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Autore: LaLadyNera    14/03/2015    3 recensioni
Mamoru Chiba e Usagi Tsukino: nemici?
La superluna si avvicina con la sua luce, e forse non tutto è come sembra.
Soprattutto in amore!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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cap3

2. Inizi



Chi ben comincia è già a metà dell’opera.
La camera della sua migliore amica sarebbe potuta benissimo essere un negozio di caramelle.
Il colore carta zucchero della carta da parati si sposava benissimo con il rosa della moquette e gli sprazzi di giallo qua e là, come i piccoli mobiletti stracolmi di manga, videogames e riviste, o le falci di luna stampate sulla coperta del letto, completavano quella che doveva essere l’opera d’arte di una ragazza che il mondo lo vedeva filtrato da quegli stessi toni allegri e vitali.
Minako fissò divertita per qualche secondo le pagine in bianco e nero di un racconto a disegni abbandonato per terra: uno studente dai capelli scompigliati stava trattenendo con aria melodrammatica una tizia con due occhi giganti.
-Cosa ci trovi in questa roba, me lo vuoi spiegare?-
La testa bionda che si affacciò dalla porta del bagno portò con sé un’espressione di profondo disappunto. –Mi piacciono le cose romantiche, ormai lo dovresti sapere.-
Indicò lo shoujo senza smettere di guardala. –Queste storie sono tutte uguali, non sarebbe meglio che tu ti buttassi su qualcosa di diverso?-
Usagi scomparve di nuovo dalla sua vista, facendo cascare qualcosa sul pavimento. La sentì imprecare nell’altra stanza.
-Per esempio?-
Sbuffò mentre con due polpastrelli disegnava distratta i contorni della collezione sulle mensole sopra la scrivania. Non sapeva bene il perché, ma aveva come la sensazione che non fossero state messe lì per contenere quel genere di letture.
Ricordò con estrema nitidezza l’esasperazione con cui la madre di Usagi si era rivolta solo qualche giorno prima ad Ami, implorandola di aiutare la figlia nello studio. Le aveva addirittura offerto dei soldi che erano stati ovviamente rifiutati, e poi era riuscita a stappare a tutte la promessa di invogliarla con il loro buon esempio. Durante l’intero anno si erano incontrate sporadicamente in vista di verifiche importanti per prepararsi o ripassare, ma Usagi non si era mai dimostrata particolarmente interessata. Di solito cercava sempre metodi per distrarsi con una nonchalance che sfiorava la sfacciataggine pura.
Scosse la testa; no, decisamente i signori Tsukino avrebbero gradito un altro tipo d’interesse da parte della loro primogenita piuttosto che gli anime e i manga.
Qualcosa venne spruzzato ripetutamente alle sue spalle, incuriosendola.
Si affacciò sul limite del bagno con le braccia incrociate al petto. –Dei romanzi, giusto per dirne una.- Poggiò una spalla allo stipite più vicino senza nascondere il sorriso.
Usagi si era infilata una gonna piuttosto corta e a balze, di un bianco sporco, che aveva tutta l’aria di essere stata confezionata all’uncinetto. –Mi ricordo quando l’hai comprata: pensavi a Motoki.-
Si ritrovò fulminata. –Le cose cambiano.-
La canotta blu le ricadeva bene sui fianchi, facendola sembrare più alta.
Chissà quanto ci aveva pensato su, prima di decidere cosa indossare per quel presunto fatidico giorno.
-Non potrei mai leggere quella roba che si porta sempre dietro Ami!- Cambiò discorso sistemandosi nervosamente gli odango perfettamente rotondi.
-Se a lei piace leggere gialli o fantascienza non dev’essere lo stesso per te. Esistono anche libri romantici, di avventura, fantasy…-
-Lo so, ma non mi interessano.-
Quelle quattro mura erano una camera a gas, Usagi ci aveva dato dentro col deodorante.
Arricciò il naso nonostante l’odore di base fosse buono, ma la quantità storpiava decisamente il tutto. –Vuoi uccidere Mamoru?- Tossicchiò spazzolando l’aria davanti a sé con una mano.
-No, che dici! Sai perché leggo molti manga?-
Decise che non valeva la pena rischiare il soffocamento per saperlo, quindi uscì scuotendo la testa. Usagi la seguì velocemente: forse finalmente era pronta e adesso poteva prestarle dieci secondi di attenzione! Si era alzata presto per presenziare a quel rito ed era lunedì, inizio settimana di vacanze: se lo meritava.
