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Autore: Calliope49    14/03/2015    4 recensioni
*COMPLETA*
«Avete anche un nome, monsieur?»
«D’Artagnan».
Lei strinse appena le labbra. «Ah, siete quel d’Artagnan».
«Prego?»
«D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. Treville vi nomina spesso - quando parla dei rischi per la sua salute, ad esempio».

Una calma insolita è piovuta su Parigi, ma la situazione non è destinata a durare. Strani incidenti, un omicidio e la comparsa di un misterioso bandito daranno filo da torcere agli uomini del re. Nel mezzo, una ragazza e troppe cose che non sono quello che sembrano…
[AthosXNuovoPersonaggio; Accenni Constagnan e Annamis]
[N.B. La storia non tiene conto degli sviluppi della seconda stagione perché è stata ideata prima che ne cominciassero gli episodi]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Captain Treville, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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VII
Demoni e ladri
  
Nel silenzio quasi perfetto del convento, il tempo assumeva una consistenza strana, più placido, leggero. Giorni sospesi, tutti uguali, senza niente che potesse arrivare a scalfirne la quiete.
Le giornate iniziavano presto e finivano ancora più presto. Nella tranquillità di quelle quattro mura, Diane aveva avuto tempo per pensare, aveva rivisto e affrontato i suoi demoni, stesa al buio sul materasso rigido della cella. Quando i demoni e i pensieri si facevano nemici troppo assillanti, la ragazza sgattaiolava fuori e si sedeva attorno al fuoco, insieme ai moschettieri per ascoltare le storie che avevano promesso di raccontarle.
 
«Parliamo di quella volta in cui Porthos ci ha quasi rimesso la testa»
«No, perché non parliamo di quella volta in cui io sono quasi finito ammazzato per incastrare un criminale dinamitardo? E senza nemmeno avere la nomina da moschettiere»
«Sono passati secoli, d’Artagnan, smettila di tirare fuori quella storia».
Diane aveva sorriso. «Come siete finito nei moschettieri, a proposito?» aveva chiesto al giovane guascone. «Un ragazzo così a modo, come voi»
«Vorreste dire che i moschettieri non sono persone a modo?» aveva biascicato Porthos, la voce leggermente impastata dall’alcool. 
«Le persone a modo non barano a carte»
«Touché». Aramis aveva ammiccato.
«No, sul serio, d’Artagnan, ditemi la vostra storia».
Il ragazzo aveva abbassato la testa, vagamente imbarazzato. «Sono arrivato a Parigi e sono piombato alla guarnigione con l’intento di uccidere Athos».
Diane aveva scoccato un’occhiata al moschettiere che era seduto in un angolo a sorseggiare brandy senza partecipare troppo alla conversazione.
«Sì, posso capire che a volte susciti questo tipo di sentimento» aveva detto.
Athos si era limitato a inarcare un sopracciglio con la sua solita flemma e non aveva replicato.
«Siamo moschettieri, se qualcuno di tanto in tanto non cercasse di ucciderci vorrebbe dire che non facciamo bene il nostro lavoro» aveva concluso Aramis. 
 
