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Autore: _Trilly_    12/03/2015    8 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Cami, ti posso chiedere una cosa? Però non arrabbiarti come tuo solito e permettimi di spiegare.” La Torres, che fino a quel momento stava parlando fitto con Francesca al cellulare, rimase sorpresa di fronte alle parole di un agitato Seba. In effetti erano giorni che lo vedeva strano, distratto quasi, ma pensava fosse per stress dato che non facevano altro che provare con quella dittatrice di Jackie. Con l'assenza di Pablo e Angie, la Saenz aveva trasformato lo Studio in una sorta di caserma militare e li lasciava in pace solo a pomeriggio inoltrato, quando erano ormai privi persino del respiro. “Seba, che succede?” Chiese la rossa, sedendosi sui gradini ai piedi del palco nella sala teatro e lui prontamente l'affiancò, guardandosi nervosamente intorno. A parte loro c'erano anche Ludmilla e Federico che parlavano di astronomia facendosi gli occhi dolci, Maxi che tentava di fare colpo su Nata, Andres e Libi che non facevano altro che guardarsi e arrossire e poi incredibilmente Thomas in compagnia di Emma. Heredia non avrebbe potuto essere più imbarazzato, mentre le raccontava qualche aneddoto sullo Studio.
“Si tratta di Luca,” buttò lì Seba, rassicurato dal fatto che fossero tutti troppo impegnati per prestar loro attenzione. “Luca?” Ripetè lei, sicura di aver capito male. L'altro annuì. “Da quando lui e la sorella di Leon hanno iniziato ad uscire insieme, tu sei strana e...insomma, sembra che la cosa ti infastidisca. Non aggredirmi per favore,” si affrettò ad aggiungere, prima che lei potesse ribattere. “è una sensazione che ho, tutto qui.”
Camilla lo fissò per alcuni istanti, poi non potè fare altro che sospirare. Normalmente si sarebbe arrabbiata per una simile insinuazione, ma in fondo sapeva che Seba non avesse torto. L'idea che Luca avesse smesso di amarla l'aveva spiazzata, non perché fosse così egocentrica da credere che lui l'avrebbe pensata per sempre, piuttosto perché iniziava a rendersi conto di quanto Cauviglia dovesse aver sofferto per colpa sua. Quanto era stata egoista nel mostrarsi insieme a Seba in passato, sapendo che lui non l'avesse ancora dimenticata? Non lo aveva rispettato, se ne era fregata dei suoi sentimenti e solo ora lo capiva. Voleva ancora tanto bene a Luca, era stato il suo primo amore e per un certo periodo aveva addirittura pensato di amarlo ancora, tanto da allontanarsi da Seba e fargli quindi venire quei dubbi, ma ora era tutto passato. Passando del tempo da sola e parlandone con Francesca, aveva avuto modo di fare chiarezza e capire a chi appartenesse il suo cuore. Sicura di ciò, sollevò il capo e sorrise, poggiando una mano sulla sua. Seba si irrigidì, ma non si sottrasse. “Hai ragione,” iniziò lei, torturandosi nervosamente una ciocca di capelli con la mano libera. “Ho avuto dei dubbi, non lo nego.” Il ragazzo annuì, facendosi improvvisamente serio. “Lo avevo capito, in fondo il primo amore non si scorda mai,” commentò amareggiato. “Francesca e Violetta ne sono il chiaro esempio.” Diego e Leon non erano forse i ragazzi per cui il cuore delle due batteva da sempre? Nel caso di Camilla si trattava invece di Luca, e Seba iniziava seriamente a pensare che forse le cose non fossero cambiate. Magari lui era stato solo una sbandata, una passione del momento e ora che Cauviglia aveva trovato un'altra, lei lo aveva capito, altrimenti come spiegare l'improvviso allontanamento della rossa? Si alzò in piedi, considerando quella conversazione chiusa. Aveva bisogno di tempo per riflettere e in un certo senso accettare di non aver mai posseduto il cuore della ragazza che amava. Triste, umiliato, devastato, ecco come si sentiva.
“Seba, aspetta.” Camilla lo seguì fuori dalla sala e poi accanto a una delle grandi finestre che affacciava sul cortile dello Studio. Per fortuna i corridoi erano deserti, così nessuno li avrebbe disturbati o avrebbe origliato. “Non è come pensi.” Lui ruotò gli occhi, poggiando i palmi delle mani sul marmo gelido del davanzale e sollevando poi il capo al cielo. Tutti sapevano che quelle quattro parole di norma non portavano a nulla di buono e non ci teneva proprio a provarlo sulla sua pelle. Non aveva mai amato una ragazza come amava Camilla, lei era il suo raggio di sole, la sua pazza squilibrata, la sua complice e tante altre cose e la sola idea di sentirle dire che amasse un altro, lo faceva impazzire. Odiava i giri di parole, che lei lo lasciasse in pace e basta, non c'era bisogno di rigirare il coltello nella piaga.
