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Autore: _Rainy_    13/03/2015    13 recensioni
Vi è mai capitato di pensare, leggendo una storia su EFP: "Ehi, ma questa l'ho già sentita..."?
Già, perchè molte fanfiction romantiche si somigliano o contengono comunque dei cliché.
Cliché che mi sono presa la briga di analizzare qui sotto forma di una fanfiction (amo le cose complicate, si!) che spero vi possa almeno strappare un sorriso.
*DAL PRIMO CAPITOLO*
"Mi giro di scatto, trovandomelo a pochi centimetri dal viso (tipico comportamento da stupratore seriale, ma ehi: we dont’ care).
- Ehm… Si. – Rispondo, sicuramente rossa in faccia. – Tu sei Noah, giusto?
- Si, tesoro. – Dice lui, avvicinandosi ancora.
[...]
- Quindi questa è la parte della storia dove tu ti comporti da maniaco e poi io mi innamoro di te in perfetta coerenza con la Sindrome di Stoccolma?
- Direi di si. – Lui scrolla le spalle, probabilmente chiedendosi quanto sia pazza da 1 a 10."
Genere: Comico, Demenziale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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01. Dove si intuisce di cosa si parlerà

 

La sveglia suona fastidiosamente.

Si sa: queste storia cominciano sempre con una sveglia che suona, fastidiosa.

Che tipo di storia è questa, però? Una storia come tante, una storia DI tante…

Si, vabbè, lasciamo perdere le frasi sibilline da inizio capitolo che confondono solo le idee…

Cosa ci metto in questo spazio intermedio tra la riemersione dal mondo dei sogni e il recupero delle mie facoltà mentali e fisiche?

Qualche frase ad effetto, magari… “Lui è sempre nei miei pensieri, nonostante non ci sia più…” oppure “Quello che aveva fatto ancora mi doleva nel profondo”, o, molto meglio: “Ho. Bisogno. Di. Pizza.”

Forse però è presto persino per quelle (tranne che per la pizza), perché esigerebbero un flashback sul mio trascurabile passato e a nessuno importa, in fondo… Ma si! Mettiamocele!

Dolorosi ricordi del mio passato mi arrivavano con violenza e scomparivano con gli ultimi bagliori del sogno appena finito.

Ovviamente io, piccola ragazza di quartiere, narro in prima persona, al presente (esiste stile più odioso? nda) e con la ricchezza lessicale di un babbuino tale da permettere a tutti di leggere e comprendere i miei pensieri.

Non affrettiamo le cose, però.

Mi alzo pigramente dal letto e mi infilo in bagno, dove tu, lettore, sarai obbligato a leggere come io mi lavi la faccia, i denti, i capelli ecc, azioni insignificanti e descritte con perizia dalle autrici, ma diciamocela tutta: te ne importa? No. Servono solo ad occupare spazio e ritardare il momento X (Cos’è, chiedi? Lo scoprirai presto).

Esco finalmente dal bagno e se non ti sei già rotto le scatole avrai l’onore di assistere a una delle fasi più complicate della mia vita: la vestizione.

Apro l’armadio, tremante d’ansia.

In quando ragazza semplice e in cui tutte si possono identificare non dovrei sprecare tanto tempo nel scegliere i vestiti e infatti questa fase viene ridotta a poche semplici righe in cui l’autrice butta a caso addosso alla nostra protagonista (a me, in questo caso) due indumenti: felpa e jeans. Sempre. Costantemente.

Nel caso in cui l’autrice, però, non voglia ridursi a felpa-jeans si sbizzarrirà in indumenti ricercati degni della serata degli Oscar o di un ricevimento dalla Regina Elisabetta, ovviamente gli abiti più adatti e consigliati per andare a scuola. Già. Scuola. Ricordiamoci dove stiamo andando.

Infilo con decisione i miei jeans scuri e la mia felpa grigia preferiti (caratteristica fondamentale: devono essere i preferiti in modo da dare un’atmosfera di convivialità e relax) e mi trucco leggermente (già, peccato che il “leggermente” di solito comprenda blush, fondotinta, terra, rossetto, mascara, eye-liner, fard, cipria e ombretto. Proprio semplice, insomma. Una ragazza acqua e sapone, direi…)

Ora viene uno dei miei momenti prediletti: lo specchio.

