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Autore: Monijoy1990    12/03/2015    1 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 19
BISCOTTI AMARI, AMARI RICORDI

 
Tokyo
 
I sei tirocinanti avevano appena concluso le lezioni del mattino, essendo sabato avevano la mezza giornata libera, purtroppo a differenza degli altri che potevano godersi quella pausa meritata, a Roberto e Kei toccava proseguire con il lavoro in studio di registrazione. Il tempo a loro disposizione si era nettamente ridotto ed erano solo a due terzi del lavoro. Per un motivo ignoto a Kei, Roberto era stato convocato da Rio nel suo studio subito dopo la fine della lezione di Daisuke. Così il più scorbutico degli Hope era rimasto chiuso nello studio di registrazione in paziente attesa del suo ritorno. Per rendere meno noiosa l’attesa aveva preso a perlustrare le supertecnologiche attrezzature con la stessa timorosa precauzione di un bambino che ha paura di far danno, ma che non riesce a trattenersi dal guardare senza toccare.
Proprio mentre era chino sui mixer avvertì uno spostamento d’aria solleticargli la nuca e il cigolio della porta che si apriva, qualcuno era appena entrato nella stanza. Nami era sulla soglia ferma, con una busta trasparente tra le mani, all’interno una decina di biscotti. Kei la squadrò perplesso per un paio di minuti. Poi i suoi occhi indugiarono sul sacchetto tra le sue mani e si indurirono.
Nami non sembrava preparata a incontrarlo in quel posto e proprio in quel momento. Il suo sorriso pieno di entusiasmo si ritirò immediatamente. 
«Scusa, non volevo disturbarti, sono venuta solo a lasciare questi biscotti…» improvvisò a disagio. Dopo quella sera le cose tra loro si erano nettamente raffreddate. Nami si sentiva ancora in colpa per non essere riuscita a ricambiare quel bacio che mesi prima le avrebbe fatto sobbalzare il cuore ma che invece quella sera le riportò alla mente le labbra di un altro. Per quanto avesse voluto, non era riuscita a ricambiarlo a causa dei sentimenti che adesso provava per Roberto. Da quel giorno si era sentita colpevole come non mai nei confronti di Kei che quella sera aveva ricambiato i suoi sentimenti per la prima volta da quando si erano conosciuti.
Kei sorrise maligno incrociando le braccia al petto poggiandosi alla console.
 “Se pensa di recuperare punti solo grazie a una busta di biscotti si sbaglia di grosso!”
«Sai benissimo che i tuoi biscotti mi hanno sempre fatto schifo! Puoi anche riportarteli indietro!» la smorzò prima di tornare a trafugare con l’attrezzatura.
Nami strinse la busta tra le sue mani con rabbia.
«Lo so fin troppo bene quello che hai sempre pensato dei miei biscotti… ma questi non sono per te…» gli rivelò furibonda.
Kei si immobilizzò all’istante spalancando gli occhi. Contenendo la rabbia che dentro infuriava come una tempesta si voltò verso Nami per la seconda volta. Gli occhi della ragazza erano freddi e irremovibili mentre lo guardavano.
“Se quei biscotti non sono per me allora vuol dire che sono per….”
Perdendo ogni controllo sul suo corpo Kei si mosse verso Nami bloccandole entrambi i polsi con le sue mani forti. La busta con i biscotti cadde sul pavimento. Nami rimase ferma persa in quegli occhi neri e profondi. 
«Sei proprio una stupida! Speri di riuscire a conquistare davvero l’amore di qualcuno in questo modo? Sei proprio un'illusa! Non ci sei riuscita con me e non ci riuscirai neanche con Roberto! Sai benissimo che ha già una ragazza, perché continui a umiliarti in questo modo? Non hai nemmeno un po’ di dignità?»
Nami trattenne le lacrime audacemente, non gli avrebbe concesso il lusso di vederla soffrire per le sue parole fredde ancora una volta. Quel tocco le riportò alla mente la sera in cui si erano baciati e le sue mani che la sfioravano con delicatezza e preoccupazione. Ora che faceva mente locale aveva appena detto di non provare nulla per lei. Se quello che aveva appena detto era la verità, allora quella sera era stato tutto  un gioco per lui?
