Ann aveva sviluppato una memoria molto selettiva, ricordava in maniera impressionante solo quello che le tornava comodo.
«Sto via per un mese. Spero che nel frattempo si rassegni», disse soprappensiero, quasi senza rendersene conto.
La nonna drizzò immediatamente le antenne.
«Parti? E dove vai?».
Per evitare l'argomento Victor era caduta in uno ben peggiore, ma ormai era certa che non l'avrebbe lasciata in pace fin quando non l'avesse messa al corrente di tutti i particolari.
«A Los Angeles» - rispose fuggendo a mescolare il sugo. Assaggiandolo nuovamente aggiunse: «Secondo me è pronto».
«Da Jared?!», cinguettò con sguardo malizioso l'altra.
Per la nonna Los Angeles era indissolubilmente collegata a Jay, e almeno in quel caso non aveva torto.
«Shan mi ha incaricato di fargli un quadro», ammise contro voglia.
«Mia cara, ma è magnifico! E quando parti?».
«Domani», disse spegnendo il fornello.
«Tuo padre lo sa?».
«Non è così fondamentale che lo sappia», rispose preparando i piatti.
«Brava. È meglio», convenne pensierosa con un cenno della testa.
Cora sbuffò.
«Non farci ricami. È solo lavoro».
«Lo so bene» - disse spalancando innocentemente gli occhi azzurri, così simili a quelli della madre di Cora - «Ma non puoi negare a una vecchia signora d'avere delle speranze e sognare il romanzo per la propria nipotina».
Cora sorrise. Alcune persone invecchiando tornavano ingenui come bambini e sua nonna era indubbiamente una di quelle.
«Non vorrei rimanessi troppo delusa».
«Più delusa di vederti avvilita e triste?».
«Non sono triste», rispose portando i piatti a tavola.
«Ah. Ah.» - disse puntando un dito in sua direzione - «Ma non hai smentito d'essere avvilita».
«Nonna se non la smetti di farmi prediche, pur di non sentirti, giuro che non vengo più a pranzo da te».
In realtà era una minaccia vuota e Ann lo sapeva.
Andare dalla nonna le dava sicurezza e le faceva tornare in mente quando, da piccola, immaginava che un giorno anche lei avrebbe avuto una casa e una vita come la sua.
Assi stagionate sul pavimento scuro; arredamento fuori moda ma accogliente, camino acceso... i pranzi della domenica con tutta la famiglia riunita, fiori profumati come centrotavola, la poltrona dove il nonno si rilassava e leggeva: tutto parlava di una vita vissuta in perfetta serenità.
Ogni volta che entrava in quella casa, veniva assalita da splendidi ricordi.
«Gli hai parlato?», domandò Ann irriducibile.
«A chi?».
«Lo sai!».
«Non ne ho idea. Per questo te l’ho chiesto», rispose mettendosi seduta.
«A me lui piace», disse Ann sedendosi a sua volta.
«Non ne hai mai fatto mistero, mi sembra».
«E dimmi, quando ti ha vista dopo tanto tempo, è rimasto abbagliato dalla tua brillante personalità?».
Cora rise: «Oh, eccome».
«Io lo trovo molto attraente».
«Essere attraenti non è tutto. Ci sono cose molto più importanti che si dovrebbero guardare in un uomo».
«Ti ho già detto che tuo nonno era terribilmente attraente da giovane? Molto virile».
«Nonna!».
«E comunque, ti era sinceramente affezionato. Ti trattava come una principessa».
Certo, come no...
La nonna era all'oscuro del vero motivo per cui Jared era sparito dalla sua vita: non aveva voluto dirle che una delle sue nipoti era puttana, lei una stupida, e Jared un porco che non aveva saputo tenerlo nei pantaloni.
In quel momento però si sentiva messa alla prova, e per il gusto di far sparire l'immagine che Ann conservava di lui, le sarebbe piaciuto poterle raccontare tutti i retroscena, invece rivolse solo un pallido sorriso in risposta alle idee sbagliate, ma rassicuranti, che l'altra aveva.
«Non potremmo cambiare argomento?» - domandò cominciando a mangiare - «Più passa il tempo e più diventi una vecchia impicciona».
«Evitare la conversazione non serve a niente».
«Che importanza può avere parlarne? Dipingerò una parete: è il motivo per cui sono stata chiamata, e unicamente quello che mi accingo a fare».