Quando rientrava e rimaneva di nuovo sola con il silenzio e le troppe cose che vi si annidavano, la voce di Sebastiano tornava a farle visita.
«Affezionarsi ai moschettieri sarebbe un errore» le diceva.
E lei, come la ragazzina sperduta e arrabbiata che era stata - e che forse era ancora - rispondeva: «È troppo tardi». 
Non aveva importanza, l’affetto per i moschettieri non l’avrebbe fermata.
«No, il tuo affetto per loro no». Sebastiano parlava nella sua memoria come un fantasma più che come un ricordo, piantato nella sue mente come un rostro di ghiaccio. «Ma il loro affetto per te sì».
A quel punto, Diane affondava la testa nella federa di tessuto ruvido del guanciale e tratteneva il respiro fino a far sparire ogni cosa.
Quella mattina si svegliò con ancora il suono della voce del suo vecchio amico a farle eco tra le tempie.
Vide la luce filtrare decisa attraverso le inferriate della finestra e si rese conto che era tardi.
Si vestì in tutta fretta e scese correndo verso il refettorio.
La grande sala era vuota. La giovane novizia stava sparecchiando i tavoli dai resti della colazione.
Con una punta di rammarico, Diane pensò che sarebbe stata dura arrivare fino a pranzo senza niente nella pancia.
«Dove sono le altre? Dov’è la regina?» chiese, concitata.
«In cappella, per la preghiera mattutina» rispose la giovane, un viso rotondo sotto la cuffia dell’abito talare. «Siete ancora in tempo, mademoiselle».
«Bene». Diane si preparò a una corsa fino alla cappella.
«Dove andate? Mangiate almeno questo». La novizia la fermò e le mise in mano una fetta di pane scuro. «E non correte, alla madre superiora non piace e voi non volete che si arrabbi».
Mangiò la fetta di pane camminando a passo sostenuto - senza correre - fino alla cappella. Sgattaiolò dentro e trovò le suore e la regina già inginocchiate tra i banchi di legno scuro. La madre superiora, in piedi davanti a una grande Bibbia istoriata, le scoccò un’occhiata di quelle in grado di trasformare il vino in aceto. Con discrezione, Diane raggiunse la regina e si inginocchiò accanto a lei.
«Scusate» le mormorò in un filo di voce.
La sovrana le posò dolcemente una mano sulla spalla.
La madre superiora cominciò a leggere e la sua voce aveva il trasporto di una fanciulla che legge poesie d’amore.
C’era stato un momento, in passato, in cui Diane si era chiesta se Dio potesse dare davvero la pace, quella che a lei mancava. Con la vista annebbiata dalla gioventù e dall’inesperienza, aveva guardato con desiderio al velo da suora, all’idea di lasciarsi tutto alle spalle, tutto cancellato dal portone di un convento chiuso dietro di sé.
Adesso, dopo che erano passati tanti anni da quei pensieri, la ragazza non aveva ancora capito quale fosse la sua vocazione, ma era certa che non fosse verso Dio.
«Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori: che io non gusti i loro cibi deliziosi. Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri, ma l’olio dell’empio non profumi il mio capo…». [*]
Diane alzò impercettibilmente lo sguardo. Mischiarsi agli empi non era mai stata sua intenzione, ma d’improvviso si sentì come se tutto quello che aveva fatto, pensato, progettato negli anni del collegio e da quando era tornata a Parigi l’avesse resa sporca, un passo più vicina all’inferno.
L’orazione mattutina terminò con un salmo cantato. Diane rimase a labbra strette e mani giunte, la regina si inclinò appena verso di lei.