“Che stupida e io che mi preoccupavo di aver ferito i suoi sentimenti… ma di quali sentimenti sto parlando? Lui non ha mai provato niente per me. Alla fine si è comportato proprio come un bambino capriccioso a cui è stato portato via il giocattolo preferito sotto il naso… Ecco cosa sono stata per lui: solo un misero giocattolo senza valore con cui pensa di divertirsi quando ne ha voglia e buttare via quando non gli serve più! E io che pensavo mi avesse baciato perché provava qualcosa per me, che illusa! È solo uno sporco egoista! Lo odio… odio davvero tutto di lui… e questa non posso perdonargliela ”.
Con un movimento brusco si liberò da quella presa nervosa sui suoi polsi.
«Il giorno in cui riuscirai ad amare davvero qualcuno allora prenderò in considerazione i tuoi consigli, ma per il momento faresti meglio a startene zitto, non dovresti parlare di cose che non conosci.  Che ne sai tu di cosa significa amare qualcuno!?» lo rimproverò lei con gli occhi rossi e lucidi. Kei rimase impietrito. Da che ricordasse non aveva mai litigato così spesso con Nami fino a quel momento, di solito la trattava con indifferenza e ogni volta che lui l’allontanava lei tornava con la coda tra le gambe come un cagnolino, ma ultimamente non era più così, per questo non facevano altro che litigare. Era già la quarta volta che si trovava a fare i conti con quel suo carattere ribelle.  La prima volta alla riunione del gruppo nel piccolo box di Take, quando aveva preso le difese di Roberto, la seconda volta al Blue Night, la terza volta nel corridoio del dormitorio e adesso era già la quarta volta che discutevano animatamente. La cosa iniziava a farlo sentire una pezza. 
Nami in silenzio attendeva una risposta in ansia. Nel profondo sapeva di aver lanciato quella provocazione con la speranza nascosta, che Kei  smentisse le sue parole rivelandole che almeno quella sera aveva provato qualcosa per lei, che non si era sentita in colpa inutilmente per tutto quel tempo e che non era stata raggirata per l’ennesima volta da lui, ma Kei rimase in silenzio. Un silenzio che peggio di un coltello le squarciò il cuore.
“Di qualcosa per l’amor di Dio, dimmi che almeno per il tempo di quel bacio mi hai amata… non farmi sentire così ancora una volta!”
Nami non poteva sapere quali fossero i veri sentimenti di Keii, per lei in quel momento Kei la stava solo trattando con indifferenza per l’ennesima volta.  Ma la verità era ben diversa dall’evidenza dei fatti: nonostante l’amasse Kei non si sentiva all’altezza del suo amore.
“Oh Nami, so fin troppo bene cosa vuol dire amare… e proprio perché non posso amarti come vorrei che adesso non negherò quanto hai detto…”
Kei sostenendo lo sguardo disperato della ragazza che amava inghiottì quelle parole non dette nel profondo del suo cuore.
Reclinando il viso e stringendo i pugni Nami proseguì «allora è proprio vero, quella sera non ha contato nulla per te…» gli domandò con un filo di voce.
Kei non si smosse e con uno sguardo freddo e indifferente sogghignò. «Ovvio, che ti aspettavi!»
Proprio in quel momento qualcuno entrò.
«Ehi! Cosa succede qui?» esordì Roberto notando Nami con la testa reclinata verso il basso. Non fece in tempo a raccogliere il sacchetto con i biscotti vicino alla ragazza che la stessa se la dette a gambe levate. Nami con rapidità si voltò e uscì passandogli accanto. Stava piangendo. Roberto senza mollarla con lo sguardo ne seguì la sagoma con i lunghi capelli che svolazzavano ribelli nell’aria, una volta andata via, senza esitare oltre si avvicinò a Kei.
«Cosa le hai detto?» gli domandò in tono accusatorio.
«Nulla! Le ho semplicemente detto che i suoi biscotti mi fanno schifo…» gli rivelò con superficialità Kei tornando a trafugare con i fogli e il mixer, evitando il suo sguardo. Kei non poteva davvero sperare di fargliela bere in quel modo, per Roberto era fin troppo chiaro che lo stesse evitando proprio perché si sentiva in colpa.