“Ho amato Luca e non lo nego,” riprese lei, poggiandogli una mano sul braccio. “Ma ora è finita. Quello che c'è stato tra noi fa parte del passato, devi credermi.” Finalmente il ragazzo si voltò a guardarla, dubbioso. Più di tutto voleva crederle, ma aveva paura. E se volesse continuare a stare con lui perché non poteva avere più Luca? Quasi gli avesse letto nel pensiero, Camilla sorrise sfiorandogli una guancia con una leggera carezza. “Sei tu l'unico che voglio, tu e nessun altro.” Accostò la fronte alla sua, continuando a sorridergli. “Guardami negli occhi, loro non possono mentire.” E Seba lo fece, si specchiò nei suoi occhi nocciola e quello che vide lo destabilizzò. C'era amore, un amore potente, devastante ed era tutto per lui. “Ti amo, Seba.” Un grande sorriso si distese sul volto del ragazzo, che a quel punto vedeva tutti i suoi dubbi dissolti. Senza esitare ulteriormente, la strinse forte a se facendole poggiare il capo contro il suo petto. “Ti amo anch'io, Cami.” Le prese poi il volto tra le mani, baciandola dolcemente. “Sono stato un idiota a dubitare di te.” Lei scosse la testa. “Io con il mio comportamento non ti ho di certo aiutato, ma la cosa importante adesso è che è tutto chiarito.”
“Assolutamente si,” concordò Seba, prendendole una mano e lasciandole un bacio sul dorso, facendola arrossire. “La sola idea di poterti perdere mi avrebbe fatto impazzire.”
“Oh Seba!” Camilla gli saltò letteralmente addosso, stritolandolo in un forte abbraccio. “Ti amo così tanto!” Si baciarono ancora e ancora, promettendosi che quel pomeriggio sarebbe stato solo loro, dopotutto avevano tanto tempo da recuperare. Ogni dubbio era stato finalmente spazzato via, lasciando solo il grande e profondo amore che li legava.



“Ho prenotato i biglietti, partiremo subito dopo pranzo.” Un nervoso Pablo entrò nella camera d'albergo sua e di Angie, annunciandole prontamente ciò che aveva appena fatto. Lei annuì, mentre gettava oggetti alla rinfusa nelle due grandi valigie disposte sopra il letto. Dopo le sconvolgenti rivelazioni su Emilio Marotti, i coniugi Galindo avevano preso una decisione molto importante. Non potevano restare lì e permettere che Violetta potesse scoprire la verità e per quello dovevano tornare a Buenos Aires il prima possibile. “Cosa diremo ai ragazzi?” Chiese la bionda, mettendo in valigia ciò che restava del suo guardaroba e sedendosi sopra per poterla chiudere. Pablo sospirò, avvicinandosi al balcone e guardando distrattamente oltre di esso. “Gli diremo che allo Studio hanno bisogno di noi e che per questo dobbiamo partire subito.” Angie annuì, scendendo dalla valigia a raggiungendolo. “E se Violetta non volesse partire? Non ho avuto il coraggio di chiederle cosa lui le avesse detto.”
“Tranquilla,” la rassicurò l'uomo, stringendola dolcemente a se e accarezzandole la schiena. “Sono sicuro che non le ha detto niente, altrimenti lo avremmo capito.”
Lei deglutì, facendo fatica a trattenere un singhiozzo. “Odio questa maledetta città, la odio.”
“Tra poche ore saremo in aereo e tutto questo sarà solo un brutto ricordo,” le promise, prendendole il volto tra le mani, così da portarla ad incrociare il suo sguardo. “Fidati di me.” Angie abbozzò un mezzo sorriso, seppellendo poi il volto contro il suo petto. “Non so cosa farei senza di te.”
Si stavano ancora abbracciando, quando la porta si aprì di scatto e Diego e Marco fecero il loro ingresso. “Cosa dovevate dirci?” Chiese il maggiore, notando poi le valigie sul letto. “E quelle?”
“Ho appena ricevuto una chiamata di Antonio,” spiegò Pablo, facendo un passo verso i figli. “C'è stata un'emergenza e dobbiamo tornare subito a casa.”