«Non cantante, Diane?» le chiese in un soffio.
«No, se non volete che crolli il soffitto»
«Lo stesso vale per me».
Le voci delle suore invece erano armoniche, perfette, si accordavano l’una all’altra come se non fossero nate per fare altro.
Diane sorrise leggermente. Trovava ci fosse qualcosa di bello e solenne in quel canto.
La preghiera cessò e le donne si alzarono in piedi in un fruscio di stoffa. Avevano tutte i loro compiti da assolvere prima del pranzo.
La regina si avvicinò alla madre superiora e scambiò con lei qualche parola sottovoce. Diane le vide allontanarsi verso la stanza attigua e poi giù, lungo le scale che si intravedevano attraverso la porta aperta.
La ragazza stava per chiedere a una delle suore se poteva rendersi utile in qualche modo, aiutare a preparare il pasto o fare qualsiasi altra cosa che non la facesse sentire di peso.
«Mi sembrate forte» disse la suora. «Potreste andare a raccogliere l’acqua dal pozzo».
Diane sorrise, anche se sperava in un compito meno faticoso.
Quello che successe nei minuti successivi fu rapido e confuso. La suora stava accompagnando la ragazza al pozzo, ma la porta della cappella si aprì davanti a loro con uno schianto. Cinque uomini armati e con i volti nascosti da un bavaglio piombarono nella stanza, pistola in una mano, spada nell’altra.
La regina! Fu il primo pensiero di Diane. Nell’altra stanza. Al sicuro. Forse…
Valutò la distanza tra la sua posizione e le scale. Cercò di pensare a quanto lontana potesse essere sua maestà. Di certo i moschettieri sarebbero arrivati da lei prima di quei briganti.
Sì, ma dove diamine erano i moschettieri e le guardie?
Le suore gridarono. Diane rimase muta per lo stupore e la paura, la canna di una pistola a mezzo metro dal suo petto.
Respirò, cercò di mettere in riga i pensieri. La perdita della lucidità è più letale della spada, anche questo glielo aveva insegnato Sebastiano.
Regina. Moschettieri. Briganti. Pistole.
Le sue possibilità di riuscire a mantenere la calma sfumavano secondo dopo secondo, man mano che si rendeva conto di essere totalmente inerme e impotente.
«Non vi agitate, sorelle» disse uno dei cinque uomini, quello più vicino a Diane. «Vogliamo solo il vostro piccolo tesoro, datecelo e nessuno si farà male».
La ragazza si rese conto di star trattenendo il fiato, la paura come una morsa gelida alla bocca dello stomaco.
Quegli uomini non erano lì per la regina, probabilmente neppure sapevano che il convento avesse un’ospite tanto importante. Magari gli operai che avevano visto le monete avevano parlato troppo e alle orecchie sbagliate.
Diane si guardò attorno. C’era un candeliere di ferro accanto a lei, forse, con la giusta rapidità avrebbe potuto usarlo per mettere fuori gioco l’uomo che le stava davanti. Ma poi gli altri quattro avrebbero potuto far fuoco. 
Un brigante afferrò la giovane novizia e la strattonò rudemente. «Dov’è lo scrigno?» le gridò a un palmo dal viso.
Forse le suore di quel convento erano davvero fatte di acciaio come avevano raccontato i moschettieri, ma quella ragazzina era solo uno scricciolo spaventato e non poté fare altro che indicare con mano tremante un mobiletto chiuso a chiave accanto all’altare spoglio della cappella.
Il brigante tentò di aprire l’anta del mobile, invano. Alla fine si risolse a sparare per far saltare la serratura.
«Idiota!» ringhiò uno della banda. «Ci sentiranno!».
Proprio così.
Diane afferrò il candelabro.
 
