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Autore: Lachiaretta    12/03/2015    22 recensioni
Amelia River, dopo quattro lunghi anni torna a New York per frequentare la Columbia University. Era scappata da un passato che non riusciva ad affrontare, ma soprattutto dimenticare. Nonostante tutti i suoi sforzi però questo passato tornerà a bussare alla sua porta, inghiottendola completamente.
Cattivi ragazzi, corse illegali, auto illegali, scommesse, sesso, droga e alcol.. ma soprattutto lui, Jake Haiden.
QUESTA STORIA PRENDE SPUNTO DALLA TRAMA DI GOSSIP GIRL, IN PARTICOLARE I PRIMI EPISODI, E DA FAST AND FURIOS. LEGGETE L'AVVISO IN APPENDICE AL PRIMO CAPITOLO PER TUTTE LE INFORMAZIONI AL RIGUARDO.
PRIMI CAPITOLI IN REVISIONE.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO 28
 
 
 
 
DUE ANNI DOPO

 
 
 
 
 
Avanzo lentamente, un piede nudo davanti all’altro, cercando di non superare il ritmo scandito dalla marcia che leggiadra accompagna la mia passeggiata. Il leggero abito bianco senza spalline ondeggia travolto dalla leggera brezza primaverile mentre il cielo si colora delle più belle sfumature di rosso e arancione che io abbia mia visto e il sole si lascia inghiottire dalla distesa di acqua di fronte a noi.
Incrocio gli occhi velati di lacrime di Megan e Spencer che, splendide nei loro vestiti color pesca, mi attendono insieme ai loro fidanzati ai due lati dell’archetto di fiori di arancio, sotto il quale intravedo il mio promesso sposo meraviglioso nel suo completo di lino bianco.
Mi dà ancora le spalle ma posso percepire chiaramente il suo nervosismo dal modo in cui passa la mano tra i capelli biondi schiariti dal sole e spettinati dal vento. Vorrei gridare il suo nome, invitarlo a girarsi verso di me e guardarmi, e lui sembra leggermi nel pensiero e con una lentezza esasperante si volta verso di me mostrandosi in tutta la sua bellezza.
Mi blocco sui miei passi stringendo tra le mani il mio bouquet di rose bianche desiderosa di vedere il viso il mio futuro marito illuminato dalla calda luce del tramonto che lui ama tanto, quasi quanto me.
I nostri occhi si incontrano, azzurro e marrone, cielo e terra, e finalmente abbiamo raggiunto il nostro orizzonte, il giorno del nostro matrimonio.
L’ho amato fin dalla prima volta che l’ho visto, quando ero ancora solo una ragazzina intenta a giocare con le automobiline e a sporcarmi di fango, anche se a lui piacevano le bambine con le bambole. Ci ha messo più tempo del voluto e dello sperato ad accorgersi di me ma dopo non mi ha lasciato tregua, doveva essere per sempre e da adesso lo sarà. Sto realizzando tutti i miei sogni.
 
Siamo riusciti a raggiungere quel preciso punto dell’orizzonte in cui cielo e terra si incontrano.
 
Il mio promesso sposo mi sorride e come sempre rimango ammaliata dalla sua bellezza, affretto il passo per azzerare le nostre distanza e lo raggiungo sotto l’archetto di fiori di arancio creato appositamente per noi dove mi aspetta anche Daniel Crab, elegantemente vestito per celebrare le nostre nozze.
 