«Dovresti andare da lei…» tenrò in tono più indulgente.
«e perché dovrei? » lo rimbeccò con la sua solita arroganza lui, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.
Roberto indurì il suo sguardo.
«Kei adesso finiscila! So che ci tieni a Nami, per questo dovresti essere tu ad andare da lei! Ma se non ti muovi, non mi lascerai altra scelta. Sai benissimo che se non sarai tu a rincorrerla dovrò farlo io! Ti va davvero bene che lo faccia? Capisci quello che ti sto dicendo? Ti sto chiedendo di darmi un buon motivo per non farlo. Se non mi fermi adesso in futuro non potrai rimproverarmi nulla, mi hai capito? » Kei in silenzio, ancora di spalle all’amico, non poteva mostrargli quello che veramente provava, non adesso almeno.
I suoi pugni erano stretti sulla console.
«Non è colpa mia se non sa accettare le critiche…» improvvisò incerto.
«È questa la tua risposta?» gli chiese irremovibile Roberto ancora una volta. Kei tacque.
«Come vuoi! Sappi che se la perderai sarà solo colpa tua!» lo ammonì prima di uscire di corsa dalla stanza.
Kei ormai solo nello studio di registrazione, con il capo chino verso la strumentazione, teneva stretti i pugni, le nocche erano ormai bianche per quanto aveva stretto, in quel momento due lacrime si staccarono lente dal suo viso. Erano le sue prime lacrime versate dalla morte di Akiko più di quindici anni prima, ma cosa ancora più eccezionale erano le prime lacrime versate per una ragazza. Non avrebbe mai potuto dimenticarle.  
 
 
Nami era seduta con le ginocchia al petto, nella tromba delle scale di emergenza della Kings Record, di sicuro il luogo più isolato dell’intera casa discografica. Con le mani sulla sua faccia cercava di mascherare il suo dolore.
Non sapeva se si sentiva così frustrata perché per la seconda volta era stata abbindolata da Kei o perché più semplicemente il suo cuore soffriva ancora una volta per colpa sua e della sua terribile freddezza.
Una mano si posò sulla sua spalla sinistra ridestandola dai suoi pensieri solitari.
Nami sollevò lo sguardo oltre le sue spalle e a sormontare la sua figura rannicchiata sulle scale trovò Roberto con un sorriso caldo e confortante.  A differenza di Kei che era come un inferno ostile Roberto era un paradiso calmo e rassicurante. L’amico italiano dopo aver girato per una quindicina di muniti l’aveva finalmente trovata e adesso le sedeva vicino con la busta dei biscotti ormai in mille pezzi tra le mani. Senza dire una parola l’aprì e ne tirò fuori un mezzo biscotto portandoselo alla bocca… Nami però glielo sfilò via prima che raggiungesse le sue labbra carnose, agguantando al volo anche la busta stretta nell’altra mano.
«No, non mangiarli. Saranno bruttissimi e poi sono anche inguardabili adesso…» affermò in imbarazzo stringendo al petto la busta.
Roberto prese con la sua la mano di Nami che stringeva la busta.
«Mio nonno diceva di non giudicare mai le cose dall’apparenza» affermò continuando a sorridergli.
«Lì rifarò…» tentò per la seconda volta Nami disperata. Roberto però le bloccò il polso della mano con la metà del biscotto. A differenza della presa arrogante di Kei quella mano sul suo polso era più delicata e meno opprimente. Lentamente la guidò verso le sue labbra carnose. Nami rimase immobile ad osservare la sua mano muoversi verso il viso di Roberto, quando le sue dita sfiorarono le labbra di lui, il suo viso avvampò. Senza esitare Roberto tirò il morso prima che lei potesse ritrarsi da quella presa.
«Sono davvero buonissimi» affermò compiaciuto dopo aver masticato per bene, mentre Nami l’osservava in ansia.
«Davvero?» lo squadrò perplessa, non era molto sicura che le stesse dicendo la verità.
«Prova tu stessa!» la spronò ad addentare l’altra metà del biscotto rimasta nella sua mano.