***
 
Dopo le prime giornate trascorse placide e noiose, Athos e gli altri cominciavano a credere che tutto stesse andando bene e così sarebbe stato fino alla fine del ritiro spirituale della regina.
Porthos e d’Artagnan erano dentro a controllare sua maestà, che aveva dato ordine di non venir disturbata durante le ore di preghiera.
Athos pensò che fosse invece una buona idea andare a controllare Aramis. Si era tenuto a distanza dalla regina, si era impegnato a gestire la cosa, come aveva detto, ma era evidente che da quando erano giunti in quel monastero il suo cuore fosse diventato pesante, di quella pesantezza in grado di spezzare un uomo. Quella pesantezza che Athos aveva conosciuto e non era stato in grado di sopportare.
Trovò Aramis nel piccolo cimitero alle spalle del convento, nel cortile posteriore. L’ombra dell’edificio picchiava tutto il tempo su quel fazzoletto di terra e sembrava che niente fosse in grado di riscaldare l’aria.
Una colonna con una madonna piangente segnava l’ingresso del camposanto. La statua era coperta di muschio e macchie di umidità, il basamento della colonna levigato dalle intemperie.
Aramis era in piedi davanti a una tomba.
Athos conosceva la storia di Isabelle, il compagno gliela aveva raccontata una sera in taverna; per la precisione, la sera dopo che un Luigi XIII raggiante di gioia aveva annunciato alla sua corte che la regina era in attesa di un bambino.
Quella sera i fantasmi danzavano con meno vigore sul fondo del bicchiere e per la prima volta Athos aveva pensato di aver davvero chiuso i conti con il proprio passato, anche se continuava a versare vino sperando di trovare chissà quale certezza tra i fumi dell’alcool. Porthos e d’Artagnan erano già andati via, Aramis si sedette al tavolo con lui, rompendo la tradizione che voleva che Athos venisse lasciato solo a procurarsi una degna sbornia.
Si aspettava che il suo affascinante compagno vuotasse in silenzio qualche bottiglia fino a collassare sul tavolo. Ma Aramis aveva l’animo del poeta e credeva forse troppo nelle parole e nella loro capacità di salvare un uomo in bilico sul precipizio: si era messo a parlare e Athos aveva dovuto rinunciare alla sua, di sbornia, per rimanere abbastanza lucido da riportarlo a casa.
«Per un amico questo ed altro» aveva detto, molte ore dopo, gettandolo di peso sul letto, in quella stanza ingombra di fogli e libri. «Ma non farlo mai più».
Non c’era più stata occasione di riparlarne, non c’era più stata occasione di restare soli, fino a quella mattina.
Aramis si fece il segno della croce. Athos restò in silenzio alle sue spalle, non voleva essere invadente, ma non voleva nemmeno lasciarlo solo con i suoi demoni.
«Va tutto bene» disse Aramis, senza voltarsi.
«Lo so» mentì Athos.
«E tu, stai bene?»
«Io?».
Aramis si voltò appena, rivelando una virgola di sorriso sotto i baffi scuri, lo sguardo acuto di quello che ne sa sempre troppo. «Stavi facendo gli occhi dolci a Diane l’altra sera o mi sono ingannato?»
«Ti inganni. È risaputo che io gli occhi dolci non so farli»
«Sarà. È che noi altri ci stavamo chiedendo se per caso tu non fossi guarito».
Athos alzò gli occhi al cielo. «Guarito da cosa?».
Aramis si voltò, aprì le braccia come se si stesse preparando a esporre chissà che eloquente teoria, ma un attimo dopo il viso gli si pietrificò in un’espressione di sgomento.
Uno sparo, molte grida. La sensazione viscida e sgradevole del pericolo che chiudeva la gola. Voglia di bestemmiare.
Non è possibile. Non di nuovo. Dio, ti prego, no…
Athos e Aramis si precipitarono di corsa verso il convento, le suole degli stivali che scivolavano sul terriccio umido.
«Cos’è successo?»
«Dov’è la regina?»
«Da dove vengono gli spari?»
«Dove sono le guardie?»
«Che diamine stavate facendo voi due?».
Aggredirono Porthos e d’Artagnan con una raffica di domande, continuando a correre insieme a loro con le pistole tra le mani.
«La cappella» riuscì a dire d’Artagnan, il fiato serrato dall’agitazione.
I moschettieri aprirono di schianto una delle porte laterali della cappella, in tempo per vedere un uomo afferrare uno scrigno dal mobiletto accanto all’altare e Diane colpire con un candelabro un altro che teneva stretta la giovane novizia tremante di paura.