 
Io Amelia River, prendo te Jake Haiden, come mio legittimo sposo…
 
 
 
 
 
Vengo svegliata dal fastidioso brusio del cellulare che vibra rumorosamente sul piano del mio comodino, sono madida di sudore e ho il respiro accelerato. Ancora una volta questo dannato sogno, o forse sarebbe meglio chiamarlo incubo. La smetterà mai di tormentarmi?
Sono ormai quasi due anni che si ripete, dal giorno in cui ho deciso di chiudere la mia relazione con Jake, quasi ogni notte disturba il mio sonno svegliandomi di soprassalto e obbligandomi ad usare fin troppo correttore la mattina seguente per coprire le pesanti occhiaie.
Apro controvoglia gli occhi e controllo l’ora sulla radiosveglia, sono da poco passate le quattro del mattino, chi diavolo può chiamarmi a quest’ora?
Guardo il display del telefono e rimango a bocca aperta riconoscendo immediatamente quel particolare numero, non è registrato tra i contatti ma l’ho digitato così tante volte che la mia mente non è mai riuscito a dimenticarlo, eppure ci ho provato più di una volta.
Perché mi starà chiamando dopo tutto questo tempo e cosa avrà da dirmi? Ma soprattutto da chi avrà avuto il mio numero? Non ce l’ha praticamente nessuno.
Rimango imbambolata a fissare lo schermo del mio Iphone che stringo nella mano destra ponendomi mille domande e senza trovare il coraggio di rispondere finché la telefonata viene interrotta. Non passano nemmeno pochi secondi che l’apparecchio ricomincia a vibrarmi tra le mani e lo stesso numero riappare sul display ancora illuminato.
 
Se sta insistendo per parlarmi a quest’ora di notte forse ha veramente qualcosa da dirmi, qualcosa di importante.
 
Avvicino titubante l’apparecchio mentre scorro con l’indice la banda verde per la risposta. “Pron-to?” Balbetto dopo aver inspirato profondamente socchiudendo gli occhi, perfino l’idea di sentire la sua voce mi terrorizza. Per un istante mi sembra quasi di sentirmi il suo profumo addosso.
 
“Amelia?” La sua voce giunge al mio orecchio strana oltre che tremendamente scossa. Avevo quasi dimenticato il suo suono, il modo in cui pronunciava e tuttora pronuncia il mio nome completo.
 
“Mamma, sono io.” Sono passati così tanti anni dall’ultima volta che ci ho parlato, dieci per l’esattezza, perché mi sta chiamando a quest’ora di notte? Non l’ho mai sentita così sconvolta, fatta eccezione per la notte in cui ha scoperto che mio fratello era morto in un incidente stradale. “Cosa è successo?”
 
“Tuo padre, siamo in ospedale. Lui, lui…” Balbetta tra i singhiozzi, sta sicuramente piangendo a dirotto.
Papà? Deve trattarsi di qualcosa di grave per chiamarmi. Inspiro profondamente più volte pregando silenziosamente che sia ancora vivo, di poterlo rivedere e far pace con lui. Sono passati dieci anni e nessuno di noi ha mai voluto fare un passo verso l’altro per risolvere i nostri problemi.
Dieci anni e lui potrebbe essere morto.
 
“Mamma calmati, cosa sta succedendo? Papà sta bene? In quale ospedale siete?” Le domande escono a raffica dalla mia bocca prima ancora che io sia in grado di pensarle. La mia voce trema e una lacrima inaspettata riga la mia guancia.
 
“Ha avuto un infarto Amelia, lo stanno per portare in sala operatoria. Siamo al Lenox Hill .”
 
Un’infarto! È vivo.
 
Arrivo!” Mi affretto a risponderle chiudendo la telefonata e alzandomi dal letto. Afferro un paio di jeans chiari abbandonati su una delle sedie della mia camera da letto e un maglioncino nero che dovrebbe essere stirato piuttosto che indossato ma non è questo sicuramente il momento per fare la difficile, infilo il paio di stivali al ginocchio che ieri ho lasciato fuori dalla scarpiera perché troppo stanca per metterli a posto ed esco dal mio appartamento con alla mano le chiavi della mia auto.
 
Fortunatamente vista l’ora tarda trovo le strade sgombre e il parcheggio praticamente vuoto, supero un paio di semafori rossi incurante delle telecamere che secondo i miei calcoli dovrebbero essere accese giusto questa notte e che in questo momento stanno fotografando la mia targa. Più tardi chiamerò Josh e mi farò togliere la multa, in fondo sono il vice procuratore di New York e mio padre… No! Non posso pensare a queste cose, non ora. Ora devo solo correre da lui.
 