Nami squadrò perplessa quel mezzo biscotto.
“Sarà come darsi un bacio indiretto…” un po’ in imbarazzo ma senza esitare lo portò alla bocca.
Roberto aveva ragione non erano niente male. Lentamente emerse un leggero sorriso.
«Te lo avevo detto di non giudicare le cose dall’apparenza no?» ricambiò quel sorriso a sua volta. 
Nami era completamente conquistata dai suoi modi gentili, dai suoi occhi scuri e dal suo sorriso luminoso. Si, da quel momento avrebbe fatto di tutto per dimenticare Kei, non gli avrebbe più permesso di farle del male.
«Grazie» affermò dopo aver finito di masticare il biscotto nella sua bocca.
«Non dire sciocchezze! A cosa servono gli amici? E poi avevamo un accordo, ti avevo detto che avrei accettato il tuo aiuto solo se mi avresti permesso di aiutarti a mia volta. Quindi non devi ringraziarmi! Capito?». Roberto dolcemente portò via le ultime lacrime dal viso di Nami con una mano mentre la fissava con sguardo dolce e amorevole, sembrava quasi che con quel gesto avesse asportato ogni dolore dal cuore di Nami. La stessa sentì il suo cuore sussultare sotto il suo tocco, senza esitare oltre affondò il suo viso su petto di Roberto avvolgendo il busto di lui con le sue braccia esili e disperate. Roberto ricambiò accarezzandole i lunghi capelli neri e lucidi. Quel profumo di vaniglia inebriò ancora una volta le sue narici. Con il mento sulla testa di lei la teneva stretta tra le sue braccia. In un certo senso in quel momento entrambi si diedero conforto reciproco. Rimasero così per qualche minuto poi Nami sollevò il suo viso. Erano vicinissimi. Colto da un imbarazzo improvviso Roberto la distanziò tossendo in imbarazzo.
«Nami, sono sicuro che Kei non volesse dirti quelle parole. Penso che si senta proprio come quei biscotti in questo momento. Non giudicarlo troppo duramente, Anche se non lo da a vedere sono sicuro che tenga molto a te…»
Nami si sollevò dalla scale, senza dare una risposta a Roberto. Parlare di Kei era proprio l’ultima cosa che voleva fare.
Lui la seguì, adesso erano l’uno di fronte all’altro.
«Roberto, veramente credo sia arrivata la fine voglio arrendermi… »
Lui le cinse le spalle con le sue mani.
«Non smettere di crederci. Sono sicuro che presto le cose miglioreranno. Non smettere di lottare» Nami l’osservava disorientata, non sapeva se stesse dicendo quelle cose per incoraggiare lei o se stesso, ma la verità era che ci credeva fermamente. Anche lui non avrebbe smesso di lottare per Marika glielo si poteva leggere in faccia.
Vigliaccamente Nami, forse per non deluderlo o per non arrenderci all’evidenza dei fatti, acconsentì.
Rassicurato Roberto la salutò prima di uscire e raggiungere Kei.
Nami sapeva che quello non era il momento giusto per confessare a Roberto che era lui il ragazzo che amava. Se lo avesse fatto avrebbe corso il rischio di allontanarlo.
 
 
Londra
 
Erano passati due mesi, Marika si era ormai abituata al suo nuovo lavoro e i suoi compagni nel magazzino si erano rivelate dele persone davvero molto vivaci e allegre, compreso Carl che non si risparmiava qualche battutina a fine giornata. Grazie al cielo Marika ebbe raramente modo di scontrarsi con la figura arrogante e presuntuosa di Thomas. Il giovane direttore della sede londinese si vedeva sporadicamente nel magazzino. Le era capitato di incontrarlo una decine di volte mentre usciva per andare al lavoro. Avevano anche preso l’ascensore insieme,ma stranamente non le aveva mai rivolto nemmeno una parola. Sembrava impensierito da qualcosa. Come se i suoi pensieri fossero interessati da problemi così urgenti da impedirgli di salutare una dipendente in ascensore. Per uno strano motivo il modo ostinato con cui aveva preso a ignorarla la turbava non poco. Quel giorno avevano finito prima e così Carl aveva dato loro il permesso di tornare prima alle loro abitazioni. La cosa andava bene per Marika, quel pomeriggio aveva una visita medica. Doveva controllare lo stato del suo bambino o bambina questo ancora non le era lecito saperlo.