“Che strano,” commentò Marco, confuso. “Ho parlato sia con Thomas che con Ana, ma non mi hanno detto nulla.” Angie sbiancò paurosamente, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa che avrebbe potuto far capire la verità ai ragazzi, Pablo l'anticipò. “Antonio ha pensato di non dire nulla ai ragazzi per non farli preoccupare e ora su, andate ad avvisare gli altri e fate le valigie.” Nè Marco e né Diego però fecero un solo passo. Lo strano nervosismo della Saramego, il fatto che Galindo senior volesse quasi cacciarli dalla camera e poi quella partenza improvvisa. Ai loro occhi tutto faceva presagire una fuga. “Che sta succedendo?” Chiese perciò Diego, incrociando le braccia al petto e guardando attentamente i genitori. “Perchè siete tanto nervosi?”
“Andate a fare le valigie, ora!” Sbottò Pablo, spingendo i figli verso la porta ed ignorando quelle parole. Loro opposero ancora una volta resistenza e Marco chiuse accuratamente la porta, come a voler far capire che non se ne sarebbero andati finché non avessero avuto delle risposte e probabilmente era proprio così. “Peccato che dobbiamo andarcene proprio ora,” commentò il minore, tra se e se. “Violetta aveva appena conosciuto suo zio.” Quelle parole dette furbescamente dal ragazzo, furono un'autentica doccia fredda per Pablo e Angie. I loro figli sapevano allora. Se il primo riuscì a mantenere il sangue freddo e a non lasciar trapelare alcuna emozione, la bionda assunse la tonalità di un cadavere e si portò la mano al petto. “Maledetto,” singhiozzò, sbigottendo tutti i presenti. “Lurido.”
“Angie.” Pablo le si avvicinò, prendendola per le spalle. “Tranquilla, va tutto bene.” Lei però scosse la testa, imperterrita. “Si sta insinuando nelle nostre vite, ti rendi conto? I miei ragazzi,” aggiunse, guardando i figli con le lacrime agli occhi. “Violetta. Pablo, dobbiamo proteggerli da lui.” Galindo annuì, stringendola a se. “E lo faremo, Angie, te lo prometto.”
I due ragazzi restarono a fissarli in silenzio, poi Diego avanzò di un passo, confuso. “Chi è quell'uomo? Violetta ci ha raccontato delle cose, ma anche lei ha dei dubbi e...”
“è un mostro, ecco cos'è!” Sbottò la bionda, liberandosi dalla stretta del marito e agitando le braccia. “Dovete stare a chilometri da lui, chiaro?”
“Ma ha detto di essere il fratello dello zio German,” provò a dire Marco, ma Angie lo interruppe scuotendo il capo, incredula. “Fratellastro, casomai. Hanno lo stesso padre.”
“Cos'ha fatto a zia Maria? Perché era tanto terrorizzata da lui?” Pablo e Angie si voltarono di scatto verso Diego, che aveva posto all'improvviso quella domanda con un filo di voce. “Leon ci ha detto che quell'uomo ha collaborato con suo padre e poi la pagina di diario della zia, che Violetta ha trovato e...” S'interruppe, poiché il padre si era irrigidito di colpo e aveva invitato con un gesto della mano tutti a sedersi sul letto. “Che cosa sapete di Marotti?” Chiese poi, stringendo la mano di una sempre più nervosa Angie. Marco e Diego si scambiarono un'occhiata, decidendo di raccontare ai genitori ciò che avevano scoperto e relativi dubbi. Paura e sconcerto attraversarono lo sguardo dei due adulti, che a quel punto non poterono fare altro che mettere a conoscenza i ragazzi della verità.
“Ora capite perché vogliamo andare via con tanta insistenza?” Chiese Pablo, spostando alternativamente lo sguardo dall'uno all'altro. Marco, che non avrebbe potuto essere più pallido e sconvolto, si limitò ad annuire, scattando poi in piedi e avvicinandosi alla porta. “Vado a fare le valigie.” Quando il ragazzo fu sparito, l'attenzione si spostò su Diego, che ancora non aveva avuto una vera e propria reazione. Ora gli era tutto chiaro. Ecco spiegato il terrore di Maria, Angelica, dei suoi stessi genitori e forse addirittura la reazione accesa di Leon. Che Vargas fosse a conoscenza di quei particolari? In ogni caso, a tutti i costi Violetta non doveva più avere a che fare con quell'individuo e l'unico modo era andare via. Convinto di ciò, annuì e si alzò a sua volta. “Violetta non deve saperlo, non potrebbe sopportarlo.” Mai avrebbe pensato che la verità potesse essere così brutale, sua cugina doveva essere protetta, aveva già sofferto abbastanza e una simile rivelazione avrebbe potuto distruggerla. Pablo e Angie tirarono un sospiro di sollievo. Sapevano che i ragazzi avrebbero capito, in fondo erano sempre stati molto intelligenti e ora che finalmente si stavano sforzando di costruire un rapporto, lo erano ancora di più. Dopo aver lanciato loro un'ultima occhiata, anche Diego lasciò la camera con un solo pensiero in testa, andare al più presto via da quella maledetta città.