Abbandonata l’auto imbocco l’ingresso e corro il più velocemente possibile lungo i corridoi seguendo le indicazioni per il Pronto Soccorso. Sto per rivedere i miei genitori dopo dieci anni e mio padre potrebbe morire da un momento all’altro, devo fare in fretta.
Riconosco immediatamente mia madre accoccolata su una delle poltroncine della sala d’attesa. È invecchiata, ora profonde rughe segnano il suo volto e i capelli, lasciati insolitamente sciolti, sembrano più scuri, segno che deve aver iniziato a tingerli per coprire i fastidiosi capelli bianchi. Non ricordavo di somigliarle così tanto eppure siamo due gocce d’acqua. «Mamma!» Sussurro avvicinandomi a lei titubante.
 
«Amelia? Sei tu?» Si solleva in piedi e azzera le nostre distanze stringendomi tra le sue braccia. Rispondo al suo abbraccio realizzando quanto sia diversa, era più alta o forse ero solo io ad essere più bassa. 
 
«Dov’è papà?» Mi allontano da lei desiderosa di poter rivedere mio padre finché ne ho ancora la possibilità.
 
«L’hanno portato in sala operatoria, il medico ha detto che non c’era tempo per aspettarti. Ci potrebbero volere delle ore.»
 
«Lui sa che mi hai chiamato?» Le domando titubante, chissà se l’idea è stata sua o solo di mia madre. Vuole vedermi anche lui?
 
«Certo. È stato lui a chiedermelo, voleva…» Lascia la frase in sospeso coprendosi la bocca con la mano destra per soffocare un singhiozzo improvviso. «Vuole chiederti scusa prima che sia troppo tardi.» Vuole liberarsi la coscienza? Scuoto il capo per allontanare questi brutti pensieri, come posso pensare così male di lui? Ora che potrebbe morire.
 
Le cingo le spalle spronandola a riaccomodarsi sulla sua poltroncina, prendendo posto al suo fianco e stringendole la mano. Sembra quasi ironico come nessuna delle due abbia voluto rivolgere la parola all’altra negli ultimi dieci anni, ognuna per i suoi motivi, paura o rancore, e adesso siamo sedute a stringerci la mano come se non fosse successo nulla. Come se io avessi ancora sedici anni e Scott non fosse mai morto. È questo il prezzo da pagare per riavere la mia famiglia? Un’altra tragedia?  
No, no. Mio padre non è morto, e non morirà, non stanotte. Non prima che io gli abbia parlato.
 
«Sei ancora più bella… La televisione e i giornali non ti rendono giustizia.» Le parole di mia madre mi costringono ad abbandonare i miei pensieri infelici e riportare l’attenzione su di lei.
 
«Televisione? Giornali?» Le faccio eco insicura di aver capito bene le sue parole.
 
Si allontana da me fissando i suoi occhi nocciola nei miei e annuendo timidamente. «Abbiamo sempre seguito la tua carriera. All’inizio non eravamo pronti a rivederti ma tuo nonno ci ha sempre tenuti aggiornati. Ci eravamo decisi a raggiungerti il giorno della tua laurea ma una volta arrivati alla Columbia abbiamo scoperto l’avevi inaspettatamente anticipata senza dire nulla a nessuno. Ho stentato a riconoscerti la prima volta che hanno detto il tuo nome in televisione, l’assistente del vice procuratore Amelia River, così bella e terribilmente magra. La mia bambina, sei cresciuta così tanto. Ci è mancato il coraggio di chiamarti, era passato così tanto tempo e tu ti eri fatta una tua vita.» Ascolto le sue parole incredula, ho sempre pensato che non volessero vedermi, che ancora mi odiassero per quello che era successo e loro invece avevano solo paura di bussare alla mia porta? E intanto sono passati mesi, anni. «Abbiamo raccolto tutti gli articoli che parlavano di te e registrato tutti i tg in cui sapevamo che avresti rilasciato dichiarazioni. Siamo così fieri che nonostante tutto, nonostante noi, tu sia diventata la donna che sei.» Mia madre sorride ma le sue guancie si rigano di copiose lacrime, si sta scusando per entrambi ma non tocca a lei, o almeno solo a lei. Finché mio padre sarà vivo questo discorso può attendere.
 