Non poteva credere di essere lì già da un paio d’ore e non essere riuscita a parlarle per bene. –Perché li rubi a Rei e quindi non devi sborsare uno yen per averli?-
L’amica gli rivolse una sonora pernacchia nel superarla per dirigersi alla scarpiera. L’aprì, ma si girò a guardarla con occhi sognanti.
-No davvero. Leggo quei manga perché le loro storie d’amore sono così simili a quella mia e di Mamoru! Mi danno consiglio!-
Ah be’.
-Pensavo che l’idea geniale fosse partita da un mio suggerimento, non da quello di qualche mangaka…- Si finse offesa.
Usagi annuì vigorosamente. –Infatti è così, ma per il comportamento che dovrò tenere la mia cultura su queste cose mi sarà utile.- Le diede le spalle, rovistando rumorosamente fra gli scompartimenti inclinati di legno.
-Ah-ah!- Esultò tirando fuori un paio di scarpe di tela del preciso colore del suo top. Le infilò veloce ai piedi, voltandosi e spalancando le braccia. –Come sto?!-
-Bene. Mi sembra anche il minimo, ci hai messo due secoli per prepararti.- Non poteva di certo rinunciare a qualche facile frecciatina: le aveva fatto perdere mezza mattinata per una gonna e un pezzo striminzito di cotone!
Meglio del vestito con le ciliegie con cui l’aveva accolta al suo arrivo, comunque.
La osservò neutrale: non era stato del tutto tempo sprecato, adesso che sembrava davvero dovesse andare ad un incontro per studiare, piuttosto che ad un pic-nic in campagna, ma aveva proprio necessità di sfogarsi...
Tentò di celare il suo mal contento, Usagi stava trattenendo l’aria nella guance, le sopracciglia sottili unite sopra al naso. Brutto segno.
Era offesa?! Il ricordo della spiacevole situazione in cui si era ritrovata il pomeriggio prima, al tempio di Rei, sola, dopo la sua fuga, le diede la spinta definitiva per infischiarsene. –In più, non mi risulta che tu e Mamoru abbiate già qualcosa in corso, a parte delle lezioni di matematica che più che farlo cadere ai tuoi piedi, faranno cadere te addormentata, secondo me.-
Mh.
Usagi era sbigottita. –Ma sei venuta qui per incoraggiarmi o per portare sfiga?!-
Si lasciò cadere seduta sul letto, distendendo le gambe davanti a sé e incrociando le caviglie. –Ti sto supportando, altrimenti sarei a casa in questo momento, dopo tutto quello che mi hai fatto passare- sibilò con finta carineria.
-Cioè?- Adesso Usagi teneva le mani fermamente arpionate ai fianchi, un po’ minacciosa, un po’ impaurita. Non sopportava che le persone fossero in collera con lei, Minako lo sapeva bene.
-Hai chiamato le ragazze?-
Usagi sembrò capire e lasciò ricadere le braccia lungo il corpo. –Ieri sera; tu non le hai sentite?-
-Le ho sentite molto bene, dal momento che sei scappata via come una pazza lasciandomi circondata e senza un cavolo da dire! Non sapevo come venirne fuori. Non sapevo cosa inventarmi!- Quasi strillò per l’impazienza. Sputare il rospo la fece sentire subito un po’ più rilassata. Vide Usagi richiudersi nelle spalle. –Non sapevo se dire la verità, o fare finta di niente, o mettermi giù e coprirti il sedere con qualche scusa idiota!-
Non voleva mortificarla, ma non era stato bello.
Non tanto nei suoi confronti, aveva e poteva sopportare di peggio, soprattutto per un’amica che era come una sorella e conoscendo anche la portata dei sentimenti che Usagi aveva covato in silenzio per diversi mesi, ma in quelli delle loro tre amiche.
Usagi aveva deciso di testa sua di non rivelare niente alle altre per mille motivi diversi: paura di essere giudicata, di essere presa in giro, di non essere capita, o peggio ancora di essere scoraggiata da qualcuno, e quindi si sarebbe dovuta prendere le proprie responsabilità anche una volta resa pubblica la cosa.
Sorrise da sola per l’incredulità: sembrava quasi fosse un crimine… Mamoru non era sicuramente un ragazzo facile da approcciare, ma nemmeno un segreto da temere.
Lei l’aveva appoggiata anche se non aveva condiviso le sue scelte, Usagi invece si era limitata a correre dietro ad un’illuminazione lasciando domande che richiedevano risposte veleggiare in un posto in cui l’unica fonte di rassicurazioni era stata lei. Non aveva pensato ad altro.