Favoloso momento in cui l’autrice piazza la sua protagonista davanti a uno specchio che ha in camera per poterla descrivere.

Come sono? Ovviamente sono una strafiga dato che inspiegabilmente tutti i ragazzi della scuola da oggi cominceranno a venirmi dietro, ma in questo preciso momento quello che conta è nascondere la realtà. Quindi?

Sono una ragazza dai lineamenti ben disegnati (suona figo, no?), con due occhi color ghiaccio, pelle diafana (suona figo 2, no?), labbra carnose, lisci capelli neri e ho ereditato la magrezza da mia madre (scarichiamo le colpe, insomma), ma ahimè non sono per niente alta e questo condiziona la scelta dei miei vestiti: non mi posso mettere tutto (terribile dramma: vengono sempre inseriti almeno due difetti, perché dire “Sono perfetta, si sa” suona male) e devo sempre rinunciare a quelle deliziose scarpe rosso fuoco lucido con tacco 18cm che sicuramente metterò prima o poi nel corso di questa storia.

- Vieni giù, tesoro! – Urla mia madre dalla cucina rompendo l’idillio.

Ma che sciocca! Non mi sono ancora presentata: mi chiamo Hope/Destiny/Angel/Audrey/Bianca/Azzurra/A Pois/Tucano/Lasagne (quello che vi pare, insomma) e ho 16/17 anni. Mio padre è morto quando ero piccola (oppure…), ma era un alcolista perverso (… Ecco.) e non l’ho mai conosciuto.
Mia madre si è trovata da sola a crescere me e il mio fratellino Luke/Jimmy/UnNomeStranieroInsomma e le voglio un mondo di bene (questo se avete scelto l’opzione A. L’opzione B prevede invece che la nostra protagonista sia una ribelle tunz tunz e perciò odi a morte la madre).

- Scendo subito! – Rispondo e mi fiondo giù dalle scale, allegramente.

E’ opportuno che vi descriva la cucina (molto grossolanamente: a nessuno interessa, in fondo): viviamo in una piccola casetta a due piani e il piano inferiore è strutturato come un bilocale, con una stanzetta per il piano cottura, il frigo e la dispensa, e una grande stanza che fa da sala da pranzo, ingresso e salotto. I mobili sono di legno scuro e su un basso tavolino è appoggiata una grande tv, unica ricchezza di casa nostra, perché siamo una famiglia, inevitabilmente, povera o non molto agiata. La sala da pranzo/entrata ospita un tavolo anch’esso di legno molto principesco con ben otto sedie nonostante per la maggior parte del tempo solamente tre vengano occupate.

Mio fratello è già a tavola e sta mangiando con gusto la sua porzione di uova e pancetta (classica cucina americana, ovvio) e la mia è già fumante nel piatto.

La mia cara madre (o la mia noiosa madre, se avete scelto l’opzione B per la nostra protagonista) mi sorride, felice:
- Come hai dormito, tesoro? – Chiede.
- Benissimo, mamma. - Come potrebbe essere andata diversamente? Io sono colei che tutte sognano di essere. Le sorrido e scompiglio i capelli di mio fratello che sbuffa, scocciato.

Mangio con gusto la mia colazione, sicura che sarà una giornata stupenda, nonostante debba andare in quella pallosissima scuola.

Sono inevitabilmente in ritardo e corro fuori senza neanche finire di mangiare e guadagnandomi un bonario rimprovero da parte di mia madre.

Ora si aprono diverse opzioni: come vado a scuola?

In pullman? A piedi? In macchina? Mi faccio dare un passaggio dalla mia migliore amica? Difficile scegliere.

In un qualsiasi modo a discrezione dell’autrice arrivo a scuola e noto subito che c’è qualcosa di nuovo nell’aria. Le ragazze sussurrano e i ragazzi si danno pacche sulle spalle, eccitati.

Cosa starà succedendo?

Anche qui l’autrice può sbizzarrirsi per me: un nuovo studente? Scuole chiuse? Un annuncio importante?

Bisogna anche decidere se sono una ragazza di tipo A (classica good girl, bravissima a scuola, amata e rispettata da tutti) o di tipo B (capra scolasticamente parlando, 0 amici, 0 vita sociale, autolesionista, anoressica, depressa ecc.), molto più frequente. Io mi colloco nel mezzo: vado dignitosamente bene a scuola, ma ho solo una carissima migliore amica e sono ovviamente autolesionista e depressa per motivi che rimarranno oscuri ancora per qualche capitolo.

