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Autore: crimsontriforce    13/12/2008    1 recensioni
Breve storia di un successo annunciato che alla fine non poté che tramutarsi in sconfitta.
Eterno è solo Sin assieme alla sua corte.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Auron, Bahamut, Braska, Ixion, Jecht
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dieci anni fa, la stessa strada'
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4. Squarci nel buio - ribellione




With every lie that I lived

Part of me would fade

Into this empty shadow I've become

And now I feel so numb

I no longer know myself

But I still know you








Un movimento pulito dell'asta fendette l'aria notturna, accompagnato dal pensiero proiettato dell'evocatore, e un monaco di guardia cadde a terra addormentato. Il suo compagno seguì lo stesso fato prima che potesse rendersi conto di quello che stava succedendo.


“Via libera”, comunicò Auron sottovoce.

“Lo spero”, rispose Braska con un sorriso forzato mentre lo seguiva all'interno del tempio. Jecht chiudeva il gruppo. Se li avessero catturati, o se avessero torto un capello a una sola delle guardie la cui unica colpa era quella di stare facendo il proprio dovere, il loro viaggio sarebbe finito all'istante. Ma, come aveva fatto notare Auron, Maife era passato nel torto marcio arrogandosi il diritto di giudicare un evocatore in pellegrinaggio: se la Fede, unica autorità competente in materia, l'avesse accettato, rendere pubblici gli eventi della giornata avrebbe aiutato più loro che lui. Avevano quindi preparato le loro cose in silenzio, ben oltre il coprifuoco, e si erano fatti strada nell'ombra, aiutati dall'occasionale incantesimo di sonno.

Entrati nel tempio, Braska si diresse a sinistra, verso la statua di Gandof, primo Alto Evocatore dopo Lady Yunalesca.

“Mio Lord...?”
“Un momento solo, Auron. Precedetemi alle Prove, non tarderò.”


“Ma che...?”, protestò Jecht mentre l'altro guardiano lo trascinava su per le scale e oltre la porta che segnava l'ingresso al Chiostro delle Prove.

“Prega.”
“Fin lì c'ero arrivato.”

“Le tre statue qui fuori rappresentano i tre evocatori che in passato hanno sconfitto Sin. Lord Ohalland e Lady Yocun sono illustri modelli di quello che significa essere un evocatore, ma è a Lord Gandof che Lord Braska guarda con particolare stima.”
“Hai fatto bene i tuoi compiti...”

“Ne parliamo spesso”, rispose Auron, piccato. “E in un certo senso capisco il suo punto di vista. Per quattrocento anni, dalla sua nascita e immediata prima morte, Sin ha regnato incontrastato. Yevon predicava e predicava, ma senza risultati e la gente era inquieta, il pellegrinaggio visto con occhi diversi. Lord Gandof era un uomo anziano, un ingegno fino, un costruttore... diventare evocatore e partire dev'essere stato un atto di fede senza eguali.”
“Sembra il tizio che cercherei anch'io, nella sua situazione. Dubito che mi starebbe ad ascoltare, però.”
“Per il momento, limitati a non farti ascoltare da sacerdoti in giornata storta.”
“Un senso dell'umorismo, Auron? Da quando ne hai uno?”
“Da quando mi serve una qualche protezione per sopportarti”, tagliò corto. “E ora ascoltami bene. Potrebbero arrivare altre guardie e non mi fido di te, qui.”
“Reciproco, baci abbracci e tutto, grazie Auron, sei commovente.”

“Il che significa”, riprese cupo Auron zittendolo con un gesto, “che avrai un ruolo più importante. Accompagnalo oltre le Prove e resta nell'anticamera fino a quando non sarà uscito. Sarà molto debole: sorreggilo. Che ti entri in quella testa dura: veglia e non perdere d'occhio quella dannata porta, perché ci sarà bisogno di te. Se vengo a sapere che hai sgarrato non esci vivo di qui, parola.”


Jecht lo osservò a braccia conserte, divertito. Senza dargli la soddisfazione di una risposta, si fece un appunto mentale di 'tenere d'occhio la dannata porta': per quanto il suo modo di stare vicino al loro evocatore non fosse proprio quello di Auron, fare bene il suo mestiere era il meno che potesse fare per iniziare a sdebitarsi.