Il brutto della questione era il fatto di non aver saputo scegliere come reagire senza ferire nessuno: avrebbe potuto raccontare tutto, ma non era sicura che Usagi lo avrebbe fatto sicuramente anche dopo quella gaffe, oppure avrebbe potuto inventarsi di sana pianta una storiella, mettendo alla prova il suo talento di aspirante attrice-cantante-presentatrice, ma il pensiero di mentire a persone per lei importanti l’aveva fatta sentire male.
Quindi si era limitata a rimanere lì, seduta con le mani alzate e un sorriso nervoso stampato sulla bocca, a ripetere “ma non saprei… Usagi dovrà dirvi qualcosa… non sono sicura… io non posso… abbiate pazienza…”.
Le ragazze avevano smesso di farle pressioni quando la sua difficoltà era diventata più che evidente, ma ormai la sensazione che qualcosa fosse andato storto era troppo forte per poter essere ignorata, e aveva salutato tutte con la promessa che Usagi le avrebbe chiamate per spiegare loro tutto quanto.
Anche lì si era presa una bella responsabilità, ma alla fine era andata bene, segno che la sua migliore amica la conosceva sul serio. Per fortuna.
Usagi le si sedette accanto, prendendole le mani nelle sue. –Hai ragione, non mi sono comportata bene. Ho sbagliato, non mi sono saputa controllare e ti ho messa in una posizione scomoda.- Le sorrise tentennante e speranzosa, ma Minako riuscì solo a sbuffare.
Usagi si contorse un poco, a disagio.
–Con cosa te la sei cavata?- Chiese ancora un po’ inquieta: era tutto okay, sì o no? Le scuse erano ben accette, ma la situazione era delicata.
L’amica la guardò seria. –Con la verità. E’ stato imbarazzante, ma alla fine era la cosa più giusta che potessi fare.- Usagi sembrava navigare in un mare di mortificazione.
-Ti hanno fatta arrabbiare?- Era importante che per quell’inizio lei fosse predisposta al meglio, nonostante tutto, e sperò che le loro amiche, soprattutto Rei, non avessero infierito fino a farla stare male. Troppo male, un pochino era giusto che soffrisse, per capire.
-No, sono state carine, anche se erano sorprese. Forse pure deluse. Ho cercato di far capire loro che sono io la sciocca, e non che loro non siano delle buone amiche.- Si morse un labbro, abbassando lo sguardo. Quando lo rialzò, c’era molta preoccupazione. –Credo che abbiano inteso il mio comportamento come una mancanza di fiducia nei loro confronti. Tu sapevi e loro no…-
Minako poteva sentire il suo dispiacere, lo sentiva vibrare nella sua voce. -Lascia che passi qualche giorno, ci ritroveremo e spiegheremo insieme come sono andate le cose. Vedrai che capiranno, sanno che non sei una cattiva persona. Solo una testona…-
Usagi sospirò pesantemente. –Ho paura di aver rovinato tutto.-
-La nostra amicizia?- La vide annuire. –Non ti preoccupare, non è possibile, ormai siamo troppo unite. Ci vogliamo bene e…-
-Quindi me ne vuoi ancora?!- La sua voce risuonò di nuovo di speranza ed allegria, interrompendola.
Minako la squadrò seria. Vide gli occhi luccicare fra lacrime di tristezza e felicità, la bocca contratta in un sorriso che non sapeva bene se osare rilassarsi oppure no, le dita incrociate come se stesse pregando.
Vide una ragazza insicura affacciarsi in un mondo complicato per la prima, vera volta, e non poté che passarle le braccia intorno al collo, portandosela più vicino.
Ricordava quando si era ritrovata lei a specchiarsi con quel tipo di sentimento, qualche tempo prima, in un altro paese…
Vide qualcuno che aveva bisogno di lei, e ci sarebbe stata, sempre e comunque.
-Usagi-chan, mi devi una promessa però… lo sai, vero?-
La sentì annuire contro la propria guancia. –Qualsiasi cosa per farmi perdonare!-
Ghignò diabolica mentre si allontanava per guardarla negli occhi. –Non farti arrestare per atti osceni in luogo pubblico, quando finalmente avrai raggiunto il tuo obiettivo!-
-Minako! Hentai!-
Un cuscino la centrò in pieno viso.

La prima cosa che registrò appena aperti gli occhi fu una spiacevole sensazione di oppressione alla testa.
Girando solo il viso alla sua sinistra, sul cuscino, cercò la sveglia digitale dai grandi numeri verdi che aveva comprato diversi mesi prima, alla fine di una lunga ed estenuante ricerca, in un negozio di elettronica dal cattivo odore di plastica che gli era rimasto ben impresso nella memoria.