Era con Ambrogio che per quell’occasione si era messo a sua disposizione. Ovviamente gli aveva mentito dicendo che avrebbe dovuto fare una visita medica per altri motivi e impensierito si era proposto di accompagnarla.
Era nella sala d’attesa quando finalmente una bella infermiera bruna con degli occhi azzurri la invitò a entrare. Dopo i consueti esami di routine il ginecologo si risedette dietro la sua scrivania.
«Signorina Mastro, posso chiederle che lavoro fa?» Marika esitò per un attimo, spaventata che qualcosa non andasse al bambino.
«Lavoro in un magazzino, sposto scatoloni di stoffe e cose simili. Perché?» affermò in imbarazzo.
«Capisco, mi stupisco che non sia successo ancora niente alla bambina…»
«Bambina?» affermò sorpresa Marika. “Allora carotina è davvero una femminuccia?”
«Si signorina, ma non è questo il punto. Non deve fare più sforzi o farà un danno alla piccola. Mi ha capito? Adesso le sottoscrivo un certificato di gravidanza a rischio. Deve prendersi più cura della creatura che porta in grembo» lo ammonì guardandola oltre le sue lenti rettangolari. Marika acconsentì mentre affogava nella vergogna più totale.
L’uomo le porse il foglio.
Marika lo prese.
«Mi auguro che la prossima volta si presenterà anche il suo ragazzo…» affermò in una nota di rimprovero.
«io veramente…» improvvisò, ma l’infermiera venne a interromperli entrando con prepotenza nella stanza.
«Dottore abbiamo una paziente di là, è urgente, sembra sia in travaglio» affermò agitata.
Il medico senza esitazione saltò su dalla sedia e corse fuori. Marika sospirò e uscì.
Era nella limousine di Ambrogio che rifletteva. Tra le mani il certificato e l’ecografia della sua carotina. Cosa doveva fare? Non poteva di certo chiedere a Thomas di mentire a sua madre, anche perché era sicura non lo avrebbe mai fatto. Non poteva fare altro che continuare a lavorare. Non c’erano altre soluzione. Almeno per un altro mese, poi avrebbe trovato una soluzione. Anche perché la pancia iniziava a vedersi. Per quanto avrebbe potuto andare avanti nascondendolo? Le maglie larghe per quanto l’avrebbero ancora protetta?
«Signorina tutto bene?» le domandò Ambrogio osservandola dallo specchietto retrovisore della lunga auto elegante.
«Si, va tutto bene…» lo rassicurò con un sorriso tirato.
L’uomo storse il muso non proprio convinto della sua risposta.
«Signorina le dispiace se passiamo a prendere il signorino Thomas? Oggi mi ero proprio dimenticato che aveva una riunione di lavoro all’Hilton Hotel»
“Perfetto ci voleva solo questa! Vabbè non posso di certo fare la difficile dopotutto Ambrogio è stato così disponibile nell’accompagnarmi fin lì”.
«Non ci sono problemi» affermò sorridendogli.
«Perfetto allora faccio una piccola deviazione. Sa non me la sentivo di far aspettare il signorino oggi. È stato un mese molto duro per lui.»
“Si certo come no… al confronto la mia vita è una barzelletta… ma per favore…”
«Se non concluderà questo contratto, l’azienda perderà una buona visibilità anche nei paesi asiatici speriamo sia andata bene…». Dopo aver girato per una quindicina di minuti la macchina aveva appena fermato la sua corsa dinanzi il palazzo dell’Hilton Hotel.
Dopo qualche minuto qualcuno aprì lo sportello ed entrò in macchina sciogliendosi distrutto il nodo della cravatta. Era Thomas. Non si era reso conto di Marika dall’altro lato del sedile posteriore. Dalla sua faccia sembrava davvero distrutto.
Proprio mentre stava per riporre le carte nella sua ventiquattrore si accorse di lei.