«Non è questo il momento mamma, tranquilla.» Le accarezzo la spalla per rassicurarla. «Prendiamo un caffè adesso, sarà una lunga notte.»
 
 
 
***
 
 
Fortunatamente Josh non è solo un abile e preparato capo procuratore.
È sempre stato dalla mia parte negli ultimi anni assecondando ogni mie richiesta e non tradendomi mai, nemmeno quella volta che il mio ex fidanzato è tornato a New York e dopo aver perlustrato invano l’intera Columbia alla mia ricerca e venuto a bussare alla porta di ogni singola persona conosciuta. Megan lo avrebbe fatto entrare e ci avrebbe costretti a litigare fino a far pace, Josh invece mi ha protetta fingendo, come da mia richiesta, di non avermi né vista né sentita.
E anche il mese successivo quando è venuto a cercarmi direttamente in Procura, sicuro di trovarmi in orario di lavoro, Josh lo ha fronteggiato ribadendo la mia decisione di chiudere con lui e guadagnandosi un pugno in pieno volto e un occhio nero. A differenza degli altri lui aveva scelto di stare dalla mia parte decretando la fine della loro storica amicizia e di conseguenza la mia con il resto del gruppo, compresa Megan che voleva trovare ad ogni costo una soluzione al nostro “problema”.
 
E adesso, anche se non ancora mattina, il suo telefono per me è sempre acceso e dopo avermi lasciata sfogare per oltre mezz’ora riesce comunque a mandarmi un messaggio di conforto.
 
Messaggio da Josh, ore 06:35. “Mia, non sai quanto mi dispiace. Fammi sapere appena ci sono novità e non preoccuparti per il lavoro, ci penso io qui.”
 
Messaggio a Josh, ore 06: 37. “Grazie Josh, mi aspettavano tra due ore per l’interrogatorio Mastreet, il fascicolo è sul tavolo del salotto a casa mia. Ho elaborato una scaletta di domande. Non saprei cosa fare senza di te.”
 
Messaggio da Josh, ore 06:41. “Lo sai che per te ci sarò sempre. Ti raggiungo in pausa pranzo, ok? Posso portarvi qualcosa?”
 
Messaggio a Josh, ore 06:44. “Magari un vestito di ricambio. E un’ultima cosa, potresti chiamare tu Ryan? È a Seattle e per lui è ancora notte fonda.”
 
Messaggio da Josh, ore 06:46. “Certo, ci penso io. A dopo piccola.”
 
Con la coda dell’occhio osservo mia madre addormentata al mio fianco, la testa abbandonata all’indietro sullo schienale della poltrona, la bocca schiusa, deve essere veramente molto stanca per lasciarsi andare così. Non ricordo di averla mai vista così vulnerabile, nemmeno quella notte quando mi mise in mano la mia sacca e mi obbligò a salire su quel treno diretta in Kentucky, sta perdendo anche il suo ultimo punto di riferimento.
Mi strofino entrambi gli occhi cercando di eliminare l’immagine di una lapide con sopra scritto il nome di mio padre, credo che sia ora di bere un altro caffè se non voglio crollare anch’io.
 
«Signorina River?» Un uomo di colore non particolarmente alto con indosso un camice blu e in testa una cuffietta bianca e rossa attira la mia attenzione.
 
«Sono io.» Gli rispondo alzandomi in piedi e sfiorando con la mano destra la spalla di mia madre per svegliarla. «Mamma.» Le sussurro amorevolmente mentre anche lei una volta aperti gli occhi e inquadrata la figura del medico al mio fianco balza in piedi lisciando i vestiti ormai stropicciati.
 