Le nove passate.
Stropicciò le palpebre pesanti coi pugni chiusi, giocando un poco con le figure sfavillanti che danzavano nel buio in bizzarre fantasie geometriche. Aveva dormito quasi dodici ore.
Strano, di sicuro non da lui.
Sospirando si tolse di dosso il lenzuolo in cui si era fasciato durante la notte, il contatto col pavimento freddo gli fece rizzare i peli sulle braccia nude donandogli però un po’ di lucidità in più. La lingua impastata era un fastidio a cui doveva trovare rimedio subito.
In cucina bevve direttamente dalla bottiglia di acqua, cosa che non faceva mai. Il leggero senso di sbandamento e confusione era sconcertante.
Lanciò un’occhiata incerta al lavabo: la sera prima non aveva riassettato, i piatti e le pentole che aveva usato per cucinare erano ancora lì che attendevano di essere lavati, insieme alle posate e ad un bicchiere. Di solito lo faceva sempre prima di andare a dormire.
Piano, ascoltando i muscoli impigriti iniziare a sciogliersi, si preparò una tazza di caffè e posizionò la scatola di biscotti secchi sulla tovaglietta in bambù.
Gli sembrava di avere ancora voglia di dormire, ma proprio non riusciva a capire il perché di quella sensazione così inusuale. Stava molto attento al suo ritmo sonno-veglia proprio per riuscire a trarre il massimo dal riposo che si concedeva: troppe ore passate nel letto lo impigrivano, troppe poche però lo rendevano comunque infruttuoso per la stanchezza. 
Solo una volta si ricordava di essersi sentito in quel modo, ed era stato quando… aveva partecipato a quella festa scolastica piena di enormi ciotole colme di aperitivi colorati e bottiglie di spumante.
Ma cosa c’entrava adesso… ?
Sedendosi al tavolino si concentrò arricciando il naso; il giorno prima non aveva fatto nulla di strano: si era alzato presto, aveva fatto colazione, era uscito per una corsetta, dopo la doccia aveva studiato, il pranzo lo aveva consumato sulla terrazza guardando le nuvole, aveva studiato un altro po’, poi era uscito e aveva fatto un salto al Crown.
Fu come un gong colpito con prepotenza nella testa: Usagi.
Motoki aveva insistito perché le parlasse, e gli aveva dato una… spintina.
Si massaggiò preoccupato la mascella fissando il liquido nero che teneva fra le mani. Quel dannato caffè freddo corretto con quel nome improponibile.
Ecco perché era così confuso.
Una serie di frasi e immagini gli vorticarono pericolosamente davanti agli occhi, costringendolo a scuotere i capelli.
Non era nemmeno sicuro che non fosse stato solo un sogno, in realtà. Da quello che si ricordava, a grandi linee, si era accordato con Usagi per delle ripetizioni dell’ultimo minuto.
Ne volle quasi ridere, non poteva essere stato così bravo. Chiuse gli occhi: lei non poteva aver accettato una cosa del genere, antipatico come le stava.
Afferrò un biscotto e iniziò a masticare piano, a bocca chiusa, come gli era stato insegnato da bambino. Lui e i liquori dovevano stare decisamente distanti, sicuramente i suoi enzimi non erano in grado di scomporre a dovere l’alcool e i risultati lasciavano sempre molto a desiderare.
Tentò di ricordare meglio cosa si fossero detti lui ed Usagi, ma non riuscì a ricavare qualche momento ben delineato, solo brandelli di frasi e flash di espressioni che forse erano solamente frutto della sua fantasia.
Sbuffò, portando la tazza alla bocca: chissà Usagi cosa aveva pensato di lui. Sicuramente qualche differenza doveva averla notata, era quasi del tutto certo di non essersi comportato come il suo solito. Per forza…
Che cosa aveva fatto?!
Un’ondata intensa di ansia gli attanagliò lo stomaco; magari adesso lei pensava che lui avesse un problema con gli alcolici, o che non fosse proprio sano di mente, o che semplicemente era troppo strano e troppo odioso anche solo da tenere in considerazione come conoscente.
Che cosa le aveva detto?!
Forse, la prossima volta che si sarebbero incrociati, lei avrebbe cambiato strada, facendo finta di non averlo mai visto.
Improvvisamente le dita gli si informicolirono. Avrebbe preso a pungi Motoki.
Era convinto sinceramente che la violenza fosse sempre la scelta sbagliata, ma per quel caso specifico avrebbe fatto un’eccezione. Era stato stupido a lasciarsi convincere.
Che cosa avrebbe dovuto fare adesso?!