Quello che né lui e né i Galindo potevano immaginare, era che Violetta, giunta da pochi minuti oltre la porta, avesse sentito chiaramente l'ultima frase del cugino.

Violetta non deve saperlo, non potrebbe sopportarlo.

Turbata, la ragazza scappò nei lunghi corridoi, facendo fatica a contenere le lacrime. Possibile che tutti sapessero la verità tranne lei? Perché le mentivano e la tenevano all'oscuro? Credeva che almeno Diego e Marco l'appoggiassero e invece anche loro avevano finito per ingannarla. Quella verità riguardava la sua famiglia, lei meritava di saperlo. Non era più una ragazzina che doveva essere protetta, ora era cresciuta e dopo tutte le sofferenze che aveva dovuto patire, era sicura di poter sopportare qualsiasi cosa, ancora di più se riguardava i suoi genitori. Ne aveva abbastanza di persone che volessero decidere per lei e che la soffocassero con le loro paure, aveva il diritto di prendere in mano la sua vita e poter finalmente scegliere. Quasi senza rendersene conto, iniziò a correre sempre più velocemente e la vista annebbiata dalle lacrime, le impediva di mettere a fuoco dove stesse andando. Probabilmente fu per quello che non vide una figura venire dal senso opposto e quasi la travolse. Due braccia la bloccarono di slancio, impedendole una brutta caduta. “Violetta, tutto bene?” La ragazza sussultò, al suono di quella voce. Subito si asciugò gli occhi e mise a fuoco il volto preoccupato di Emilio Marotti. “Ma tu stai piangendo,” constatò l'uomo, scrutandola attentamente. “Chi ti ha ferita?” Sembrava davvero interessato al suo stato d'animo, non c'era traccia in lui del mostro decritto nella pagina di diario di Maria, ma allora qual era la verità? “Tu non dovresti mai piangere,” continuò lui, asciugandole le lacrime con i pollici. “Tua madre vorrebbe che tu fossi felice.” Era così premuroso, le sorrideva, le parlava di sua madre. Qualcosa si sciolse nel cuore di Violetta, che come quella volta accanto al pianoforte si gettò tra le sue braccia. Le lacrime scorrevano a fiumi sul suo volto, il corpo era scosso dai singhiozzi. Emilio la strinse forte a se, accarezzandole il capo. “Va tutto bene, ci sono io con te.” E lei gli credette. Forse stava sbagliando, forse lui stava approfittando della sua vulnerabilità, forse se ne sarebbe poi pentita, in ogni caso accettò di seguirlo nella sua camera. Davanti ai suoi occhi si materializzò una vera e propria suite. Dovunque guardava c'erano mobili in legno laccato dall'aria costosa, quadri di artisti importanti, divani in pelle, un maxi schermo e comodità di ogni tipo. “Ti porto un bicchiere d'acqua,” le disse, facendola accomodare su uno dei grandi divani in pelle nera. Era davvero morbido e per alcuni istanti si concesse di chiudere gli occhi, per poi riaprirli quando Emilio le si sedette accanto, porgendole un bicchiere d'acqua ghiacciata che lei scolò a piccoli sorsi. “Grazie,” sussurrò alla fine, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. Lui annuì, sfiorandole una mano con una leggera carezza. “Va meglio? Vuoi un altro bicchiere?”
“No, grazie. Va bene così,” sorrise debolmente lei, riponendo il bicchiere ormai vuoto sul tavolino ai loro piedi. “Sei il fratello di mio padre, eppure parli sempre di mia madre. La conoscevi bene?” Si azzardò a chiedergli, non rendendosi conto che per la mia volta gli stesse dando del tu. Lui in ogni caso dovette accorgersene e per quello sorrise, per poi annuire. “Ero molto legato ad entrambi, anche se avendo madri diverse io e tuo padre non abbiamo potuto crescere insieme. German era un grande uomo, sempre disposto ad aiutare il prossimo e per questo amato da tutti. Tua madre invece aveva uno dei sorrisi più belli e contagiosi che abbia mai visto in vita mia, impossibile non restare abbagliati da lei.” Una strana luce gli attraversava lo sguardo mentre diceva quelle parole, una luce che a Violetta era molto familiare. L'aveva vista negli occhi di suo padre, in quelli di Leon, di Pablo e ultimamente anche in quelli di Diego. Possibile che...?