La preside (che in quanto ragazza di tipo A/B mi tratta abbastanza bene: non mi odia come invece farebbe con una ragazza ribelle di tipo B) si piazza al centro del corridoio e sorride a tutti. E’ una donna sui quarant’anni che immancabilmente indossa un tailleur (spesso scritto “taiour”, non so se mi spiego) scuro e occhialetti tondi abbinati.

- Ragazzi. – Cala il silenzio. – Ho un annuncio da farvi. E’ finalmente arrivato il programma delle gite di quest’anno: verrà appeso vicino alla segreteria e nell’intervallo potrete vederlo. – I ragazzi esplodono in urla di gioia e approvazione.

Yu-uh! Più tardi andremo a vedere.

- Ehilà Fuffy! - (Si, questo è il nome che ho scelto, problemi?) Urla la mia migliore amica abbracciandomi da dietro.
- Ciao Julie! – Rispondo io abbracciandola di rimando.
- Che mi racconti? Hai sentito delle gite? E’ fantastico! Dopo dobbiamo assolutamente andare a vedere! – Strilla entusiasta.

Annuisco con forza:
- Ma ora, a lezione! – Sono sempre io la ragionevole tra le due.

Difatti lei sbuffa e mi segue borbottando.

Entriamo in classe e facciamo dei veloci cenni a tutti, non ricevendone in cambio nessuno. Prendiamo posto in ultima fila, come al solito, preparandoci alla lezione di matematica, la materia che più odio. Cliché.

Il professore di matematica è un vecchietto rugoso che non si lava da chissà quanto tempo, mr. Pimplebottom. Ha sempre la stessa giacca e mi odia seriamente. Cliché.

Infatti non ci vuole molto perché mi chiami alla lavagna per risolvere una delle sue difficilissime disequazioni fratte (che non so quasi cosa siano) dai risultati improbabili.

- Signorina O’Fuffer, venga alla lavagna.

Fuffy O’Fuffer. Grazie mille autrice, davvero.

Cammino esitante fino alla lavagna e provo a combinare qualcosa con Julie che mi suggerisce cosa fare, attenta a non farsi scoprire.

Che cara ragazza Julie: autrice, dovresti proprio inserire una sua descrizione qui!

Facciamo che questa Julie ha origini francesi, occhi da cerbiatto e lisci capelli biondi? Ma si, dai. Siamo una coppia di strafighe, è ovvio!

- Signorina La Pointe! – La rimprovera Pimplebottom. – La smetta di suggerire! Torni a posto O’Fuffer. – Sibila tra i denti lui, sputacchiando di qua e di la.

Me ne torno al mio banco, mogia.

- Idiota. – Sibila Julie, ma non abbastanza a bassa voce, perché lui riesce a sentirla.
- Come ha detto, scusi? – E’ furente.
- Nulla. – Cerca di rimediare lei.
- Oh, non mi pare. – Siamo fregate. Dannatamente fregate. – Voi due e le vostre inutili chiacchiere mi avete stancato! Signorina La Pointe, venga qua in prima fila e lei vada dietro! – Sbraita indicano un posto davanti alla cattedra.

Julie sbuffa, ma alla fine di sposta.

Chi mi ritrovo ora vicino? Il ragazzo peggiore della classe: Noah Johnson. Cliché.

E’, ovviamente, bello da far schifo, ma non lo ammetterò mai. Ha una zazzera di capelli marroni sempre in disordine e due profondi occhi blu come il mare (suona figo 3, no?). Mi fissa con aria sprezzante, ma la bocca si apre al sorriso.

Ha un sorriso stupendo.

Insomma, non voglio dire che ho gli occhi a cuore fin dal primo capitolo, perché devo dare l’idea che sia una ragazza difficile da conquistare, ma si capisce che intorno a lui circolerà l’intera storia e tante notti di pippe mentali.

In ogni caso faccio la difficile, mi sembra ovvio.

La lezione passa senza nessuna parola da parte sua a parte un minuscolo “Ciao” non appena le sue chiappe si sono adagiate sulla sedia accanto alla mia. Ha passato la lezione a scherzare ad alta voce con i suoi amici dei primi banchi, non ha preso un solo appunto e quando gli è caduto un pacchetto di strane polverine per terra (bad boy, no?) si è chinato a raccoglierlo come se niente fosse nonostante io lo fissassi incredula: sono una ragazza di sani principi, io (anche se tutti sappiamo che ci finirò a letto…)!