Braska li raggiunse poco dopo e i due si immersero nelle profondità elettriche del Chiostro delle Prove.


***



La Sala della Fede, col suo silenzio e i suoi sigilli, gli sembrava un grembo materno. Dopo le angosce della giornata, culminate in quell'incursione notturna al limite dell'incosciente, per Braska fu un sollievo inginocchiarsi in quel luogo protetto e invocare l'apparizione di Ixion del Tuono, potere nascosto di Djose.


Lo spettro che gli si presentò era un uomo dall'aria allegra e con un mento pronunciato, che un tempo poteva essere stato capitano di un vascello e ancora si fregiava di un giaccone verde cupo con gradi e mostrine. Lo salutò toccandosi il tricorno, con un sorriso ben inciso nelle rughe profonde e, come già con Shiva, Braska sentì che i ruoli si erano invertiti: lui era un ignorante, a stento riconducibile sulla via della saggezza, e quel buon signore di un tempo passato la luce, la verità, la forza. Trovarsi all'altro estremo dello stesso tipo di placida curiosità che lui stesso era solito rivolgere al mondo non faceva che rinforzare l'impressione.


“Saluti, giovane evocatore. La strada è breve alle tue spalle, ma ti guida un impeto che ti fa onore. Questa visita era a lungo attesa e ci riempie di gioia.”

Braska si inchinò, senza comprendere a cosa si riferisse con il plurale né perché la sua presenza potesse essere così importante.

“Ma il tuo sogno è disturbato.”


***



Torna.


Il canto riempiva ogni spazio e ogni fessura dell'anticamera, discendendo dalle linee dorate che imitavano il fulmine, diffondendosi assieme alla luce rossa e azzurra scintillante delle lampade. Non c'era scampo. Jecht scacciò l'aria e si rannicchiò con la testa fra le ginocchia, camminò in circolo lungo il mandala che ornava il pavimento e infine si arrese rifugiandosi in una nicchia nella parete, sotto una finestra ricoperta di roccia.


Torna. Chiudi gli occhi a questo mondo imperfetto.


Sentì due braccia esili stringerglisi attorno al petto, un dito seguire il contorno del suo tatuaggio come se non avesse mai conosciuto altro. Sentì della stoffa ruvida appoggiarsi alla sua schiena.


“Tidus...?”, chiese piano, sentendo la forma minuta sussultare al ritmo dei battiti del suo cuore, che sovrastavano ormai il canto, la voce e la ragione.

Abbassò lo sguardo.

Le braccia che lo cingevano erano nude e scure.


Torna, nostro figlio adorato.


Jecht chiuse gli occhi e si fece coraggio e si preparò a voltarsi e nulla di questo era mai accaduto.


Stremato da un'emozione ignota, si addormentò al suono profondo della voce della Fede col suo canto di sogni ed eternità. Sognò un tramonto che si stendeva per sempre, scendendo la sera nel mare e rinascendo come una nube di luci fatue in ogni lampione, ogni finestra, ogni faro abbagliante da stadio puntato su di lui – fino all'alba.


Torna a Zanarkand.


***



“Dubito del mio compito, Lord Ixion.”

“Tu dubiti?”, rise. “Fai bene! È questa la strada, giovane evocatore. Devi iniziare dai tuoi dubbi per trovare la forza che ti condurrà oltre Zanarkand. Ne passano tanti, da qui, che non dubitano. Fanno poca strada. Ma poi dovrai superarli affinché non ti sommergano! Vieni, lascia che il mio sogno ti guidi in un galoppo sfrenato verso il Nord!”

“Speravo in risposte”, ammise Braska.

“Le avrai!” L'energia di Ixion era contagiosa e l'evocatore si sarebbe abbandonato volentieri alla corsa promessa, ma restò attento. “Oltre. Non è mio compito fornirle.”

“Ma forse è il mio”, disse una voce sottile alle sue spalle: la Fede bambina che l'aveva iniziato all'evocazione, Bahamut il saggio dalle vesti stracciate, era apparsa al fianco di Ixion. “È giunto fin qui oltre una grettezza che non dovrebbe fregiarsi dei miei poteri né dei tuoi: penso che le abbia meritate.”

“Proprio tu!”, lo salutò Ixion saltando i convenevoli. “Sicuro che mandarlo in pellegrinaggio sia la cosa migliore? Rischia fin troppo e lo sai. Arriveranno, sì, ma sono solo in due.”