“Eri innamorato di lei? Di mia madre, intendo.”
Marotti si irrigidì paurosamente, facendosi di colpo serio. “Violetta,” provò, ma lei scosse il capo, sorridendogli rassicurante. “Tranquillo, non te ne faccio una colpa. Mia madre era una persona meravigliosa, impossibile non innamorarsi di lei.” Lui scrollò le spalle, a disagio. “Non è una cosa bella, stava con mio fratello e...io amavo entrambi.” Parlava con un filo di voce ed evitava il suo sguardo, di colpo tutta la sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento sembrava essersi dissolta. A Violetta ricordò tanto Diego, anche lui si era innamorato della ragazza di suo fratello. Improvvisamente le tornò però anche in mente la famosa pagina di diario di Maria. “Mia madre lo sapeva?” Emilio la fissò per alcuni istanti, colto in contropiede, poi annuì. “Ho finito per confessarglielo da ubriaco. Era la festa di fidanzamento dei tuoi ed io ero disperato. La stavo perdendo e...volevo bene a German e sapevo che lui la meritasse, ma faceva tanto male,” confessò, lo sguardo perso nel vuoto. “E poi? Lei che ha detto?” Gli chiese la giovane, poggiandogli una mano sul braccio come per confortarlo. Lui rise amaramente. “Ovviamente mi ha rifiutato. Mi ha detto che le dispiaceva, ma amava German e che dovevo dimenticarla. Inutile dire che non ci sono riuscito.” Si alzò in piedi, raggiungendo la grande vetrata, da cui si poteva scorgere una veduta meravigliosa, in contrasto con la profonda malinconia che gli attraversava lo sguardo. Restò lì immobile senza dire una parola per diversi minuti e Violetta rispettò il suo silenzio, convinta che meritasse di prendersi del tempo per se, poi lo raggiunse, torturandosi nervosamente una ciocca di capelli. Cosa poteva mai dirgli? Inizialmente voleva delle risposte da lui, ma vedendolo in quello stato non sapeva se fosse giusto costringerlo a riaprire vecchie ferite. Quasi l'avesse letta nel pensiero, lui riprese a parlare. “Abbiamo provato ad essere amici, lei mi ha presentato qualche sua amica e...Violetta, io mi sento così in colpa, ma è anche il periodo in cui sono stato più felice.” Si voltò completamente verso di lei, facendo fatica a sostenere il suo sguardo. “è accaduto solo una volta ed è stato meraviglioso, ma Maria si è subito pentita e mi ha ordinato di starle lontano. Mi evitava, ignorava le mie chiamate, fingeva che non esistessi e...” si interruppe, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. “Non avrei dovuto...sono stato un pessimo fratello, ma l'amavo.” Violetta sgranò gli occhi, mentre la sua mente assimilava quelle parole. Quindi sua madre non aveva paura che lui potesse farle del male, ma che potesse tentare un nuovo approccio. Tra loro due c'era stato qualcosa. Le sembrava tutto così assurdo, non credeva che Maria potesse tradire German, pensava che il loro amore fosse solido ed indistruttibile e invece... “C'è una cosa che devi sapere, Violetta.” La disperazione aveva lasciato posto a un'espressione che non avrebbe potuto essere più seria e allo stesso tempo nervosa, cosa che la preoccupò a dir poco. Aveva la sensazione che qualsiasi cosa fosse, non le sarebbe piaciuta per niente. “Sediamoci.” Ecco, ora voleva anche che si sedessero. Violetta non aveva alcun dubbio, stava per ricevere una pessima notizia. In ogni caso lo seguì sul divano, mentre il battito del suo cuore accelerava paurosamente. “Non te lo direi se non ne fossi assolutamente sicuro,” iniziò lui, a disagio. “Avrei preferito tacere e custodire questo segreto, ma se il destino ci ha fatti incontrare, deve pur significare qualcosa,” si interruppe di colpo, mentre la ragazza lo fissava, decisamente confusa. Cosa stava cercando di dirle? “Violetta.” Le prese una mano, stringendola con la sua. “Sono sicuro che tua nonna si è presa cura di te, ma è giusto che tu sappia la verità così da poter scegliere.” Attese che lei annuisse, poi proseguì. “Sono la persona più sbagliata del mondo, ho commesso tanti errori e non dovrei pretendere niente, però...però è giusto che tu sappia. Violetta, io sono tuo padre.”