Quando la campanella della fine delle prime ore suona e inizia l’intervallo e io e Julie corriamo a guardare i tabelloni delle gite urlando insulti al prof di mate: Canada (ovviamente la storia è ambientata in America anche se presenta evidenti tracce italiane, quindi una gita in Canada è del tutto plausibile)!

Urliamo di gioia all’unisono. Ho notato però che Noah è uscito per ultimo dalla classe e che si è diretto con i suoi amici (tutti cammellatori con le mani affondate nelle tasche e un’aria da drogati, chissà perché) ai tabelloni delle gite. E’ di un anno più grande ed è stato bocciato, quindi verrà in gita con me e Julie: è proprio il tipo di ragazzo che mia madre disapproverebbe, ma ben presto quello che suggerisce mia madre conterà meno di zero.

- Sei contenta? – Chiede Julie, con gli occhi sfavillanti.
- Ovvio! – Rispondo, entusiasta.
- Oh Dio! – Sussurra ad un tratto lei, guardando dal lato opposto degli amici di Noah. – E’… Mamma mia…
- Cosa succede?! – Mi giro a guardare e rimango sbalordita.

Verso di noi si sta dirigendo un modello di Abercrombie versione scolastica, un metro e novanta di muscoli, pelle abbronzata, capelli biondi, occhi azzurrissimi e camicia leggermente sbottonata: il sogno proibito di ogni ragazza, insomma.

E tutte le ragazze della scuola, infatti, si sono fermate e stanno osservando il suo passaggio, sussurrando.

- Dobbiamo scoprire chi è! Promettimi che lo faremo! Deve trattarsi del famoso studente nuovo… - Sussurra Julie.
- Si, sicuramente. – Annuisco con foga e concordiamo che lo dobbiamo assolutamente conoscere, ma questo avrà spazio nei prossimi capitoli: pronto a portar zizzania.

- (segno di interpunzione utile per uno stacco di scena e in sostanza per parare il culo all’autrice quando non sa come descrivere un qualcosa di completamente diverso)

Julie è tornata in classe a ripassare, dopo le lezioni, perché deve recuperare un’interrogazione di Storia e la professoressa Murder le ha ordinato di rimanere mezz’ora per passare. Immaginate la sua gioia.

Ora la sto aspettando per salutarla prima di andare felicemente a casa. Sento dei passi dietro di me e una mano sulla spalla destra: dev’essere lei.

- Uhm…  Tu sei Fuffy, vero? – Chiede la voce non di Julie, ma di Noah Johnson in persona.

Eccolo.
Questo è il momento X! Il fatidico incontro!

Mi giro di scatto, trovandomelo a pochi centimetri dal viso (tipico comportamento da stupratore seriale, ma ehi: we dont’ care).

- Ehm… Si. – Rispondo, sicuramente rossa in faccia. – Tu sei Noah, giusto?
- Si, tesoro. – Dice lui, avvicinandosi ancora.

Mi sposto, diffidente:
- Quindi questa è la parte della storia dove tu ti comporti da maniaco e poi io mi innamoro di te in perfetta coerenza con la Sindrome di Stoccolma?
- Direi di si. – Lui scrolla le spalle, probabilmente chiedendosi quanto sia pazza da 1 a 10. – Quindi cosa ti aspetti da me? – Chiese piegando la testa di lato.

E’ davvero bello da togliere il fiato, ma tutto di lui urla che devo stargli lontano (suona figo 4, no?).