«Dottor Bauer ci sono novità?» Domanda visibilmente preoccupata.
 
Con un gesto del capo ci invita a prendere nuovamente posto nelle nostre poltrone e per un istante sento il respiro venirmi a mancare pensando inevitabilmente al peggio. «Suo marito ha avuto un infarto miocardico acuto.» Mia madre si porta entrambe le mani alla bocca soffocando un grido mentre io spalanco gli occhi per il terrore. «Non preoccupatevi è stabile, per adesso. Abbiamo riaperto il vaso inserendo ben due bypass aorto-coronarico e lo abbiamo collegato ad una macchina cuore polmone. Per il momento è completamente sedato e lo terremo sotto controllo ma appena possibile dovremo intervenire di nuovo per sostituire la valvola mitralica eccessivamente danneggiata.»
 
Fisso l’uomo davanti a me senza comprendere veramente le sue parole e insicura di parlare la sua stessa lingua. «Quindi? È un intervento difficile?»
 
Lui sposta la sua attenzione da mia madre a me annuendo lentamente. «Molto. Sarò sincero suo padre non sta affatto bene e c’è la possibilità che non sopravviva all’operazione che richiederà più interventi diversi ma faremo il possibile.»
 
Potrebbe morire.
 
«Quando inizierete questi interventi?» Continuo conficcando le unghie nei palmi fino a ferirmi per tenere i piedi per terra e non farmi prendere dal panico, come sta succedendo a mia madre che ha smesso di emettere anche un solo fiato.
 
«Presto, molto presto. Nei prossimi giorni si unirà al nostro staff un nuovo medico, uno dei migliori cardiochirurghi degli Stati Uniti, estremamente abile in questa procedura. Preferisco attenderlo e valutare il tutto con lui. State tranquille sarà in ottime mani.»
 
 
***
 
 
«Ciao piccola.» La voce di Josh mi fa sobbalzare. «Scusami, non volevo spaventarti.» Sorride depositando un dolce bacio sulla mia guancia e stringendomi in un caloroso ed interminabile abbraccio. «Cosa ci fai qui? Ti ho detto che potevi stare in ospedale.»
 
«Josh ciao!» Sussurro al suo orecchio lasciandomi crogiolare dalle sue braccia forti che mi rassicurano. «Mia madre mi ha obbligata a prendermi qualche ora ma io non me la sentivo proprio di stare a casa. E comunque avevo delle cose da sistemare.» Termino indicando i fascicoli abbandonati sulla mia bellissima scrivania di mogano scuro.
 
«E io cosa ci sto a fare qui secondo te?» Ribatte Josh incrociando le braccia al petto e sfoggiando il suo adorabile broncio.
 
«Non puoi fare tutto tu, hai anche troppo da lavorare. Mi porto un paio di fascicoli in ospedale e li guardo stanotte, tanto non sarei capace di dormire sul quelle maledette sedie.» Rispondo portandomi le mani alla schiena come una vecchia e massaggiandomi le spalle.
 
«Ma non dire cavolate, non puoi lavorare tutta la notte Mia.»
 
«E cosa dovrei fare? Mio padre è praticamente in coma con tutti i sedativi che gli danno e stanotte costringerò mia madre a tornare a casa. Un po’ di lavoro mi aiuterà a distrarmi. Ora che ne dici di offrirmi un choco-cappuccino e un muffin alla nocciola? Sono le cinque e non ho ancora fatto colazione o pranzato.» Ammicco facendolo scoppiare in una fragorosa risata.
 
«Non cambierai mai. Dovrei detrarre dal tuo stipendio e aggiungere al mio tutte le colazioni che ti offro, comunque ho proposto ad Al una convenzione, ogni dieci uno in omaggio. Sai che risparmio.» Esulta Josh facendomi l’occhiolino, quindi mi cinge le spalle con il braccio destro ed insieme ci dirigiamo verso l’uscita.
 