Far finta di niente e davanti ad Usagi comportarsi come se nulla fosse, o andare a cercarla con una scusa qualsiasi per capire se oramai si era del tutto compromesso?
Lavando ciò che aveva utilizzato per mangiare cercò di impedirsi di tornare con la mente a ricostruire la scena del crimine, perché più ci pensava più particolari imbarazzanti, veri o presunti che fossero, facevano capolino per farlo inorridire, e si disse che era andato tutto bene, che niente era stato rovinato e che probabilmente la paranoia stava prendendo il sopravvento sul suo cervello ancora mezzo anestetizzato.
Ripose il canovaccio umido fra le maniglie degli sportelli inferiori. Sarebbe andato a correre, avrebbe sudato e bevuto tanto, riequilibrando il proprio organismo, poi forse si sarebbe messo un po’ sui libri per distrarsi.
Aprì le finestre mentre era ancora in casa a prepararsi, lavò il viso e i denti e si vestì coi pantaloncini e la maglietta che di solito usava per fare sport.
Sospirando pesantemente fissò il proprio riflesso incerto nello specchio: era meglio lasciare che le cose facessero il loro corso, non avrebbe anticipato i tempi o forzato gli eventi. Normalmente incrociava Usagi quasi quotidianamente, al massimo ogni tre giorni, quindi avrebbe saputo aspettare; aveva addirittura il tempo di preparare una reazione adeguata ad ogni tipo di situazione che gli si sarebbe presentata davanti, era meglio così. Si passò una mano fra i capelli: il discorso era chiuso.
Nell’ingresso, mentre si stava allacciando le scarpe da ginnastica, qualcuno bussò alla porta.
Rimase bloccato, ancora con un ginocchio sul pavimento, il cuore che all’improvviso aveva mancato come minimo un battito, proseguendo in modo anomalo la sua corsa.
Non è possibile, si disse, stai calmo.
Usagi non sapeva dove abitasse e ora che ci pensava, se davvero era accaduto, lui non le aveva dato il proprio indirizzo per quelle fantomatiche ripetizioni. Di cosa, poi?
Alzandosi piano ascoltò i nuovi colpi leggeri contro il legno spesso davanti a sé, colorato di bianco, e quando poggiò una mano sulla maniglia nelle orecchie non poteva sentire altro che lo scorrere furioso del proprio sangue.
Forse lei era passata al Crown e il loro amico in comune ci aveva di nuovo messo lo zampino, ovviando al problema.
Il pensiero gli provocò una vampata di calore generale in tutto il corpo. Non aspettava nessuno, quindi…
Spalancò la porta con un movimento veloce. Via il dente, via il dolore.
-Finalmente! Iniziavo a preoccuparmi!-
Sentì i lineamenti diventargli di granito. -Motoki- sibilò a denti stretti. Il senso di delusione crescente fu difficile da ignorare e lo spinse, senza rifletterci più di un secondo, a sbattergli la porta in faccia. Aveva dimenticato di chiudere le finestre!
Non fece in tempo ad arrivare a metà corridoio che il suo migliore amico –forse ex- si era attaccato al campanello, suonando ripetutamente. Tornò indietro solo perché non voleva che i vicini si lamentassero con lui per il baccano.
-Cosa vuoi?-
Motoki si intrufolò in casa veloce, spingendo la porta che lui teneva bloccata con una mano con la spalla. -Bel modo di ringraziarmi, complimenti.-
Un buon odore di marmellata calda gli carezzò le narici al suo passaggio, lasciando una scia lunga fino alla cucina. Quando vi entrò, Motoki stava fissando il lavandino pulito.
-Hai già fatto colazione?- Lo squadrò incredulo.
Tirò su le sopracciglia. –E’ tardi.- Non doveva essere una cosa strana, lui era un tipo mattiniero.
-Non hai risposto alle mie chiamate, pensavo fossi uscito. Sai, l’agitazione…- Gli rivolse un occhiolino che Mamoru trovò alquanto fastidioso.
Girandosi alle sue spalle vide il cordless lampeggiare. –Non ho sentito il telefono, ed è tutta colpa tua.-
-Hai del latte?-
-Eh?!- Era diventato improvvisamente tonto? O faceva finta di non sentire?
-Latte…- Ripeté Motoki fissandolo come se gli fosse spuntato un corno nel centro della fronte. –Stai bene?-
Scrollò le spalle, appoggiandosi allo stipite. –In frigo.- Lo osservò aprire l’anta e tirare fuori la bottiglia, versarsi un bicchiere di liquido bianco e rimettere tutto a posto. –Cos’hai nel sacchetto?- Indicò con la testa il piccolo fagotto di carta lasciato sul tavolo.