- Tecnicamente dovresti baciarmi o stuprarmi nelle storie a rating arancione/rosso per poi tornare a perseguitarmi. Nessuno prende in considerazione un semplice scambio di battute, molto più normale e logico per l’inizio di un grande amore.
- Uè… Grande amore. Non corriamo – Evidentemente non sa che siamo dentro una storia d’amore… Be’, di certo non glielo dirò io. – Sei carina, sai?
- Quindi prendi la via dello stupratore? – Chiedo, un pelo spaventata.
- Rilassati! – Ride lui e il mio stomaco fa una capriola: ride divinamente.
- Oh scusa se mi sono permessa di pensare che mi avresti fatto qualcosa di brutto visto che non ci conosciamo e tu te ne arrivi qui e mi dici “Sei carina, sai?” dopo esserti inspiegabilmente avvicinato oltre il limite tra normalità e inquietudine.
- Oh, sai che non ti seguo? – Oh ti prego: fa’ che non sia un tontolone!!
- Lascia stare…
- Comunque io faccio quello che voglio, signorina. – Dice, sorridendo.
- Oh, sono terrorizzata. – Alzo gli occhi al cielo. – Ecco la parte dove fai il duro…
- Convinta tu… - Scrolla le spalle di nuovo, avvicinandosi. – C’è una cosa che vorrei fare in questo momento, mia cara ed è…
- No, aspetta! Hai saltato una parte! – Strillo subito, agitata.
- Come? – Risponde lui, perplesso e probabilmente cominciando a dubitare della mia salute mentale.
- Be’, ovviamente quella dove fai intendere di conoscermi già!
- Come lo sai?! – Cliché, mio caro. – Comunque si… Mi dispiace per tuo padre, era un brav’uomo sotto sotto.
- Cosa sai di me?! – Amo fare la ragazza isterica, insicura e incoerente. Mi allontano bruscamente.
- Molte cose… Dov’eravamo? – Ghigna, avvicinandosi con più determinazione e prendendomi con forza per la vita.

Non so perché, ma non lo fermo (tipico: la nostra protagonista è bipolare e incoerente). Chissà cosa sarebbe successo se Julie non si fosse affacciata proprio in quel momento dalla classe:
- Fuffy, ha detto che… - Poi si era resa conto della situazione. - … Ehi, cosa succede?
- Nulla. – Risponde freddo Noah, provvidenzialmente allontanato. Poi gira i tacchi e se ne va, come se niente fosse e lasciandomi tutta sotto sopra.

- Fuffy…?
- Non so niente. Non chiedermi. – Comincia qui la serie di balle che spesso racconterò alla mia migliore amica per nascondere la mia evidente storia con Noah, che per ora è insicura e nel dubbio (anche il 100% dei lettori sa che finiremo a letto. Ops, l’ho già detto?).

- Sicura? – Chiede lei, dubbiosa.
- Si. Cioè quasi… Ha detto che conosceva mio padre… - Sussurro.
- Dio! E’ fantastico! Cioè potrai scoprire qualcosa di più su di lui! – Esclama entusiasta.
- Si. – Annuisco. – Andrò a chiedere a mia madre più tardi. (Otterrò risposte secondo voi? … Esattamente.)

E così in quattro frasette superficiali abbiamo concluso questo primo episodio molto inquietante con protagonista Noah che mi lascerà leggermente scombussolata e niente più, ma poi infinite paranoie per mio padre.

Ora arrivo a casa e mi faccio qualche bel taglio sui polsi (con descrizioni di sensazioni al limite del delirante) giustificato da “dolori interiori” non specificati per concludere bene la giornata e tenere fede alla mia reputazione da ragazza autolesionista di tipo A/B.

 


- ANGOLO PIENO DI DISCLAIMER -
Dunque… Salve a tutti.
Questa parodia nata un po’ per caso non so bene dove mi poterà o come si evolverà, ma è una storia provvisoria, nel senso che potrebbe essere cancellata da un momento all’altro nel caso mi rendessi conto che la suddetta stia diventando stupida oltre il consentito (il che vuol dire che un po’ lo deve essere e da questo capitolo si intuisce tutto…).
Allora… Questa storia nasce come presa in giro di molte storie su EFP che presentano gli stessi idioti cliché, ma non si riferisce a tutte, capitelo per favore. Ci sono delle ficcy stupende, lo so.
In questa ficcy si analizzeranno in chiave stupida (già) gli elementi chiave di queste fanfiction così stereotipate e tutte uguali.
Non prendetela come offesa personale, d’altronde non mi riferisco a nessuno in particolare.
Sono perfettamente a conoscenza, inoltre, dell’esistenza di tante storie diverse che hanno evidenziato questo tipo di cosa e in tutti i fandom. Nonostante ciò voglio dare il mio contributo (purtroppo per voi ahah) u.u
Grazie mille a tutti, spero che la storia vi piaccia e questo capitolo volutamente superficiale in primis,
_Rainy_

   
 
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