Nella mente di Athos si confusero due pensieri sovrapposti: “gran bel colpo” e “ragazzina idiota vuoiforsefartiammazzare”. 
Tra i ladri e i moschettieri c’erano troppe suore spaurite, dalla porta dove gli uomini del re erano entrati non si riusciva ad avere una linea di tiro pulita e il tempo aveva preso a scorrere velocissimo, senza lasciare spazio al pensiero.
La regina non era nella stanza. Fu l’unica cosa che riuscirono a pensare.
«Moschettieri?» ringhiò quasi spaventato l’uomo che aveva preso lo scrigno. Se erano tanto sorpresi della loro presenza, allora non sapevano che sua maestà era ospite al convento, quello era solo un volgare furto.
«Via! Subito» ordinò l’uomo. I suoi compagni si mossero verso la porta principale.
Veloci, troppo veloci, e con le suore a fare da schermo.
I moschettieri si lanciarono per inseguirli e l’uomo che era stato colpito con il candelabro si alzò, con un rivolo di sangue che gli colava da una tempia. Afferrò Diane e le torse il braccio dietro la schiena.
In un attimo la ragazza si trovò con una canna di pistola puntata alla testa.
Athos provò la sensazione di un pugno allo stomaco.
«Se ci inseguite, lei muore» sibilò il ladro.
Diane, le labbra contratte e il viso pallido, fece vagare lo sguardo spaventato e smarrito sui moschettieri, poi i suoi occhi si fissarono su Aramis. Sembrava certa che lui potesse colpire l’uomo senza farle del male e forse aveva ragione, ma era un rischio troppo grande.    
Athos fece cenno a Aramis di abbassare la pistola. Un’ondata di nausea bruciante gli salì dalla pancia alla testa mentre vedeva i ladri scappare via, sparire dietro la porta trascinandosi dietro Diane.
«Qualcuno vada a controllare la regina» tuonò Athos, agitando il pugno rabbiosamente e sentendo un rivolo di sudore scivolargli lento lungo la mascella. «Spero per le guardie che siano lì con lei e solo per questo non sono corse qui a rendersi utili».
Aramis si precipitò a obbedire. Porthos e d’Artagnan corsero alla finestra per vedere i ladri a cavallo che si allontanavano, con Diane stesa di traverso su una sella.
«Dobbiamo inseguirli!» esclamò Porthos.
In quel momento la regina e la madre superiora entrarono trafelate nella cappella. Dietro di loro le guardie correvano come galline - almeno avevano fatto il loro dovere, proteggendo sua maestà, e Athos non aveva alcuna scusa per poterli prendere a pugni.
«Cosa è successo?». La madre superiora si fece il segno della croce.       
«Dov’è Diane?» chiese la regina.
«Dobbiamo fare qualcosa» dissero in coro Porthos e d’Artagnan.
State tutti zitti, lasciatemi pensare!
Non potevano semplicemente lanciarsi all’inseguimento di quei ladri, se si fossero sentiti braccati avrebbero potuto fare del male a Diane e, allora, tanto valeva che i moschettieri si gettassero dalla torre del campanile del monastero, perché se fossero tornati a Parigi senza di lei, il capitano Treville li avrebbe scuoiati vivi o peggio.
Più che gettarsi da un campanile, Athos provava l’irrefrenabile impulso di picchiare la testa contro il muro.  
«Dov’è Diane?» ripeté la regina, che cominciava ad alterarsi.
«L’hanno presa i ladri, maestà» rispose Aramis, nervoso.
«E voi avete lasciato che la prendessero?».
Ecco, prima o poi quel momento arrivava sempre quando i moschettieri fallivano, il momento in cui qualcuno parlava come se lo avessero fatto di proposito.
«Andremo a riprenderla» disse Porthos, in tono sbrigativo. «Anzi, perché non ci siamo già andati?»
«Perché non possiamo farci scoprire mentre li inseguiamo, potrebbero farle del male» sospirò Athos, ostentando una pazienza che si andava assottigliando secondo dopo secondo. «Dobbiamo aspettare che faccia sera e sperare di sorprenderli con il buio».
«Ma entro sera chissà dove saranno» protestò la regina.
«Maestà, dovreste sapere ormai che le imprese disperate sono la nostra specialità» la rabbonì Aramis. 





[*] Sono versi dal Salmo 140 della Bibbia

 
  
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