-Pane e marmellata, ci avevo messo anche il burro, come piace a te… Ma vedo che alla fine ti avevo immaginato messo peggio di come effettivamente sei.- Si sedette, scartando due toast dorati e porgendogliene uno. –Vuoi?-
-No grazie. Avresti potuto portare dei cornetti.-
Motoki alzò gli occhi al cielo. –Il bar è chiuso oggi. Non sei mai contento. Dovresti essermi grato- sottolineò quell’ultima parola con un morso ben assestato al pane croccante, -colazione recapitata direttamente a casa e personal coach tutto in una sola, comoda figura.-
Si schiaffeggiò mentalmente: era lunedì, il giorno di riposo del Crown; Usagi non avrebbe mai potuto sapere il suo indirizzo e oltretutto dubitava che si alzasse di buon ora quando la scuola era chiusa e i genitori a lavoro. Al solo pensare quel nome lo stomaco gli si attorcigliò in una stretta dolce amara.
Studiò Motoki coperto da un’espressione di indecifrabile menefreghismo. –Non sei vestito per fare jogging.- Osservò, critico.
-Certo che no, non ho tutto questo tempo libero. Devo vedermi con Reika.-
-E allora che personal trainer sei? Mi lasci faticare da solo?-
Gli sembrò perplesso.
-Ho detto personal coach, non personal trainer. Non hai bisogno di aiuto nell’attività fisica, ma in quella amorosa, lasciatelo dire, sì.-
Lottò per mantenere una certa compostezza, ma quell’affermazione gli aveva attivato una sorta di campanello di allarme interiore. –A cosa ti riferisci, scusa?-
Il suo amico gli sorrideva incoraggiante, comprensione negli occhi allegri. –Sei ancora brillo?-
-No.- Sperò di essere stato chiaro. Sicuramente conciso. Era crudele che si comportasse in quel modo.
Motoki sembrò non credergli. -Sei di cattivo umore stamani, non dovresti esserlo. Piuttosto, come ti stai preparando a questo fatidico, impensabile giorno di svolta?-
L’argomento era troppo spinoso per poter essere affrontato in piedi, quindi scelse la sedia più vicina a lui, all’opposto del lato occupato, e vi scivolò sopra. –Perché mi prendi in giro? Non ti basta la figuraccia che mi hai fatto fare con quel tuo maledetto intruglio?!-
Spiacevoli immagini gli riempirono la vista, facendolo inspirare forte, le palpebre serrate.
-Non so a cosa ti riferisci.-
Spalancò gli occhi, irritato. Non lo nascose nella voce. –Certo che lo sai: quel maledetto caffè che mi hai costretto a bere… Usagi avrà pensato che sono ridicolo!- Ed era male, molto male…
Tuttavia Motoki non sembrava preoccupato quanto lui.
-Il Baka Ice Coffee ha fatto quello che doveva fare; la tua scarsa tolleranza per i liquori è un problema tutto tuo, non suo.- Si infilò le dita sporche di marmellata in bocca, poi raggiunse la cannella dell’acqua per sciacquarsi le mani.
Mamoru approfittò di quei secondi di relativa privacy per far sbollire il sangue. –Se il suo lavoro era quello di farmi passare per uno scemo, potevi anche risparmiartelo- si lamentò amaramente.
Il suo amico lo studiò poggiato contro i mobili chiari della credenza. –Ti ho fatto guadagnare una scusa per passare del tempo da solo, in un posto appartato, con Usagi: cosa vuoi di più?!- Sembrava non credere alle proprie parole, e ancora meno ci credeva lui.
-Non ci casco.-
-In cosa?-
-In questa storiella in cui tu, o quel caffè, a cui tra l’altro ti suggerisco di cambiare nome, mi abbiate in qualche modo combinato un appuntamento con lei.- Lo scherzo era divertente finché durava poco, e secondo i suoi gusti la burla che Motoki gli stava giocando stava assumendo una sfumatura pericolosamente snervante. –Usagi mi odiava, ed ora probabilmente penserà che sono un ubriacone.-
Un paio di sopracciglia alzate gli comunicò scetticismo misto ad una punta di irritazione.
-Sarà, ma ieri pomeriggio, dopo che vi siete accordati per quelle benedette ripetizioni, mi sembrava al settimo cielo. Potrei quasi scommettere di non averla mai vista in quel modo…-
Mamoru non poteva credere alle proprie orecchie, spalancò occhi e bocca in contemporanea.