Nella stanza calò un silenzio di tomba. Emilio fissava la ragazza, in attesa di una reazione che tardava ad arrivare. Violetta infatti era sotto shock. Quell'ultima frase si ripeteva più volte nella sua mente, ma lei non riusciva a darvi un senso. Era tutto così assurdo, non poteva essere vero, non poteva. Era German suo padre. “Violetta.” La voce di Marotti la richiamò, ma lei non rispose. In realtà non riusciva a fare nulla, era troppo sconvolta, troppo... Era quella la verità che la sua famiglia non voleva che sapesse? Era da essa che volevano proteggerla? “Violetta, ti prego, ascoltami.” Incrociò lo sguardo agitato dell'uomo, che le aveva ora poggiato le mani sulle spalle. “L'ho scoperto poche settimane dopo la tua nascita. I conti tornavano e poi... e poi il fatto che tua madre mi impedisse di vederti o di prenderti in braccio...evitava le mie chiamate e...i miei erano solo dubbi, ne ho avuto la certezza quando avevi sei anni. Eri caduta dalla bici e ti eri rotta un braccio. Tramite delle conoscenze, sono riuscito ad ottenere un tuo prelievo di sangue e così ho potuto fare il test del DNA. Se non mi credi, qui ho le prove,” aggiunse, raggiungendo una cassettiera posta in un angolo della grande camera e recuperando un foglio da una cartellina. Quando glielo porse, la ragazza si rese conto che avesse l'aria ufficiale. C'era la firma del medico e anche un timbro. Deglutì, tornando a guardare Emilio. Lui era suo padre, il suo vero padre. Ora capiva il terrore di Angelica, di Angie e prima ancora quello della pagina di diario della madre. Emilio Marotti era un delinquente, peggio del padre di Leon e forse per quello la sua famiglia non voleva Vargas al suo fianco, temevano che si rivelasse uguale ad Emilio. Maria aveva tradito German. Lei era frutto di quel tradimento. Ecco perché nessuno glielo voleva dire, volevano evitarle tutto quello. Quasi senza rendersene conto iniziò a piangere. Le lacrime le bagnavano le guance e lei se ne stava immobile, incapace di fare altro. Pensava di poter sopportare qualsiasi cosa e invece...invece non avrebbe potuto sentirsi più devastata. Tutte le certezze che aveva, erano state spazzate via come un castello di carte. Si era ripromessa che lei avrebbe avuto un amore puro e profondo come quello dei suoi genitori e ora scopriva che era tutta una menzogna. Sua madre aveva rovinato tutto, cedendo alle lusinghe del cognato. Lei, il suo modello, non era altro che una bugiarda adultera. German era stato tradito e ingannato e lei era il risultato di quello schifo. Mai si era sentita più persa, vuota. Chi era davvero Violetta? Pensava di saperlo, ma ora nulla aveva più senso. Tutta la sua vita era stata fondata su una bugia, su un'illusione. Violetta non esisteva davvero, era solo un'identità che le era stata attribuita per non farle scoprire la verità. Ora però quella maschera era caduta e non restava altro che un involucro vuoto...lei era quell'involucro vuoto. “Violetta, dì qualsiasi cosa, ti prego.” Ancora una volta però non disse nulla...non c'era nulla da dire. Lei non era Violetta, quella ragazza non esisteva. Lei era solo la dimostrazione materiale che quell'intenso amore che pensava esistesse tra i suoi genitori non era altro che una bugia, un'orribile e squallida bugia. “Violetta.” Emilio la chiamò nuovamente e stavolta lo guardò, ma era uno sguardo assente, vuoto e lui se ne accorse subito, difatti si preoccupò ancora di più. “Non pensare male di me e di tua madre, noi...”
“Non voglio sapere nient'altro,” lo interruppe con voce fredda, quasi metallica. Nemmeno un'emozione vi trapelava. Prima che potesse fermarla scappò via, via da quella verità che le aveva appena provocato la peggiore ferita della sua vita, sconvolgendola nel corpo e nell'anima. Decisamente la ragazza che stava fuggendo da quella camera, travolta dalle lacrime e dai singhiozzi, non era la stessa che vi era entrata, ma solo il suo pallido spettro. Violetta Castillo si era frantumata in tanti piccoli pezzi.