«Conoscendoti non dubito che farai solo quello. Ma che spreco», disse con tono profetico.
«Ha ben altro a cui pensare che non a me. Hai visto che donne frequenta? Non è più il Jared che conoscevamo noi. È un pallone gonfiato pieno di boria... va in giro solo con modelle e attrici».
Qualcosa fece male, ma non avrebbe saputo dire cosa. Forse la verità delle sue stesse parole.
«Non hai nulla da invidiare a quelle sciacquette», la guardò sua nonna con aria determinata.
Cora lasciò andare un respiro che non si era accorta di trattenere.
«Infatti a loro non invidio niente: neppure Jared. Se lo tengano».
«Oh... le mie donne preferite», il nonno entrò nella stanza interrompendo l'argomento.
Cora ne aveva udito i passi pesanti, sicuri, e ancora prima di sentirlo parlare, aveva captato il tenue odore dolciastro dei sigari che lui amava fumare mentre guardava le partite degli Yankees alla tv.
«Ciao nonno».
Lui si avvicinò alla tavola e le diede un bacio sulla fronte, poi salutò la moglie con l'antiquato baciamano.
Cora sorrise divertita. Quei due avevano un rapporto assolutamente invidiabile.
Il nonno era un uomo romantico di carattere e continuava a essere galante con Ann, ad aprirle le porte e a tenerla per mano quando camminavano per strada; sempre premuroso e fedele, era evidente adorasse la nonna, e ripeteva spesso quanto si sentisse fortunato ad averla incontrata.
«Cora va a casa di Jared», esordì Ann rivolta a suo marito.
Lei sospirò con delusione, aveva sperato che con l'entrata in scena di suo nonno, l'argomento si sarebbe finalmente concluso e avrebbe potuto godersi il pranzo in pace.
«E chi sarebbe?», domandò lui con sguardo interrogativo in direzione della nipote.
Lei scosse la testa: «Lasciala perdere. È una sciocchezza».
«Ma come chi è? L'attore!», rispose la nonna spazientita.
«Ah quello. Allora vai a Hollywood... tra i divi del cinema», le disse il nonno facendole l'occhiolino.
«Non vedo l'ora», ironizzò con una smorfia.
«Dovresti portare anche tua nonna con te. Si divertirebbe ad andare a caccia d'autografi», scherzò il nonno sulla passione della moglie per gli attori, e strappando così un lieve sorriso alla nipote.
«Finirei con il correrle dietro tutto il giorno».
Ann indispettita scrollò le spalle: «Prendetemi pure in giro voi due... e comunque a me farebbe piacere rivedere Jared dopo tanto tempo. Era così gentile e carino. Un perfetto gentiluomo del sud».
Cora scoppiò a ridere.
Non aveva idea di cosa sua nonna rammentasse di Jared, ma gentiluomo era l'ultimo aggettivo da associare a lui.
«Oh sì, assolutamente perfetto!», rispose cercando di riprendere il controllo dei suoi muscoli facciali.
«Non mi sembri convinta», sorrise suo nonno.
Ann attonita, la guardò con espressione leggermente tronfia e Cora pensò che non poteva lasciar esplodere la smentita che le saliva dentro, perché era evidente che la nonna aveva detto una cosa che riteneva vera.
Preferì mediare.
«Diciamo che formulare un giudizio su una persona, è qualcosa di per se, inconsistente per principio. Una somma d'impressioni, che nel corso del tempo determinano una valutazione in base unicamente a esperienze personali. Per mezzo delle sue conoscenze, la nonna vede Jared in un modo, io in base alle mie, in altro. Potremmo avere ragione entrambe, oppure nessuna delle due», disse versandole dell'acqua nel bicchiere.
Ann la guardò con noncuranza e sorseggiò dal calice che le aveva appena riempito.
«Quando parli così, sei tutta tuo padre. Così diplomatica, così abile».
Cora sorrise perché sapeva che aveva ragione.
«Ti sembra...?», esitò con furberia. Poi disinvolta aggiunse: «Adesso vogliamo mangiare per favore e smetterla con questo argomento?».
Anche se trovava bello che sua nonna si preoccupasse tanto per lei e che la tenesse d'occhio, Cora non aveva nessuna intenzione di parlare di Jared. Aveva le sue buone ragioni per non volerlo fare.