-Ripetizioni?-
Motoki annuì diffidente. –Di matematica e scienze e inglese. Mi rendo conto che la cosa è un po’ impegnativa, ma tu sei bravo e se non sono diventato sordo, cieco e pazzo, credo che sarai anche l’incentivo giusto per Usagi…- Fece un pausa, il suo interlocutore pareva essersi straformato in una statua di sale. –Non credo che avrai grossi problemi…- Concluse per incoraggiarlo, ma non ricevette risposta. Mamoru non lo stava nemmeno guardando, a dirla tutta; il forno spento sembrava essere lo spettacolo più interessante del mondo.
-Certo che sei strano forte oggi, eh…-
Era come se il cervello gli fosse andato in fumo in un istante. –Allora non era un sogno…-
Non riusciva a capacitarsene, non riusciva a pensare: non sapeva se tutto quello che ricordava fosse successo sul serio, ma la parte cruciale dei suoi quesiti era realtà. Usagi sarebbe venuta da lui per delle lezioni private.
Avrebbero studiato insieme, parlato insieme, forse mangiato insieme, passato ore insieme. Soli.
Si sentì come svuotato.
-Mamoru? Inizi a preoccuparmi…- Motoki gli sventolò un pezzo di carta a pochi centimetri dal naso, provocando un leggero venticello fresco. -Cosa hai sognato?-
-Pensavo di aver sognato questa cosa… Io che aiuto Usagi con la scuola… Quando mi sono svegliato non ero sicuro che fosse la verità e alla fine mi sono convinto che l’acool avesse prodotto questo… ricordo… E ora mi dici che…- Non riuscì a finire la frase per la troppa sorpresa.
Puntò gli occhi in quelli dell’amico; li trovò colmi di lacrime, la bocca stretta in una linea sottile, quasi impercettibile.
Motoki scoppiò a ridergli in faccia.
-Sei la fine del mondo, Mamoru! Non credevo di averti fatto fare un viaggio mentale così assurdo!-
Sembrò essere uno spasso, ma lui non si stava divertendo.
-Per quando ci siamo messi d’accordo? Per oggi?- L’ansia era tornata a farsi sentire, spingendolo sul bordo della sedia, le dita incrociate sul tavolo.
Motoki annuì.
Era un disastro, una catastrofe. Non era pronto, niente era pronto.
Si guardò attorno: la casa era okay, anche se, se ne fosse stato certo prima, avrebbe potuto apportare qualche piccola miglioria qua e là; il frigo era abbastanza pieno, il pavimento lavato solo il giorno prima, il bagno pulito.
Doveva farsi una doccia, forse non avrebbe avuto tempo per andare a correre. -Come… A che ore?-
L’amico fece spallucce. –Non l’avete decisa; credo che ti toccherà metterti il cuore in pace ed aspettarla in tutta calma.-
Non era possibile questa cosa. –Non sa nemmeno dove abito…- Non sapeva se esserne dispiaciuto o felice.
-Lo sa.-
Fosse stato slogabile e scomponibile, braccia e mascella gli sarebbero caduti per terra. –Come fa?! Non è mai stata qui, io non gliel’ho mai detto! Credo…- Fece seguire un lungo silenzio, indeciso sul dar voce alle proprie preoccupazioni. Guardando Motoki aspettarlo decise che non aveva senso avere qualcuno affianco se non ci si fidava, se non ci si sentiva liberi di dire e fare quello che premeva di più. Si passò una mano su tutto il viso.
-Ho detto o fatto qualcosa, ieri, di cui dovrei vergognarmi?-
-No. Usagi ha notato che non eri quello di sempre, ma il pensiero di venire a studiare da te, mi è sembrato, l’ha distolta piuttosto bene da qualsiasi domanda. Era contenta.-
Lui aveva i suoi dubbi, ma non era il caso di perderci dietro troppo tempo, Motoki non avrebbe potuto comunque rispondergli. –Sei stato tu a dirle dove vivo?- Non era arrabbiato, nel bene o nel male quella giornata si sarebbe conclusa in un certo modo. Non aveva senso opporsi.
-Qualche tempo fa mi ha accompagnato qui. Quella volta che avevi dimenticato gli occhiali al bar.-
-Ricordo. Non me l’avevi detto.-
-All’epoca non avevo ancora idea che voi due vi piaceste.- Motoki gli sorrise con tutto l’ottimismo e la furbizia che possedeva.
Mamoru lo ricambiò al meglio che poté: lui era amato da tutti per la sua solarità, aveva una ragazza e molti amici, una famiglia… Era una brava persona, un bravo amico. Gli doveva molto, ma certe volte si spingeva fin troppo oltre, pur di incoraggiarlo. Era questa l’amicizia?