“Lei non c'è, non c'è!” Francesca spalancò la porta della camera dei ragazzi, il volto grondante di lacrime e il corpo scosso dai singhiozzi. Leon, Diego e Marco smisero di colpo di riempire le valigie e si fiondarono verso di lei, spaventati. “Che succede?” Chiese Vargas, pallido come un morto. La ragazza non rispose, gettandosi prontamente tra le braccia di Diego, il volto sepolto contro il suo petto. Lui la strinse a se, accarezzandole il capo. “Ehi, tranquilla,” tentò di rassicurarla, ma lei non smetteva di singhiozzare. “Violetta, lei...lei non è in camera...non è da nessuna parte.” I tre ragazzi si scambiarono un'occhiata, sconvolti. Dov'era finita Violetta? Possibile che...?
“Io lo ammazzo!” Sbottò Leon fuori di se, digrignando i denti. Aveva promesso a suo padre di non commettere sciocchezze, ma se quell'uomo aveva anche solo sfiorato Violetta, lo avrebbe ucciso. Velocemente raggiunse la sua valigia e iniziò a rovistarci, finché non trovò ciò che cercava. “Ma che..?” Marco, Diego e Francesca lo fissavano a bocca aperta, mai avrebbero immaginato una cosa simile. “Che vuoi fare con quella?” Chiese il maggiore dei Galindo, lo sguardo fisso sulla pistola che l'amico impugnava. Aveva già visto in passato quella pistola, ma non credeva che Leon se la portasse dietro o che potesse anche solo pensare di usarla. L'altro scrollò le spalle, considerando quella domanda alquanto ridicola, non era forse evidente? “Vado ad estirpare il problema alla radice. Nessuno fa soffrire la mia Violetta e la passa liscia.” Fece per avviarsi verso la porta, ma i tre gli bloccarono la strada. “Non dire idiozie, posa quella pistola,” lo ammonì Diego, mentre Francesca se ne stava rannicchiata dietro di lui, terrorizzata alla sola vista dell'arma. “Ascoltalo, maledizione,” intervenne Marco, pallido come un lenzuolo. “Violetta sarà uscita a fare una passeggiata, non è detto c'entri lui. Magari ci stiamo preoccupando per nulla.” Diego annuì. “Andiamo a cercarla, poi decidiamo il da farsi. Manteniamo la calma.” Leon rise incredulo. “La fai facile tu. È la mia ragazza ad essere sparita, la tua è qui al sicuro,” accennò a Francesca, che a poco a poco si stava tranquillizzando. “E questo che c'entra?” Sbottò Marco, prima che il fratello potesse ribattere. “Violetta è nostra cugina, ci importa eccome di lei! Non sei l'unico ad averla a cuore!” Mai prima di quel momento si era rivolto con quel tono a qualcuno, men che meno a Leon Vargas, che sempre aveva temuto, eppure gli era venuto così spontaneo. Gli altri tre lo fissarono stupefatti, poi Vargas contrasse la mascella, infastidito. “Nessuno mi parla così.” Fece un passo verso di lui, ma Diego si mise in mezzo spintonandolo lontano. “Tu mio fratello non lo tocchi, chiaro?”
Leon sgranò gli occhi, rendendosi conto che l'amico facesse sul serio, stava davvero spalleggiando quello sfacciato di Marco. “Sembri un pazzo, datti una calmata,” continuò Galindo, esasperato. “Posa quella cavolo di pistola e andiamo a cercare Violetta, muoviti.” Quelle parole sembrarono scuoterlo, difatti ripose la pistola dove l'aveva trovata e seguì gli altri verso la porta. “Qualcuno deve avvisare Pablo e Angie,” sussurrò Francesca all'improvviso, quando erano già a metà corridoio. “Potrebbero preoccuparsi se non ci trovano.”
Prima che potessero dire qualsiasi cosa, sopraggiunsero proprio i coniugi Galindo. “Cosa fate tutti in corridoio?” Chiese Pablo, contando mentalmente i ragazzi. Sapeva che Lena fosse in camera, l'aveva vista prima, ma mancava comunque qualcuno. “Dov'è Violetta?” La Saramego li spinse tutti di lato, aspettandosi quasi di vedere spuntare la ragazza, ma non trovandola si allarmò decisamente. “Dov'è Violetta?” Ripetè, alzando il tono di voce. “è sparita,” spiegò Marco, notando che nessuno si decidesse a rispondere. “Stiamo andando a cercarla.” A quelle parole, Angie si portò una mano al cuore e se non svenne fu perché Pablo prontamente la sostenne. “Siete sicuri di non sapere dove sia? Avete provato a chiamarla?” Francesca annuì. “Ha il cellulare staccato e...” si interruppe di colpo. Stava per nominare Marotti e la possibilità che fosse con lui, ma si era poi ricordata di non averne mai parlato con loro, senza contare che dopo quello che era accaduto con Marco e Diego, non avevano più tutta quella confidenza. “Dobbiamo trovarla e subito,” intervenne Leon, nervoso e agitato come mai in vita sua. Pablo concordò, reggendo ancora una Angie sotto shock. “Dividiamoci e il primo che la trova avverte gli altri, ok?” Tutti annuirono, pronti a prendere direzioni differenti, ma la voce dell'uomo li bloccò. “Mi raccomando, non commettete sciocchezze e se la trovate con lui...” Non ci fu bisogno di aggiungere altro, avevano capito perfettamente. Nel caso ci fosse stato Marotti con lei, dovevano avvisare lui e Angie immediatamente e lasciare risolvere a loro la situazione.