Ha questa capacità di sollevarmi e farmi ridere anche nei momenti peggiori.
Come all’inizio del mio tirocinio, non ero propriamente al massimo della forma e il solo pensiero di Jake e a come era finita tra noi riusciva a farmi scoppiare in lacrime di punto in bianco, lui era sempre pronto ad isolarmi dal resto dell’ufficio e consolarmi e quando vedeva che non ero in grado di lavorare mi copriva con Ryan svolgendo le mansioni di entrambi. È solo grazie a lui se mi sono rimessa in piedi così presto, e quando dopo lo Stage mi è stato proposto il ruolo di viceprocuratore di New York è stato per lui che ho accettato, per poter un giorno ricambiare il favore o solamente perché era già diventato parte di me e sentivo di non potermi più allontanare da lui.
Usciamo in strada ancora stretti uno all’altra, il semaforo è giallo e ci affrettiamo ad attraversare prima che diventi definitivamente rosso, cosa che succede giusto a metà dell’attraversamento pedonale. Con la coda dell’occhio osservo le macchine in coda che con il motore acceso attendono il liberarsi della strada per poter partire e la mia attenzione viene attirata da una meravigliosa Porsche 911 Turbo S Cabriolet nera nuova di palla ferma dietro ad un’anonima berlina Volkswagen dello stesso colore. È l’ultimo modello prodotto dalla casa e fino ad oggi ero riuscita a vederla solo sulle pagine patinate di Tutto Ruote, ma devo ammettere che dal vivo è ancora più bella che in foto. Ammaliata proseguo fino al marciapiede dove mi blocco in attesa di sentire il dolce rombo del motore in partenza e mi rendo conto che anche chi è alla guida mi sta osservando, tuttavia la luce del sole ancora alto che si riflette sui vetri non mi permette di vedere con chiarezza quel profilo che seppur familiare non riesco ad abbinare a nessun volto noto.
 
«Ti lasci ancora abbagliare delle belle auto?» La voce di Josh mi costringe a portare su di lui la mia attenzione.
 
«Già! Ma non solo. Tu sei riuscito a vedere il ragazzo alla guida?» Gli domando soprapensiero seguendo la macchia nera ormai indistinta per la velocità con cui si è allontanata da noi.
 
«No, fortunatamente per lui, altrimenti mi toccherebbe mettergli una bella multa.»
 
 
 
***
 
 
Parcheggiata l’auto mi dirigo verso l’accettazione dove trovo un piccolo gruppetto di infermiere riunito di fronte al bancone, intente a parlare fittamente. Mi avvicino a loro in tempo per cogliere qualche frammento della loro conversazione.
 
«L’avete visto il nuovo cardiochirurgo?» Domanda una piccola biondina con qualche chilo di troppo con un po’ troppa enfasi.
 
«L’ho incrociato stamattina e stentavo a credere ai miei occhi.» La risponde una giovanissima ragazza di colore con spessi occhiali bordati di tartaruga.
 
«Vi rendete conto che ha solo ventotto anni?» Continua la bionda sventolandosi la mano davanti al viso per farsi aria e coprirsi da un improvviso rossore che ha imporporato le sue guance paffute.
 
«Avete scoperto qualcosa di lui? Magari è single.» Chiede incuriosita una ragazza dai capelli rossi con le guance completamente ricoperte di lentiggini.
 
«Chissà se gli piacciono le ragazze più grandi?» Interviene una mora formosa e provocante, decisamente la più bella delle quattro. Dall’occhiata che le riservano le colleghe colgo un certo disappunto nei confronti del suo interesse.
 
«Hai dodici anni più di lui e sei anche sposata. Lascialo a noi insomma.» Le risponde malignamente la rossa sottolineando la sua età e il suo essere sentimentalmente legata ad un altro uomo, anche se il suo modo di atteggiarsi mi lascia intuire che per lei non è affatto un ostacolo.
 
Mi sfugge una risata nel sentire la loro conversazione, l’arrivo del nuovo cardiochirurgo non è passato indifferente e inconsciamente spero di incontrarlo presto curiosa di poter vedere con i miei occhi tanto splendore. Se è tanto bravo quanto bello siamo decisamente in ottime mani.
 