A metà pomeriggio uscì dalla casa dei nonni e trascorse il resto della giornata in uno stato di smania irragionevole.
Per evitare di pensare chattò con Joseph, stirò un paio di gonne, prese un altro trolley, tolse i pelucchi dal cappotto nero che voleva mettersi il giorno dopo, controllò per l'ennesima volta di non aver dimenticato niente, e quando finalmente arrivò l'ora di andare a dormire, invece di crollare come aveva sperato, si sdraiò in camera da letto a fissare il soffitto senza riuscire a chiudere occhio.
La notte fu corta e tumultuosa: un misto d'insonnia e sogni agitati.
Nonostante il suo corpo le avesse ordinato tutto il tempo di riposare, la sua mente aveva turbinato in pensieri che si erano accavallati gli uni sugli altri, lasciandole una strana frenesia che si era protratta fino all'alba; a quel punto era suonata la sveglia, e lei si era sentita più stanca di quando era andata a letto.
Scrutandosi nello specchio Cora fece del suo meglio per non far affiorare un'espressione desolata.
Un'impresa per nulla facile davanti all'immagine di se stessa.
Si guardò il volto pallido girandolo prima a destra, poi a sinistra: la bocca era gonfia, le occhiaie profonde e lo sguardo spento.
In genere, la mattina evitava di studiarsi troppo proprio per risparmiarsi un tale spettacolo sconfortante, ma quello era un giorno speciale, il giorno della partenza, e senza secondi fini o motivi particolari, le sarebbe piaciuto mostrarsi al meglio.
Forse era puerile, vanitosa, perché no, anche un pochino superficiale, ma quale donna non lo diveniva nella speranza di far rodere dal rimpianto un vecchio amore?
Per l'occasione aveva messo un abito bianco, che aderiva alla perfezione fino le ginocchia: raffinato e dall'ampio scollo a v, metteva in evidenza i suoi punti di forza.
Le scarpe Lanvin, pearl pumps tacco dieci, facevano il resto.
Il sottotitolo dichiarava: sono una donna di classe e inaccessibile!
Soffocando uno sbadiglio guardò Susan attraverso lo specchio.
Si era offerta d'accompagnarla all'aeroporto, e in quel momento, seduta sul bordo del letto, stava facendo un resoconto dettagliato del giorno precedente, e di come suoi piccoli alunni ricchi e viziati, le avessero fatto passare un venerdì infernale.
Da quando qualche giorno prima, era stata informata della partenza di Cora, era diventata più logorroica del solito, temendo probabilmente che per un mese non avrebbe avuto l'occasione per raccontarle qualsiasi cosa le passasse per la testa.
Quando poi, senza troppo slancio, Cora aveva aggiunto che la commissione ottenuta l'avrebbe portata a Hollywood, lei era saltata letteralmente dalla gioia, e da quel momento, non c'era più stato modo di contenere il suo entusiasmo.
Era convinta, che grazie alla pubblicità del Sun e alla visibilità data dal Gladstone, d'ora in avanti occasioni del genere sarebbero giunte in abbondanza per l'amica.
Susan aveva sempre creduto in lei, spinta ad andare avanti, a puntare alla luna, e quel successo lo sentiva un po' anche suo.
Cora l'ascoltava distrattamente mentre era intenta in uno smokey eyes che serviva a nascondere le occhiaie.
Nel frattempo, l'amica cambiò argomento passando agli ultimi drammi sentimentali accaduti al Pacha.
Cora a mala pena capì che le stava raccontando di Jimmy: il barista carino, che flirtava un po' con tutte per avere mance sostanziose, ma che in realtà preferiva gli uomini. Molte però non sapevano che fosse dell'altra sponda, e questo creava non pochi malintesi.
«Quanti ne vuoi stendere a Los Angeles?», le domandò improvvisamente Sue, interrompendosi.
Cora le lanciò uno sguardo interrogativo attraverso lo specchio.
«Non stai esagerando?», insistette la bionda squadrandola dalla testa ai piedi, con espressione strana e indefinibile.
Lei si fermò, e si studiò prima da un lato, poi dall'altro.
«Dici? Sta male?».
Con senso critico pensò che in effetti, quel trucco sarebbe stato più adatto alla sera.
Susan si avvicinò allo specchio per guardarla da vicino.