“È quello che abbiamo votato, Ixion. Il nostro figlio deve tornare, i fratelli sulla montagna sono incompleti... ma ha bisogno di una scorta e senza gli uomini non abbiamo potere. Ho fiducia in lui.” Incrociò le braccia e squadrò il compagno dal basso in alto. Questi non osò rispondere.


“E ora a te, allievo, figlio”, riprese rivolto a Braska, che aveva ascoltato in silenzio una conversazione che certo non pensava lo riguardasse. “Cosa ti turba?”

“L'immensità del compito, mio Lord Bahamut. Sin è immortale. Quando anche Yevon mi volta le spalle, mi rendo conto di quanto io non lo sia.”

“Vieni da un Eone a parlare di immortalità? Il nostro sogno è eterno, più antico di Sin. Affidati ad esso e non smarrirai la strada.”

“È questo che comandate?”, chiese approfondendo l'inchino e nascondendo la smorfia di disappunto. Era una rassicurazione quella, non una risposta. “Vi confido oggi di aver perso ogni fiducia in Yevon, o perlomeno nei suoi rappresentanti mortali. Non ho che voi cui appoggiarmi, perdonate quindi la mia insolenza se vi chiedo: è questa la via?”
“È l'unica che Spira può sognare.”
Non c'è davvero altro, dunque, pensò, ma tenne per sé la sua amarezza. “Ma che differenza posso fare?”

“Differenza?”, chiese Bahamut, quasi faticasse a familiarizzare col concetto.

“Sin rinascerà prima che l'umanità possa aver raggiunto un qualsivoglia livello di purezza, non è vero? L'ho visto oggi per la prima volta e mi sono scoperto cieco da trent'anni.”

“Sconfiggerai Sin”, rispose lentamente, studiando ogni parola. Non era abituato a consolare. “E porterai un raggio di speranza. Non è così che vi chiamano? E la speranza è... in sé... fonte di cambiamento”, mentì. “Noi tutti guardiamo al tuo viaggio con grandi aspettative. Ti aiuteremo. Chiamaci, nell'ora del bisogno o quando il dubbio s'insinuerà alle tue spalle. Dimentica Yevon e torna... a Zanarkand.”

“Torna...?”


Bahamut lo guardò con compassione, protetto dall'ampio cappuccio. Scosso dal lutto che ricopriva tutta la città di sogno e chi la manteneva in vita, costretto per la prima volta in mille anni ad affrontare un destino incerto come quello dei mortali che aveva sempre guardato dall'alto, si vergognò delle risposte che stava dando a un uomo onesto.


“È ora che io lasci queste sale, ché non sono a me dedicate e mantenere la presa sul sogno vivente si fa faticoso. Saluti, evocatore. Trova in te la forza in virtù della quale ti abbiamo scelto e accettato.”

Bahamut svanì.


***



“Non penso proprio”, disse Auron con inedito autocompiacimento, appoggiato a una colonna, mentre giocherellava con un sacchetto mezzo vuoto di polvere sonnifera. Ai suoi piedi, i corpi di quattro guardie giacevano inerti – salvo che per un leggero russare. Se Jecht aveva preso il suo posto, in fondo, lui poteva benissimo prendere il suo, atteggiamenti inclusi. Scoprì quella notte che il tutto poteva essere piuttosto divertente. Avrebbe avuto dieci anni per perfezionarlo.


***



“Hai le tue risposte, giovane?”

“Ho una via”, rispose Braska pensieroso. “Ed è più di quanto avrei potuto chiedere a chi, come me, non vedrà l'alba di un nuovo secolo. Forse le risposte non possono essere impartite. Le cercherò... sulla strada, con i miei mezzi e i miei compagni.”

“Quindi combatterai Sin?”
Sostenne il suo sguardo. “Donerò a Spira la speranza di cui ha bisogno.”

“Eccellente. Possiamo iniziare.”

“Un'ultima domanda, se mi è concessa.”
Ixion lo squadrò divertito. “Ci tieni impegnati, giovane. Concessa, concessa.”
“Riguarda l'inno che cantate. Desidero sapere, se non è troppo audace, quale sia il suo significato e quale la sua origine. Mi è stato insegnato che è un dono per chetare gli animi, ma vedo oggi che non è così, o che non sempre lo è stato.”