-Hai finito di dire cavolate? Usagi non mi può vedere, probabilmente ha accettato di starmi vicina solo perché rappresento l’unica soluzione per quella strana storia intricata fra lei, le sue amiche e i suoi genitori…-
Motoki si slanciò dalla sua posizione strofinandosi le mani. Dietro di lui, gliele appoggiò sulle spalle, stringendo con forza.
Contrasse i muscoli, spostando la testa in avanti quando i capelli gli vennero scompigliati.
-Amico mio, lascia stare: non capisci proprio niente in fatto di donne.-
Mamoru si girò quando la stretta sparì, in tempo per vederlo imboccare la strada della sua camera.
-Muoviti, dobbiamo scegliere qualcosa di decente da farti mettere. Usagi non sopporta quella giacca verde che ti ostini a indossare ogni volta che vi incontrate!-
Cosa?! –Ma è bellissima!-
Non ricevette risposta.

Usagi, impalata nel vialetto che aveva erbetta ben curata sia a destra che a sinistra, sembrava essere stata congelata sul posto, il naso all’insù, verso le finestre imperscrutabili.
Per tutto il tragitto fra casa sua e quella di Mamoru aveva quasi volato, il cuore leggero, le labbra sorridenti.
Non aveva pensato a qualcosa che non fosse lui, aveva sognato ad occhi aperti per tutta la notte e anche con Minako presente la sua mente non si era distratta, se non per parlare delle loro amiche.
Sospirò pesantemente. Si era comportata in maniera superficiale ed infantile, non aveva altre giustificazioni se non la propria impazienza.
Ami, Rei e Makoto non lo meritavano. Nemmeno Minako.
Sperò che le cose andassero davvero come aveva detto la sua compagna di classe.
Camminando per le strade afose da sola si era ripromessa con fermezza assoluta di impegnarsi a far capire loro che l’amicizia che le concedevano era un tesoro di cui comprendeva il valore, e a cui non avrebbe più mancato di rispetto.
Non doveva imporselo, non ne aveva il bisogno, doveva solo imparare ad essere più accorta.
Avvicinandosi al palazzo che aveva visto spesso la sera, facendo a posta il giro lungo per tornare a casa, la sua preoccupazione era scivolata inevitabilmente da un pensiero a un altro.
Mamoru la stava aspettando.
Doveva impegnarsi al massimo per trarre tutti i vantaggi possibili da quel primo incontro -e poi dai successivi- senza però dimenticare che l’applicazione nello studio rimaneva comunque una parte importante del suo piano.
Sarebbe rimasto impressionato.
Lì, ferma col vento caldo che muoveva l’orlo della gonna, la paura si era mischiata con la fretta in un mix che la teneva inchiodata ai lastroni della stradina che portava al grande portone in vetro e a decine e decine di citofoni.
Doveva muoversi; e se Mamoru fosse stato ad una di quelle finestre a guardarla?
Avrebbe pensato che fosse una ragazza stramba, troppo per i suoi gusti.
Incamminandosi e tenendo gli occhi piantati per terra si augurò che lui stesse un po’ meglio rispetto al giorno prima: si era informata su internet e i colpi di calore non erano una cosa con cui scherzare.
Nel caso, se lui non se ne dispiaceva, lo avrebbe aiutato.
Arrivata all’ombra della portineria sentì l’entrata cigolare ed aprirsi.
-Usagi-chan! Sei già qui!-
La voce familiare la portò ad alzare il viso. –Motoki! Buongiorno.-
Le stava sorridendo, tenendo aperto il portone per lei.
Lanciò un’occhiata incerta all’atrio ombroso alle sue spalle, stingendo i manici della sua borsa in contemporanea con le spalle.
Lui si scostò ancora di più, facendole spazio. –Mamoru ti sta aspettando.-
Annuì, superandolo rassegnata. Il cuore le batteva come non mai.
-Piano 24. Vai a sinistra quando esci dall’ascensore, la porta è proprio in fondo.-
Accennò un inchino con la testa. –Arigatou.-
-Buona giornata, Usagi. Vai tranquilla, Mamoru non mangia e oggi è davvero di buon umore.-
Lasciò la porta e lei la guardò richiudersi con un tonfo.
Salutò con una mano, girandosi dal lato opposto.
L’ascensore la stava aspettando già aperto.





Non dirò niente, a parte “chi non muore si rivede”.
E grazie, grazie a chi si ricorda di me, a chi mi ha aspettato, a chi mi legge e soprattutto a chi mi dice la sua.

Francesca.

   
 
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