«No, sei decisamente favolosa, ma vorrei sapere che intenzioni hai...».
Cora inarcò un sopracciglio.
«Nessuna. Perché?».
«Non che io non sia d'accordo sul fatto che voglia rimetterti su piazza, anzi direi che è ora... », aggiunse, mentre Coralline le lanciava un'occhiataccia.
«Ho solo messo un po' più trucco del solito» - si affrettò a chiarire - «Devo coprire le occhiaie. Ho dormito malissimo stanotte».
«Agitata per il viaggio?».
Scosse la testa.
«Sono sei ore di aereo, niente che non posso affrontare» - disse quasi per convincere se stessa - «Ho solo sonno».
Aggiunse credibilità alla sua affermazione soffocando un altro sbadiglio.
«Non me la racconti giusta» - disse guardandola con serietà e accarezzandole un riccio - «Secondo me c'è altro che ti rende nervosa».
«Mi dispiace anche un po' che non passeremo il Natale insieme come abbiamo sempre fatto, anzi a tal proposito... ».
Sorridendo si diresse verso l'armadio da cui estrasse un pacco che le porse con soddisfazione.
«Per te! Non ho idea se tornerò in tempo e quindi preferisco che tu l'abbia in anticipo».
Sue, presa completamente alla sprovvista da quel dono inaspettato, la guardò senza saper cosa dire.
«Io non te l'ho ancora comprato... », riuscì a farfugliare alla fine, mortificata.
«Ho aspettato l'ultimo momento per questo. Sapevo che saresti andata subito ad acquistarmi qualcosa se te ne avessi lasciato il tempo» - le diede un bacio - «Goditelo e stai zitta».
L'amica la guardò con aria colpevole.
«Avrei potuto arrivarci anche da sola. Dovevo immaginare che avresti fatto qualcosa del genere».
«Smettila di fare la lagna, altrimenti lo riprendo», disse tirando a sé la scatola.
Susan scosse la testa, e lo trattenne con forza.
«Non provarci. Ormai me lo hai dato ed è mio!...», rispose guardandola in cagnesco mentre tornava a sedersi sul letto con il regalo sulle ginocchia.
«Grazie».
Rimirò la scatola e poi la scosse accanto all'orecchio con delicatezza.
«Posso aprirlo o preferisci che aspetti il giorno di Natale?», domandò senza saper bene cosa fare.
«È tuo. Aprilo quando vuoi», rispose Cora chiudendo le valige e guardando l'orologio.
Una volta tanto sembrava che fosse riuscita a rispettare la tabella di marcia che si era imposta.
Come Cora si era immaginata, Susan si avventò sull'enorme coccarda e bastò un attimo perché estraesse il cappotto acquistato da Macy's.
Le vide comparire sul volto stupore e soddisfazione nello stesso istante.
Dopo averlo rimirato e lisciato come un cucciolo, si alzò e le diede un sonoro bacio.
«È bellissimo. Giuro che quando torni ti faccio trovare un regalo degno di questo nome», disse stringendola con forza.
«Oh dai, non è niente. Era anche in offerta» - rispose sorridendo mentre cercava di liberarsi dalla stretta - «Mi spettini così».
«Mi prendi per scema Cora Cromwell? Non ci sono offerte da Macy's in questi periodi!», allentò la presa leggermente.
Lei si limitò a fare spallucce: «Non ti avevo detto di godertelo e stare zitta?».
Prese il manico della valigia: «Piuttosto aiutami a portare i bagagli».
Sue guardò in tralice il pavimento dove si trovavano le borse da viaggio.
«Indubbiamente la sintesi non è una tua qualità», disse con le mani sui fianchi.
«Lo so, lo so. Ho esagerato come sempre, ma una donna ha bisogno delle sue cose ovunque vada».
«Vai a Los Angeles, non nel deserto. Immagino ci siano negozi anche lì», disse riponendo con cura il cappotto nella scatola.
Cora scosse la testa: «Sicuramente mi sarò dimenticata qualcosa».
Sue afferrò due valige.
«Tanto valeva impacchettassi casa e spedivi direttamente quella».
«È così evidente che non sono abituata a stare lontana da New York per lunghi periodi, eh?».
«Come tutti i newyorkesi», ridacchiò Susan seguendola verso l'ingresso.