Leon decise di cercare Violetta all'esterno dell'albergo. Non sapeva dire perché, ma il suo sesto senso gli diceva che se lei era sparita, era perché aveva ottenuto le risposte che voleva e che perciò si era rifugiata da qualche parte a piangere. Anche senza conoscere la verità, si era fatto delle idee su quale potesse essere e nessuna era confortante. Ricordava ancora la conversazione con Angelica nel giardino di casa e poi quelle con suo padre e con Marotti, ed era sicuro che in qualche modo potessero essere legate e portare a una sola terribile verità. Con tutto se stesso aveva sperato di sbagliarsi, che i suoi fossero solo dubbi senza fondamento, ma ora si rendeva conto che ancora una volta il suo intuito avesse fatto centro. Tutto combaciava, l'iperprotettività di Angelica e dei Galindo, l'ostilità verso di lui e verso la città italiana, Marotti che li pedinava e ancora, la pagina di diario di Maria. Come aveva fatto a non capirlo prima? Come avevano fatto i familiari di Violetta a portarsi dentro un segreto così grande? E Violetta, lei ci sarebbe riuscita a sopportarlo? Leon non sapeva che fare, che pensare. Anche lui aveva un padre non proprio esemplare, ma Fernando non era nemmeno lontanamente paragonabile a Marotti. Diego gli aveva raccontato ciò che aveva fatto a Maria, una cosa così orribile che gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Le donne non si toccavano, suo padre glielo ripeteva da tutta la vita, tanto che era divenuta una legge ormai e lui l'aveva sempre seguita a dovere. Marotti invece non aveva limiti, era una bestia senza un briciolo di umanità. Dopo aver distrutto Maria e un inconsapevole German, con quella confessione aveva attentato anche l'anima innocente della sua Violetta e quello non poteva sopportarlo. Doveva trovarla e subito. L'istinto gli diceva che la ragazza si fosse diretta al Gran Teatro La Fenice, quel luogo che era stato tanto importante per German e Maria e che probabilmente era l'unica certezza che le restava. Nonostante il cuore in gola e il fiato corto, fece tutta la strada di corsa non fermandosi nemmeno un attimo. La gente lo fissava, chi con confusione, chi con curiosità, qualche clacson gli rimbombò nelle orecchie, ma ignorò tutti. Il suo unico pensiero era Violetta. Finalmente, dopo un tempo che gli parve infinito, giunse nei pressi del teatro. Guardandosi intorno, individuò una piccola figura rannicchiata sui gradini di marmo davanti all'ingresso. Era lei. Con le ultime energie rimaste, la raggiunse. “Violetta.” Nemmeno il tempo di poterla guardare in volto per capire come stesse, che lei si gettò tra le sue braccia. Il suo piccolo corpo tremava ed era scosso dai singhiozzi. La strinse forte, come a volerla proteggere e rassicurare e in fondo era davvero così. Doveva proteggerla...salvarla da se stessa.



Eccoci qui! Ammetto che se lo scorso capitolo per me è stato difficile, questo lo è stato ancora di più, ha subito un numero di modifiche incredibile e spero davvero sia tutto comprensibile. Abbiamo prima una parte più soft che riguarda il chiarimento di Seba e Cami e poi ansia e rivelazioni a Venezia 0.0 la famiglia Galindo ha deciso di andare via prima che Vilu possa sapere la verità, peccato che lei sente tutto e scappa via, confusa, ma anche delusa e ferita. Marotti approfitta della sua vulnerabilità per condurla nella sua camera e raccontarle la sua versione dei fatti circa German e Maria. E qui apprendiamo ciò che molti avevano già ipotizzato e cioè che Vilu è figlia di Marotti 0.0 sconvolta dalle rivelazioni, la ragazza scappa via, preoccupando non poco la sua famiglia. Per fortuna però, Leon la trova fuori il teatro, ma le sue condizioni sono preoccupanti :(
Vi ringrazio per il vostro sostegno e affetto e spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3
a presto! :P
  
  
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