«Scusa il ritardo, ho trovato traffico.» Entro di corsa nella piccola stanza singola assegnata a mio padre, le braccia colme dei fascicoli che mi accompagneranno per l’intera notte.  Una decina di persone in camice bianco riempiono la stanza, deve essere già cominciato il giro dei medici.
 
«Tranquilla Amelia, vieni.» Mia madre con un gesto della mano mi invita a raggiungerla accanto al letto di mio padre che è ancora privo di sensi. «Stavano per cominciare, c’è il nuovo medico.»
 
Mi volto smagliante nella direzione indicata da mia madre, curiosa di vedere questo dio greco che con la sua bellezza sembra aver già conquistato l’intera equipe femminile del Lenox ma prima ancora che il mio cervello riesca ad immagazzinare ciò che vedono i miei occhi sento le braccia farsi improvvisamente leggere. Con un tonfo i fascicoli raggiungono il suolo aprendosi e spargendo documenti su tutto il pavimento, io però li ignoro non riuscendo a slacciare i miei occhi dai suoi e maledicendomi per non aver mai chiesto nulla sul suo conto. Un nome, mi sarebbe bastato un nome per scappare a gambe levate. O avrei potuto capirlo, ventotto anni, cardiochirurgo e bellissimo. Tutto pur di non trovarmi qui in questo momento, a bocca aperta e sotto lo sguardo incredulo di mia madre e una decina di dottori, incapaci di capire il motivo della mia reazione.
Eppure io rimango immobile, gli occhi fissi nei suoi, azzurro e marrone, cielo e terra, il mio orizzonte.
L’ho amato fin dalla prima volta che l’ho visto, quando ero ancora solo una ragazzina intenta a giocare con le automobiline e a sporcarmi di fango, anche se a lui piacevano le bambine con le bambole. Ci ha messo più tempo del voluto e dello sperato ad accorgersi di me ma dopo non mi ha lasciato tregua, fino al giorno in cui io sono scappata, due anni fa.
Credevo che non l’avrei più rivisto nella mia vita e invece eccolo di fronte a me, gli occhi sbarrati per la sorpresa e incapaci di slacciarsi dai miei.
 
«Ja-ke?» Balbetto con il fiato corto mentre il cuore mi martella nelle orecchie.
 
Jake Haiden in tutta la sua bellezza inspira profondamente un paio di volte prima di riuscire a distogliere lo sguardo e portare la sua attenzione sui cinque ragazzi al suo fianco, studenti a giudicare dalla giovane età e dal colore più chiaro del loro camice.
«Esponetemi il caso.»
 
Non un saluto, non un sorriso. Jake è qui di fronte a me e non è evidentemente felice di rivedermi.
 
 




Angolo autrice

Buonasera a tutte... 
Eccoci qui, è cominciata la seconda parte di questa mia strampalata storia.
Ammetto che questo capitolo forse non è proprio bellissimo, è un po' triste e forse un po' noioso ma necessario. Prendetelo come una sorta di prologo. 
Ad ogni modo io ci tenevo particolarmente per inserire la famiglia di Mia, è importante per me riuscire a riunirla a sua madre e suo padre prima che sia troppo tardi. E così ho trovato il modo per far ritornare Jake...

Sono passati altri due anni e i nostri protagonisti sono cresciuti:
 adesso Jake è un bravissimo, oltre che bellissimo, cardiochirurgo e Mia è diventata viceprocuratore.
Ma cos'altro sarà successo? 
Ma soprattutto cosa avrà fatto cambiare idea a Mia tanto da lasciare Jake di punto in bianco??

Ovviamente sarà un ritorno al passato, esattamente come i primi capitoli dovrete aspettare che io decida di rivelarvi tutto, ma avrò i miei tempi. Non abbiate fretta e continuate a seguirmi...

Lachiaretta

 

 
   
 
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