«Hai chiuso il rubinetto centrale dell'acqua? Staccato il telefono? La corrente?», la interrogò mentre Cora assicurava la porta con tre giri di chiave.
La serratura fece l'ultimo scatto.
«Sue sembri mia madre».
«L'hai avvertita?», domandò l'amica con sguardo incupito intanto che si avvicinavano all'ascensore.
Cora premette il tasto di chiamata, poi sospirò e iniziò a parlare con tono formale, come stesse dando una lezione a scopi didattici.
«Naturalmente. Le ho anche lasciato il doppione delle chiavi dell'appartamento da usare in caso d'emergenza. Soddisfatta?».
«Era per chiedere» - si strinse nelle spalle - «Hai sempre la testa fra le nuvole».
Fortunatamente l'ascensore arrivò vuoto, e vi infilarono i bagagli dentro.
«Posso chiederti una cosa?», disse Sue mentre premeva il tasto per il pian terreno.
«Ti ascolto».
«Non sembri molto felice di questa commissione».
«È solo che non ero preparata. Ho pochissimo tempo... ».
Sue a quella spiegazione non credette neppure un attimo.
«Sì. Questa è la scusa ufficiale. Voglio conoscere la verità ufficiosa».
Quello per Cora sarebbe stato il momento giusto d'ingoiare l'orgoglio e confessare cosa la rendeva tanto inquieta, ma ancora una volta le parole le mancarono.
Non poteva dirle che l'uomo che era stato la causa molti anni prima di tante sue lacrime, era lo stesso che avrebbe beneficiato della commissione che si apprestava a fare, Sue sarebbe stata in pensiero inutilmente dove non c'era niente di cui preoccuparsi.
Aveva tutto perfettamente sotto controllo... a parte quel minimo e normalissimo nervosismo fisiologico.
«Non amo le sorprese nel mio lavoro», rispose.
Di fronte all'assenza della risposta sperata, l'amica perseverò precisando: «Bisogna che ti abitui a questi ritmi d'ora innanzi se desideri ottenere commissioni importanti».
«Ok» - rispose freddamente e felice che l'arrivo al pian terreno avesse messo termine alla conversazione.
Intanto che il portiere aiutò a infilare le borse da viaggio nel vano bagagliaio dell'auto, l'argomento venne accantonato, e come Cora aveva sperato, non fu ripreso neppure una volta partite e imbottigliate nel traffico del fine settimana.
«Potevo chiamare un taxi. Ti risparmiavi questo ingorgo».
«Neppure per sogno! Altrimenti a che servono le amiche?».
Susan ostile suonò il clacson contro le auto ferme davanti a lei.
«Ti invidio sai...» - aggiunse dopo un attimo - «Per il tuo lavoro. Non per altro».
Cora rise: «Grazie per la precisazione».
Sue non pensava di avere un talento vero, di possedere quello sprizzo di genialità che invece vedeva in Cora e aveva preferito un lavoro sicuro, darsi all'insegnamento, piuttosto che a una vera e propria carriera artistica.
«Beh, ammetterai che “maestra” non è un lavoro che fa sognare».
«Potresti sempre ricominciare a dipingere, nessuno te lo vieta».
«Certo come no. Avanti! Non ho mai brillato in bravura, chi vogliamo prendere in giro?».
«A me piacciono i tuoi quadri», borbottò Cora.
«Tu sei di parte. Non conti» - altro suono di clacson - «... e dimmi, lo conosco il tipo per il quale vai a dipingere?».
«Non credo... è un regista di videoclip e documentari», rispose a disagio.
Anche se necessario, non le piaceva raccontare a Susan una parziale verità.
Un vero sollievo arrivò solo quando la forma del JFK e le sue rampe che portavano al parcheggio sopraelevato si disegnarono all'orizzonte.
Si diresse immediatamente al check in, e tornata da Susan cercarono un posto tranquillo dove bere un caffè e scambiarsi un ultimo saluto.
Sgomitando nella calca che affollava l'aeroporto riuscirono a farsi largo fino a trovare due posti a sedere.
Cora lasciandosi andare contro la poltroncina, si rilassò.
Accavallò le gambe e appoggiò i gomiti con nonchalance sui braccioli, trattenendo l'ennesimo sbadiglio.
«Vado a prenderti il caffè» - disse Susan - «Speriamo riesca a svegliarti un po'».
Ne dubitava, ma tentar non poteva certo nuocere.
