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Autore: Joy    13/12/2008    4 recensioni
"E questa donna... esiste già?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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LUNAMORA

LUNAMORA

 

 

Luna.

More di rovo.

Labbra e pelle profumate, capelli di seta tagliente.

“Seduci la tua dama.” ordinano gli occhi di lei.

Sono maliziosi, lo stanno sfidando.

Cala la notte, quando solleva le palpebre.

Ed è più nera.

Mani candide e unghie lucenti…

Pruni di rovo.

Strappano le vesti di dosso al suo signore.

Artigli e profumo di more.

Sorride e compare il labirinto.

Lui è perduto.

 

 

 

“Non mi piace.”

Si portò la sigaretta alle labbra e aspirò profondamente

“Non mi piace proprio.”

“Sai, Rodolphus, per tutta la vita ho creduto che tu fossi stato risparmiato dalla maledizione di famiglia.” Rabastan posò il bicchiere vuoto e si lasciò cadere scompostamente sulla panchina di pietra. “Ricordati di questo giorno, fratello, perché è quello in cui hai distrutto l’ultima certezza che mi rimaneva. piegò le labbra in un sorriso. “Adesso so che sei pazzo, come tutti noi.”

“Pazzo?!” ribatté quello “Lo sarei se acconsentissi a sposarla. E’solo una bambina.” e spense con decisione la sigaretta sul tavolo.

“Ha quindici anni.” precisò l’altro con tono eloquente. “E’di origini nobili ed è bella.”

“E’ scialba.” rispose, fissando la ragazza che suo padre aveva scelto per lui.

Era seduta rigidamente al centro del giardino, di fianco a sua madre. I suoi capelli erano perfettamente acconciati: fiori di stoffa lilla risplendevano tra le ciocche dorate e le pieghe del suo abito, rigorosamente in tinta, ricadevano eleganti ai lati della sedia.

Teneva gli occhi bassi, sulle mani guantate, e parlava sussurrando soltanto se veniva interpellata.

Un’inutile bambola.

“Pensavo che ti piacessero le ragazze dolci e arrendevoli.

“Solo come passatempo di una notte; mi aspetto qualcosa di più da quella che sarà mia moglie.

“Malfoy si rode di gelosia, lo sapevi questo? Ti ucciderebbe se potesse.”

“Malfoy è un codardo e suo padre un opportunista. Vuole per suo figlio una delle ragazze Black perché la loro dote supera di duecento galeoni quella di qualsiasi altra fanciulla purosangue.”

E quali sarebbero, invece, le nobili motivazioni di nostro padre?”

“Vuole una nuora bella e stupida, che dia lustro alla nostra casata durante le serate mondane, ma che non interferisca in alcun modo con le sue decisioni.”

E tu? Interferirai con le sue decisioni?”

“Non appena avrò al mio fianco una donna che non abbia paura di combattere.

E questa donna… esiste già?”

Rodolphus sorrise.

Lunamora.

Esisteva.

 

 

Era stato suo padre ad insistere perché presenziasse al ricevimento in casa Black; voleva mostrargli la ragazza che aveva scelto per lui, prima di cominciare a discutere di patrimonio con il padre di lei.

 E di certo non dubitava che il maggiore dei suoi figli sarebbe stato entusiasta della giovane -aveva avuto premura di dire con slancio, qualche istante prima di varcare la soglia-.

Lei era bionda, raffinata e sottomessa al volere della propria famiglia; perfetta per diventare sua moglie, a sentir suo padre.

Rodolphus buttò giù un sorso di whisky e abbandonò la sala.

Insipida.

A lui non era piaciuta.

Lo aveva salutato con la cortesia distaccata e indifferente che si addiceva ad una signorina di buona famiglia, ma la mano, che lui le aveva baciato galantemente, era fredda e leggermente umida di tensione.

Era troppo giovane per lui e troppo spaventata.

Composta, silenziosa e debole.

Non le aveva chiesto di danzare, prima di andarsene.

 

Il giardino di casa Black era esattamente come i suoi proprietari: compito, artificioso e avvolto dalla penombra quieta della sera. Ogni arbusto era stato tagliato in modo che niente potesse rovinare l’armonia del luogo; i viali erano puliti e i fiori disposti con grazia, come se qualcuno avesse deciso per loro il luogo e il momento esatto in cui sarebbero dovuti sbocciare.

Narcissa.

Rodolphus sbuffò di noia e si addentrò nei viali retrostanti la casa.

Lì c’erano alberi avvolti da rampicanti, aiuole sommerse da fiori di campo ed erbacce, e foglie morte a nascondere i sassolini lucenti dei sentieri.