«E tu cosa ci fa qui?» domandò sorpreso e impreparato. Fu Ambrogio a spiegare la situazione.
«Capisco» concluse laconico Thomas, tornado a riposizionare le carte nella sua borsa da lavoro, in quel frangete Marika intravide un nome che catturò subito la sua attenzione.
«Ehi, ma quello non è il nome di una nota casa discografica Giapponese?» gli domandò con interesse.
Il ragazzo sogghignò con orgoglio malcelato.
«Si è la Kings Record…»
«Giusto signorino, quasi dimenticavo, come è andata? È riuscito a conquistarsi questa commessa?»
«Non è stato facile ma ci sono riuscito!»
«Di che commessa si tratta?» domandò interessata Marika dando voce ai suoi pensieri.
«Nulla che possa riguardare voi del magazzino». Marika si trattenne ancora una volta dallo sputargli in uno degli occhi. Aveva capito che con le buone maniere si otteneva tutto quindi si trattenne per l’ennesima volta.
«A proposito di questo, non ti sembra di essere stato un po’ troppo ingiusto con i ragazzi del magazzino? Avevi promesso loro che gli avresti concesso una possibilità per dimostrati il loro valore e invece fino ad ora non lo hai ancora fatto. Immaginavo fossi un uomo corretto e di parola a cui non piace essere preso in giro o illudere gli altri, ma a quanto pare mi sbagliavo».
«Non sono pronti ecco tutto…» affermò colpito da quelle parole. Lui era tutto ma non un uomo che non mantenevala parola data. Era diverso da suo padre che non era riuscito a mantenere neanche una promessa fatta a suo figlio in lacrime.
«Perché non li metti alla prova?» provò ad insistere Marika.
Thomas rimase in silenzio soppesando quella possibilità. Dopotutto erano passati due anni e gli avevano già largamente dimostrato di essere veramente intenzionati a lavorare in quell’azienda, perché non lasciarli provare?
«Così sia…  ma come potrei giustificare questa scelta?» si domandò tra sé
«Potresti indire un bando di concorso aperto a tutti i dipendenti. Lasciando alla committenza la possibilità di scegliere tra i modelli, in questo modo non ci saranno imbrogli di alcun tipo, la committenza avrà una più ampia scelta e tanto per non guastare la responsabilità della scelta non ricadrà su nessuno se non sui committenti. Sarai rispettato per la tua benevolenza e ti conquisterai il loro rispetto, in più darai a loro uno stimolo maggiore a credere in quello che fanno. Per quanto può sembrarti difficile crederlo non mi fido ancora della tua parola per questo non scenderò da questa macchina finché non avrai sottoscritto un accordo tra di noi dove ti impegni ad indire il concorso… cosa ne pensi ti sembra un buon compromesso?» affermò con una mano sospesa.
Il ragazzo sorrise prima di stringere la mano della ragazza, in quel momento notò le carte e le ecografie sulle sue gambe.
«Ma quelle… cosa sono?» disse indicandole. Marika le ritirò immediatamente infilandosele in borsa.
«Nulla che possa interessare a un direttore di una Casa di Moda» affermò con la sua solita sfrontatezza.
Senza sollevare ulteriori domande Thomas recuperò un foglio e stilò un breve contratto, entrambi firmarono e Ambrogio fece loro da testimone adesso non si sarebbe più potuto tirare indietro.
Adesso finalmente sia lei, che Kat, Adam, Timothy e Carl avrebbero avuto una possibilità per dimostrare il loro valore a quel presuntuoso pallone gonfiato. Era arrivata la resa dei conti.
Thomas osservava quel contratto tra le mani, era proprio curioso di scoprire cosa avrebbe fatto suo padre a quel punto. Si sarebbe tirato indietro come quella volta quando era stato nominato Direttore o avrebbe reagito. Dopotutto era sempre stato solo un codardo in fuga dalle responsabilità capace di distruggere la fiducia delle persone che lo amavano con la stessa facilità con cui si soffia su una candela accesa per spegnerla. Aveva abbandonato lui e sua madre quella volta da vero vigliacco e non glielo avrebbe mai perdonato. Mai.
   
 
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