«Grazie», le sorrise e la osservò allontanarsi con camminata svelta e decisa.
Tornò dopo qualche minuto tendendole il bicchiere.
«Grazie» - l'afferrò e ne bevve un sorso - «Ne avevo proprio bisogno».
Sentì solo un liquido caldo, senza sapore, che gli scorreva in gola.
«Appena sei sull'aereo approfittane per dormire».
«Sicuro» - confermò scolando quello che restava della pessima bevanda.
Guardò l'orologio e aggiunse: «Devo andare».
Si alzò e gettò il bicchiere nel cestino.
«Cerca di non cacciarti nei guai come fai sempre», le disse Susan baciandola sulla fronte e stringendole forte il viso fra le mani.
Sue però non sapeva che i guai e Cora viaggiavano assieme, che ne era portatrice sana a caccia di scintille.
«Ti chiamo appena arrivo», le mormorò all'orecchio e immediatamente si allontanò.
Superato lo scanner dei controlli si avviò verso il gate e prese posto in una delle tante sedute disposte a forma geometrica.
Attese pazientemente, provando una sorta di sollievo per le procedure sbrigate e, al tempo stesso, una nuova, consapevole tensione al pensiero che di lì a poco si sarebbe imbarcata.
L'imminente partenza le diede modo di riflettere su ciò che l'aspettava.
Quali emozioni l'avevano davvero spinta a intraprendere quel viaggio? Dove era realmente diretta quando aveva accettato quella proposta di lavoro?
Delle volte il nemico attendeva nascosto, non fuori, ma piuttosto dentro di noi.
Era fastidioso, invadente, e si chiamava “Ego”. Esaltava, rendeva orgogliosi, poneva mete sempre nuove, e spesso faceva cacciare nei guai.
Sopraffatta dalla solitudine, nel candore asettico dell'anonimo gate, cercò di resistere al sonno in cui si sentiva precipitare.
Si allungò, sbadigliò, chiuse gli occhi sperando di liberarsi dalla stanchezza e alla fine si assopì.
Era passata una manciata di secondi, forse qualche minuto, quando il suono del cellulare la svegliò.
Afferrò il telefono e rispose in un attimo, prima che partisse la segreteria telefonica.
«Cora, sei già in volo?», le domandò Shannon.
«Non ancora. Sono in attesa al gate», rispose cercando di sembrare più lucida di quanto non fosse in realtà.
«Tutto bene?».
«Tranquillo. Tutto come da programma».
«Shayla, l'assistente di Jared viene a prenderti all'aeroporto, ti mando la foto in modo che tu possa riconoscerla. Ci vediamo tra qualche ora. Fa buon viaggio».
Diede un'occhiata veloce alla ragazza alquanto ordinaria che le apparve sullo schermo e ripose il cellulare.
Dopo l'imbarco l'hostess la guidò al suo posto e non dovette aspettare molto perché l'aeroplano, iniziasse a muoversi lungo le corsie dell'aeroporto che portavano alle piste di decollo.
Ci fu un progressivo aumento del suono dei motori a reazione e si staccò da terra.
Era decollato.
Non sarebbe tornata a New York prima di un mese.
Ora l'aspettava questa nuova città, Los Angeles... insieme alla vicinanza di Jared, e la tensione quasi irresistibile che questa le provocava, in un territorio non suo, dove era ospite, e che l'avrebbe costretta ad adattarsi a convivere con lui.
Decise che era opportuno impostare fin da subito le basi per una pacifica coabitazione; solo se questa fosse stata la priorità per entrambi avrebbero potuto tentare d'instaurare un qualche tipo di rapporto.
Non avrebbe potuto ignorarlo come aveva sempre fatto, o andarsene alla prima frase sbagliata.
Questo le apriva nuove possibilità.
Il modo in cui lui aveva reagito alla sua presenza, il modo in cui l’aria intorno le aveva pizzicato la pelle mentre si era avvicinata a lui, diceva chiaramente che avevano ancora parecchia strada da fare prima di raggiungere un certo controllo, prima di riuscire a stare vicini senza scatenare una guerra.
Troppo dolore e troppe parole non dette erano passate in uno scambio di sguardi.
Però la speranza c’era.
Aveva fatto una promessa a Shan, e a qualsiasi costo, non avrebbe infranto l'impegno preso.
   
 
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