Se i giardini riflettevano i loro proprietari, allora lui si era appena imbattuto nel vero volto della famiglia Black: l’oscurità che si cela dietro alla facciata splendente.

Si addentrò verso la parte più nascosta e distante; non c’era illuminazione che arrivasse fin laggiù, soltanto il debole riflesso della luna, a creare ombre tremule sui suoi passi.

Si voltò seguendo inconsapevolmente il baluginare pallido dei petali e scorse un movimento troppo lento e misurato per appartenere alla natura mossa dal vento; in mezzo ai fruscii colse un respiro.

Una ragazza.

Il braccio pallido posato con noncuranza sulla spalliera della panchina di pietra e l’abito scintillante e malizioso sotto la luce della luna.

Lunamora…

I capelli le ricadevano sciolti sulle spalle e sul seno, lisci e pericolosi come seta tagliente, neri e lucidi.

“Bellatrix Black.” constatò il ragazzo. “Finalmente ho il piacere di conoscere la primogenita.

Lei non rispose, lo fissò soltanto… e lui non poté ignorarla.

Aveva uno sguardo accattivante e provocatorio. < Conquista la tua dama > sembravano dire i suoi occhi scuri.

Teneva in mano un calice di cristallo, pieno a metà e con l’altra coglieva distrattamente i piccoli frutti che la pianta più vicina le offriva.

More di rovo.

Se le portava alla bocca con misurata lentezza, una alla volta.

Le dita che indugiavano sulle labbra piene, sfrontate, seducenti e talvolta imbronciate, quasi volessero accusarlo di mancanza d’interesse.

Lui socchiuse occhi, irritato e stregato in ugual misura.

“Sarebbe questo il tuo modo di rispondere?” la punzecchiò avvicinandosi alla panchina e sovrastandola con tutto il suo corpo.

Lei sorrise porgendogli la mano, lui capì che non avrebbe rifiutato.

“E’ questo il mio modo di rispondere.” e incurante dei rovi lo trascinò con forza verso di sé.

Artigli lucenti.

Unghie.

Pruni di rovo.

Sangue scuro sulla camicia…

Rodolphus trattenne una smorfia e osservò la manica lacerata. Poi di nuovo lei.

Lunamora.

Strappa le vesti di dosso al suo signore…

La bella dagli occhi neri, circondata dai rovi, dalle rose irraggiungibili e dalla luce fioca della luna.

Lunamora.

Le scostò i capelli dal collo con la mano ferita. Aveva le spalle nude, il seno traboccava sensualmente dal corpetto stretto e rigido.

… Ad ogni respiro.

Si chinò sulla sua bocca; le labbra rosse profumavano di more selvatiche.

Lei si ritrasse, falsamente debole.

“Sei il promesso sposo di mia sorella.”disse con voce suadente, lasciando scivolare con noncuranza la mano lungo il braccio di lui.

Sulle sue dita, lui vide il proprio sangue.

Nero e caldo, non solo rosso desiderio…

Stessa anima.

“Non ancora.” sussurrò.

Il vento soffiò più forte, più freddo; Rodolphus osservò il seno di lei tendersi sotto la stoffa del vestito.

Era bella, procace e voluttuosa.

More di rovo…

Pericolosa e profumata…

Luna fredda.

Lunamora.

Avrebbe voluto distenderla sotto di sé e prenderla con la forza, proprio lì, sulla pietra gelida della panchina.

“Mi vorresti?” le chiese invece con voce roca. “Se chiedessi te in sposa al posto di tua sorella, accetteresti?”

Lei sorrise e senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, rovesciò sul terreno ciò che rimaneva del suo champagne.

Gocce di desiderio su un terreno già bagnato…

Lui deglutì e protese la mano per afferrare l’unica cosa che lei gli porgeva.

Il calice vuoto.

Enigmatica e seducente.

e incurante.

Se ne stava andando, voltandogli la schiena.

Si adagiò scompostamente sulla panchina e la osservò attraverso il vetro del calice mentre scompariva nell’oscurità.

Lei soddisfatta, lui con le labbra e la gola arida e un bicchiere vuoto tra le mani.

Sorrise, nonostante tutto.

Era la sua dama.

Lunamora.

 

 

“Allora, esiste?”

Rodolphus guardò suo fratello.

“Esiste.”

Cosa farai ora?”

Non rispose, si alzò dirigendosi verso il gruppo di uomini che parlavano a pochi passi da loro. C’era anche loro padre, là in mezzo.

Rabastan lo seguì con lo sguardo.

“Padre” lo sentì chiamare, e increspò le labbra in un sorriso consapevole. “Vorrei parlarvi…”

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

  
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