Il volto di Ixion si corrugò in un largo sorriso. “Ti darò una risposta sincera, se è questa che cerchi. Il nostro inno è... un canto che non può non morire: per questo lo intoniamo. Se la sua eco si spegnesse in noi, smetteremmo di essere quelli che siamo per diventare quello che i vostri sacerdoti vorrebbero che fossimo.”
“Ammetto di non comprendere, ma terrò a mente queste parole”, disse Braska vedendo le sue certezze scivolare sempre più lontano. Sentì il peso di tutto quello che non capiva e seppe che né i suoi maestri, né i compagni di strada, né a quel punto le sue uniche guide l'avrebbero mai alleviato. Temette che sarebbe morto senza conoscere la verità, squarciandone solo a tratti il velo, come lampi nella notte più buia. Ma avrebbe continuato a cercare.

“Per comodità lo ammantiamo di lodi”, riprese Ixion, “o lo intessiamo nei sogni di un bambino, ma ogni parola effimera muore sotto le note che ci insegnarono le nostre madri, e le madri delle nostre madri, quando ancora calcavamo le terre del Nord. Il nostro canto attraversa i secoli e non ha che un significato, il ricordo: ricordo di ribellione, sconfitta, vendetta giurata. Non ti dirò altro e forse già questo mi costerà, ma riconosco in te la forza calma entro la tempesta e quella ho voluto omaggiare. Saluti, cercatore di dubbi, sia veloce la tua andatura.”


La Fede scese dal cristallo al centro della stanza e lo abbracciò; la sua pelle sapeva di tuono e burrasca. Mentre scompariva e i loro sogni diventavano uno, Braska sentì la stanchezza di mille anni entrargli in corpo e arrancò a stento fino alla porta. Oppresso da una forza che ancora non controllava e dai nuovi interrogativi cui quelle risposte avevano portato, pregò di potersi abbandonare a un abbraccio fidato, umano. Ma Auron non c'era e Jecht dormiva in un angolo, così non poté che appoggiarsi al muro, respirare a fondo e prepararsi al viaggio.


Ricordò in seguito che all'ultimo Ixion si fosse tolto il cappello e, calcandoglielo in testa come si farebbe a un bambino, l'avesse salutato così: “Guidalo bene. Corri, evocatore. Supera il tramonto.”


***



Auron li attendeva fuori, circondato da corpi, con la spada pulita e l'espressione seria. Ripartirono prima che la Roccia del Fulmine rendesse nota la loro bravata al tempio tutto.


Maife il sacerdote fu espressamente invitato al silenzio dalla Fede che aveva giurato di servire. Anche se così non fosse stato, fare rapporto a Bevelle in merito a una divergenza d'opinioni con Lord Ixion difficilmente sarebbe rientrato nelle sue priorità.

Un attacco di Sin lo uccise anni dopo, appena prima che venisse a sapere cosa gli eretici Al Bhed avevano intenzione di fare dei terreni consacrati alla sua Djose. Yu Yevon la chiamò vendetta; Jecht, pietà.


Ixion aveva visto la tempesta addensarsi attorno a quell'evocatore e sognò a lutto, acqua scrosciante sulla terra scura, fino a che una giovane carica di pioggia non gli ridiede la speranza di un ultimo tuono e poi di pace eterna.


I tre pellegrini proseguirono per Kilika, Besaid e infine il Nord, dove la morte li divise.







******
@sony1987: Grazie, sono felice che ti sia rimasta impressa quella scena, probabilmente è anche la mia preferita nel capitolo! Quella, e i vari accenni che rendono 'sto racconto più un manualetto di come si sta con gli abiti di Braska addosso che un pezzo di prosa XD E Auron resta nel cuore, sì, sempre. Caro, caro fedelissimo a modo suo, prima e dopo. Oh, sulla voglia di dettagli son con te, del tutto! Ci son tanti modi di approfondire... avrebbero potuto ampliare un po' i flashback, o anche solo dedicar loro qualche rigo in più sull'Ultimania - Jecht ha praticamente la stessa quantità di testo di O'aka o Maechen, voglio dire. é_é Su Auron invece c'è un bel pezzettino, se già non lo conosci lo trovi in un topic stickato su Gamefaqs!

E con il prossimo capitolo, l'epilogo, si chiude! :3
   
 
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